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Autore: PrincessintheNorth    19/08/2021    2 recensioni
Nuova edizione della mia precedente fanfic "Family", migliorata ed ampliata!
Sono passati tre anni dalla caduta di Galbatorix.
Murtagh é andato via, a Nord, dove ha messo su famiglia.
Ma una chiamata da Eragon, suo fratello, lo farà tornare indietro ...
"- Cosa c’è?
Deglutì nervosamente. – Ho … ho bisogno di un favore. Cioè, in realtà non proprio, ma …
-O sai cosa dire o me ne vado.
- Devi tornare a Ilirea."
Se vi ho incuriositi passate a leggere!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morzan, Murtagh, Nuovo Personaggio, Selena | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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KATHERINE – un anno dopo
 
Un gran sorriso mi si dipinse in volto quando le solide mura di pietra scura di Winterhaal apparvero da dietro la collina, sormontate dalle svettanti torri di Winter Manor e dalle guglie del tempio. Stendardi rosso porpora con un drago nero al centro pendevano ad intervalli regolari dai bastioni, e quelli issati sulle torri ondeggiavano pigramente nel venticello di settembre.
«Che bel posto mamma» Evan sussurrò, spalancando gli occhi per assorbire tutta la magnificenza della capitale.
«È qui che abiteremo, adesso?» Belle domandò. Anche lei aveva un’espressione esterrefatta in viso.
«Sì, piccola» Murtagh le rispose, chinandosi dal suo cavallo per scompigliarle i capelli e beccandosi un’occhiataccia sia da lei che da me. Ci avevo impiegato un’ora a farle quell’acconciatura. «È anche il posto in cui sei nata, lo sai?»
«Davvero?»
«Davvero» confermai.
La scelta di tornare a Winterhaal e non al Tridente era stata ben accetta da parte di tutti: nonostante il castello sul mare fosse la casa dei bambini, era anche il luogo in cui avevano vissuto la guerra, in cui erano stati rinchiusi per mesi perché uscire era troppo pericoloso. Era diventata casa loro per colpa di Galbatorix e delle sue manipolazioni su Eragon e Selena, che mi avevano portata a nascondermi lì per proteggere Belle, Killian e me stessa, ed era il posto dal quale mi avevano vista uscire un mattino e mai più rientrare. Per questo, quando Murtagh aveva proposto di tornare a Winter Manor, eravamo stati tutti d’accordo: non c’era più motivo di restare nella roccaforte più sicura del Nord, e ai bambini serviva un nuovo inizio, un posto che non avesse brutti ricordi, e vivere circondati dall’amore della propria famiglia non avrebbe potuto fargli altro che bene. In quanto a Murtagh e me … saremmo stati dei gran bugiardi a non ammettere che avevamo parecchia nostalgia di casa.
Il cancello principale, quello che dava sulla strada che portava dritta al castello, era spalancato e sorvegliato solo da un paio di guardie: la riprova che, finalmente, vivevamo in tempi di pace. Smontammo dai cavalli e li consegnammo al palafreniere, che li avrebbe portati nelle stalle del castello: una bella passeggiata era proprio quello che ci voleva. L’orologio della torre segnava le undici e mezza del mattino, quindi avevamo tempo di starcene un po’ in giro, far vedere ai bambini la città e di arrivare a casa in tempo per il pranzo.
«Mamma posso una?» Killian mi pregò dopo un po’, sporgendo il labbro inferiore ed indicando la bottega di un panettiere che stava esponendo delle focaccine che sembravano soffici come nuvole. Un sorriso mi spuntò in volto nel riconoscere l’insegna: il panificio di Marise era il mio preferito. Murtagh ed io ci fermavamo sempre a prendere qualcosa da mangiare lì ogni volta che uscivamo a fare un giro. Sapevo già che non avrebbe perso l’occasione di divorarsi di nuovo la sua focaccia farcita preferita.
