Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: Ella Rogers    20/08/2021    0 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Doubtful path
 
 
 
13 giugno 2015
New York, 05:03 AM

 
 
“Continuo ad essere combattuto. Non ho un bel ricordo della volta in cui siamo stati sulla stessa auto.”
 
Il sospiro spazientito di James Barnes fu molto eloquente e valse più delle mille parole che avrebbe potuto spendere per descrivere quanto Sam Wilson fosse bravo a punzecchiarlo. D’altro canto, James sapeva che l’approccio che Sam usava con lui era un modo per rimanere sulla difensiva e al tempo stesso cercare punti di incontro fra di loro.
Non avevano scelta se non quella di collaborare, dato che si sarebbero ritrovati a lavorare a stretto contatto. Avevano già avuto diverse occasioni per testare la loro abilità nel fare squadra e se l’erano cavata bene. Tuttavia, non sarebbe stata una cattiva idea dare fondamenta più solide al loro rapporto. Per il momento, l’unica cosa che li univa davvero era Steve e il fatto che l’avrebbero seguito in capo al mondo. Un buon punto da cui partire, considerando che avrebbero raggiunto il suddetto super soldato a Washington e lì avrebbero vissuto sotto lo stesso tetto fino a data da destinarsi. Negli ultimi mesi non avevano avuto molte possibilità di dialogare e si erano a malapena visti. Infatti, mentre Sam era rimasto con Tony alla Tower, Bucky era andato allo SHIELD con Anthea.
Barnes era riuscito ad integrarsi decentemente allo SHIELD, nonostante l’ombra del Soldato d’Inverno alleggiasse ancora su di lui come uno spettro. La sensazione dell’unico occhio di Fury piantato nella schiena alla stregua di una lama affilata lo aveva accompagnato ovunque, mettendogli addosso una certa pressione.
Se era riuscito a mantenere i nervi saldi da quando il suo migliore amico era partito per Washington, doveva ringraziare l’appoggio costante di Anthea. La ragazza non era un esempio di stabilità emotiva, questo lo aveva capito fin da subito, ma la sua ferrea volontà di migliorare e di adattarsi a qualsiasi situazione le capitasse davanti lo spingeva a darsi da fare per stare al passo.
La capacità di adattamento di Anthea era stata invidiabile negli ultimi mesi. Si era chiesto se per lei quello fosse un modo di tenere dietro una solida facciata di sicurezza le emozioni che altrimenti l’avrebbero destabilizzata. Non aveva ancora trovato una risposta, dato che la giovane sapeva essere criptica in maniera quasi disturbante. In ogni caso, lavorare insieme a lei, fianco a fianco, giorno dopo giorno, lo aveva aiutato a rafforzare il labile equilibrio interiore. Era come se lo sciame caotico dei pensieri che gli riempivano la testa si fosse lentamente assopito, trasformandosi in un ronzio di sottofondo. C’erano buone probabilità che quello fosse un progresso e adesso doveva sforzarsi di far progredire il progresso.
 
“Ti ricordo che la volta di cui parli ero sul tettuccio dell’auto e volevo uccidervi.”
 
Sam sistemò un borsone nel portabagagli e poi spostò l’attenzione su James. Assunse un’espressione pensierosa e nascose l’ombra di un sorriso dietro la mano che portò al mento con fare riflessivo.
“Vero. Ma voglio la ragazza sul sedile anteriore. Preferisco che tu stia lontano dal volante” decretò e stavolta mostrò apertamente il sorrisetto ironico.
 
Barnes scosse il capo, sconfitto. Qualcosa gli diceva che sarebbe stato un lungo viaggio.
 
“A proposito” ricominciò Sam “dov’è finita Anthea? Ero certo che sarebbe stata pronta almeno un’ora prima di noi e che avrebbe iniziato a fare pressione perché ci dessimo una mossa.”
 
Bucky non poteva che essere d’accordo. Anthea aveva contato i giorni da quando Steve aveva detto loro che il trasferimento era stato ufficialmente approvato. Era in frangenti come quello che la ragazza disfaceva la solida facciata di sicurezza, sfilava via la maschera da guerriera – anche spietata all’occorrenza – e si mostrava come la ventenne assetata di vita, conoscenza e calore. L’aveva beccata diverse volte con lo sguardo perso e le labbra piegate in un sorriso decisamente idiota per i suoi standard. Questo succedeva sempre dopo che aveva visto o anche solo parlato al telefono con Steve. Era divertente guardarla mentre si sforzava di mantenere un atteggiamento professionale in presenza del compagno.
E sì, Bucky si era reso conto di avere il vizio di osservare chi lo circondava e riusciva a cogliere ciò che agli altri sfuggiva. Un gentile lasciato del Soldato d’Inverno, che aveva sempre usato quella capacità per carpire i punti deboli degli avversari e ucciderli.
 
“È al telefono. Mi ha detto di andare avanti” rispose Barnes, mentre indicava con il pollice destro alle proprie spalle.
 
“Con chi parla alle cinque di mattina? Steve?”
 
“Steve non è ancora raggiungibile. È il suo ex capo. Credo sia per lavoro.”
 
“Credi?”
 
James fece spallucce dinanzi lo sguardo confuso di Sam e caricò un secondo borsone nel portabagagli.
I parcheggi sotterranei della Tower erano alquanto lugubri a quell’ora e c’era un silenzio tombale, interrotto solo dalle loro voci che rimbombavano fra le mura cementate. Sam e Bucky riuscirono a sentire perfettamente l’eco di passi svelti avvicinarsi ed entrambi rivolsero l’attenzione nel punto in cui comparve la figura di Anthea.
La ragazza aveva uno zaino sulle spalle e i manici di un borsone stretti nella mano destra. Doveva essersi cambiata, perché stava indossando una delle uniformi nere dello SHIELD al posto dei normali vestiti che James le aveva visto addosso non molto prima.
 
“Devo finire un lavoro, quindi andate avanti senza di me. A questo punto ne approfitterò per recuperare da Fury i dati di cui Steve e Tony avevano bisogno.”
L’oneiriana caricò i suoi bagagli sui sedili posteriori e chiuse lo sportello. Sembrava tranquilla nonostante l’inaspettato cambio di programma.
“Cercate di arrivare sani e salvi a destinazione voi due.”
 
“Non ti prometto niente” fu la decisa risposta di Sam, che sollevò le mani come a voler dire ‘non è colpa mia, hai visto con chi ho a che fare?’.
 
“Stessa cosa vale per me. Tu non combinare casini” furono invece le parole di James.
Il moro sollevò un angolo della bocca in modo quasi impercettibile e le rivolse al contempo uno sguardo penetrante.
 
“Prometto che mi impegnerò a non esagerare troppo.”
 
“Che inizio promettente” ironizzò allora il pararescue e si guadagnò un paio di occhiate divertite.
 
“Cosa mai potrebbe andare storto?”
Anthea sorrise con fare rassicurante e sistemò una ciocca dei lunghi capelli dietro l’orecchio destro.
 
“Questo può andare storto” dovette contraddirla Wilson, nel momento esatto in cui Barnes prese posto sul sedile del passeggero anteriore e il moro, in risposta, sfoggiò un ghigno tutt’altro che rassicurante.
 
“Perché non vi sforzate di risolvere le divergenze durante il viaggio? Vi ricordo che dovremmo vivere sotto lo stesso tetto.”
 
Sam e James scambiarono un’occhiata eloquente e sospirarono quasi in perfetta sincronia. Sarebbe stato un lunghissimo viaggio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Erano in strada da una ventina di minuti e fu Sam che decise di rompere il silenzio.
 
“Credi che dovremmo preoccuparci per lei?”
 
