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Autore: LadyPalma    16/08/2021    12 recensioni
La vita di Dolores Umbridge, dall'infanzia alla caduta, dall'amicizia all'amore, sotto il segno dell'ambizione.
"Ellen era scoppiata in lacrime vedendo sua figlia pronta alla partenza, ma lei – una salsicciotta di otto anni fasciata in un vestitino rosa confetto – al momento dell’ultimo saluto non aveva battuto ciglio.
L’altro mondo – quello magico – era fantastico e lei sarebbe stata finalmente speciale, quindi importava poi tanto se la sua mamma non ci sarebbe stata?
Di quel mediocre mondo Babbano, Dolores si sarebbe portata dietro già troppo, del resto: la sua bambola preferita (Tiffany) e il libro della buonanotte (Macbeth)."
| Seconda classificata al contest "Ad ogni libro, una storia" indetto da Bella Black sul forum di EFP.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alastor Moody, Altro personaggio, Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Dolores Umbridge
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
- Questa storia fa parte della serie 'Alastor&Dolores'
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Ellen era scoppiata in lacrime vedendo sua figlia pronta alla partenza, ma lei – una salsicciotta di otto anni fasciata in un vestitino rosa confetto – al momento dell’ultimo saluto non aveva battuto ciglio.
 L’altro mondo – quello magico – era fantastico e lei sarebbe stata finalmente speciale, quindi importava poi tanto se la sua mamma non ci sarebbe stata?
Di quel mediocre mondo Babbano, Dolores si sarebbe portata dietro già troppo, del resto: la sua bambola preferita (Tiffany) e il libro della buonanotte (Macbeth).
 
 



 
Ma non abbastanza
 



 
La corsa al potere non era mai stata una questione di volontà, e nemmeno una scelta. Ai suoi occhi, si trattava piuttosto di una promessa (lo sfavillio che era comparso tra le sue mani, rendendola così diversa da sua madre e suo fratello, così degna di attenzioni), di destino (era finita a Serpeverde, la via dei migliori, dopotutto), addirittura di dovere (se il mondo fantastico non era così fantastico era solo perché era sbagliato e lei poteva sistemarlo). Non l’aveva scoraggiata in questo lo sguardo derisorio dei compagni di classe, né quello di sufficienza dei professori – “Non sapete chi sono io!” avrebbe voluto gridare, invece sorrideva tra i denti e basta, come facevano le vere signorine e le future politiche, perché lei chi era lo sapeva benissimo e presto lo avrebbero scoperto anche gli altri. Lei era unica, anche se aveva scoperto con orrore che le bacchette magiche ce le avevano tanti altri e a lei era toccata pure la più corta forse mai prodotta.
Frivole erano le compagne che perdevano tempo dietro ai ragazzi, noiose quelle che si guadagnavano una sfilza di Eccezionali: quanto a lei non era brutta o stupida, soltanto speciale. E non aveva amici, era vero, ma lei non avrebbe mai voluto essere amica di quegli inutili e vuoti ragazzini, in ogni caso.
Certo, tra tutte quelle ragazze c’era pur sempre Andromeda, che era gradevole – e non solo per il cognome. Con lei Andry era gentile, la coinvolgeva in ogni attività e la considerava sua pari. Come quella volta al secondo anno che si era messa tra i capelli dei fiocchi rosa per mostrarle solidarietà di fronte alle prese in giro dei compagni di casa, oppure al quinto quando le aveva passato le copiette del compito di Pozioni. “Sei la mia migliore amica, Dolly” le aveva detto un pomeriggio con un sorriso sincero, e Dolores ne era stata enormemente contenta. Amica, wow, di una Black!
Andromeda poi, però, aveva mostrato la sua vera faccia, quando l’aveva beccata a baciare quel Tassorosso mezzosangue di Ted Tonks. “Ti prego non dirlo a nessuno, Dolly, sei mia amica!” aveva implorato, correndole dietro. Ma quella non era amicizia, non secondo Dolores, perché una vera amica non si comporta da mediocre scegliendo un ragazzo qualunque. La vera amica è quella che ti aiuta, che ti fa emergere, che ti dà legami preziosi se hai la sfortuna di essere nata con un cognome inutile.
 
“Quindi che cos’è che hai visto, rospettina?”
Dolores accusò il nomignolo poco carino tossicchiando leggermente.
“Hem hem, Andromeda insieme a Tonks, hem, sai il SangueSporco di Tassorosso”.
Bellatrix andò su tutte le furie, ma da quel giorno in poi prese a chiamarla Dolores – e non più “rospettina” – e le promise influenti agganci al Ministero.
Quanto ad Andromeda, del suo destino non si curò mai in maniera particolare. Le era stata simpatica, davvero – ma non abbastanza.
(Di notte, quando le capitava di sfogliare il libro della sua infanzia, arrivava alla frase sottolineata tre volte “Stelle, spegnetevi! Non rivelate il nero dei miei desideri” e sorrideva. Perché Andromeda era una costellazione intessuta di nero, però sarebbe stata lei la vera stella, sarebbe stata lei il simbolo della purezza del nero).


