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Autore: LadyPalma    22/08/2021    6 recensioni
Raccolta di due OS sulle storie d'amore ipotizzate nel mio universo per i due Granger-Weasley.
1. Hugo (+ Beth Black)
“Permettimi di conoscerti allora”. Si stupisce da solo di quanto è audace in quel momento, per un attimo si chiede se è così potente che deve sentirsi tutti i giorni quello spirito libero di sua sorella Rose. “E dimmi quando credi che possa andare bene. Un altro anno? Due? Tre? So contare fino all’infinito se vuoi…”
Lei lo fissa con un’espressione indecifrabile e quando parla, finalmente, lui non sa se quello che dice è una presa in giro, un compromesso o una sfida.
“Facciamo cinque”.

| La storia partecipa alla Mould the siblings challenge indetta da Sofifi sul forum di Efp
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hugo Weasley, Nuovo personaggio, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Ciò che resta del Whisky Incendiario

 
 
Parte 1: Hugo (+ Beth)
 
 
Hugo Weasley: figlio di Ron Weasley e Hermione Granger
Bethelgeuse Black: figlia di Sirius Black e Myrcella Umbridge (figlia di Dolores Umbridge e Alastor Moody)

 

 
 
1.
Bethelgeuse Black è stata la sua prima folle cotta, all’epoca di quando “cotta” non sapeva neanche cosa significasse. Cotta, nella sua mente di bambino da cinque anni, equivaleva al sorriso increspato di Beth, alla sua voce melodiosa quando canticchiava e allo svolazzare dei suoi abituali vestiti rosa confetto.
“Quando sarò abbastanza grande, vuoi diventare la mia fidanzata?”
Era un mantra che le chiedeva di continuo, perlomeno quando Rose si metteva a giocare per conto suo e non era a portata d’orecchio. E Beth, la baby-sitter estiva, gli scompigliava affettuosamente i capelli rossi e non mancava di ridere divertita. Forse le tornavano in mente quelle volte in cui, quando cinque anni li aveva lei, smaniava per George Weasley.
“Solo se nel frattempo non mi sarò già sposata, Pluffa”.
 
2.
Una volta che ha compiuto undici anni ed è stato ammesso a Hogwarts – nella casa dei Saggi, lui non aveva mai avuto dubbi –, Beth non la vede più tanto spesso. Sarebbe bello poter dire che è perché lui ormai non ha più bisogno di una baby sitter, ma la verità è che lei semplicemente non è più così vicina come una volta. Adesso vive in pianta stabile nella Parigi magica, scrive per il quotidiano di spicco francese e, quando pensa a lei (non così tanto, ma ancora troppo spesso), se la immagina intenta a mangiare croissant all’albicocca o a sballarsi la testa di bollicine costose. Non ci pensa tanto, è vero, però una copia di Le monde magique plana ogni mattina sulla tavolata Blu-bronzo e i suoi compagni di casa hanno smesso da tempo di chiedersi perché. Legge solo gli articoli scritti da lei e, per capirci qualcosa, aspetta che sua cugina Dominique gli dedichi qualche minuto del suo tempo per fare una traduzione all’impronta. Politica, gossip scandalistici, le ultime tendenze in fatto di abbigliamento: sono argomenti disparati, come sono sempre stati del resto i suoi interessi.
La vede dal vivo solo una volta l’anno, nel periodo di Natale, con i capelli biondo sporco acconciati ogni volta in modo diverso, gli stessi invariati occhi grigi e un maglione rosa sformato con una gigantesca B dorata un po’ sbilenca (nonna Dolores non è brava quanto nonna Molly a cucire, ma evidentemente Beth non gliel’ha mai fatto notare).
Non si dicono molto, di fatto sono un po’ come due estranei. Lei preferisce parlare con Teddy, e Victoire, e James, e Roxanne, e Lily, mentre a lui rivolge solo un’occhiata rapida e un sorriso sincero ma troppo fugace.
“Sei cresciuto, Pluffa” commenta quando lui ormai ha sedici anni ed è sicuro che gli scompiglierebbe ancora i capelli, se solo ormai non fosse ben quindici centimetri più alto di lei.
“Sì”. Non trova niente di meglio da dire, battendo in ritirata prima che possa farlo lei.
È cresciuto sì, ma non abbastanza.
 