«Mi scusi signola posso una?» Killian domandò a Marise, che era voltata di spalle rispetto a noi intenta ad impastare. Lei si voltò subito, pulendosi le mani con della farina per togliere i residui di pasta, ed il suo volto si aprì nello stupore. Per qualche secondo non proferì parola, coprendosi la bocca con le mani. Il suo sguardo saettava da me e Murtagh ai bambini: l’ultima volta che eravamo stati da lei, infatti, avevamo solo Belle, di appena tre giorni.
«Voi due!» esclamò poi. «Di nuovo qui! A Winterhaal! Non ci si può credere! E questi bambini?»
«Tutti nostri, dal primo all’ultimo» Murtagh confermò orgogliosamente.
Marise scosse la testa ricciuta, ridendo e venendoci incontro in strada. «Oh, per gli dei del cielo … che bei tesori, tutti quanti. E tu … tu devi essere la piccola Belle!» aggiunse, guardandola. «Ma come ti sei fatta grande! L’ultima volta che ti ho vista eri piccola così, come una pagnotta».
«Io non mi ricordo …» Belle commentò.
«Ma certo che non ti ricordi, zuccherino, eri appena nata. Volete qualcosa, bambini?» domandò poi a tutti e quattro, che annuirono veementemente, persino Victoria.
«Mama quetto» lei disse, indicando una focaccia ai pomodori. Marise gliela porse subito, e mentre gli altri sceglievano la propria io e Vicky andammo a sederci sul bordo della fontana ad aspettarli. Lei iniziò a chiacchierare nel suo linguaggio ancora tentennante, commentando su quanto grossi fossero i palazzi, l’acqua fresca e brillante, e ovviamente buona la focaccia. Nel giro di cinque minuti, Murtagh e gli altri tre ci raggiunsero, tutti intenti a sgranocchiare la propria merenda; come avevo previsto, Murtagh si stava divorando una focaccia farcita più grande di lui. La fame di quell’uomo non aveva limiti.
«Mamma è buona buonissima» Evan sospirò, addentando la propria focaccia alle cipolle con aria trasognata. 
«Ecco» Murtagh aggiunse, porgendomi una focaccia con i pomodori. «La tua preferita».
«Grazie …»
«Stavo pensando» proseguì, con la bocca ancora piena di focaccia. «Per festeggiare, stasera potremmo andare da Van Dyke. È da tanto che non ci andiamo …»
«Dalla sera in cui Belle ha iniziato a scalciare» ricordai, mentre un dolce calore mi si diffondeva nel petto. I bimbi avevano già finito di mangiare e si stavano rincorrendo in mezzo alla piazza, coinvolgendo anche altri bambini. Victoria, che nonostante avesse solo undici mesi aveva già una vena di saggezza ed istinto di auto-conservazione, rimase con noi, arrampicandosi in braccio al suo papà e obbligandolo a mangiare pezzi della sua focaccia già masticati da lei. Murtagh stette al gioco senza fiatare … almeno apertamente.
Ti prego, falla smettere, mi implorò. Ascolta solo te.
Sai che non mi ascolterà. È il suo gioco preferito.
Magari questa volta funziona!
Murtagh, è una cosa che fanno tutti i bambini. Mettiti il cuore in pace, sospirai divertita.
Lui mi scoccò un’occhiataccia, ma nonostante ciò mangiò tutti i bocconcini sbavati che la bimba gli porgeva, facendola ridere come una matta, mentre io mi occupavo di ricambiare i saluti che i passanti ci porgevano.
Era bello vedere come lì, a casa mia, di tutto l’odio che serpeggiava in tutto l’Impero verso di me non ci fosse traccia. Le persone mi salutavano con lo stesso calore di sempre, si complimentavano per i bimbi, ringraziavano me e Murtagh per aver contribuito a vincere la guerra e a riportare la pace in patria e nel continente. Non un accenno sulle malefatte che avevo compiuto, sul fatto che fossi stata rapita ed obbligata a lavorare per Galbatorix, rendendomi di fatto una traditrice: non ne parlavano, ma potevo vedere, in fondo ai loro occhi, che lo sapevano e che non me ne facevano una colpa.
Non potevo immaginare un regalo di compleanno migliore, anche se in anticipo di un giorno.
