Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Ricorda la storia  |      
Autore: Wolstenholme    24/08/2021    2 recensioni
[Revisionata ✔]
Levi. Eren. I boschi fuori dal Wall Maria. Un gioco intrigante e pericoloso. Ricordi indelebili.
Dal testo:
«Non lo sa che questi boschi sono il territorio di caccia dei giganti?»
«Devo essermi perso.» replicò Levi, seguendo con lo sguardo il movimento di uno scoiattolo intento a saltare da un ramo all'altro.
Eren gli girò intorno lentamente, in un modo così preciso e studiato che di sicuro non applicava durante gli allenamenti o le missioni. Levi continuò a dargli le spalle e, mentre l'altro era sempre più vicino, non poté proprio fare a meno di inalare l'aria fresca e scorgere il profumo della sua pelle abbronzata.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

a me stessa,


 

.HUNTING PARTY.



Succedeva sempre più di frequente che Levi perdesse la concentrazione e fosse vittima di spiacevoli vuoti di memoria.
Dinanzi al suo distorto e apatico riflesso sulle vetrate dell'ufficio al terzo piano, lo sguardo glaciale abbandonava ogni profondità e giaceva come senza vita.
Così come ogni notte prima di lasciarsi andare al sonno -se ciò gli era concesso-, puntava gli occhi color cobalto al soffitto scolorito e essi perdevano il loro fuoco, fino a quando se ne rendeva conto e serrava le palpebre stanche, passando la mano fredda sulla fronte; come se ciò non fosse, in verità, una completa perdita di tempo.

E poi, ancora, al campo d'addestramento, quando estraeva con fermezza la sua lama affilata per allenare -tentare, almeno- la nuova squadra di aspiranti inutili cadetti, dove nessuno spiccava d'intelligenza o quando, il giorno precedente, il suo palmo aveva iniziato a sanguinare dopo la consueta manutenzione delle armi e di quell'attrezzatura così letale che, così come mozzava la testa di un gigante, feriva senza scrupolo alcuno il suo legittimo proprietario, dannatamente distratto e tra le nuvole.
Precisamente il contrario di ciò che ci si aspettava da Levi Ackerman, il Capitano, il soldato più forte dell'Umanità.

C'era stato un periodo in cui aveva cercato di fare finta di nulla e reprimere quella scomoda parte della sua mente in fondo a un cassetto polveroso e dismesso. Per un po' aveva funzionato, per così dire. Levi era fermamente convinto che avrebbe eliminato il ricordo di Eren semplicemente così: non ricordando affatto.
Non era stupido, non era ingenuo, ma fingere di esserlo poteva dare i suoi frutti e gli avrebbe raccolti se un bel giorno Eren non fosse capitato per caso di fronte alla sua stanza, con i lacci della sua maglietta sgualcita allentati, il fiato corto a causa della corsa e le guance rosse dalla fatica.

Levi era abile a mascherare le emozioni, era un vero maestro, ma sapeva quanto esse lo avrebbero lacerato, un giorno o l'altro. 
Ma se era questo l'alto prezzo da pagare per recuperare la sua compostezza, allora avrebbe pagato più che volentieri. O forse no, ma questo non aveva alcuna importanza.
E non doveva averne.
Comunque, così come Levi perdeva il controllo che aveva sempre esercitato su corpo e mente, Eren Jaeger ad un certo punto era cambiato, s'era evoluto in qualcosa di totalmente nuovo: Eren Jaeger non era più il moccioso affannato e goffo di un tempo.

Levi Ackerman lo osservava di nascosto e con il favore delle tende scure da più di un'ora, mentre il giovane dialogava con Armin e Mikasa e Jean tentava con risultati nulli di attirare l'attenzione della ragazza su di sé.
Un vero pagliaccio.
Eren Jaeger non era più il moccioso che Levi aveva amabilmente e con giusta causa pestato a sangue anni prima, che aveva esultato con voce squillante la sua vittoria sul suo primo gigante, non il moccioso che giungeva in mensa correndo e saltellando, accompagnato dal suo insopportabile buon umore, nonostante tutto, e da quella determinazione che mai nessuno aveva visto sfumare dal suo viso.