3.
Il suo primo bacio è stato con una Tassorosso del suo stesso anno, dopo un appuntamento classificabile come decente ai Tre Manici di Scopa. Sono stati più o meno insieme per due mesi, e poi è finita perché gli occhi di lei non erano grigi e non sapeva scrivere in francese.
Mentre gli traduce l’ennesimo articolo, Dominique dice che deve darsi una calmata, che questa non è più una cottarella innocente ma è un’ossessione. Però Hugo ricorda un uomo che era rimasto sempre fedele al suo primo amore e ora è considerato un eroe. E lo sa che quell’uomo ha fatto anche tante cose sbagliate e poi, alla fine, si è comunque sposato con un’altra, altrimenti la fidanzata di James adesso non esisterebbe*. Suo cugino Albus porta il nome di quell’uomo, lui invece porta il nome dello scrittore Babbano preferito di sua madre e non gli pare che abbia scritto niente in merito a una situazione del genere**. Comunque, lui non riesce a trovare un esempio più nobilitante di Severus Piton. Che poi non è che lui diventerà mai un Mangiamorte, anche perché i Mangiamorte non esistono più. Così, continua ad assecondare quella cotta, o ossessione o quel che è, almeno fino a un altro Natale.
“Ciao, Pluffa”. Beth sorride, e lui ama come sorride, ma per una volta vorrebbe che lo guardasse seriamente.
Per questo stavolta ha il coraggio – quello dato, forse, dalla maggiore età conquistata soltanto da un mese – di indugiare qualche secondo in più davanti a lei.
“Perché mi hai sempre chiamato Pluffa? È la palla più grande del Quidditch, non proprio la cosa più adatta da dire a un bambino”.
Lei lo guarda confusa, anzi stupita, e si stringe in quel suo assurdo maglione rosa senza smettere di sorridere. “Beh, perché la Pluffa è rossa come i tuoi capelli. E poi perché sapevo che prima o poi saresti cresciuto”.
Ma il vero passo avanti quell’anno c’è pochi giorni dopo a un’ora dalla mezzanotte quando, con un bicchierino di Whisky Incendiario a testa, si ritrovano soli nella cucina della Tana con gli echi parzialmente attutiti della festa in corso in giardino. Stavolta vanno oltre i saluti di circostanza e si ritrovano a parlare per mezz’ora buona, principalmente del lavoro di lei (“Leggi i miei articoli, Pluffa, sul serio?”)  e di quello che forse sarà quello di lui (“Medimago come Victoire. Ti ci vedo, in effetti”). E forse è l’alcol oppure l’atmosfera del Capodanno (o quelle gocce di Felix Felicis che ha guadagnato a inizio anno da Lumacorno e ha deciso di usare proprio quella sera), ma mentre Fred e Roxanne lanciano il primo grido del nuovo anno, Hugo avvicina il suo viso a quello di Beth e la bacia sulle labbra. Lei risponde con qualche istante di ritardo e Hugo pensa che quel bacio è perfetto, perché lei ha gli occhi grigi e sa scrivere francese.
“Mmm” commenta lei quando alla fine si stacca con gli occhi sgranati, e in quel mmm c’è tutto lo scetticismo che prova. “Cos’era questo? Volevi un primo bacio?”
Non crede che lei se ne sia accorta, ma in quella domanda la sua voce è stata così fredda e tagliente che Hugo quasi la odia. “Ho già dato un primo bacio. Volevo solo un bacio da te”.
Lei è ancora più stupita, ma in qualche modo il suo viso si addolcisce e il nuovo piccolo sorriso che gli rivolge è uno che non gli ha rivolto mai. Però non aggiunge altro, afferra ciò che resta della bottiglia di Whisky e se ne va.
 