Il pararescue pensò che quello potesse essere un argomento neutrale per iniziare un discorso a tu per tu con Barnes. Era una situazione strana e non riusciva ancora a sentirsi completamente a suo agio.
Da un po’ di tempo, Sam si sentiva inesorabilmente trascinato dalla corrente degli eventi. Faticava a fidarsi sia dello SHIELD sia del Governo, ecco perché aveva deciso di rimanere assieme a Stark e di aiutarlo con le questioni sottobanco. Adesso le cose stavano per cambiare o, da un altro punto di vista, stava tornando dove tutto era iniziato, anche se sarebbe stato diverso.
Quando si erano ritrovati tutti a Los Angeles, Sam aveva avuto la certezza che il loro metodo di gestire quel casino era deragliato dai binari giusti. Forse quei binari non li avevano mai beccati e probabilmente si erano impantanati da un po’ in una fanghiglia che tentava di inghiottirli. Era preoccupato per ciò che sarebbe potuto accadere da lì in avanti. Ed era preoccupato per Steve.
Aveva visto Steve affrontare un disastro dopo l’altro ed uscirne sempre più ammaccato. Purtroppo, smettere di combattere non era un’opzione contemplata al momento, per nessuno di loro. Si chiese per quanto ancora sarebbe stati in grado di reggere quel ritmo incalzante e irregolare.
 
“Ucciderebbe piuttosto che perdersi l’occasione di venire a Washington. Non combinerà casini” affermò James, mentre seguiva distrattamente con lo sguardo il profilo di New York che presto si sarebbero lasciati alle spalle.
 
“Su questo concordiamo. Allora… cosa pensi ci aspetti una volta arrivati?”
Sam premette con più decisone sull’acceleratore e superò un paio di auto. Per quanto lo riguardava, stava tenendo basse le aspettative.
 
“Niente di buono.”
 
“Adesso sono due le cose su cui siamo d’accordo.”
 
“Stai cercando di trovare dei punti di incontro con me?”
 
“Abbiamo un po’ di tempo da riempire e, come ci è stato fatto notare, vivremo sotto lo stesso tetto. Due buoni motivi per trovare punti di incontro” fu la semplice e tranquilla spiegazione di Wilson.
 
James sorrise e distolse lo sguardo dal finestrino per rivolgerlo direttamente al suo compagno di viaggio.
“Cosa ti ha spinto a ributtarti nella mischia dopo che ti eri congedato?”
 
Wow, iniziamo con roba forte.”
Sam era stato preso in contropiede. Si sarebbe aspettato più un ‘Da dove vengono le ali da uccello?’ o qualcosa di simile.
 
“Non sei costretto a rispondere.”
 
Barnes doveva aver colto la sua esitazione, però non era dovuta al fatto di non voler rispondere. Più che altro, non era certo di avercela una risposta.
“Se devo essere sincero, non ne sono sicuro. Non avevo intenzione di tornare a combattere.”
Sam fece una pausa e la sua espressione assunse maggiore serietà.
“Stavo cercando di aiutare altri veterani a tornare nel mondo reale perché so quanto possa essere dura e credo che nessuno debba affrontare quel processo da solo.”
Dedicò a Bucky un’occhiata eloquente e poi tornò con lo sguardo sulla strada.
“Ho provato perfino a coinvolgere Steve. Era parecchio confuso allora e non ti nascondo che mi sarebbe piaciuto potergli dare una mano.”
 
“Lo hai fatto” attestò Bucky.
 
“Non in quel senso” replicò il pararescue e si lasciò scappare un sorriso ironico al ricordo.
“Alla fine è stato Steve che ha tirato me dentro il mondo che mi ero lasciato alle spalle. Quando lui e Natasha si sono presentati a casa mia, non ho avuto dubbi su cosa fosse giusto fare a discapito di tutti i rischi. E poi quei due sono stati disposti a violare una struttura super sicura per poter recuperare le mie ali.”
Eccome se l’avevano fatto e senza battere ciglio.
“L’ho seguito senza farmi troppe domande e continuo a farlo perché è ciò che voglio.”
 
Prima di Steve, un’altra persona che aveva riposto in lui una fiducia incondizionata era stata Riley.
Forse era stata la volontà di dimostrare a se stesso di essere degno di quella fiducia a spingerlo a rientrare in campo. Oppure la spiegazione poteva essere più semplice. Forse non aveva mai voluto smettere di combattere, solo che voleva farlo per ideali in cui credeva davvero.
 
Bucky sembrò leggergli nel pensiero, perché disse qualcosa che gli fece accantonare quei forse insidiosi.
 
“Credo che non valga la pena cercare di dare spiegazioni a tutte le scelte che facciamo. Spesso scegliamo e basta. La cosa più difficile è convivere con quelle scelte.”
 
“Da dove viene questa esternazione di saggezza?”
 
“Ho tipo cento anni. Mi si addice la parte di vecchio saggio.”
 
Sam rise e diede a Bucky una pacca sulla spalla. Non sarebbe stato poi così male quel viaggio.
 
Una certezza Sam ce l’aveva. Se fosse tornato indietro nel tempo, al giorno in cui Captain America aveva bussato alla sua porta, avrebbe fatto le medesime scelte senza alcuna esitazione, pur sapendo cosa avrebbe dovuto affrontare dopo.
 
“Bucky. Quando tutto questo sarà finito, dovresti prenderti una pausa per capire cosa vuoi e…”
 
“Chi sono. Adesso sono tre le cose su cui concordiamo.”
James lasciò trascorrere un breve momento di silenzio.
“Però sappi che non ho intenzione di partecipare ad alcun tipo di seduta” aggiunse infine, categorico.
 
Ecco una cosa su cui non concordavano per niente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Washington DC, 10:13 AM
 
 
Collins stava sistemando l’attrezzatura che si era portato dietro nell’ultima missione, dalla quale erano rientrati circa mezz’ora prima. Qualche arma faceva sempre comodo e lui era abbastanza bravo a maneggiarle, che si trattasse di lame o di armi da fuoco. Si riteneva un tutto fare ed era sempre pronto ad apprendere qualcosa di nuovo. Inoltre, aveva dimostrato di sapersi adattare alle situazioni più disparate e questo gli aveva permesso di arrivare dove era adesso.
Durante il periodo in cui aveva lavorato per lo SHIELD, aveva svolto missioni variegate ma mai di vero e proprio rilievo professionale. Negli ultimi mesi aveva raggiunto tutto un altro livello e riusciva ad affrontare circostanze difficili senza significativa esitazione. Si era accorto di riuscire a mantenere la giusta lucidità e la necessaria freddezza quando era sotto pressione e anche quando rischiava di morire. Ovviamente gli capitava ancora di incappare in valutazioni sbagliate e di improvvisare azioni azzardate, ma si stava sforzando di ridurre entrambe le circostanze. Una delle cose più complicate, secondo il suo personale parere, era prendere decisioni e trovare soluzioni in un tempo più breve di quello che lui solitamente impiegava a scegliere fra dolce e salato la mattina per colazione. L’idea di poter ferire qualcuno – che non fosse il nemico – nel prendere determinate decisioni lo spaventava. Invece ferire se stesso era una conseguenza più che ragionevole in caso avesse commesso un errore e non lo spaventava.
Daniel si piegò sulle ginocchia per riporre un paio di caricatori svuotati delle pallottole in un borsone scuro e fu attratto dai riflessi opachi del noto cerchio in vibranio, che giaceva sul pavimento alla sua destra. Senza quasi rendersene conto, si ritrovò con lo scudo fra le mani e spinse sulle gambe per tornare in piedi.
Lo scudo era più pesante di quel che sembrava. Lo fece roteare lungo il diametro e ascoltò il particolare suono che emise nel fendere l’aria. Ne osservò la parte posteriore, quella dove c’erano le cinghie e notò che su queste iniziavano a vedersi segni di logoramento.
 
“Hai il permesso di toccarlo?”
 
Dan sussultò e lo scudo rischiò di scivolargli dalle mani. Si voltò in direzione della voce che gli aveva appena fatto venire un mezzo infarto e incontrò gli occhi limpidi di James Barnes, che aveva l’espressione di chi ha appena ottenuto l’effetto sperato.
 
“Barnes…”
 
“Bucky” lo corresse l’ospite inatteso e Collins non ebbe il tempo di dire qualcosa che avesse una certa coerenza, perché alle spalle di James arrivarono Steve e Sam, che erano nel mezzo di una tranquilla conversazione fra amici che non si vedono da parecchio.
 