Lo osservava da così tanto tempo ormai, da dimenticare l'urgente incontro che Hanji Zoe aveva fissato per quello stesso pomeriggio.
Importava, forse? Forse era più facile convincersi che la quattrocchi riusciva senza problemi a cavarsela da sola, lei e quegli stupidi esperimenti.
Zoe non necessitava affatto dell'aiuto di Ackerman. Erwin Smith, dall'altra parte, l'avrebbe certamente compreso.
Lo avrebbe, alla fine, invitato gentilmente a scollarsi dalla finestra e Levi avrebbe eseguito il suo ordine senza aggiungere nulla; non era necessario, tra loro.
Non lo era stato nemmeno quando Smith gli aveva proposto di entrare a fare parte del Corpo di Ricerca.

Erwin non avrebbe infierito, né avrebbe posto domande scomode a cui Levi non avrebbe risposto, seppur probabilmente sarebbe stato a conoscenza di quello che il fidato amico provava in quel momento.
Tuttavia, consapevole della personalità burbera del Capitano, avrebbe certamente evitato. Era questo ciò che Levi apprezzava, tra le altre cose che mai gli avrebbe detto apertamente. A quel tempo, perlomeno.
Comunque, in quanto suo superiore, Erwin non avrebbe avuto remore nel pretendere da lui l'estrema puntualità nella consegna del lavoro d'ufficio: quello andava ben oltre l'amicizia e la comprensione.

Questo, perché Levi non aveva proprio tempo da perdere quel giorno. 
Giorno in cui l'estate torrida sembrava sfoderare con misurata crudeltà la peggior arma in suo possesso, incollando l'uniforme, pulita fino a poco prima, alla sua pelle chiara e sensibile. Non quel giorno, in cui l'insanabile e poco controllabile desiderio di farsi una doccia gelida prendeva sempre più possesso della sua mente satura. 
E, soprattutto, non con una montagna di burocrazia da firmare e consegnare ai piani alti entro il tramonto.
Spostò lo sguardo assente alle sue spalle; la sua scrivania gli dava il voltastomaco, era sporca, con i fogli aperti a ventaglio sul legno in noce e, maledizione, con l’impronta secca della tazza di tè che aveva bevuto qualche ora prima per schiarire i pensieri. 

Senza alcun successo, inutile dirlo.

Degna di essere classificata come la scrivania più sporca dell'universo, ma ancora una volta la sua attenzione venne catturata dagli schiamazzi all’esterno. Eren e gli altri mocciosi stavano ora correndo al centro della piazza su cui erano affacciati gli alloggi e le stalle dei cavalli. Indossavano ancora l’uniforme dagli intensi allenamenti di quella mattina, la smorfia di disgusto sul viso di Levi lasciava ben poco spazio all’interpretazione. 
Forse era per colpa del caldo opprimente, forse della macchia sulla scrivania solitamente immacolata, forse della divisa che non aspettava altro che essere lavata, lavata e lavata ancora e ancora, ma quelle immagini lo innervosirono ulteriormente senza che riuscisse a comprenderne il motivo. O non voleva, perché la realtà era fin troppo spaventosa, più di mille giganti ammassati fuori delle alte mura.

In ogni caso, quelle erano tristi e sciocche faccende da mocciosi e lui aveva del lavoro urgente da sbrigare. Molto più urgente e importante che trascorrere il tempo alla finestra del suo ufficio, nascosto come mai aveva fatto nemmeno nella sua precedente vita da criminale. Molto più urgente che incollare lo sguardo su Eren Jaeger.
Fissare la sua figura e perdersi nei ricordi di molto molto tempo prima, ricordi di ciò che era accaduto, qualcosa che non l'aveva mai lasciato.

Eppure, Levi non poteva proprio farne a meno.