4.
Il Natale successivo non si vedono alla Tana, ma nel salotto rosa cipria di Dolores Umbridge, con un gatto nero appollaiato sulle gambe di Beth, che di tanto in tanto soffia senza motivo all’indirizzo di Hugo.
“Vieni direttamente dal San Mungo?”
Non è la prima domanda che lui si aspettava, ma è una domanda legittima, visto che si è dimenticato di levarsi il camice da matricola che ormai porta ogni giorno.
“Già. E ho parlato per un po’ con tua nonna, mi ha anche offerto il tè” dice, con un tono falsamente neutro, indicando con un cenno la tazza vuota sul tavolo.
Beth ridacchia leggermente e poi afferra la tazza per annusarla. “Sei sicuro non fosse avvelenato?”
Hugo ride a sua volta, anche se in effetti non ne è sicuro. “Beh, quando gli ho detto che sono un Weasley ha fatto una piccola smorfia inequivocabile. Credo di non piacerle”.
“Nessuno piace a mia nonna, a parte io e mia madre – ma lei non sempre, solo qualche volta. Però potevi specificare che sei anche un Granger: come figlio della Ministra avresti guadagnato punti e forse anche qualche biscotto”.
Si scambiano un altro sorriso e poi restano in silenzio per almeno mezzo minuto. Perché lui non è andato lì per parlare delle simpatie di Dolores Umbridge, né per farsi avvelenare – forse.
“Volevo parlarti, Beth. Credo sia rimasto qualcosa in sospeso tra noi”.
Stavolta lei non è sorpresa affatto, distoglie lo sguardo e sospira. “Ho dieci anni più di te”.
“D’accordo, possiamo aspettare ancora. Non è un problema per me aspettare” ribatte stupidamente, sperando che lei non si accorga dell’evidente falla logica nel suo ragionamento. Non ha detto sei troppo piccolo, ma ho dieci anni più di te e in quello non potrà mai raggiungerla, dieci anni di distanza sono un numero destinato a non assottigliarsi mai, neanche quando lui avrà l’età della McGranitt.
“Oh, Hugo” mormora lei, e lui non capisce se è seccata o imbarazzata o tutte e due le cose, ma è la prima volta che non lo chiama Pluffa, quindi lo prende comunque come un buon segno. “Tu credi che io ti piaccia ma –”
“Tu mi piaci, Beth”.
“– ma io sono un disastro e tu sei ancora troppo giovane e non mi conosci, non davvero”.
“Permettimi di conoscerti allora”. Si stupisce da solo di quanto è audace in quel momento, per un attimo si chiede se è così potente che deve sentirsi tutti i giorni quello spirito libero di sua sorella Rose. “E dimmi quando credi che possa andare bene. Un altro anno? Due? Tre? So contare fino all’infinito se vuoi…”
Lei lo fissa con un’espressione indecifrabile e quando parla, finalmente, lui non sa se quello che dice è una presa in giro, un compromesso o una sfida.
“Facciamo cinque”.
 