Dal giorno in cui Rogers era tornato dall’incontro con Ross per discutere della disastrosa missione a Los Angeles, Dan aveva la sensazione che qualcosa fosse cambiato. Tuttavia, gli era difficile identificare quel qualcosa, dato che il Capitano sapeva bene come innalzare una perfetta facciata dietro la quale nascondere ogni tipo di emozione personale che avrebbe potuto renderlo emotivamente vulnerabile. Sperò che l’arrivo dei suoi compagni lo aiutasse in qualche modo, qualsiasi modo.
Perso nelle sue elucubrazioni mentali, Collins dimenticò di avere ancora lo scudo fra le mani. Se ne rese conto solo quando Bucky si avvicinò e fece tintinnare le nocche di metallo contro la superficie in vibranio, come per testarne la solidità.
 
“Gli stai insegnando ad usarlo?” chiese Barnes con tono sorpreso, rivolgendosi a Rogers.
 
“No… io stavo solo mettendo in ordine.”
Era stato Dan a rispondere e subito dopo ripose lo scudo nell’esatto posto in cui l’aveva trovato.
 
Steve fece per dire qualcosa, ma fu interrotto dall’arrivo di Janet, che si schiarì la gola in modo da palesare la propria presenza.
“Janet Stewart. Lieta di avervi qui.”
La donna strinse la mano prima a Sam e poi a James e non si preoccupò di nascondere il fatto che li stava studiando con un certo interesse.
 
“Finalmente ce l’avete fatta.”
 
L’attenzione si spostò sulla rampa delle scale che conduceva alle stanze. Sharon aveva indosso i pantaloni neri e gli stivali con cui era andata in missione e portava ancora il giubbotto antiproiettile mezzo aperto.
Lo sguardo caldo della donna passò in rassegna i presenti e si fermò un po’ più a lungo e con discrezione su James, che da sotto l’ombra del cappello ricambiò l’occhiata penetrante che ricevette da lei.
“Sbaglio o ne manca una?” chiese mentre raggiungeva il gruppo.
Sharon era stata messa al corrente di quell’arrivo e Steve le aveva chiesto diversi pareri per capire come gestire le cose da lì in avanti. Essere presa tanto in considerazione da Rogers la rendeva in un certo qual modo orgogliosa. Mai avrebbe detto che sarebbe finita a lavorare fianco a fianco con la stessa persona che aveva tanto segnato la vita di sua nonna.
 
“Ci raggiungerà più tardi. Aveva un lavoro da finire.”
Fu Sam a parlare e scambiò un rapido sguardo con Steve, che si limitò ad annuire. Anthea si era premurata di avvertirlo con un messaggio, quindi quella notizia non era stata una novità per lui.
 
“A questo punto devo avvisare Ross del vostro arrivo e del ritardo del terzo componente.”
Janet posò delicatamente la mano sulla spalla destra del Capitano. Ormai quell’invadenza dello spazio personale si era trasformata in un’abitudine, tanto che il super soldato aveva smesso di farci caso.
“C’è qualcos’altro che vuoi il Segretario sappia?”
“No. Va bene così” le comunicò Rogers e la donna fece un leggero segno di assenso con il capo, per poi rompere il contatto. Salutò i presenti con un “Ci si vede in giro” e risalì la rampa di scale senza voltarsi indietro.
 
Mentre Sam rifletteva su ciò che aveva appena visto, Bucky avvolse il braccio destro attorno al collo di Steve e lo tirò a sé come tante volte aveva fatto in passato.
“Il nostro alloggio è ad un paio di isolati da qui” esordì il moro e strinse maggiormente la presa, strappando un sorriso al compagno.
“Abbiamo deciso di passare a controllare che qui fosse tutto in ordine” aggiunse alla fine, assumendo un’espressione più seria.
 
“A parte non aver fatto molti progressi, è tutto okay.”
Steve non era mai stato bravo a sottrarsi allo sguardo indagatore di Bucky e non ne fu capace nemmeno questa volta. Lo aiutò Sam in maniera totalmente inconsapevole.
 
“Basta fare comunella voi due. Noi abbiamo un sacco di punti da mettere in chiaro prima di iniziare a darci da fare.”
Wilson puntò il dito contro Barnes, che sospirò e lasciò andare Rogers.
 
“Punti da mettere in chiaro?” fu la lecita domanda del Capitano.
 
“Vivremo nello stesso appartamento” affermò semplicemente il pararescue, convinto che quella fosse una spiegazione più che sufficiente.
 
“C’è qualcosa che dovrei sapere?”
Steve sondò i suoi compagni con occhio critico ed entrambi scossero il capo, ritenendo che fosse meglio risolvere le eventuali divergenze in privato.
 
Fu Sam a mettere fine ad ogni indugio.
“Bene, allora noi andiamo a sistemarci. Dalle vostre facce direi che dovete farlo anche voi. Missione notturna?”
 
“Missione notturna” confermò Dan, che era perfettamente consapevole di avere una pessima faccia con tanto di occhiaie scure. Era stanco e avrebbe volentieri dormito per tutta la giornata impegni permettendo.
 
“Tu ed io non avevamo una sfida aperta?”
 
Collins ci mise più del dovuto a capire che Barnes si stava rivolgendo proprio a lui. Aprì e chiuse la bocca almeno un paio di volte prima di riuscire a pronunciare parole di senso compiuto. Okay, doveva andare a dormire e possibilmente subito.
 
“Ci sono quasi. Più o meno. Tu tieniti pronto.”
Dan istintivamente cercò gli occhi di Steve, che fece un cenno d’assenso con il capo. La cosa non passò inosservata.
 
Barnes sorrise divertito.
“Quando vuoi.”
 
 
 
 
 
 
֍
 
 
 
 
 
 
Località in territorio americano
 
 
Era buio, ma non abbastanza da impedirle di distinguere i contorni di ciò che la circondava. Percepiva il respiro sommesso di Grey alle sue spalle. I loro passi creavano un’eco leggera in quel deposito riempito di vecchi container arrugginiti. Si concentrò sul suono di piccole gocce che si schiantavano sul cemento umido. Il tendone sopra le loro teste era costellato di fori, da cui penetravano deboli fasci di fioca luce sfuggiti alla cortina di nubi grigie.
Si fermò di colpo e Grey la imitò.
 
“Che succede?” sussurrò l’agente.
 
“Arriva qualcuno.”
 
L’entrata in lamiera fu aperta con una certa violenza e la penombra invase lo stanzone. Poi, con un rumore rimbombante, la porta a scorrimento venne richiusa e l’oscurità venne tagliata dalla luce artificiale prodotta da torce elettriche.
Si nascosero dietro un container e attesero. Anthea tese ogni singolo muscolo, pronta a scattare se la situazione l’avesse richiesto. Rimanere concentrata era importante, però aveva scoperto da un po’ che non era poi così brava a compartimentare i suoi pensieri, soprattutto quando ce n’erano di più insidiosi a disturbarla.
Si sporse leggermente in avanti e vide un gruppetto di persone che si dirigevano a passo svelto verso un container rossastro. Il container venne aperto e il gruppo vi entrò. Le bastò un breve spiraglio di buona visibilità per accorgersi della seconda entrata sul fondo del container. Quel secondo accesso dava su una scalinata che conduceva verso il basso.
 
“Doppio fondo?” le chiese Grey con un filo di voce.
 
“Doppio fondo” confermò lei.
 
Aspettò che il gruppo sparisse oltre l’ingresso segreto e poi si mosse, decisa a scoprire cosa stessero nascondendo. La ferrea presa di Grey sul polso non le permise di andare lontana.
“Non sappiamo cosa nascondono lì sotto.”
 
“Infatti sto andando a scoprirlo” replicò lei.
 
“So di cosa sei capace ma il nemico è imprevedibile e non voglio rischiare. Farò arrivare una squadra di supporto e ...”
 
“E ci scopriranno. C’è una buona probabilità che non sappiano ancora che siamo qui e ho tutta l’intenzione di approfittarne.”
 
Grey sospirò con palese rassegnazione.
“Hai visto cosa serve per entrare? Impronte, codici o ...”
 
