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Autore: Ortensia_    21/08/2021    1 recensioni
Sono diventato un debole, ma vorrei tornare indietro fino al numero uno.
Uno. Due. Tre. Poi trentacinque. Poi non lo so.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ryuunosuke Akutagawa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Sconfiggere un drago



    Quanti ne ho ammazzati?

    Uno. Due. Tre. Poi sono diventati trentacinque. Poi ho perso il conto.



    Non ucciderai nessuno per sei mesi!



    Di nuovo. Puntuale come una zanzara che sibila all’orecchio di un addormentato.
    Scuoto appena il capo al suono indesiderato di questa voce estranea nella mia testa, eppure non desisto dal guardare in cagnesco il tizio che si è appena accaparrato la xilografia che avrei voluto acquistare.
    La manica scura dell’uomo che ora, imbracciandola, taglia a metà la stampa su carta in stile ukiyo-e lascia scoperte le nuvole scure nel cielo e – nella parte inferiore – una figura scura ed emaciata seduta sul gradino più basso di una lunga scalinata, in attesa sotto la pioggia battente. I dettagli del portale che ricordo con chiarezza – le crepe, il muschio e la vernice rossa scrostata in alcuni punti – sono riprodotti minuziosamente sulla matrice di legno centrale del quadro, che tuttavia è ora occultata dal braccio tozzo dell’uomo che se la sta portando via.
    Ho sprecato parte del mio giorno libero solo per venire fino a qui e vedermela soffiare da sotto al naso.
    Mi è molto difficile trattenermi dall’ammazzare questo tizio, tagliare a metà la sua faccia e con questa l’irritante sorriso sornione che ha stampato sul doppio mento arrossato e purulento. In fin dei conti sarebbe così facile: mi basterebbe seguirlo e aspettare il momento più propizio per risvegliare Rashōmon, ma il sangue rischierebbe di rovinare per sempre la xilografia.
    Alla fine decido che non ne vale la pena e mi trattengo davanti a uno stuolo di stampe e dipinti di dubbio gusto fingendo interesse.
    Anche oggi non ho ucciso nessuno.







    «Oh!»
    Non bado all’esclamazione della cameriera accanto a me fino a quando non sento qualcosa che gocciola sulla mia scarpa. Sul vassoio che la ragazza stringe fra le mani la tazza di porcellana bianco perla si è abbattuta e il tè all’arancia che avevo ordinato è finito sulla punta del mio mocassino sinistro.
    Qualcuno strozzi questa incompetente, ve ne prego.
    O potrei farlo io. E se proprio non mi è concesso, potrei almeno farla licenziare.
    «Mi dispiace molto, gliene porto subito un altro!»
    Scorgo un sincero imbarazzo nel suo tentativo di chinarsi per asciugarmi la scarpa che poi si riduce a un arrendevole inchino di scuse, probabilmente perché dal basso del suo minuscolo cervello è per lo meno riuscita a capire che inginocchiarsi sorreggendo il vassoio gocciolante e la tazza abbattuta non sarebbe una buona idea. Dopotutto ci manca soltanto che una nuova inclinazione sbagliata del vassoio faccia gocciolare il tè sui miei pantaloni o cadere la tazza, che andrebbe immancabilmente in frantumi sul pavimento.
    Mi mordo il labbro e resisto alla tentazione di mandarla al diavolo.
    «Non si disturbi, va bene così» rispondo.
    E al diavolo mi ci mando io, perché in fin dei conti non ho mica promesso che non avrei insultato nessuno per sei mesi. Questo avrei potuto farlo eccome.
    Mi sento un vero fallito quando esco dal locale senza aver avuto occasione di bere il mio tè.
    Tossisco nel fazzoletto e avverto il calore pungente del sangue sulle mie mani, attraverso la stoffa che si lascia corrodere dalla malattia. Quel tè avrebbe senz’altro alleviato la mia tosse.
    Almeno anche questa volta non ho ucciso nessuno.







    Manca appena una settimana e avrò mantenuto la promessa.
    Mi sarei aspettato un calo nel desiderio di uccidere, ma la verità è che il pessimo carattere che si annida sotto la mia vernice ora si manifesta anche per la minima piccolezza. Speravo di dimenticare la morte, ma la verità è che ora non penso ad altro e al tempo stesso, credo, ne concepisco l’immagine con maggiore gravità.
    Vorrei ammazzare tutti. Odio tutti. Anche questo bambino idiota che non ha la forza necessaria di tenere ben saldo il guinzaglio del suo stupido cane che a quanto pare non ha nulla di meglio da fare che tentare a tutti i costi farmi le feste.
    Eppure senza il peso del cappotto sento le spalle più leggere.
    Voglio ammazzare tutti ma lo faccio solo nella mia testa, come una qualunque persona che in una giornata storta si trovi di fronte a qualcuno che non gode della sua simpatia. In sostanza non riesco a vedermi mentre uccido davvero questo bambino.
    Sono diventato un debole, ma vorrei tornare indietro fino al numero uno.

    Uno. Due. Tre. Poi trentacinque. Poi non lo so.

    Forse se fossi riuscito a controllarmi e se avessi trovato un compromesso quando mi hanno messo degli esplosivi in mano adesso avrei poco meno della metà di queste anime innocenti sulla coscienza.
    Per quanto riguarda il futuro, invece, non sono più così sicuro di quale sia la casa a cui voglio appartenere. Non che io l’abbia mai avuta, una casa. E non che io abbia un futuro così lungo ad attendermi, in fin dei conti.

