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Autore: milla4    20/08/2021    0 recensioni
E ogni anno che era passato da ché gli Incanti primordiali erano finiti, aveva lasciato dietro di sé la caduta delle ultime mura e, quelli che inizialmente erano tristi ricordi gelosamente custoditi, ora erano delle semplici storie. Quella più famosa e conosciuta anche in continenti lontani era però la leggenda dei Bambini di cenere di Lamona.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo
 

 
Erano le terre più vicine ai grandi mari dei Fiori, dove un tempo ormai passato gli Incanti Primordiali avevano deciso di farne loro dimora per poi acquietarsi forse per sempre.
Di essi era rimasto soltanto il ricordo visivo negli enormi palazzi di ametista eretti grazie al loro aiuto: ormai quella civiltà viveva soltanto nelle memorie ombrate dal velo del fantastico, inglobata dalla più nuova e vitale città-stato di Leania, costruita proprio sull’altopiano che guardava la valle sottostante, dove erano vissuti i suoi avi.

E ogni anno che era passato da ché gli Incanti erano finiti, aveva lasciato dietro di sé la caduta delle ultime mura e, quelli che inizialmente erano tristi ricordi gelosamente custoditi, ora erano delle semplici storie, come quelli dei nani dalla pelle pura come il latte che una volta spadroneggiavano ad est del continente, nelle terre coperte perennemente da una finissima sabbia di madreperla o del cavallo che cavalcava le estati, nascendo in una notte e morendo in un giorno, portando via con sé il caldo perenne e le anime dei bambini troppo incauti. Quella più famosa e conosciuta anche in continenti lontani era però la leggenda dei Bambini di cenere di Lamona.
Le balie di ogni reame, da quelli più vicini al tormentato Fiore blu, l’enorme distesa d’acqua che abbracciava tutto il Sud del continente, all’ovest delle più piccole città peschiere, erano solite raccontare ai piccoli loro affidati di come in un tempo molto lontano, per vincere una guerra ormai durata troppo a lungo, gli antichi abitanti di Lamona avessero preteso troppo da quegli Incanti, quelle protezioni che la  Madre Terra aveva concesso loro di governare e così, per cercare di addolcire quella preziosa alleata avevano deciso di concederle una delle cose più dolorose e importanti che avevano: ogni donna in età fertile avrebbe dovuto partorire, nell’arco della sua vita, un figlio fatto di cenere, grigio come l’anima di quegli uomini così avidi da considerate accettabile una richiesta così insensata e mostruosa.  Così fu, di quelle sfortunate creature vi non erano rimasti altro che sussurri, forse era soltanto una leggenda tra le leggende, ma da essa era comunque possibile estrapolare una morale molto importante: non giocare con le vite altrui.

 Anche i membri della Rinascita avevano ascoltato quelle storie, che forse non erano così irreali. Nel regno di Leania era relativamente poco tempo che si era scoperto il gusto per il passato, la volontà di sentirsi figli di qualcosa. Un passato fatto di antichi palazzi d’ametista e templi ora disabitati sia dagli uomini che dagli Incanti stessi: ciò che a Leania chiamavano “magia” era solo un pallido ricordo di ciò che erano stati Primordiali; neanche gli abitanti più anziani ricordavano come si manipolassero quei filamenti che come una ragnatela incantata ricoprivano l’intero territorio.
Nel tempo la curiosità per quella civiltà scomparsa in modo così repentino aveva portato alla volontà di cercare il proprio passato, la propria cultura, un contatto con qualcosa che sentivano tanto estraneo quanto vicino alla loro anima. La popolazione dell’antica Lamona  aveva sviluppato un sistema di scrittura caduto in disuso e nell’oblio, aveva lasciato alle immagini dipinte intorno al perimetro delle proprie abitazioni il compito di parlare di loro, il residuo di magia era abbastanza per permettere di assorbire nella mente quelle informazioni, talvolta se la persona era molto predisposta, permettendo anche di avere un’immagine vivida di ciò che accadeva.

All’associazione Reale della Rinascita era stato dato il compito, ormai cinquant’anni prima, di portare alla luce quanto più possibile di quella società e soltanto negli ultimi anni si era deciso di trovare veramente qualcosa di ancora conservato.
 Quando si decise di scavare in quei ruderi, restarono molto sopresi che alcune camere nascoste, vicino alle segrete fossero ancora perfettamente conservate e sigillate mentre il resto era stato distrutto dal tempo o da chissà cos’altro; i mobili rimasti erano qualche panca mangiata dalla muffa o qualche tavolo.
Quando si era deciso per la spedizione, molte persone si erano offerte volontarie, volevano esserci per uno degli eventi più importanti della loro vita, ma tutte le candidature erano state rifiutate, serviva gente esperta.