Passò un’altra mezz’ora: gli altri bambini vennero richiamati a casa dalle mamme o dalle tate per il pranzo, e così anche noi ci avviammo verso casa.
Non vedevo l’ora di riabbracciare tutti: nonostante avessi visto i miei genitori e la cerchia più ristretta della mia famiglia solo qualche settimana prima, in occasione del compleanno di Morzan, la prospettiva di ricongiungermi a loro a casa nostra dava un sapore diverso al tutto. Mi faceva scalpitare.
Ai bambini il castello piacque ancora di più della città: erano un coro di esclamazioni e gridolini meravigliati, mentre indicavano costantemente a me e a Murtagh tutte le cose che vedevano.
«Questa casa nuova è più bella di quella di prima mamma» Belle osservò. «È più una casa».
«So cosa intendi, amore» le sorrisi prendendola in braccio, anche se protestò immediatamente per essere messa giù. Il Tridente era stato costruito per essere meraviglioso ed imponente, la sede del potere; Winter Manor per essere la casa di famiglia. Con il tempo e per ragioni militari i due ruoli si erano invertiti, ma nonostante ciò i due palazzi non avevano perso per niente la loro originaria connotazione. Tutto, dai colori, all’arredo, ai quadri di famiglia appesi alle pareti, diceva che, prima che il posto dove viveva il re, quella era una casa abitata da persone che si volevano bene. L’intento di Winter Manor era trasmettere calore ed affetto; quello del Tridente era incutere soggezione e timore, e per fortuna non avevamo più quella necessità.
Ogni singolo passo che facevo, ogni cosa che vedevo, riportava a galla un’infinità di ricordi: un mobiletto su cui c’era un antico vaso di mia madre che avevo fatto cadere da piccola, il tappeto in cui papà mi avvolgeva per giocare, la libreria dietro cui Murtagh ed io ci eravamo appartati innumerevoli volte. Dal modo in cui mi strinse la mano quando ci passammo davanti, capii che ci aveva pensato anche lui.
«Ehi, eccovi!» Selena esclamò, comparendo da dietro un angolo. Diede un rapido abbraccio a tutti noi, e si commosse quando i bimbi le mostrarono i fiori che le avevano raccolto per augurarle un buon compleanno, per poi farci strada verso la sala da pranzo.
Tutti erano già riuniti lì; i miei genitori, April, Morzan, tutti i miei vari zii, Alec ed Audrey con le bambine ed il piccolo Erik. Ma non c’erano solo loro: Morzan e Selena avevano preferito trasmutare a Winterhaal invece che viaggiare a dorso di drago come avevamo fatto noi, e così gli avevamo chiesto un piccolo favore: fare una breve sosta al Tridente e prendere con sé gli animaletti dei bambini.
Quando Belle, Killian ed Evan rividero Mellie, Spirit e Varion, impazzirono letteralmente di felicità. Bimbi e animali si corsero incontro e presero a scambiarsi coccole ed effusioni, ciascuno nel proprio modo; c’era chi abbracciava, chi faceva le fusa, e chi leccava a volontà.
Victoria volle essere messa giù per esplorare, così Murtagh ed io ne approfittammo per salutare gli altri. Papà mi strinse in una morsa di ferro, uno di quei suoi abbracci che potevano spezzare delle costole.
«Ancora un po’, e queste mura si sarebbero dimenticate di te» commentò divertito. «Allora, pronta a riprendere a lavorare?»
«Assolutamente sì» confermai. Fare la mamma a tempo pieno era stato fantastico – per un po’. La predizione di Murtagh si era rivelata veritiera, e dopo qualche mese avevo iniziato a sentire la mancanza di uno spazio personale in cui fare qualcosa che non fosse legato solamente ai miei doveri di madre. Sapevo benissimo che cosa doveva occupare quello spazio: la Marina. Il mio vecchio lavoro.
«Bene» papà annuì, ed il volto gli si fece un po’ più serio. «E gli incubi? L’ansia?»
