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Autore: Shoshin    25/08/2021    2 recensioni
Pezzetti di infanzia, di adolescenza, disordinati e caotici come la vita stessa.
Le promesse che vanno mantenute, che non vanno sottovalutate mai, che si mescolano in modo semplice o più solenne in mezzo al tempo che scorre.
{Missing Moments dell'infanzia di Sari e Oji e altri personaggi della serie Ticking Away}
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Misako Kurata, Nuovo Personaggio, Sana Kurata/Rossana Smith, Sari Hayama
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ticking Away'
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Chikau
誓う


I.


Gli era sempre piaciuta l'altalena in giardino e ultimamente la apprezzava ancora di più. Gli piaceva chiudere gli occhi e rilassarsi oscillando avanti e indietro, sentire il vento sulla faccia, i capelli scompigliati e non più sudati, le braccia che finalmente si rilassavano intorno alle corde, le gambe penzoloni. Quel peso che sentiva nella pancia diventava un po' più leggero mentre ciondolava piano.
Da un po' di tempo riusciva a toccare il terreno con i piedi. Era strano. Non doveva più chiedere aiuto a nessuno per salirci e quella conquista era coincisa però con una concentrazione maggiore a quel dondolio, per non inciampare e fermarsi.
Non doveva nemmeno più spingere via Sari. Lei sapeva, adesso, che al ritorno dagli allenamenti l'altalena era per lui. Quell'idea dei loro genitori di montarne solo una per far comprendere ai figli i turni e la condivisione si era tradotta in anni di litigi e urla, però in effetti ora avevano capito. Conoscevano i momenti preferiti l'uno dell'altra e li rispettavano. Ci avevano impegnato solo una decina di anni.
Aveva ancora gli occhi chiusi quando sentì qualcosa di appuntito colpirlo al centro della fronte. Staccò le mani dalle corde per portarle sulla faccia, perse l'equilibrio e dovette appoggiare entrambi i piedi per terra. Prima ancora di vedere i capelli rossi di sua sorella sentì la sua risata a un metro da lui, poi si guardò le mani che avevano afferrato l'arma che lei aveva usato per colpirlo. Fra le dita stringeva un aeroplanino di carta dalla punta letale, sicuramente gli aveva scavato un solco nella fronte.
«Ma sei scema?!» le disse, portando l'aeroplanino sotto al suo naso «Mi hai fatto il buco!»
«È solo carta!» strappò l'aeroplanino dalle mani del fratello, provando a risistemare le ali stropicciate.
«Una volta mi sono tagliato con la carta! Mi hai fatto il sangue?» Oji si sporse con la fronte verso di lei, sollevando i capelli.
«Non hai niente, nanerottolo.» lo allontanò con un colpo sulla fronte «Hai la testa così dura che lo hai rovinato.»
Sari si sedette per terra vicino a lui, tentando di riappiattire la punta dell’aeroplano, in silenzio. La vide stendersi alla fine, quando ebbe finito, lasciando lì accanto quella costruzione.
«Cosa vuoi da me, comunque?»
Oji allungò un piede verso di lei, a pungolarle ora un braccio, un fianco, la pancia. La sua espressione di stizza non fu sufficiente a farlo smettere. Si fermò solo quando fu lei stessa a bloccarlo, senza neanche troppo sforzo, rimettendosi seduta.
«Volevo vederti!» alzò le spalle, lasciando andare il suo polpaccio dalla stretta che stava usando «Ultimamente ti fermi sempre qui dopo essere tornato dalla palestra.»
Perché mi calmo. E la pancia fa meno male, dopo.
Oji voleva spiegarlo a Sari. Voleva capire se ci fossero parole giuste per dire a una come lei - e a suo padre anche - che andare in palestra lo rendeva nervoso. Che tutta quella calma e pazienza decantate sulla pratica del karate lui non l'aveva ancora trovate. Riusciva solo ad agitarsi e a spazientirsi ogni volta che veniva colpito e la botta faceva male per giorni, ricordandogli ogni volta, tutto il tempo, quanto fosse stupido continuare con quello sport che gli piaceva sempre meno. E tutti quei pensieri che diventavano un mal di pancia insistente ogni volta che tornava a casa dopo gli allenamenti.
«La mattina siamo a scuola, poi ci sono i club. In palestra ormai abbiamo giornate diverse...» Sari lasciò cadere la frase, e Oji pensò che fosse proprio in quelle parole il motivo per il quale era andata da lui «Praticamente ti vedo poco. Un po' mi manchi.»
«Hai cercato di uccidermi!»
«Era solo carta!» prese l'aeroplanino di nuovo in mano per sventolarlo davanti a lui. «Se volessi metterti ko non userei un aeroplanino, non credi?»
«Sari...»
Sospirò Oji, guardando gli occhi miele di sua sorella che lo fissavano, capaci di intimidirlo e rassicurarlo anche. Come papà.