“Tranquillo, ho i miei metodi.”
 
Anthea sentì Grey sospirare una seconda volta. Non gli aveva lasciato molta scelta. Era convinta che aspettare una squadra di supporto avrebbe solo complicato le cose. Non percepiva strane energie pericolose nei dintorni, quindi era in grado di gestire la situazione. Avrebbe bussato poco gentilmente alla porta e, qualsiasi cosa avesse trovato dall’altra parte, l’avrebbe affrontata. Riflettendoci, se qualcuno di sua conoscenza avesse pensato di agire in quel modo, lei avrebbe sicuramente dedicato parole poco delicate a quel qualcuno. Le venne da ridere, ma si trattenne.
 
“La tua espressione non mi piace affatto” volle farle sapere Grey, che adesso l’aveva affiancata.
 
“Stavo solo pensando a quanto alcune cose mi mandino fuori di testa.”
 
“È difficile starti dietro.”
 
“Lo so. Nemmeno io ci riesco a volte. Sto andando.”
 
Entrare non fu complicato. Le bastò spiegazzare qualche lamiera e mettere fuori gioco gli uomini che l’accolsero all’inizio della rampa di scale in ferro battuto. Ovviamente non fu silenziosa e ciò mise in allarme chiunque fosse alla fine di quella rampa scricchiolante. Agì il più velocemente possibile.
Evitò di percorrere i gradini e si gettò direttamente nella tromba della scalinata. Fu un bel volo, ma nulla che le sue ossa non potessero reggere. Si prese solo un attimo per osservare le espressioni stupite dei nemici di cui doveva ancora capire l’affiliazione, poi si diede da fare.
Quando Grey arrivò in fondo alla scalinata, Anthea stese l’ultimo soldato con un calcio dritto sulla mascella.
 
“Potevi lasciarmene almeno uno.”
David le dedicò un sorrisetto compiaciuto, mentre scavalcava i corpi dei nemici privi di conoscenza che tappezzavano il pavimento.
 
“Oggi vado di fretta. La prossima volta” promise l’oneiriana.
 
“Non credo ci sarà una prossima volta. Da domani non lavorerai più con me, ma con Captain America.”
 
Nonostante quelle parole attestassero un dato di fatto, il tono con cui erano state pronunciate suonò tutt’altro che neutrale.
Avendo lavorato al suo fianco, Anthea sapeva che Grey era un agente ligio al dovere, che seguiva con zelo gli ordini dei suoi superiori e che non avrebbe mai improvvisato un’azione avventata infrangendo ogni regola infrangibile pur di salvare delle vite. Da questo punto di vista, David Grey era l’esatto opposto di Steve Rogers.
 
“Posso chiederti cosa hai contro Captain America?”
 
“Crede di potersi porre al di sopra di qualsiasi regola senza curarsi delle conseguenze delle sue azioni.”
 
Anthea storse il naso e si limitò a pronunciare un semplice “Capisco”, senza alcuna intonazione particolare nella voce.
Stavano percorrendo un lungo corridoio illuminato solo da rade lampadine che pendevano dal soffitto percorso da crepe lungo l’intonaco grigiastro. C’era un’umidità quasi soffocante là sotto.
 
“Tu che ne pensi?”
 
Cosa ne pensava lei? Era troppo di parte per esprimere un giudizio totalmente obiettivo. Però le parole di Grey non avrebbe mai potuto condividerle.
 
“Penso che ti sia fatto un’idea sbagliata. Dovresti dargli una possibilità.”
 
“Lo farò se avrò una buona ragione.”
 
Avanzarono ancora ed arrivò alle loro orecchie un suono che presto riuscirono a identificare. Erano lamenti, singhiozzi e mozziconi di parole che formavano preghiere dolenti.
Senza rendersene conto, Anthea aumentò il passo fino a romperlo in una corsa che lasciò indietro Grey.
Le pareti del corridoio furono sostituite da sbarre di acciaio, dietro le quali erano rinchiuse persone spaventate e disperate. Il cuore prese a batterle violentemente nel petto, mentre immagini che credeva di aver seppellito nei meandri più oscuri della sua memoria risalivano a galla con prepotenza.
 
“Ti prego, aiutaci.”
 
Una giovane ragazza dai capelli biondi e gli occhi chiari si avvicinò alle sbarre e le strinse forte fra le dita. Il terrore era palese sul viso pallido e segnato da lacrime che si erano seccate sulle guance.
Anthea aprì la bocca per dire qualcosa, ma non venne fuori alcun suono. Un tremore violento le risalì la schiena fino a raggiungere la nuca.
 
“Attenta!”
 
La voce di Grey la fece riscuotere e il suono di due spari consecutivi le perforò i timpani.
 
“Cazzo! Stai bene?”
 
La giovane abbassò lo sguardo e infilò le dita nel buco che si era aperto sul fianco. Come un automa, tirò fuori il proiettile che si era conficcato nella carne abbastanza superficialmente da non toccare organi vitali.
David aveva freddato l’assalitore impedendogli di sparare una seconda volta.
 
“Sto bene. Non lo avevo visto.”
Anthea lasciò cadere a terra il proiettile e si costrinse a recuperare la freddezza necessaria. Stava bene.
 
“Chiamo una squadra. Dobbiamo portare al sicuro queste persone e capire cosa stesse accadendo qui sotto.”
 
L’oneiriana si limitò ad annuire. Lei sapeva già cosa stava accadendo e sapeva bene chi ci fosse dietro tutto quello. Non poteva sbagliarsi.
Rivolse di nuovo l’attenzione a quelle persone innocenti. Le iridi brillarono nella penombra e le celle si aprirono con suoni secchi. Udì distrattamente Grey dare delle direttive a quei poveri sfortunati.
Stava di nuovo perdendo la cognizione della realtà e cadendo in un vortice insidioso di pensieri, quando un tocco incerto sul braccio la strappò ad uno stato di crescente apatia.
“Grazie.”
Era la ragazza di poco prima e le stava sorridendo, nonostante la paura le fosse ancora appiccicata addosso.
 
“Sai dirmi cosa è successo?” le domandò.
 
“Mi hanno portato qui e c’erano già delle persone… poi ne hanno portate altre… poi sono venuti a prendere alcuni di noi… non so altro…”
La voce della ragazza era tremula e i suoi occhi erano pieni di lacrime a stento trattenute. Era sconvolta e aveva tutte le ragioni per esserlo.
 
“Andrà tutto bene.”
Anthea cercò di sembrare convincente, tuttavia era consapevole di non credere alle proprie parole.
La ragazza sorrise timidamente e la ringraziò un’altra volta, prima di muoversi insieme agli altri verso l’uscita da quell’incubo.
 
David le si avvicinò e le pose una mano sulla spalla.
“Sicura di stare bene? Se hai bisogno…”
 
“Sto bene. Sono sicura” affermò Anthea con decisione e gli mostrò la solita espressione determinata.
Stava bene.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Helicarrier, SHIELD
 
 
“Qui c’è tutto. Manda a Rogers i miei saluti e cerchiamo di mantenere i contatti più saldi.”
 
Anthea prese dalle mani di Fury una pendrive.
“Riferirò il messaggio. Grazie per tutto quanto.”
 
“Non è stato male averti a bordo. Voglio che tu sappia che potrai contare su di me se ne avessi bisogno.”
 
L’oneiriana sollevò un angolo della bocca e annuì.
Fury non si era mai sbilanciato tanto da quando aveva iniziato a lavorare per lo SHIELD. Quasi le venne da ridere pensando a come le cose fossero cambiate negli ultimi anni. Doveva aver fatto parecchi progressi per essere arrivata al punto in cui anche Nick Fury si fidava di lei.
 
“Lo terrò presente.”
 