Deglutii. «Sono diminuiti» commentai. Era la verità, in fondo: anche se ormai non mi svegliavo più tre o quattro volte a notte in preda al panico, non potevo certo dire di essere totalmente libera dagli incubi. Dubitavo che quel giorno sarebbe arrivato – Galbatorix si era assicurato che non accadesse. Ogni volta che sentivo la parola fiorellino gli orrori che avevo subito ed inflitto mi ritornavano alla mente a causa della manipolazione dell’usurpatore, e ovviamente a quel punto l’incubo notturno era assicurato. Odiavo profondamente che avesse obbligato la mia mente a collegare una cosa delicata e bella come un fiore alle torture e alla morte. Tuttavia, sapevo che più ci pensavo, più gli davo potere su di me, per cui cercavo sempre di distrarmi e di pensare a tutt’altro. «Ma i sonniferi aiutano molto» aggiunsi per rassicurarlo. D’altronde, aveva insistito parecchio perché li prendessi – ed in effetti, mi avevano aiutata. La combinazione di quegli infusi, delle coccole di Murtagh e dell’estenuante routine del gestire quattro figli piccoli facevano sì che la frequenza degli incubi fosse drasticamente calata: ormai mi addormentavo quasi prima dei bambini stessi.
Lui sospirò, ma annuì, stringendomi una spalla con la mano calda e callosa. «Ci vuole tempo perché certe ferite si risanino del tutto» commentò. «E di solito, un anno non è mai sufficiente … ma non temere, ora che sei di nuovo qui avrai così tanto da fare che, la notte, non avrai le forze per fare brutti sogni. Il tuo ufficio al Palazzo della Marina sarà pronto lunedì con tutti i dispacci e gli incartamenti».
Dopo di lui arrivò la mamma: non fece domande, probabilmente perché papà le aveva espresse anche per conto suo, e dalla forza con cui mi strinse capii che le erano giunte anche le risposte che io avevo dato.
«È meraviglioso riaverti a casa, peste» ridacchiò. «Ora che voi ed i bambini siete qui, dubito che ci sarà un altro giorno tranquillo, da queste parti».
«È bello essere di nuovo qui» risposi sorridendo. Nulla era cambiato da quando Murtagh, Belle ed io eravamo partiti per andare ad Ilirea, ormai cinque anni prima: l’asse che scricchiolò sotto il mio piede quando mi sedetti al mio posto a tavola – e che scricchiolava da vent’anni – lo confermava.
 Lei sorrise di nuovo, sporgendosi a baciarmi la fronte, poi raggiunsi Murtagh da Alec ed Audrey … o meglio, da Erik. I suoi genitori, infatti, gliel’avevano mollato ed erano andati a giocare con i nostri, di bambini, che erano contentissimi di essere di nuovo con gli zii.
Lui ed Erik erano seduti per terra, uno di fronte all’altro, intenti a giocare con la pallina preferita del piccolo: a soli sei mesi d’età, grazie alla magia dei draghi che scorreva nel sangue della mia famiglia, Erik era già in grado di stare seduto e aveva capacità cognitive superiori rispetto a quelle dei bambini normali.
«Ehi» Murtagh mi rivolse un sorriso luminoso quando mi sedetti accanto a loro, ed Erik persino uno più grande e sdentato. «Hai visto? È arrivata la zia Katie. Tirale la palla dritta in faccia».
Tipico Murtagh, Antares ridacchiò. Lei e Castigo stavano sorvolando la città e le campagne circostanti insieme a Saphira, Maegor e Dracarys: nel giro di pochi minuti si sarebbero diretti a sud per andare ad incontrare Arya e Fìrnen, che stavano raggiungendo Winterhaal per le nostre feste di compleanno. Quella sera ci sarebbe stata la festa di Selena, e nei due giorni seguenti quella per me e papà e per Murtagh e Belle.
Non me ne parlare, sospirai. Mi chiedo se la smetterà mai.
Come se lo volessi davvero, mi provocò. È una delle cose che più ami di lui.
Sentii le mie guance scaldarsi.