 
 
**
 


Il potere non era stata una strada in salita, no di certo, non se ad andare avanti erano le belle ragazze che strizzavano l’occhio al superiore compiacente di turno, o le so-tutto-io che convincevano i saggi e gli onesti. Quanto a lei, li disprezzava entrambi (i falsi onesti o i veri lussuriosi), ma sorrideva e sorrideva e sorrideva, perché era questa la strada per avere successo. E lei aveva pazienza, e audacia, e tempo. Nessun ammiratore però: nessun fiore sulla scrivania da apprendista, nessuna confezione di caramelle di Mielandia su quella di Sottosegretario. Almeno fino a una battuta volgarmente esplicita nei corridoi del Ministero e a un Whisky Incendiario di troppo durante un appuntamento azzardato ai Tre Manici di Scopa. Alastor Moody non era il suo tipo – anche se ricco e purosangue – però la vedeva come nessuno l’aveva mai vista, semplicemente la guardava. E lei era curiosa, talmente tanto da poter passare sopra le sue strane paranoie, il lavoro decisamente spericolato, la totale assenza di buone maniere e la casa ridotta a un porcile. Perché la faceva sentire quasi bella, e la faceva ridere, e il sesso non era una cosa frivola ma perfino fantastica, e dormire addosso a lui era meglio che farlo da sola, e Casa Moody era più bella con le tende rosa.
“Magari ti amo, Bamboluccia” le aveva detto con un mezzo grugnito di prima mattina, e lei aveva fatto uno strano sorriso tremolante. Qualcuno mi ama, Oh Salazar, e quindi adesso?
Alastor poi, però, aveva mostrato le sue vere priorità e nessuna riguardava se stesso o lei, altrimenti non avrebbe mai perso una gamba, un occhio, mezzo naso e infiniti pezzi di pelle per strada. “Bamboluccia, hai davvero intenzione di mollarmi così?” aveva chiesto con una mezza risata, come se davvero si aspettasse che lei si sarebbe seduta al suo fianco e gli sarebbe rimasta accanto, nonostante tutto. Ma quello non era amore, non secondo Dolores, perché qualcuno che ti ama non si umilia in questo modo fino a diventare un ammasso di arti finti e un pazzo sciroccato. Chi ti ama davvero ti aiuta a diventare importante, sostiene la tua strada per il successo, diventa la compagnia giusta da mostrare al mondo per avere visibilità, non un peso da sopportare.
 
“Mi scusi, voleva vedere Alastor Moody, giusto? È nella stanza 73”.
L’infermiera le aveva rivolto un fugace sorriso, tornando a sfogliare le sue cartelle di lavoro.
Dolores aveva fatto un ampio sorriso e poi si era avviata, a passo spedito, verso l’uomo che diceva di amarla. Inerme, stordito da mille pozioni soporifere, era perfino più orribile di come lo ricordava, con quella ridicola benda nera sull’occhio e una gamba di legno appoggiata al letto. Ma si fece coraggio, perché doveva dirgli addio, e per come lo intendeva lei non c’era bisogno che lui fosse sveglio. Si lanciò un’occhiata attenta intorno, poi sfilò la bacchetta e con un movimento deciso gliela puntò contro. “Oh, povero caro, difficile mantenere la hem vigilanza costante al San Mungo, non è vero?”. Senza esitazioni mormorò un Oblivion, modificando ogni singolo frammento di memoria che la riguardava. Era un dovere verso se stessa, per evitare il rischio di essere cercata o che magari lui parlasse di loro due con qualcun’altro. Quanto a lui, si trattava di un atto di compassione, in fondo, per evitargli il trauma di essere lasciato. Che poi, faceva tanta differenza, in mezzo a tutte quelle sue mutilazioni, tagliargli anche un po’ di memoria?
Alastor era stato importante per lei, davvero – ma non abbastanza.
(Di notte, quando si ritrovava a sfogliare il Macbeth e rileggeva quella solita frase “Stelle, spegnetevi! Non rivelate il nero dei miei desideri” assumeva un’espressione malinconica. Perché l’amicizia e l’amore erano tutte vane stelle che dovevano spegnersi per far fiorire i suoi veri desideri. Forse neri, avrebbe detto qualcuno, ma intanto lei li dipingeva di rosa).
 