Erano stati divisi in cinque macrogruppi di circa una ventina di persone: il comando era stato assegnato a chi vantava un predisposizione agli Incanti, quelle persone che sembravano ancora poter comunicare con quella rete, il resto della squadra era composto da guardie e aiutanti, operai che si erano resi disponibili in cambio di un aumento del salario.
A Julian Ilged e alla sua squadra fu assegnato la casa dell’Antiquario, una figura molto importante e la cui dimora era posizionata in un punto rialzato della vallata, come a mostrare anche visivamente la sua superiorità all’interno della popolazione; purtroppo non si conosceva molto di chi fosse né perché avesse un ruolo così importante. Di lui non si conosceva nulla se non accenni tratto da alcuni dei più recenti cicli pittorici dipinti prima della caduta del regno, quelli che parlavano delle numerose guerre in cui il popolo di Lamona era stato coinvolto nei suoi ultimi cento anni e della nascita improvvisa di quelle creature fatte completamente di cenere, allegoria forse della repentina perdita di fertilità nelle donne e nelle terre.
Julian aveva scelto con cura i primi componenti della sua squadra, ma la fretta per la spedizione gli impedì di convocare le persone che veramente voleva accontentandosi delle scelte fatte dal suo soprintendente. Non aveva potuto protestare, si era limitato come sempre ad un sorriso di circostanza mentre con le mani strette a pugno nelle tasche sprizzavano scintille.  Odiava la fretta, come le scadenze: perché non dare al tempo il modo di sistemarsi da solo?

 
***
 
«Partiremo appena il Buio avrà completato il suo ciclo» rovesciò la clessidra e la posò con un colpo secco sul tavolo, guardò i membri del gruppo che gli erano stati assegnati, ognuno di loro non sembrava prenderlo minimamente in considerazione, se non come leader, almeno come referente della Rinascita. Cercò un contatto visivo, ma quelle persone non erano veramente lì, probabilmente stavano pensando alla puttana che si sarebbero potuti permettere con lo stipendio più alto o cosa avrebbero trovato per cena al rientro a casa.
Li congedò poco dopo senza parlare ulteriormente: avevano rivisto il piano degli scavi da mesi e ormai non rimanevano né dubbi né incertezze...c’era soltanto da riposarsi il più possibile anche se il sonno era in alcuni di loro dei più responsabili soppiantato dall’agitazione per quell’evento unico.

Il giorno dopo tutto procedette come previsto, oltrepassarono le costruzioni meno importanti, quelle dove gli Incanti non avevano dimorato abbastanza e di cui erano rimasti soltanto delle pietre scoordinate, discesero poi il sentiero che dava le spalle alle querce secolari per poi dirigersi verso il su della vallata, verso il rialzo dove sorgeva il loro obiettivo.
Di quella che era stata la residenza dell’Antiquario, probabilmente una fortezza con almeno tre torri, erano rimaste soltanto cumoli scomposti di pietre collassate su loro stesse, sopra una base ancora intatta ma interrata.
La spedizione proseguì lentamente, non avevano fretta, si erano dati un tempo molto lungo per poter comprendere quello che stava accadendo. Julian non amava avere responsabilità, aveva argutamente evitato salti di carriera che gli avrebbero portato più soldi ma anche più rogne, ma doveva ammettere che gli piaceva poter dare i propri ritmi alla sua squadra, era uno dei pochi vantaggi dell’avere un gruppo che dipendeva da lui.
Fu il primo a giungere alla torre ovest,  le mani protese in avanti per tentare di catturare delle sensazioni: si girò cercando un aiuto, era una magia molto intensa e sentiva le braccia pesanti e stanche e aveva bisogno anche di una persona con un minimo di Sensibilità. Dietro di lui trovò invece dieci facce che lo fissavano imperturbabili. Sospirò, il sovrintendente lo aveva messo a capo di un gruppo di semplici uomini, senza alcun residuo di Percezione, mentre sapeva già che tra gli uomini che si era scelto non c’erano grandi doti: toccava a lui tutto il lavoro sporco.

 La struttura era molto più in basso del resto del castello, e la sua base quindi sembrava essere dentro il terreno, senza stacchi. Le pietre state murate utilizzano Incanti molto arcaici, riusciva a percepirne la resistenza, toccò la porzione di muro accanto a quello che doveva essere stato un robusto portone in legno ormai eroso dall’umidità. Con le dita sentì piccole lettere impresse poco distanti dalla roccia, come se la ricoprissero. Julian si mise istintivamente la lingua tra i denti, non conosceva il senso di quei segni, la lingua era andata perduta nel tempo, eppure dentro sé sapeva che quelle erano istruzioni celate per l’accesso a qualcosa di grande  e importante. La solennità di quelle parole era qualcosa che traspariva, non c’era bisogno di comprenderne appieno il significato, ad un certo punto trovò come una strada, una linea dritta che percorreva l’intero muro e si arrestava a qualche metro da quello che doveva essere il portone: non poteva  vederlo ma ne sentiva la presenza, arrivato alla fine, fece circolare il pollice sopra una specie di nodo.