Antares liberò una risatina gutturale e mi mandò una carezza mentale prima di abbandonarsi al piacere del volo, del vento che rombava sotto le sottili membrane delle sue ali. Mi distrassi solo quando qualcosa di morbido mi colpì in faccia, sconvolgendomi al punto da farmi emettere un imbarazzantissimo squittio.
Erik, che gli dei del cielo benedissero quel bimbo, mi aveva davvero tirato la pallina in faccia.
 
 
 
 
Mi risvegliai col sedere dolorante e la spalla contratta: per un attimo mi chiesi perché diavolo mi facessero così male, poi mi resi conto di essere seduta per terra, con la testa appoggiata al letto di Evan e una mano tesa ad accarezzargli la schiena. Mi dovevo essere addormentata lì, mentre gli tenevo compagnia aspettando che si addormentasse. Facendo il più piano possibile, mi rialzai ed evocai un fuoco fatuo blu a cui diedi la forma di un cavallo al galoppo, per poi lasciarlo galleggiare in un angolo della stanza: mi sporsi a dare un bacio sulla fronte al piccolo, raccolsi dal suo comodino la tazza di latte e, dopo essermi assicurata due o tre volte che fosse ben addormentato, tornai in camera mia. Avevo già messo a nanna gli altri: dopo una giornata piena di giochi e corse come quella, non avevo dubbi che stessero dormendo come sassi.
Tuttavia, quando oltrepassai la porta che metteva in comunicazione la camera di Evan con la nostra, dovetti reprimere un urlo di terrore. Murtagh era appollaiato come un maledetto uccello sul davanzale della finestra aperta, con le gambe penzoloni nel vuoto. Dalla finestra di camera nostra al terreno c’era un salto di almeno settanta piedi.
«Murtagh, santo cielo, cosa diavolo stai facendo?» sibilai marciando verso di lui e prendendolo per il colletto della maglietta, tirandolo giù dalla finestra di forza. «Vuoi per caso farmi morire d’infarto?!»
Lui ebbe la faccia tosta di alzare gli occhi al cielo e di fare persino un sorrisetto divertito. «Mi preme ricordarti, moglie cara, che sono un Cavaliere. Anche se cadessi, potrei evocare una folata di vento abbastanza forte da spingermi in alto e lanciarmi direttamente nelle tue amorevoli braccia … anche se, conoscendoti, penso che mi prenderesti a sberle per essere caduto».
«Pensi bene» brontolai.
Murtagh ridacchiò, abbracciandomi dolcemente e portandomi verso la finestra. «Guarda fuori» mi sussurrò all’orecchio. «Cosa vedi?»
Mi misi in ginocchio sul divanetto posto al di sotto del davanzale e feci come mi aveva detto. Winterhaal si stendeva sotto di me come un mare scintillante di luci e colori: il clima era mite, i lampioni accesi, e la popolazione si godeva una delle ultime serate all’aperto prima dell’arrivo del freddo. La musica degli artisti, le grida felici dei bambini e le risate arrivavano fin quassù.
«La città» risposi, dunque. «La gente che si diverte. Ora che ci penso, una passeggiatina non mi dispiacerebbe».
Dopotutto, Winterhaal ed il Nord erano, molto probabilmente, l’unico posto dove potessi uscire di casa e non essere additata come una criminale, una strega ed una traditrice. E Murtagh aveva espresso il desiderio di andare da Van Dyke, quando eravamo arrivati …
Un sorrisetto pericoloso affiorò sulle labbra di Murtagh, e l’attimo dopo il suo viso era illuminato dalla luce dei lampioni. Ci aveva trasmutati entrambi nell’affollato centro della città – per fortuna, nessuno di noi si era ancora cambiato per la notte. Con un gesto della mano fece comparire un paio di mantelli e mi aggiustò il mio sulle spalle, per poi prendermi la mano.
«Ciò che la Principessa desidera è un ordine» scherzò con fare galante.
«Murtagh, i bambini …»
«Paghiamo delle tate per un motivo» mi ricordò. «Non fare la noiosa».