“Bene. Fate attenzione.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il Sole stava tramontando e il cielo infuocato era specchiato nel largo letto del fiume. C’era una leggera brezza che le scompigliava i capelli sciolti e che le carezzava il viso. Era piacevole.
Nel percorso che aveva fatto per arrivare lì, diverse persone le avevano rivolto occhiate perplesse, scettiche e anche preoccupate. Doveva essere per i bottoni della camicia scura infilati nei passanti sbagliati, o per il fatto che la camicia era infilata solo per metà in un paio di cargo neri stropicciati, oppure poteva essere per le cinghie allentate e tintinnanti degli stivali.
Non aveva avuto occasione – nemmeno ci aveva pensato in realtà – di sistemarsi e aveva dimenticato di portare il cambio. Si annotò mentalmente che non era appropriato camminare per strada in quello stato sospetto. A sua discolpa, non si era posta il problema perché solitamente non se ne andava in giro fra la gente dopo una missione.
Grey l’aveva accompagnata con un jet dello SHIELD fino a Washington e lei era semplicemente saltata giù. Era stato l’agente a prestarle la camicia, dato che la maglia era finita bucata da un proiettile e si era imbrattata di sangue. Lui aveva insistito e le aveva anche detto che poteva tenerla.
 
“Ti prego. Aiutaci.”
 
Trattenne il fiato per un lungo attimo. Il volto accartocciato dal terrore della giovane che aveva salvato era ancora lì, appiccicato sulla retina. Non aveva dubbi che fosse opera di Lewis. Aveva già assistito a quel modus operandi, aveva visto tante volte quelle espressioni di terrore tramutarsi in maschere prive di vita, incollate su corpi che non erano stati in grado di sopportare il trattamento a cui erano stati sottoposti.
Strinse i pugni e arrivò a conficcarsi le unghie nei palmi delle mani, mentre torturava l’interno della guancia con i denti. Pensieri scuri iniziarono ad affollarsi nella sua mente, ma prima di sprofondare nella parte di sé meno ragionevole e più istintiva, il cellulare prese a vibrare insistentemente nella tasca dei pantaloni. Lo estrasse e percorse con gli occhi le lettere sullo schermo.
Smise di morsicare l’interno della guancia, le labbra si stesero in un fievole sorriso e iniziò a percepire un piacevole calore nella pancia. Negli ultimi mesi le era successo spesso di sentirsi così, precisamente in ogni occasione in cui lui la chiamava o le scriveva, e non riusciva a farci l’abitudine. Finalmente lo avrebbe rivisto e la sensazione si era fatta tanto forte da farle temere per l’integrità degli organi interni.
Forse era la vita sulla Terra ad averla resa più umana, o forse si sentiva solo più libera di lasciare andare le emozioni ora che nessuno le imponeva come doversi comportare. La Terra era incasinata, questo era un dato di fatto, ma le piaceva la vita lì e adattarsi era stato meno complicato del previsto.
Okay, magari non aveva ancora avuto occasione di provare la vita normale, però non era certa che una vita normale avrebbe fatto per lei. In fondo, era nata per combattere, giusto? Altrimenti a cosa le sarebbero servite tutte quelle capacità?
 
Esitò un ultimo istante prima di accettare la chiamata. Aveva pensato di sopprimere le emozioni negative e di raggiungerlo solo dopo esserci riuscita, ma i suoi tentativi di recuperare l’equilibrio erano miseramente falliti.
Non poteva più rimandare. Accettò la chiamata e portò il telefono all’orecchio.
“Ehi straniero.”
Ci mise impegno nel tirare fuori un tono che fosse abbastanza scherzoso e che non rivelasse il suo reale stato d’animo.
 
“Che succede?”
 
L’impegno non era stato sufficiente e il tentativo di sviare era stato fallimentare in tutto e per tutto. Tuttavia, la voce apprensiva dall’altra parte della linea riuscì a distenderle i nervi. Portò una mano alla fronte e prese un bel respiro profondo.
 
“Ho bisogno di… un passaggio. Credo di essermi persa. Questa città è davvero grande.”
 
“Sei a Washington? Da quando? Perché non mi hai avvertito?”
 
Sorrise. Ecco di nuovo quella forte sensazione di calore nella pancia.
“Stavo dando un’occhiata in giro per avere un’idea di dove starò per i prossimi… giorni… mesi… o anni… è difficile dirlo. Poi ho perso la strada e… avrei bisogno che tu mi aiutassi a ritrovarla.”
 
“Dimmi dove sei.”
 
Sollevò lo sguardo e lo posò sulle macerie che poteva vedere in lontananza.
“Non ti piacerà.”
 
 
 
Una volta chiusa la chiamata, gli inviò la posizione in modo che potesse raggiungerla.
Tornato il silenzio, il calore nella pancia andò affievolendosi fino a sparire. Sapeva che avrebbe dovuto reagire invece di rimanere ferma a farsi logorare da tutte quelle dannatissime sensazioni scomode.
Osservò il letto del fiume scintillare sotto la calda luce aranciata e ne fece increspare la superficie, creando un piccolo arco vicino l’argine. Mosse l’indice destro, descrivendo cerchi concentrici nell’aria, e l’arco si trasformò in una colonnina che si avvolse in una spirale. La strappò dall’enorme flusso d’acqua del Potomac, che intanto proseguiva indifferente nella sua corsa attraverso Washington. La spirale si accartocciò su se stessa, fino a prendere la forma di una sfera perfetta all’interno della quale i raggi di luce venivano diffratti. Fece esplodere la sfera in tante sue copie in miniatura, che si dispersero disordinatamente nell’aria come granelli di polvere. Le riunì assieme per creare uno stilizzato e minuto omino volteggiante.
La forma d’acqua la salutò con la mano destra priva di dita definite e un riflesso colorato le diede l’impressione che le stesse sorridendo. La fece muovere nella propria direzione e mosse un passo in avanti. Tese un braccio verso quella strampalata sagoma in miniatura, che mimò il medesimo movimento.
 
“Devo ammettere che fa una certa impressione.”
 
Il cuore cambiò ritmo di colpo. L’omino d’acqua vibrò ed esplose in una miriade di goccioline che le bagnarono il viso.
Anthea si voltò indietro e incontrò i ben noti occhi azzurri, adombrati dalla visiera di un cappello. Scoppiò a ridere senza nemmeno capirne bene il motivo e quella reazione fece nascere una sottile ruga fra i suddetti occhi azzurri.
 
“Lo hai spaventato” fu la prima e insensata cosa che gli disse di getto.
Sempre di getto annullò del tutto la distanza e fece scivolare le braccia attorno al collo del suo compagno.
Lo strinse a sé, mentre lui la stringeva a sua volta circondandole i fianchi. Gli organi interni potevano anche trasformarsi in poltiglia per quanto la riguardava, perché non si sarebbe spostata da lì.
Fu Steve che si tirò indietro e le mostrò una certa preoccupazione. Non lo biasimava, dato che lo aveva fatto arrivare fin lì senza dargli una spiegazione degna di questo nome. Nonostante ciò, lui era lì.
 
“Sarebbe un bel panorama se non fosse per ciò che è rimasto del Triskelion” fu il cauto approccio che Steve decise di utilizzare.
Era un modo per tastare il terreno e per concederle tempo prima di chiederle spiegazioni.
 
C’erano delle persone non troppo distanti da loro. Le macerie del Triskelion erano diventate un’attrazione per i curiosi incauti e non era raro vederne gironzolare diversi lì attorno, anche in prossimità dell’unico ponte ancora integro. Però pochi osavano oltrepassare quel ponte per raggiungere il cuore dell’ex quartier generale dello SHIELD.
Anthea era arrivata vicino l’argine del Potomac e, se la memoria non la ingannava, era in prossimità del punto in cui erano atterrati durante la fuga dalla base sotterranea di Teschio Rosso.
 
“Già. Non è così male.”
Quelle poche parole pronunciate con calma attestarono che lei era pronta a parlare di ciò che la stava turbando.
 
“Cos’è successo?” le chiese allora Steve, incapace di trattenersi ancora e guardandola dritta negli occhi.
 
Anthea non si sottrasse a quello sguardo penetrante, ma si aggrappò ad esso.
“Lewis ha ufficialmente rimesso in piedi l’attività che portava avanti prima dell’Hydra e prima che tu gli rovinassi i piani tre anni fa.”
Le iridi della giovane si fecero improvvisamente più torbide e il suo corpo si irrigidì, come attraversato da una dolorosa scarica elettrica.
“Sembrava si stesse limitando ad usare agenti dell’Hydra, invece adesso sta giocando con persone innocenti. Ho già assistito a tutto questo e so come va a finire.”
 