5.
Per cinque anni si conoscono meglio e quella specie di deadline che scherzosamente (o forse no) si sono dati non viene mai nominata. Si scrivono lettere due volte a settimana, lettere sempre più lunghe e dettagliate, che passano in modo sorprendentemente naturale dai problemi esistenziali agli aneddoti di vita quotidiana. Hugo adora il suo lavoro, anche se detesta quando lo mettono a curare le malattie intestinali, beve troppi caffè e ha scoperto che gli piace scrivere dei brevi racconti ogni tanto, ama sua madre e suo padre in egual modo e anche sua sorella, sebbene la storia con il figlio di Piton (sul serio, quanti figli ha fatto quel Piton, poi?) lo abbia sconvolto. Beth preferisce scrivere in inglese a dirla tutta, adora lo champagne ma non tanto i croissant, si è presa un gatto rosso che ha chiamato Whisky Incendiario (Whisky per gli amici), ogni tanto accenna a suo padre e a suo nonno che vorrebbe aver conosciuto, così come avrebbe voluto avere un fratello (anche se ha Teddy e sa che è la stessa cosa). Hugo legge ancora tutte le mattina Le monde magique (per fortuna di Dominique ha imparato nel frattempo un po’ di francese), ma la differenza è che stavolta lei a sua volta legge i suoi racconti. Via corrispondenza, si allegano delle foto, delle cartoline e perfino dei libri. Finiscono per leggere insieme, a distanza, tutti i romanzi di quel Victor Hugo.
In estate poi, lui la raggiunge per qualche giorno a Parigi, per passeggiare lungo la Senna e mangiare (e vomitare) le escargot, mentre in inverno è lei a tornare e questa volta durante le cene di famiglia si appartano un po’ più del necessario, solo loro due. Non si baciano, né si toccano, né si comportano come se stessero insieme, ma la lancetta del tempo si muove e si muove e si muove.
 
6.
Il tempo rallenta quando Hugo supera l’esame di abilitazione e si ferma del tutto quando fuori dal San Mungo pronta per festeggiarlo, oltre sua madre, e suo padre, e Dominique, e Rose ci trova Beth.
“Che ci fai qui?” le chiede, soltanto quando sono finalmente soli, anche se per farlo significa tornare dentro l’ospedale e infilarsi in uno scomodo stanzino che per adesso è il suo studio provvisorio.
Lei non dice niente, gli lancia solo un lungo sguardo eloquente che sembra dire “E che ci faccio secondo te?”. Si avvicina piuttosto (cosa non difficile in quello spazio ristretto) e si ferma a un centimetro dalle sue labbra, quasi per studiare la sua mossa, quasi come se non osasse neanche stavolta fare lei il primo passo. Non è imbarazzata, questo mai, però ritrosa e diffidente lo è sempre, almeno con lui.
“Ciao, giornalista francese”.
“Ciao, dottor Weasley”.
È come un nuovo inizio, una presentazione dove quel nome sembra renderlo finalmente abbastanza grande. Anche se lui ha solo ventidue anni e lei, ancora, invariabilmente, dieci di più.
Le loro labbra si sfiorano e il tempo semplicemente non esiste, dieci anni si colmano in un soffio mentre si torna indietro (alle attese ripagate) e si va avanti (alle giornate che li attendono, insieme).
“Sono abbastanza grande, forse, per chiederti seriamente una cosa, Beth: vuoi diventare la mia fidanzata?”
Lei ride e ride anche lui. E il tempo riprende lentamente a scorrere, anche se stavolta non ha all’improvviso più molta importanza. Perché stavolta i loro orologi sono sincronizzati.
 











 

 *Riferimento al mio OC, Eileen Piton, figlia di Severus Piton e Charity Burbage, accennata in alcune altre storie.
**Easter egg alla long musical scritta insieme a Mari Lace, Les Wizardables.
 
NDA:
Questa storia è soltanto una breve raccolta di due OS: questa dedicata a Hugo e la prossima a Rose, con il filo conduttore delle storie d’amore ipotizzate per loro nel mio “universo”… e la presenza del Whisky (sì, letteralmente, il titolo non ha molto più senso che questo).
Continuo a fare piccoli salti nella Nuova Generazione perché, di base, ho questi OC che non mi escono dalla testa. Beth è presente nella mia minilong , che racconta la storia di Sirius e Myrcella: Paint it Black!
Ringrazio tantissimo Sofifi, senza la cui challenge questi deliri probabilmente non avrebbero mai trovato forma.

 
   
 
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