Mano nella mano, ci concedemmo una lunga, quasi interminabile passeggiata per le vie di Winterhaal illuminate dai lampioni e dalle Erisdar dei negozi aperti, fermandoci ogni tanto a prendere qualcosa da bere, da mangiare o a fare qualche acquisto, anche se Murtagh dovette mettere un freno alla mia follia spendacciona quando entrammo nella bottega dei profumi. Non era mica colpa mia se erano tutti meravigliosi.
Fummo fermati da un sacco di persone, ma non mi diede fastidio: tutti avevano un sorriso luminoso in volto, e desideravano solo ringraziarci per aver aiutato nella guerra e farci sapere quanto erano contenti che fossimo tornati nei paraggi.
«Sapete, Altezze» ci confidò Vald, l’oste della Taverna del Re, porgendoci due tazze fumanti di vin brulè. «Il re e lord Morzan, tutte le sere che venivano nella mia taverna, non la finivano più di raccontare ad ogni singolo avventore quanto fossero contenti che sareste tornati a vivere qui. E le vostre madri erano pure peggio!»
«Non stento a crederlo» Murtagh ridacchiò, per poi porgergli quattro monete di rame per la bevanda ed increspando le sopracciglia quando questi si rifiutò di prenderle. «Vald, se non ti fai pagare come faccio ad assicurarmi il tuo silenzio? Sei a parte di certe mie figure che non è il caso raggiungano le orecchie della signora» commentò, indicando me con un cenno del capo.
«Oh, ma davvero?» sorrisi divertita. «Vald, dovresti proprio …»
«Forse dovreste pagare voi, Principessa» Vald ridacchiò. «Dubito sia il caso che certe vostre figure raggiungano le delicate orecchie di vostro marito».
Questa volta fu il turno di Murtagh di gongolare.
Pari, sussurrò nella mia mente, una nota tentatrice ed ironica nella voce.
«Non voglio vedere neanche un centesimo da parte vostra» Vald borbottò col sorriso, scuotendo la testa. «Per questa sera offre la casa».
Lo ringraziammo e tornammo al nostro giro, col vino caldo a riscaldarci, arrivando fino alle mura della città e tornando indietro al castello per la strada più lunga, fermandoci a prendere ancora qualcosa da bere lungo il tragitto. Per quando oltrepassammo il cancello di casa, la maggior parte della gente se n’era già andata a dormire, fatta eccezione per i musicisti e qualche ubriaco … tra cui, probabilmente, potevamo annoverare anche noi stessi, visto che non eravamo del tutto sobri.
«Mi hai distratto» Murtagh ammise, mentre superavamo la porta di camera nostra per dirigerci nella torre dei draghi. Non avevo idea del perché mi stesse portando là … in fondo, sia Castigo che Antares erano via, al momento. «Con la proposta della passeggiata. C’era una cosa che volevo farti vedere, ma che dubito tu abbia notato …»
«E cosa?»
Mi rivolse uno sguardo furbo, ma non disse più niente finché non fummo davanti alla grande apertura della torre Nord, dotata, con mio grande sollievo, di un ampio balcone. Murtagh ed io ci sedemmo contro la parete della torre e lui si sistemò dietro di me, stringendomi le braccia in vita.
«Guarda le mura» disse, indicandomele. «Conta quanti soldati di guardia ci sono per ogni tratto».
Le mura di Winterhaal erano ottagonali: seguivano la pianta della città, e dalla torre Nord potevo vederne due tratti. Stringendo un po’ gli occhi, riuscii ad individuare il luccichio degli elmi e delle armature dei soldati di pattuglia.
Controllai più e più volte, perché, onestamente, non mi sembrava possibile.
E “non è possibile” fu proprio ciò che dissi, quando mi resi conto di aver contato bene.
«Solamente tre?» sussurrai sbigottita. «Papà deve aver dato di matto …»
«Non ho mai visto solamente tre soldati di guardia da quando sono qui» Murtagh disse, la voce tesa dall’emozione. «E sono pronto a scommettere che nemmeno tu li hai mai visti, in tutta la tua vita».
«Allora sei un ottimo giocatore» mormorai.
Murtagh mi strinse più forte, appoggiando il mento alla mia spalla nel momento in cui io gli stringevo il braccio.