“Sono consapevole che è passato già troppo tempo. Però posso assicurarti che non mi fermerò finché non lo avrò trovato.”
Steve era diventato serissimo in un battito di ciglio. Credeva fermamente in ciò che aveva detto e lei sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per mantenere la parola.
 
“Quell’uomo ama giocare a fare dio e ama annichilire chi lo ostacola. Manipolare le persone è ciò che sa fare meglio.”
Lei conosceva Adam Lewis. Lo conosceva fin troppo bene ed era per questo che la bolla di inquietudine formatasi nel petto non avrebbe fatto altro che espandersi fino a darle la sensazione di soffocare. Avrebbe dovuto estirparlo dall’esistenza quando ne aveva avuto l’occasione.
“Tu e gli altri Avengers siete la causa del suo fallimento. Troverà il modo di regolare i conti se non l’ha già trovato.”
 
“Ma lui è solo. Noi non lo siamo.”
 
Anthea si lasciò scappare una risata un po’ folle e che proprio non riuscì a ingoiare.
“È questo il punto. Lui non ha niente da perdere, noi sì. Noi abbiamo molto da perdere… io ho troppo da perdere… è un vantaggio per lui.”
La consapevolezza di star facendo cento, mille passi indietro si palesò nella mente poco lucida. Si fidava dei suoi compagni, avrebbe messo la sua vita nelle loro mani senza battere ciglio, eppure c’erano occasioni in cui arrivava a pensare che muoversi da sola fosse l’unica soluzione possibile.
Steve fece per dirle qualcosa, ma lei lo precedette.
 
“Se tu fossi forte abbastanza da affrontare il nemico, sceglieresti di combatterlo da solo oppure insieme ai tuoi compagni?”
 
Sapevano bene entrambi quali implicazioni nascondesse quella ipotetica domanda. Lo spettro dell’incertezza prese ad alleggiare su di loro e, se avesse avuto una faccia, avrebbe piegato la bocca in un sorriso ironico.
 
“Non farlo.”
 
“Rispondi alla domanda.”
 
Rogers sospirò dinanzi l’intenso sguardo con cui lei lo stava osservando, in attesa.
 
“Insieme” fu la risposta che le diede e fu quella che lei si sarebbe aspettata da lui.
 
Eppure, per la prima volta, Anthea ebbe dubbi sulla sincerità di Steve.
Prese un lungo e profondo respiro e gli sorrise.
“Va bene. Insieme.”
Lo prese per mano e iniziarono a muoversi, allontanandosi dalla sponda del Potomac.
La giovane si convinse di avere solo bisogno di un po’ di tempo per ritrovare l’equilibrio e per adattarsi alla nuova situazione. Era brava ad adattarsi.
 
“Sei venuto a piedi?” gli domandò per tornare a nuotare in acque più sicure.
 
“Sam mi ha prestato la sua auto. Ha detto che se non ti dai una mossa, ti lasceranno la stanza piccola.”
 
“Poco male. Non la userò più di tanto alla fine dei conti.”
 
Steve le lanciò un’occhiata indagatoria da sotto la visiera del cappello.
 
“Hai capito bene” rimarcò lei e sollevò entrambe le sopracciglia con fare provocante, ma poi aggiunse un professionale “Ci sarà tanto lavoro da fare, quindi non credo passeremo molto tempo in casa.”
 
“Sì giusto… c’è davvero tanto lavoro…”
 
Lei si trattenne dal ridere. Avrebbe dovuto smettere di smorzare la tensione in quel modo, ma le reazioni di Steve erano impagabili.
Arrivarono alla macchina e Anthea prese posto davanti, mentre lui si metteva alla guida. Non molto dopo erano in strada e le macerie del Triskelion si allontanavano alle loro spalle.
 
“Puoi dirmi cosa ti sta passando per la testa?” chiese di punto in bianco Rogers, sentendosi osservato in maniera insistente e per niente discreta.
 
Di risposta, Anthea allungò un braccio e arrivò a sfilargli il cappello, che sistemò sulla propria testa, prima di tendersi nuovamente verso di lui. Infilò la punta delle dita fra i capelli biondi, all’altezza della nuca.
“Sono cresciuti dall’ultima volta che ti ho visto.”
L’ultima volta risaliva al mezzo disastro di Los Angeles. La giovane fece scivolare la mano fino alla base del collo e sorrise.
 
“Distrarre chi guida non è una buona idea” la riprese bonariamente lui, quando qualche brivido prese a correre giù per la colonna vertebrale.
 
“Sei a disagio” lo prese in giro dopo aver notato il leggero rossore che gli aveva colorato le orecchie.
 
“Non sono a disagio” replicò subito lui, con tono poco controllato.
 
“Sei adorabile.”
Anthea ritirò il braccio e, prima che lui potesse contestarla, riprese la parola.
“Credo che questa sia una delle cose più normali che abbiamo mai fatto. Tu ed io… da soli… quanto tempo abbiamo prima che vengano a cercarti?”
 
“Qualche ora credo.”
 
L’oneiriana rimase abbastanza sconvolta.
“Aspetta. Verrebbero davvero a cercarti?”
 
“Più o meno. Ross apprezza poco quando prendo l’iniziativa.”
Steve aveva cercato di buttarla su toni ironici, ma lo stringersi spasmodico delle dita attorno al volante la diceva lunga su come la pensasse a riguardo.
 
“Non credevo avresti resistito tanto a lungo.”
 
“Ho scelta?”
 
“Tornerai ad averla.”
Anthea osservò le nocche delle mani di Steve riacquistare colore.
“Sono contenta di essere qui” ammise poi con tono più leggero.
 
“Così potrai tenermi d’occhio?” scherzò il super soldato, propenso anche lui ad alleggerire la tensione.
 
Ah no, basta accettare le richieste di tenere d’occhio le persone. Troppe responsabilità. E poi James ha detto che siamo grandi per queste cose e che è lui che al massimo dovrebbe tenere d’occhio te, non il contrario.”
 
“Avrei da ridere su questo punto.”
 
“Io invece credo di essere dalla sua parte. Mi ha raccontato parecchie cose che sostengono la sua causa.”
 
“Ah sì? E cosa ti avrebbe raccontato?”
 
“Mi dispiace, ma rimane fra me e lui. Non è furbo far indispettire il nuovo capo per cui entrambi lavoreremo.”
 
Steve scosse la testa, però si ritrovò a sorridere, pervaso da un estraneo ma piacevole senso di leggerezza.
“Comincio quasi a sentirmi tagliato fuori.”
 
“Sei tu che hai deciso di andare via, quindi non prendertela con chi ha dovuto trovare un altro appoggio che non fossi tu.”
 
“A quanto pare ve la siete cavata benissimo.”
 
“All’inizio abbiamo dovuto improvvisare ma poi abbiamo fatto scintille.”
 
Adesso Steve stava ridendo. Aveva tentato di fare la parte dell’offeso, ma il tentativo aveva avuto vita molto breve. Anthea sapeva essere dannatamente ironica. Quell’approccio era anche un modo per dire che era tutto okay e che potevano riprendere da dove avevano lasciato senza porsi troppi problemi.
 
“Allora… vuoi andare da qualche parte in particolare?”
 
La giovane ci pensò su, poi prese un lungo respiro e finì per indossare un sorriso conciliante.
“Torniamo agli appartamenti. Evitiamo guai inutili.”
 
“Sei sicura?”
 
“Lo sono e sappi che ho intenzione di raggiungerti dopo aver controllato che quei due non si siano ammazzati, quindi lascia la finestra aperta.”
 
“Niente da ridire in proposito.”
 
“Ottimo.”
 
L’oneiriana dovette trattenersi dal distrarlo ancora, nonostante la voglia matta di baciarlo in quello stesso momento. Avrebbe dovuto farlo prima di salire in macchina, dannazione. Questo era ciò che accadeva quando lasciava prendere il sopravvento alle emozioni negative. Un’occasione sfumata.
 