 

* * * *

C'era un venticello fresco, fuori dal distretto di Shiganshina. Levi era seduto a gambe incrociate sul fogliame autunnale, con una smorfia infastidita dipinta sul suo volto pallido. Era immobile, con la schiena dritta contro al tronco del vecchio albero che, con le sue foglie larghe quanto una pagina di un diario rovinato, simile a quello che custodiva nel secondo cassetto della scrivania, gettava una confortevole e apprezzata ombra su tutta l'area circostante.

Non era armato, in quel momento. La sua attrezzatura era riposta con cura al suo fianco, solamente il mantello verde acceso era drappeggiato sulle sue spalle come di consueto, il bottone in bronzo teneva insieme i due lembi di tessuto con facilità, forse addirittura di più dell'ultima volta in cui l'aveva indossato; doveva essere dimagrito, da allora.
Gettò la testa indietro fino a appoggiarla contro il legno e sospirò impercettibilmente, volgendo lo sguardo affilato alla porzione scoperta di cielo azzurro sopra di sé. 
Oltre i rami, oltre ogni cosa superflua.

Sei in ritardo.

Levi amava tutto ciò che riguardava la natura, essa rappresentava la libertà, ancora di più delle ali ricamate sui suoi abiti.
L'essere stato costretto a sopravvivere in buie topaie per buona parte della sua vita aveva avuto un ruolo chiave in questo.
Conosceva ogni particella del mondo che l'aveva reso schiavo, il mondo a cui credeva di dover appartenere senza alcuna possibilità di redenzione. Non poteva proprio non fare della libertà la sua personale missione.
E lì fuori, giganti o meno, era libero.
Eppure, era strano; non rammentava d'aver mai vissuto momenti simili prima di quell'ultimo periodo. Certo, avventurarsi fuori dalle mura era la sua specialità, era tutto, ma quella... quella era tutt'altra storia.

Era dannatamente e fottutamente un'altra storia.

Levi era anche un attento ascoltatore.
Doveva esserlo e, inoltre, lo era sempre stato; fin dai tempi di sua madre Kuchel e della Città Sotterranea, l'inferno sceso in Terra, e poi di Kenny e della sua intera vita all'interno dell'Armata di Ricognizione.
Fu grazie a ciò che non faticò a individuare il leggero e calcolato rumore di passi alle sue spalle, seppur attutito dal terreno morbido.

Non hai imparato nulla, moccioso.

Levi non ebbe bisogno di voltarsi né di allungare la mano sottile fino ad afferrare le sue lame, così lucide e pulite da riflettere la sua immagine, per comprendere ciò che da lì a poco sarebbe accaduto.
Non esitò a leccare brevemente il labbro inferiore per poi restare in attesa, immobile e inespressivo. 
Dopotutto, faceva parte del loro gioco, no?
Infine, il momento arrivò.
«Lei deve essere davvero uno sprovveduto, straniero
Levi spostò le sue iridi blu scure su un punto imprecisato della fitta vegetazione.
Come un abile predatore mascherato da timida preda, rimase fermo, decidendo ancora di non voltarsi verso quella voce che così bene conosceva.
«Non lo sa che questi boschi sono il territorio di caccia dei giganti?»
«Devo essermi perso.» replicò, seguendo il movimento di uno scoiattolo intento a saltare da un ramo all'altro.
Se fosse atterrato male da quell'altezza, certamente sarebbe morto.

Eren gli girò intorno lentamente, in un modo così preciso e studiato che di sicuro non applicava durante gli allenamenti o le missioni. Levi continuò a dargli le spalle e, mentre l'altro era sempre più vicino, non poté proprio fare a meno di inalare l'aria fresca e scorgere il profumo della sua pelle abbronzata.
«Vede, ora, potrei chiudere un occhio e scortarla fino all'ingresso del Distretto di Shiganshina, farla arrivare a casa, al sicuro.» mormorò, entrando finalmente nel campo visivo del suo Capitano.
Levi alzò lo sguardo, incontrando gli occhi verdi di Eren. Brillavano, quella sera.
Trasmettevano curiosità, divertimento, una sottile nota della sobrietà di chi vuole stare al gioco e giocare. «Oppure,» proseguì, analizzando l'altro. «potrei portarla via con me e fare un bel po' di denaro facile facile, ah.»