«Ah!» tirò indietro la mano, si era ustionato il dito.
«Tutto bene, maestro?» Tersia lo guardò preoccupata, mentre tastava la  borsa forse cercando una medicazione adatta.
«No, no tranquilla, mi sono soltanto bruciato un po' ma nulla di grave»  le sorrise rassicurante, era preoccupata, forse allora non era stato soltanto del sesso fine a se stesso, come si era premunita di dirgli un mese prima. Si premette il pollice in bocca succhiandolo: merda, ora avrebbe dovuto ricercare quel punto, cominciò subito a tastare sugli stessi punti e quando sentì di nuovo il bruciore capì di essere nel punto giusto, questa volta però non si staccò ma anzi, fece in modo che il dolore si propagasse per bene. Strinse la mascella più che poteva mentre sentiva il fuoco ardergli la pelle e modificarla per sempre. Tutto taceva, nessuno dietro di lui osava proferire parola, ma quando improvvisamente si mostrò una porta nascosta dal muro un sussulto collettivo.
Julian alzò il dito girandosi verso di loro, sorrideva malgrado il dolore, era riuscito almeno ad accedere nella casa dell’Antiquario. Quello che la squadra trovò esplorando furono scale e vicoli bui e oscuri, quello che non trovarono fu paura, era come se quel posto l’invitasse ad essere esplorato, come se non fossero loro ad essere penetrati ma lui ad averli invitati.


 

***
 
 
«Ascoltate, secondo le fonti qui dovremmo essere all’interno delle sale delle Mantidi, dove veniva conservati i rotoli delle promesse. Non ci hanno lasciato poi molto per fare una mappa più precisa, ma...» Ayd si girò perlustrando la stanza dove si erano appoggiati per rifocillarci prima di indicare un posto alla sua sinistra «ci sono tracce che indicano in fondo a quel corridoio ci fosse la prima biblioteca, speriamo soltanto di trovare qualcosa…»

Ayd guardò il suo capo, Julian, che scosse la testa «Temo che purtroppo invece non troveremmo che polvere e ragnatele: di queste famose biblioteche ci sono soltanto accenni molto deboli in testimonianze nella tradizione scritta, si parla più che altro di “voci rivelatori” come se passassero per via orale e  non scritta».
Il volto prima acceso di Ayd si spense all’istante, aveva pensato a quella possibilità da quando era stato inserito nel progetto e ora in poche semplici insinuazioni, tutto era finito. «Comunque, credo che possiamo continuare… per di là» anche Julian indicò lo stesso puntò del suo aiutante dai corti e ricci capelli fulvi. Julian aveva aperto la terza segreta del castello delle Mantidi, a nord est  uno dei meglio conservati di Lamona, non si sarebbe mai aspettato di trovare qualcosa, o qualcuno rinchiuso lì dentro. Si mise una mano sulla bocca per coprire un conato, l’aria stantia lo aveva ricoperto senza lasciargli scampo, strinse un pugno: gli era stato assegnata l’esplorazione di quei ruderi anche se aveva soltanto diciannove anni, non doveva mostrarsi debole davanti alla sua squadra. Richiese una torcia per cercare di sconfiggere quel buio, si sistemò i piccoli occhiali sul naso, gli era sembrato di vedere una figura umanoide dargli le spalle, ma non era possibile. SI tolse una ciocca bionda dalla faccia, voleva avere la visuale più sgombra possibile.

Cercò di darsi una spiegazione diversa eppure ciò che gli sembrava di vedere, attraverso la fiamma ondeggiante della torcia era un bambino. Julian sentiva l’attesa dietro di sé, i suoi collaboratori aspettavano un suo ordine, per sua fortuna non riuscivano a percepire la confusione che lo attanagliava.
«Tanto dobbiamo tutti morire, no?» si disse ironico tra sé e sé.
Sospirò prima di entrare veramente nella stanza.

«Ehilà… c’è qualcuno?» la voce nell’ultima parte si era abbassata involontariamente per via del nervosismo.
La figura si mosse velocemente e sembrava essersi messa in piedi, per poi girarsi.
«Chi… chi sei tu?» ora la voce sembrava essere soltanto un sussurro.
«Sinder»
   
 
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