    Guarda che cosa mi hai fatto, Jinko.







    Ho sempre odiato fare il bagno perché senza vestiti, senza Rashōmon, mi sento troppo indifeso. Eppure adesso che mi sento un debole anche con la camicia addosso non è poi così male restare in ammollo.
    I sei mesi sono passati e non voglio più uccidere nessuno.
    A parte Jinko.
    Mi ha cambiato ed è questo che adesso mi fa sentire più vulnerabile.
    Scivolo lentamente nell’acqua tiepida, fino a quando questa non arriva a coprirmi la bocca. Chiudo gli occhi e lo ammetto, ma è qualcosa di così umiliante che, giuro a me stesso, non dovrà mai uscire dalle mie labbra: non è vero che voglio ucciderlo. Vorrei incontrarlo e chiedergli che cosa fare adesso, perché sono disorientato e perso nella malinconica aspettativa di una vera casa dove io possa smettere di vestirmi di morte.
    C’è una cosa a cui ho pensato per tutto questo tempo, anche più dell’ammazzare gli altri: uccidere me stesso. Ecco chi ho sempre desiderato distruggere, più di ogni cosa e più di tutti.
    Voglio morire. Lo voglio fare ora, dentro questa vasca, nell’acqua tiepida che mi intorpidisce i muscoli e ha già raggrinzito le mie mani. Lo voglio fare subito, così non dovrò scegliere fra il restare qui per sempre o chiedere ad Atsushi cosa dovrei fare della mia vita, così smetterò di sentirmi debole.
    Mi immergo totalmente, ma dura solo un attimo.
    Torno su e apro gli occhi e resto a fissare inebetito le manopole di ottone ramato.
    «Non voglio morire…» mi dico mentalmente, salvo poi realizzare di averlo pronunciato.
    Non dovrei permettermi di essere così avido dopo tutte le persone che ho ammazzato, eppure ora, proprio ora che ho smesso di uccidere, non voglio più morire.
    Ho sempre pregato che qualcuno venisse a soffocarmi nel sonno per porre fine alle mie sofferenze, ma era solo perché nella mia vita non ho conosciuto altro che morte. Ora che me ne sono allontanato ho paura di andarmene e al tempo stesso l’ho sconfitta.

    Ho sconfitto il drago.

    Ma se conosco anche solo un poco la mia misera vita sono certo ce ne sia uno ben più grande che mi attende in agguato dietro alla casa a cui non riuscirò ad arrivare.



Angolo autrice:
Ho scritto veramente pochissimo su BSD, tant’è vero che qui c’è solo una one-shot su una ship che nemmeno shippo più aiut-
DUNQUE. Intanto come sempre non so se essere soddisfatta oppure no. Mi piace come scorre ma penso sia un po’… caotica? Che va pure bene essendo una prima persona, ma boh. Forse sono così confusa perché non uso quasi mai la prima persona e anche perché sono in un periodo di fermento creativo e leggo tantissimi libri che influenzano bene o male il mio modo di scrivere, quindi anche se sono contenta di maturare il mio stile sono sempre molto combattuta all’inizio perché devo abituarmi.
Perché ho scritto questo? Perché pur non essendo molto aggiornata su BSD Akutagawa è sempre stato ed è rimasto il mio prediletto e ho recentemente letto Rashōmon e altri raccolti che – stilisticamente e iconograficamente parlando – mi ha dato veramente tanto. Ho voluto, diciamo, fare un piccolo tributo a uno scrittore con la s maiuscola che mi ha coinvolto solo come Orwell aveva saputo fare fino a ora e per farlo ho voluto soffermarmi sul percorso di redenzione intrapreso da Akutagawa subito dopo aver fatto la promessa ad Atsushi.
Ci sono moltissime immagini che richiamano a Rashōmon e altri raccolti e vado subito a citarle:
- la xilografia che Akutagawa voleva acquistare non è altro che il Rashōmon, ovvero un portale. La figura scura seduta sui gradini, invece, è il protagonista di questo racconto;
- altri richiami sono nel fatto che Akutagawa dica “sotto la mia vernice”. È un’immagine che l’autore presenta spesso nelle opere autobiografiche;
- verso la fine della shot Akutagawa dice di aver sperato che qualcuno lo soffocasse nel sonno. Ed è con le parole “Non c’è nessuno disposto a soffocarmi nel sonno?” che si conclude La ruota dentata, uno dei racconti contenuti nel libro che ho letto;
- il titolo è sempre ispirato a La ruota dentata dove si parla della “capacità di sconfiggere un drago” che è poi il concetto che mi ha colpito maggiormente. Ryūnosuke significa “aiutante del drago” in quanto Akutagawa è nato nel giorno, mese e anno del drago, tuttavia qui ho voluto dare all’immagine del drago un’accezione totalmente negativa, l’apatia e la depressione, la voglia di morire se non la morte stessa. Akutagawa è rimasto al fianco della morte, a farle da aiutante per tutto questo tempo, ma la promessa fatta gli permette di vedere uno spiraglio di luce, un po’ di speranza anche per lui, che lo incita a non accettare più passivamente il suo ruolo di assassino, ma piuttosto a capire cosa vuole veramente e a cercarlo. Evitando di uccidere ha sconfitto il drago.
L’ultima riga è un richiamo al capitolo 88 del manga, di cui purtroppo ho scoperto facendo ricerche per scrivere questo qwq
Spero abbiate gradito e ringrazio di cuore chiunque la leggerà!

   
 
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