«Propenderei per essere scortato fino alle mura, signore
Levi era serio, mentre volgeva quell'ambigua frase a Eren. Non era la prima volta.
No, avevano condotto quel gioco perfino tra le persone, nascondendosi proprio in bella vista sotto gli occhi di tutti.
Non l'avrebbero mai ammesso ad alta voce, nonostante Eren fosse quello più incline ai sentimentalismi dei due. Probabilmente, non riuscivano nemmeno a rammentare quando quel gioco tra loro avesse avuto inizio.
Nell'ufficio del Capitano con un tazza di tè in mano, nella stanza di Eren con la scusa di punirlo per il suo comportamento, nei sotterranei con una copia della chiave della serratura della sua cella o nascosti nelle stalle dei cavalli, e poi in mensa quando all'alba non era ancora popolata dai compagni di squadra e infine su uno dei tetti a nord del Distretto.

Ma no, non una parola in più sarebbe uscita dalle loro bocche.

Eren aveva l'impressione che avrebbero potuto continuare così in eterno, in una estenuante lotta al potere e poi alla libertà e poi chissà che altro.
«Allora, non vorrà restare qua fuori tutta la notte?» 
«Preferirei di no, ma il mio cavallo deve essere scappato.» 
«Lo sa che ogni cosa ha un prezzo da pagare, vero?»

Che moccioso sfrontato.

«Ho qualche risparmio da parte... nei miei alloggi.»
Levi fece per alzarsi, quel gioco era durato fin troppo ed era ora di agire e prendere con la forza ciò che desiderava, ciò che quell'intrigante situazione gli faceva ribollire nelle vene, ma Eren quella volta in particolare fu più veloce di lui.
Estrasse un piccolo coltello dal fodero allacciato alla gamba destra e in balzò fu alle spalle di Levi, la fredda lama premuta sulla pelle delicata della sua gola. «Forse non ci siamo intesi, straniero...» 
Oh, aveva inteso la situazione alla perfezione e l'acciaio contro la sua carne ne era la prova. In verità, quel gioco finì sul serio in quel preciso istante, perché a Levi bastò voltare appena il capo e incontrare lo sguardo liquefatto di Eren per capovolgere la situazione a suo favore. 
Dopotutto, era pur sempre il Capitano.

Il coltello atterrò sulle foglie secche in un attimo e non fu necessario altro per fare posto a un bacio affamato che non aveva nulla di casto.
Erano esposti, vulnerabili alla fame implacabile dei giganti e ciò non aveva la minima importanza, non mentre il mantello raffigurante la libertà di Levi veniva sganciato con forza -che per puro miracolo non perse i suoi bottoni- e tutta la spavalderia di Jaeger si scioglieva come neve al sole sotto le attenzioni del suo Capitano.
Lo eccitava l'illusione di avere potere su Levi, fino a quando egli glielo consentiva. In realtà, non c'era cosa che non amasse di lui.
Ne era innamorato da anni, non esisteva altra verità. Semplice e diretta.
In fondo, andava bene così; con ogni probabilità sarebbero morti nel giro di pochi anni, non c'era tempo per lasciarsi sfuggire simili occasioni. O almeno lo credeva in quel momento, perché all'inizio Eren non era altro che un bamboccio insicuro col timore di sfiorare Levi, cosa che non credeva nemmeno possibile al di fuori dei suoi sogni più inconfessabili.
Spiegare cosa rappresentasse Levi era impossibile, tanto valeva smettere di provarci.