 
**

 
 
Ne era valsa la pena, non aveva dubbi, che poi a dirla tutta non aveva penato granché. Aveva lavorato sodo, questo sì, e rinunciato a piaceri superflui come l’amicizia, l’amore e la famiglia. Nulla avrebbe mai potuto competere, comunque, con il sedersi alla destra del Ministro al Wizengamot, o diventare la Preside della scuola che non aveva apprezzato il suo talento, o ancora scalare ogni vetta adesso, mentre si occupava di quella feccia che infestava il mondo magico. Ne era valsa la pena, nonostante l’orribile trauma di quei mostri mezzi cavalli che l’avevano quasi fatta a pezzi, e non aveva mai davvero vacillato. Non quando aveva scoperto che la figlia di Andromeda aveva sposato un licantropo a cui la sua legge aveva reso la vita impossibile (“tale madre, tale figlia” aveva sospirato); non quando aveva appeso alla porta l’occhio magico di Alastor (“è proprio inquietante quest’occhio, ho fatto davvero bene a … ehm… lasciarti”). Né tanto meno quando si era ritrovata davanti sua madre e suo fratello in tribunale.
Aveva voluto loro bene un tempo, a suo modo, ma entrambi erano esseri mediocri ed era suo dovere dare il buon esempio e condannare gli esseri inferiori, a dispetto dei supposti legami di sangue. Che comunque non era necessario specificare, tanto più che avevano rimosso entrambi il cognome Umbridge.
“Dolores, sei davvero tu?” aveva chiesto sua madre con un fil di voce e le lacrime negli occhi, e Dolores era saltata in piedi cominciando a strepitare senza ritegno, per tirmore che potessero alludere alla loro parentela. Ma quella non era una famiglia, non secondo Dolores, perché la famiglia non dovrebbe essere qualcosa da cui fuggire o da rinnegare e non dovrebbe mai farti vergognare. Una vera famiglia dovrebbe darti ogni opportunità per essere la migliore e impegnarsi a essere all’altezza delle richieste della società.
 
“Cosa dovremmo fare con loro, Madame Umbridge?”
Percy Weasley le aveva rivolto uno sguardo attento, in attesa di indicazioni e lei non si concesse nessuna esitazione.
“Li manderemo insieme a tutti gli altri, Percy caro”.
Non disse altro, non degnò di uno sguardo quelle figure che una volta conosceva, e si limitò ad accarezzare invece il medaglione color smeraldo al suo collo. Ogni tanto le sussurrava cose audaci, alle quali sussurrava in risposta ridacchiando appena “oh, ci avevo pensato già”. E continuava a stringerlo, perché quel medaglione era essenza di magia, potere e ambizione, e le purificava giorno dopo giorno il sangue da quelle squallide origini.
Una volta aveva voluto bene a sua madre e al piccolo Donald, se ne ricordava ancora – ma non abbastanza.
(Di notte, del libro d’infanzia rileggeva adesso solamente quell’unica farse: “Stelle, spegnetevi! non rivelate il nero dei miei desideri”, e restava qualche minuto a rifletterci su. Perché era la frase preferita di sua madre, la colpevole suprema del fatto che ora lei non aveva nessuna stella e tutto attorno a lei era nero. Colpa sua, se aveva speso una vita a dover essere qualcuno, colpa sua se essere mediocre non le era mai parsa un’opzione).


 
 
**

 
 