 
“Ascolta…” iniziò Steve.
 
“Ti ascolto.”
 
“Di chi è la camicia che porti?”
 
“È una storia relativamente lunga” sviò Anthea e sventolò la mano come a voler sottolineare che non era una cosa importante.
 
“Abbiamo tempo” replicò Rogers.
 
“Hai appena rallentato?”
 
“Guido in maniera prudente” si giustificò lui e si finse anche serio.
 
La giovane non riuscì ad evitare di ridere e quel piacevole calore nella pancia tornò a farsi sentire con più forza.
“Davvero furbo, Steve. Perché non accosti già che ci sei?”
 
Rogers la prese come una sfida. Individuò una serie di parcheggi sul lato della strada e mise la freccia per accostare. Si fermò fra due auto e spense addirittura il motore. Solo allora si voltò verso la compagna, pronto a sfoggiare un’espressione vittoriosa con tanto di sorriso compiaciuto. Quel sorriso ebbe vita ridicolmente breve, perché si infranse sulle labbra della compagna, che lo liberò dall’impedimento della cintura con la mano non impegnata a stringergli i capelli sulla nuca.
Steve si ritrovò con la maniglia dello sportello premuta contro la parte bassa della schiena, un ginocchio di Anthea fra le gambe, una delle sue mani sotto la maglia e l’altra avvinghiata alla base del collo. Di riflesso l’aveva afferrata per i fianchi e stava adesso cercando di non farsi sopraffare totalmente dall’impetuosità della giovane.
Lei si tirò indietro per riprendere fiato e per permettere a lui di fare lo stesso.
 
“È da quando siamo partiti che volevo farlo, quindi grazie per esserti fermato.”
 
Rogers si rese conto che aveva fatto il suo gioco. Lei lo aveva sfidato ad accostare per arrivare proprio lì dove si trovava ora.
 
“Sei furbo, Steve” iniziò la ragazza e fece una breve pausa per baciarlo di nuovo.
“Ma io lo sono di più, ammettilo.”
Anthea tornò al suo posto e mostrò orgogliosamente il sorriso trionfante.
 
“Non finisce qui” la avvertì il super soldato, mentre tentava di ricomporsi e di sistemare al meglio la maglia spiegazzata.
 
“Lo spero” celiò lei e dovette davvero mettercela tutta per non scoppiare a ridere e conservare una certa serietà intrisa di malizia.
 
Anthea desiderò non dover scendere dall’auto, così che quel momento di illusoria normalità potesse durare il più a lungo possibile.
 
“Ti ho già detto che sei adorabile?”
 
“Tu sei impossibile.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Avremmo voluto lasciarti la stanza più piccola, ma sono praticamente identiche” esordì Sam non appena lei ebbe messo piede in quella che sarebbe stata la sua nuova sistemazione.
 
Per qualche strano motivo, Anthea immaginò Sam e James che, metro alla mano, misuravano le stanze e rimanevo delusi di non trovarci la benché minima differenza. Non sarebbe poi stato uno scenario tanto male, considerando che avrebbe significato che quei due si sarebbero ritrovati a fare qualcosa insieme di loro stessa iniziativa.
Sam era un tipo alla mano e, apparentemente, non sembrava avere problemi a concedere fiducia alle persone che gli erano accanto. L’oneiriana però aveva dovuto ricredersi, perché in realtà Sam Wilson era più criptico, riflessivo e attento di quanto desse a vedere. Rimaneva comunque facile fidarsi e perfino aprirsi con lui.
 
“Che pensiero gentile. Steve mi aveva avvertita e a proposito, ti ringrazia per l’auto che ora è sana e salva parcheggiata qui sotto.”
 
“E lui che fine ha fatto invece?”
 
“Ross voleva vederlo.”
 
Sam arricciò il naso e serrò la mascella dando un chiaro segno di disapprovazione, però non si pronunciò in merito.
L’oneiriana decise che fosse meglio svicolare per il momento.
 
“Vedo che non avete sistemato granché nonostante abbiate avuto tutto il giorno.”
 
“Abbiamo portato i bagagli, i tuoi compresi, fin qui. Sono due piani di scale” ribatté subito il pararescue, mentre ispezionava l’angolo cucina.
 
Anthea rise di fronte l’espressione sarcastica dell’amico e poi si guardò intorno con curiosità.
Erano all’interno di un loft – gentile concessione del Segretario di Stato – abbastanza spazioso, dal pavimento in parquet e dalle ampie finestre. Più o meno al centro c’erano un divano rosso ad angolo e un tavolino scuro abbastanza basso da poterci poggiare sopra i piedi. Di fronte al divano c’era un televisore a schermo piatto, che era poggiato su un mobile dotato di un paio di cassetti. Alle spalle del divano c’era l’angolo cucina, dotato di un’isola circondata da sgabelli e con tutto l’indispensabile. Superato l’angolo cucina, un ampio corridoio terminava con la porta del bagno, da cui proveniva il suono del getto d’acqua della doccia, ora occupata da Bucky.
Sullo stesso corridoio si affacciavano due camere, l’una di fronte all’altra. La porta della terza stanza era invece diametralmente opposta all’angolo cucina e, visto che i suoi bagagli erano proprio lì davanti, Anthea intuì che sarebbe stata la sua.
 
“Ti abbiamo lasciato maggiore privacy. Non sembra male qui.”
 
“È carino, ma se devo essere sincera comincio a odiare gli spostamenti. Hai mai provato la sensazione di non sapere dove ti trovi esattamente al risveglio?”
Aveva già detto che era maledettamente facile aprirsi con Sam? Perché lo era.
 
“Diciamo che per parecchio tempo ho avuto più la sensazione che qualcuno avrebbe potuto uccidermi nel sonno. Però sì, ho provato anche lo spaesamento e non è confortante.”
 
“È stato a causa del servizio militare?” domandò allora la giovane, che intanto era arrivata nell’angolo cucina e aveva appoggiato i gomiti sull’isola.
 
“Nonostante sia trascorso tanto tempo, i ricordi sono ancora vividi e anche le emozioni che li accompagnano” le rivelò Sam e il suo sguardo sembrò perdersi in una dimensione lontana nello spazio e nel tempo.
 
Anthea lo osservò in silenzio per qualche istante, cercando di immaginare quali emozioni gli avessero irrigidito la schiena e le larghe spalle.
“Ti capita mai che queste emozioni diventino tanto forti da rischiare di prendere il sopravvento?”
 
Sam smise di esplorare l’interno dei cassetti e degli sportelli della cucina e le dedicò completa attenzione. Incrociò le braccia al petto e la sua espressione si fece morbida e rassicurante.
“Mi capitava spesso anni fa. Poi ho iniziato a condividere i miei poco rassicuranti pensieri con altre persone ed è stato liberatorio, come se oltre i pensieri avessi condiviso anche il peso che mi portavo dentro. Se ne avessi bisogno, sai dove trovarmi.”
Il pararescue indicò la direzione che portava alla propria stanza e le sorrise.
 
“Grazie, Sam.”
 
“Condividere però non aiuta tutti.”
La voce di James si intromise nella conversazione senza troppi convenevoli. Il moro li raggiunse con un asciugamano sulla spalla destra e con indosso solo un paio di pantaloncini neri.
 
“Tu sei troppo prevenuto. Potresti provare” replicò Wilson e si guadagnò un’occhiata scettica da parte di Barnes.
 
“Effettivamente provare non costerebbe nulla” convenne Anthea.
“Se non dovesse funzionare, al massimo potremmo mettere su un film e dimenticare tutto.”
Strappò loro una risata e ne fu felicemente soddisfatta. Era pronta ad adattarsi alla nuova situazione e ce l’avrebbe messa tutta per far funzionare le cose.
 
“Per ora direi di iniziare a darci da fare. Abbiamo diverse cose da sistemare” propose Sam.
 
Anthea e Bucky concordarono con un cenno del capo e il pararescue tirò su le maniche della camicia.
 
“Dov’è finito Steve?” chiese Barnes a quel punto.
 
“Ross” risposero quasi in perfetta sincronia i suoi nuovi coinquilini.
 