«Smettila di pensare, moccioso.» gli sussurrò l'altro, assaggiando ancora ogni centimetro di quella pelle esposta.
«Veramente, sono io che...» mormorò, chiudendo gli occhi. «dovrei... minacciarti, per riscuotere la mia somma.» terminò a fatica, mentre s'aggrappava con mani tremanti alle spalle del più grande.
«Sta' zitto.»
Smise di parlare, ma ne fu molto felice: le attenzioni che Levi gli riservava andavano oltre ogni logica, non serviva porsi interrogativi. Erano semplicemente al posto giusto, nel momento giusto.
Affidarsi all'altro era la scelta migliore che potesse prendere.

Smise di pensare, quando restò premuto contro la terra per quelle che sembravano ore. Solamente a notte inoltrata, sudati e senza forze, decisero di fare ritorno al quartier generale.
Levi sarebbe rimasto lì per molto tempo ancora, forse addirittura per sempre, mentre l'orgasmo invadeva le sue membra e annebbiava la sua mente.

Non era sua abitudine abbracciarlo o tenerlo stretto a sé dopo il sesso, ma in quel frangente gli venne spontaneo districare con le dita i nodi da quei ciuffi ribelli e scompigliati. Gli sfiorò la guancia e Eren chiuse gli occhi, beadonsi di quelle sensazioni che solamente lì, con lui, poteva concedersi, in netto contrasto con la realtà che sovrastava tutti loro ogni singolo giorno.
Spesso, credeva di desiderare di più di quegli incontri fugaci, ma se paragonato a non averlo affatto, a non poterlo toccare... andava bene così.
Che lo amasse praticamente da sempre era solamente un dettaglio trascurabile.

Il cavallo di Levi, comunque, era davvero svanito e fu costretto a montare in sella su quello preso in prestito da Eren alla scuderia.
Più che altro, fu Eren a doversi tenere saldamente ai fianchi del Capitano, posando la testa sul mantello verde, cullato dal vento e dalla corsa leggera del quadrupede.
Levi non proferì parola, quella notte.
Prima di varcare le mura e prendersi un secondo di tempo per inventarsi una scusa credibile per la loro assenza, incolpando ovviamente Eren per quel disguido, portò una mano su quella del giovane e la strinse con forza.
Durò poco, ma fu sufficiente.
Mollò Eren di fronte all'ingresso dell'alloggio e senza guardarlo una volta di troppo -altrimenti non avrebbe resistito-, se ne andò.

 

* * * *

Tornato alla realtà a causa dell'intenso bussare alla sua porta, lo osservò per l'ultima volta. 
«Levi? Sei ancora chiuso lì dentro? Dobbiamo andare!»
Hanji Zoe era infine arrivata e le sue pratiche giacevano ancora sulla sua scrivania sporca.
Eren alzò lo sguardo alla finestra in quel momento, ancorandolo a quello di Levi.
«Sto arrivando, quattrocchi di merda. Lasciami respirare.»
 
FINE

Alright. Dunque, questa oneshot era in cantiere da mesi, ormai. Onestamente, pensavo non l'avrei più ripresa in mano e inizialmente l'idea era uscita molto molto più tragica, soprattutto per Eren. In verità, non scrivevo qualcosa da tempo. Ero bloccata e sono contenta di fare il mio esordio in questo fandom con questa storia che finalmente ha visto la luce.
Non so come mi sia uscita questa idea, ma è stato del tutto spontaneo. In verità, non so nemmeno dove collocarla a livello temporale, mi piaceva l'idea di raccontare un momento tra Eren e Levi, un momento extra, solamente dove esistono loro due. E così, eccoci qua.
Non so quanto sia venuta bene, ma non importa. Ciò che importa è essere riuscita a portare a termine un progetto, non potevo proprio non scrivere nulla su aot e su questa ship. E in generale, volevo riprendere a scrivere. Quindi, qualunque sia il risultato, va bene così. Detto questo, spero ovviamente possa piacervi, o cose del genere.
I pareri sono ben accetti.

Un abbraccio!

Wolstenholme
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: Wolstenholme