Dolores Umbridge non era rimasta a bocca aperta tante volte nella sua vita, ma non aveva fatto altro che boccheggiare e schiarirsi la voce – migliaia di hem hem senza aggiungere niente di niente dopo – nel tribunale in cui da giudice era diventata imputata. Davvero gli esiti della guerra erano stati questi? Davvero avevano intenzione di processarla per aver tentato di stabilire l’ordine nel mondo magico? Il giorno prima avevano processato Lucius Malfoy, un rispettabile mago dal sangue purissimo: il mondo stava andando proprio a rovescio.
Un giorno di libertà, prima di entrare ad Azkaban (togliere i Dissennatori era una mossa che considerava buona, adesso che doveva entrarci lei), e lo spese al cimitero dei caduti di guerra – arrivandoci tramite una disgustosa e puzzolente scarpa vecchia usata come Passaporta, invece che con la Smaterializzazione, ora che le avevano tolto la bacchetta e impedito di praticare attivamente la magia.
Quasi non si accorse di essersi fermata davanti alla tomba vuota e simbolica di Alastor Moody (“Vigilanza costante” era stata una bella frase da scriverci sopra, comunque, anche se quel mogano per la lapide era opinabile); quasi non si accorse di non essere più sola e che esattamente presso la tomba accanto si era fermata una donna.
“Dolores Umbridge, non mi aspettavo proprio di trovarti qui”.
“Oh, Andromeda Black”.
“Tonks, Andromeda Tonks”.
Dolores sollevò le sopracciglia, ma ebbe la decenza di reprimere una smorfia e qualsiasi altro eventuale commento.
“Sì, Tonks, come l’uomo che vedi qui in questa tomba, un tipo che chiameresti SangueSporco” riprese l’altra con voce leggermente incrinata, difficile dire se per la rabbia o per il dolore. “Tonks come mia figlia, una sciocca Auror… è dall’altra parte, insieme al marito, uno schifoso licantropo”.
“Hem, e ne è valsa la pena dopo aver perso tutto?”
Andromeda stirò le labbra in un mezzo sorriso. “Di avere amato? Sì. Di avere vissuto secondo le mie regole? Certamente. Ecco, vedi, forse io ho perso tutto, ma tu hai mai avuto davvero qualche cosa?” Esitò un attimo, con gli occhi fissi sulla tomba del marito, e poi scosse la testa tra sé e sé, persa in un ragionamento tutto suo. “E ora, scusami, ma devo tornare da mio nipote”.
Aveva aggiunto quell’ultima frase quasi come provocazione finale, ma voltandosi verso l’altra strega, si sorprese nel trovarla in lacrime, con il respiro accelerato e il corpo scosso dai singhiozzi.
Dolores piangeva, forse per la prima volta nella sua vita, perché non aveva pianto per davvero neanche per implorare i centauri, neanche quando quella stessa mattina le avevano detto che avrebbe passato sette anni ad Azkaban. Piangeva, ma non per i lutti di Andromeda (se li era cercata, lo pensava ancora) e neanche per la perdita di Alastor (lo aveva già perso tanti anni prima, che senso aveva pensarci ora?). Piangeva solo per stessa, perché era vero che non aveva mai avuto nulla e ora era completamente sola; nessuno la sarebbe andata mai a trovare in prigione, nessuno l’avrebbe aspettata fuori. Entrambe le uniche persone a cui era mai importato qualcosa di lei erano lì in quel momento: una era morta senza ricordare di averla mai conosciuta; l’altra, invece, non l’avrebbe mai perdonata.
La verità era che il monito dietro la frase di quell’autore Babbano non l’aveva mai capito fino a quel momento: le stelle che illuminavano il mondo (ma mai lei) non si erano mai spente, e tutti avevano finito per vedere il puro nero delle sue ambizioni, il puro nero di una promessa di potere che le si era sgretolata tra le mani.
Andromeda la fissò a lungo e per un attimo sentì l’impulso di offrire una mezza consolazione. Alla fine, però, si ritrovò a fare una smorfia a quel pensiero e ad allontanarsi quasi di corsa, lasciandosela dietro accasciata pingue e disperata su una tomba vuota come la sua anima.
Quella strega senza passato né futuro faceva sincera compassione. Ma non abbastanza.
 

 
 
 





 
 
NDA: Eccomi qui con una storia sulla vita di Dolores (che sorpresa, vero?), ma stavolta in modo un po’ diverso da come la intendo di solito, nel senso che ho cercato di calcare molto di più sulla sua assenza di sentimenti “normali” per gli altri. Per coloro che capitano su una mia storia per la prima volta, faccio alcune doverose precisazioni:

-          Andromeda e Dolores: Dolores è del 1951 (stesso anno di Bellatrix), quindi è andata a Hogwarts con le sorelle Black. L’amicizia con Andromeda è un headcanon, che qui ho utilizzato per mostrare un tradimento di Dolores al valore amicizia. Per la parte finale, trovo plausibile che i caduti di guerra siano stati sepolti tutti insieme (anche in modo simbolico come nel caso di Alastor). Per una versione pura dell’amicizia tra le due, c’è questa mia storia: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3924846&i=1

-          Alastor e Dolores: Ho immaginato qui avvicinarsi durante la Prima guerra e mettersi insieme in modo un po’ casuale prima che Alastor cominciasse a perdere pezzi. Ho infinite storie su di loro sul profilo, ma in genere li vedo anche in termini romantici e felici.

-          La famiglia: Da Pottermore sappiamo che Dolores è figlia di Orford Umbridge (un mago) e di Ellen (una Babbana) e ha un fratello Magonò. A un certo punto il padre la portò via con sé e lei non rivide mai più madre e fratello (questo ebbe un grande peso sul suo disprezzo della non magia, probabilmente intesa come mediocrità). La scena in cui i due sono catturati e portati davanti a lei in tribunale è inventata da me, per calcare ancora di più l’idea di tradimenti.

Sono davvero curiosa di sapere cosa ne pensate, della storia e della mia Dolores, intanto ringrazio davvero chiunque sia arrivato fin qui.

   
 
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