E calò quello strano silenzio fatto di parole non dette, giudizi pungenti trattenuti e mimica facciale poco rassicurante contenuta.
 
“Idee per la cena?”
Anthea ruppe il silenzio insidioso e l’atmosfera iniziò a distendersi lentamente.
 
 
 
 
 
 
֍
 
 
 
 
 
 
New York, Stark Tower
22:54

 
 
“A quanto pare siamo punto e a capo. Solo tu ed io.”
 
Tony distolse lo sguardo dall’immensa vetrata che si affacciava su New York e si girò per incontrare quello di Bruce. Sorrise in quel modo tutto suo, un misto di sarcasmo misto ad inquietudine.
“Forse la Tower non va bene come base operativa. O forse non riusciamo a rimanere uniti nello stesso posto troppo a lungo a meno che non sia presente anche qualcosa che minacci seriamente l’incolumità della Terra.”
 
Bruce sfilò le mani dalle tasche dei pantaloni ed intrecciò e sciolse le dita più volte mentre si avvicinava di qualche passo all’amico.
“Ormai dovrebbe essere chiaro che siamo un gruppo problematico. E non siamo bravi a prevenire.”
 
“Siamo gli Avengers. Noi non preveniamo. Noi vendichiamo.”
 
Un’ombra calò sul volto di Tony, che incrociò le braccia al petto e si rivolse nuovamente alla vetrata.
Gli occhi nocciola si sollevarono verso il cielo buio e il familiare senso di vuoto gli fece venire le vertigini.
La mano di Bruce si strinse attorno alla sua spalla in un gesto di silenzioso appoggio.
 
“Sicuro di stare bene, Tony?”
 
“Sto bene. Potrei essere vagamente stanco, questo non lo nego.”
 
“Dovresti dormire e dico dormire sul serio.”
 
“È il caso che io lo faccia, anche perché fra poco Pepper mi darà per disperso.”
 
Pepper stava dimostrando una pazienza infinita e si stava silenziosamente prendendo cura di lui, mentre mandava avanti la società, controllava gli investimenti e partecipava a tutte le riunioni importanti.
Tony le aveva lasciato carta bianca, perché si fidava cecamente di lei e, inoltre, Virginia Potts era la migliore.
Una volta sistemata la situazione, l’avrebbe portata a fare una lunga vacanza lontano da tutto ciò che richiedeva un’armatura.
Tutti loro avrebbero avuto bisogno di una lunga vacanza.
 
“A domani, Tony. Va’ a dormire.”
 
“Grazie, Bruce. Potremmo fare una delle nostre sedute uno di questi giorni.”
 
Bruce sorrise e scosse il capo.
“Non sono quel tipo di dottore.”
Lasciò una pacca sulla spalla di Tony e poi sparì nel ventre illuminato dell’ascensore.
 
 
 
 
 
 
֍
 
 
 
 
 
 
14 giugno 2015
Washington DC, 02:00 AM

 
 
Non dormiva molto ultimamente, quindi aveva imparato ad apprezzare ogni sfumatura che la luce pallida della luna aveva da offrire. Inoltre, il silenzio della notte rendeva possibile percepire i suoni che la caoticità del giorno inghiottiva.
Da qualche ora, però, il rumore della pioggia aveva scalzato quel silenzio. Non le dispiaceva, anzi ne era grata, perché l’infrangersi dell’acqua contro qualsiasi superficie incontrasse la distoglieva dal gran frastuono che imperversava nella sua testa.
Voltò il capo verso la finestra e seguì con lo sguardo piccole gocce d’acqua che scivolavano sul vetro, scivolavano inesorabilmente senza riuscire ad opporsi alla gravità.
Le iridi scintillarono nel buio e spinse le gocce di nuovo verso l’alto, facendole risalire lungo la superficie vitrea. Si concentrò un po’ di più e fece intrecciare e dividere i loro percorsi più e più volte, disegnando invisibili linee che si aggrovigliavano senza alcuna coerenza.
 
 
“Oh porca miseria! Sono talmente ubriaco che vedo la pioggia andare al contrario!” sentì gridare qualcuno all’esterno, sulla strada.
 
 
Cavolo. Aveva perso il controllo ed era ancora decisamente lontana dal riuscire a prendere sonno.
Decise di smettere di giocare con la pioggia e spostò l’attenzione sul peso che le gravava piacevolmente sul petto.
Percorse la spalla destra di Steve con le dita, percependo il calore della pelle nuda sui polpastrelli.
Quando aveva lasciato il nuovo e provvisorio appartamento, aveva dovuto subire un attacco combinato da parte di James e Sam, che con le loro centrate frecciatine avevano fatto concorrenza a Clint. La cosa positiva era che adesso aveva la certezza che Sam e Bucky fossero perfettamente in grado di collaborare e di fare fronte unito.
 
Sorrise.
 
Le era mancato passare la notte con Steve. Amava poterlo osservare in quegli intimi momenti di vulnerabilità e le piaceva crogiolarsi nell’idea che fosse l’unica a poterne godere.
Steve era stanco. Anche un cieco se ne sarebbe accorto. Anthea non avrebbe saputo dire chi fra lui e Tony stesse tirando più la corda.
 
Ricordava che una notte era rientrata alla Tower e, passando per la Sala Comune, aveva sentito Tony parlare animatamente al telefono. Era rimasta in ascolto perché aveva sentito il nome di Lewis venire pronunciato dall’inventore. Non molto dopo aveva capito chi ci fosse dall’altra parte della linea, perché Tony ne aveva fatto esplicitamente il nome.
 
“È difficile continuare così, Steve. Ma non sarò io a gettare la spugna per primo.”
 
Lei era rimasta seduta su un gradino della scalinata che portava agli appartamenti degli Avengers. Era rimasta ad ascoltare la voce di Tony riempire il silenzio per un tempo indefinito, incapace di muoversi.
 
“Va’ a riposare. Qui continuo io. Non voglio che ti addormenti sul posto di lavoro, magari mentre qualcuno sta cercando di ammazzarti” aveva sentito dire da Stark ad un certo punto.
Da quel momento Tony era rimasto nella Sala Comune, circondato da innumerevoli dati fluttuanti fino alle prime luci dell’alba. Poi si era addormentato sul divano.
Lei allora era andata a recuperare una coperta e l’aveva sistemata sul compagno sfinito.
 
Perché quella volta fosse rimasta in disparte, alienata nel mondo turbolento dei suoi pensieri, non era riuscita ancora a spiegarselo.
Certamente il caos che in alcuni momenti imperversava nella sua testa non era d’aiuto.
Il caos era tanto capace di bloccarla quanto di spingerla ad intraprendere azioni prive di mezze misure.
 
In quello stesso momento, poteva sentire il peso di pensieri striscianti e sibilanti sotto la facciata di calma apparente che si era imposta di mantenere solida.
Inspirò ed espirò profondamente. L’ampio movimento della gabbia toracica ebbe una leggera ripercussione sul suo compagno addormentato, che si riscosse e si sistemò meglio sul fianco, facendo scivolare la testa dal petto di lei al cuscino. Le strinse un braccio e appoggiò la fronte contro la sua spalla nuda.
Anthea abbassò le palpebre e focalizzò tutta l’attenzione su quel momento di pace così raro e prezioso.
 
Sarebbero riusciti a sistemare la situazione. Era a Washington proprio per far sì che ciò accadesse.
Dovevano solo resistere un altro po’ e rimanere lucidi.
 
Doveva rimanere lucida.
 
 
 
 
 
 
“Se tu fossi forte abbastanza da affrontare il nemico, sceglieresti di combatterlo da solo oppure insieme ai tuoi compagni?”
 
“Non farlo.”
 
“Rispondi alla domanda.”
 
“Insieme.”
 
 
 
 
 
 
Angolo note
 
Dedico con il cuore questo capitolo ad una persona speciale nel suo giorno speciale ❤️
Tantissimi auguri, carissima Ragdoll_Cat ❤️
Ti auguro davvero il meglio. Un sentito e immenso abbraccio ❤️
 
 
 
Ella
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: Ella Rogers