«Solo tre sentinelle» sorrise. «Dev’essere questo l’aspetto che ha la pace».
Questo, e la felicità della gente nelle strade. Questo, e la possibilità di vivere una vita lontana dalle guerre. Questo, e la consapevolezza che forse avevamo davvero fatto sì che i nostri bambini vivessero in un mondo migliore di quello in cui noi eravamo nati.
Appoggiai la schiena al suo petto e lasciai che la serenità prendesse il sopravvento, allargandosi nel mio corpo come una delicata brezza autunnale dalle tinte dorate.
Solo per un po’.
«Bene» dissi, voltandomi verso Murtagh per guardarlo in faccia. «E ora che viviamo nella pace, che pensi di fare?»
Lui, in risposta, sbatté semplicemente le palpebre.
«Insomma, non penso che continuerai a fare le ricognizioni per mio padre, perché non ce n’è più bisogno» mi spiegai. «E poi non siamo tanto diversi, dubito che vorrai fare solamente il papà a tempo pieno. Io ho sempre la Marina, e i pirati, ma tu … che ti va di fare?»
Lui scrollò le spalle. «Non ci ho pensato, credo. Del resto, fare il papà, il Cavaliere, il marito ed il lord è una bella occupazione».
«Bugiardo. Sai cosa succede ai bugiardi?» lasciai cadere il mio sguardo appena sotto la sua cintura ed un sorrisetto gli spuntò in volto.
«D’accordo» fece. «Ho notato che a Winter Manor non c’è un istruttore di equitazione. I genitori insegnano ai figli a cavalcare, e spesso gli trasmettono anche i propri errori. I cavalli mi sono sempre piaciuti, e visto che ora nostra figlia mi fa mangiare la polvere, penso di essere stato un insegnante fin troppo bravo con lei» una scintilla d’orgoglio gli illuminò gli occhi. «Non è un lavoro troppo impegnativo, e rimarrei all’interno del castello, in caso i bambini avessero bisogno, ma penso che mi darebbe molte soddisfazioni».
Orgoglio e amore, infinito amore, mi scaldarono il cuore, e mi sporsi verso di lui per baciarlo. «Tornac sarebbe fiero di te» sussurrai quando mi staccai dalle sue labbra. «Sarai un ottimo maestro, amore mio».
L’emozione gli fece brillare gli occhi, e fece scivolare la mano dietro al mio collo per spingermi di nuovo contro di sé, quando entrambi sentimmo qualcosa come graffiare contro le nostre difese, con così tanta intensità da farci sussultare.
«Che diavolo era?» ansimai mentre ci rimettevamo in piedi. Murtagh scosse la testa, come a dirmi che non lo sapeva. Aveva assunto una posizione di difesa, spingendomi dietro di sé, e stava scandagliando con lo sguardo l’ambiente che ci circondava, pronto a fronteggiare ogni minaccia.
Proprio in quel momento gli artigli tornarono, con ancora più forza, mentre le nostre difese venivano scosse da qualcosa di più primordiale della magia, una forza selvaggia, incontenibile e ruggente … una forza che avevo percepito una sola volta nella mia vita.
Ed in quel momento me ne ricordai: sia Murtagh che io avevamo legato gli incantesimi di protezione delle uova di Antares e Castigo a noi.
Quando guardai Murtagh, vidi dall’orrore nei suoi occhi che aveva avuto il mio stesso timore. Stava succedendo qualcosa nella sala del tesoro, dove le uova erano state riposte dopo che erano state trasferite dal Tridente a Winterhaal.
Senza aspettare un altro secondo scattammo verso i livelli inferiori del castello, sfrecciando per scale e corridoi ed avvisando Antares e Castigo di tornare a casa immediatamente. A nessuno di noi venne in mente di usare la magia, talmente eravamo presi dall’umano istinto di correre, di proteggere. Più di una volta rischiammo di fare cadute mortali, correndo giù da scale troppo ripide o inciampando in tappeti increspati, venendo salvati a volte l’uno dall’altra, a volte dalle guardie dei corridoi.
Quando arrivammo di fronte alle grandi porte dorate della sala del tesoro, avevo i polmoni in fiamme, il cuore che sembrava voler sfondare la gabbia toracica e la milza distrutta, ma ciononostante iniziai a recitare le formule magiche che mi avrebbero permesso di accedervi. Gli enormi lucchetti ed ingranaggi interni iniziarono a dare segni di vita, così lentamente che Murtagh iniziò ad imprecare in una maniera tale che, se i bambini fossero stati lì, l’avrei preso a sberle. 
Ci tuffammo oltre la porta non appena questa iniziò ad aprirsi, e corremmo a rotta di collo verso la cripta più interna e segreta dove avevamo riposto le uova. Altri incantesimi di protezione, altre porte lente ad aprirsi …
Ma quando finalmente riuscimmo ad entrare nella cripta, non fu un ladro od un malintenzionato ciò che trovammo.
Qualcosa scricchiolò sotto i nostri stivali, e mi chinai a raccogliere da terra un sottile frammento ricurvo di un materiale che avevo già visto in precedenza. Bianco lattiginoso all’interno, colorato all’esterno – di un bellissimo viola ametista.
«Santo cielo» Murtagh ansimò, la voce strozzata, fissando la scheggia che tenevo fra le dita. «Kate, quello è …»
Un versetto, simile ad un miagolio ma più gracchiante, fece sobbalzare entrambi noi. Un verso che avevamo già sentito in precedenza … il verso che aveva cambiato definitivamente entrambe le nostre vite.
Il respiro ci si mozzò in gola quando, da dietro un baule, un piccolo drago fece la sua comparsa. Era ancora sporco del liquido appiccicoso presente nell’uovo, e cercava in tutti i modi di toglierselo dalle ali, ma nonostante ciò le sue squame riflettevano la luce delle torce, illuminando tutta la sala di riflessi d’ametista.
La mano di Murtagh scivolò nella mia mentre sentivo il petto stringersi nella morsa dell’emozione e dell’eccitazione, nella consapevolezza di stare assistendo ad un evento storico.
Kate, è … Murtagh sussurrò.
È bellissimo, finii per lui, percependo nella sua mente ciò che non riusciva a trasmettere a parole.
Il drago si diede una scrollata e piantò i suoi occhi color orchidea su di noi, per poi lanciare un piccolo ruggito di sfida al mondo.
La prima covata mai deposta dai tempi dello sterminio di Galbatorix si stava schiudendo.
I draghi erano davvero ritornati.
 
FINE. 





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Ed eccoci arrivati anche alla fine di questa nuova versione di Family! Cavoli, non pensavo sarei mai arrivata a scriverlo - ma l'ho fatto. è stata un macigno da scrivere, ma non mi pento di mezza parola messa giù. Quando ho deciso di revisionare Family e Beauty and the Beast, non pensavo certo che ci avrei messo tre anni e rotti solamente per la prima ... anche se poi non è stata una vera e propria revisione, ma una totale riscrittura degli eventi. Capita, eheheh. 
Che dire! Ringrazio tutti i lettori e coloro che hanno messo questa storia fra le preferite, le ricordate e le seguite. In particolare, ci tengo a ringraziare dal più profondo del cuore due persone speciali, EllyP e RosaNeraRinnegata, che mi sono state accanto in questo viaggio infinito con penso ormai ... centinaia di recensioni? Sì, Rosa, parlo proprio di te, ahahah! 
E se scrivere questa fanfic è stato infinito per me, non voglio immaginare per tutti voi che l'avete letta e siete stati con me dall'inizio alla fine ... grazie, grazie per aver sopportato questo mio delirio ed avermi dedicato il vostro tempo. 
Non so se e quando inizierò anche a lavorare sulla storia di Morzan e Selena ... lo studio e la scrittura anche di altri libri mi prendono un sacco di tempo, ma cercherò di tornare in questo fandom presto. 
Fino a quel momento ... un bacio a tutti, e ci leggiamo alla prossima! 


 
   
 
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