«Non voglio più fare karate» le disse, senza pensarci troppo. Come se dirlo a lei in quel momento fosse una sorta di esercizio prima di dirlo a suo padre. Forse le parole giuste non esistevano, erano una stupidaggine. Se era sicuro di qualcosa non serviva fare preamboli inutili per renderla meno difficile agli altri. Doveva pensare prima a renderla facile a sé stesso, per attenuare quel mal di pancia fastidioso, e poi avrebbe potuto pensare alla reazione delle persone.
Sari continuò a guardarlo, rilassò un po’ le spalle. Aveva l’espressione un po’ più intristita rispetto a prima, ma non aveva dato di matto come invece temeva Oji.
«Lo avevo capito» disse soltanto «Lo ha capito anche papà.»
Sentì la paura cominciare a sbriciolarsi dentro di lui lentamente, lasciare spazio a un vuoto nella pancia dove prima sentiva solo un masso pesante del quale non riusciva a disfarsi.
«E perché non me ne avete parlato?» le chiese «Te lo ha detto papà di venire?»
Quell’idea si fece strada fra i suoi pensieri. Sari e la mamma, aveva notato, avevano quella strana mania di chiamare rinforzi quando bisognava dire o scoprire qualcosa. Suo padre non lo aveva mai fatto, ma poteva essere stato contagiato anche lui, da quanto ne sapeva.
«No! Sono venuta di testa mia! Fammi posto.»
Si alzò da terra e lo raggiunse sull’altalena. La seduta era troppo piccola per entrambi ma nessuno dei due se ne lamentò.
«Tu hai già preso la prima cintura nera. Io sono fermo a quella arancione da un sacco di tempo… dovrei avere la blu, adesso.»
«Perché a me piace, Oji.»
«A me no. Devo faticare, e sudare, e poi le prendo sempre.»
«Le prendi sempre perché non ti impegni!»
«Non mi impegno perché non mi piace!»
«Ho capito!»
La risata di entrambi riecheggiò nel giardino di casa, la tendina alla finestra della cucina si scostò e la faccia di Sana apparve oltre il vetro, prima sconcertata dal trovarli insieme sull’altalena e poi appagata dalle risa che aveva sentito.
Sari la salutò con la mano, prima che la tendina tornasse al suo posto.
«Se anche papà lo ha capito, perché mi ha fatto continuare?»
Se cominciare a parlare con sua sorella di quel cruccio serviva a sgretolare la preoccupazione che aveva sentito per tanto tempo, allora tanto valeva continuare.
«Lo sai come è fatto papà. Preferisce sia tu a parlargliene.»
E se davvero già se lo aspettava e gli occhi di sua sorella e suo padre erano uguali, Oji si trovò a sperare di non trovarci più delusione di quanta non ne avesse vista nello sguardo di Sari.
«Tu dovrai essere brava anche per me» le disse, guardando per terra. Pensò che se l'avesse guardata in quel momento avrebbe avuto la sensazione di trovarsi già davanti a suo padre e invece doveva proprio dirle quelle parole, strapparle quella promessa per riuscire a parlare con Akito con quel peso già più leggero.
«È questo che vuoi, nanerottolo?»
Oji annuì.
«Allora sarò brava per due!»
Continuarono a dondolare piano, lui che pensava al momento in cui lo avrebbe detto a suo padre, e Sari probabilmente sintonizzata su quegli stessi pensieri.
«Cosa farai adesso, dopo la scuola?» gli chiese e lo vide alzare le spalle.
«Qualcosa che mi piaccia, penso. Non lo so.» Spostò lo sguardo sull'aeroplanino di carta che Sari aveva ancora in mano. «Lo hai fatto tu, quello?»
Ora che lo guardava bene e da vicino, era asimmetrico e sbilenco. Per non parlare della punta acuminata e mortale.
«No, lo ha fatto Tatsui. Voleva buttarlo. L'ho preso io perché a me piaceva.» Sari cominciò a ridere e Oji non capì il motivo finché lei non riuscì a parlare di nuovo per giustificare quelle piccole risa «Non vola, guarda!»
Sistemò un'ultima volta la punta e lo lanciò con un colpo deciso nell'aria davanti a loro. Quello sembrò prendere quota velocissimo, prima di bloccarsi all'improvviso come se avesse trovato un muro invisibile nella sua traiettoria e poi precipitare in picchiata.
Cominciò a ridere anche lui, capendo le risate di Sari. Scese dall'altalena per recuperare l'aereo e lanciarlo di nuovo solo per vederlo sfracellarsi al suolo un'altra volta. Poi toccò ancora a Sari, che rise ancor prima di lanciarlo, guardando Oji che si copriva la fronte con le mani.
Turni e condivisione. Ci avevano impiegato solo una decina di anni.




Eccoci qui!
Questa è la prima pubblicazione di boh. Non sappiamo quante storie comporranno questa raccolta. Ma possiamo provare a spiegare perché nasce.
Abbiamo scritto innumerevoli momenti della storia di questi personaggi. Nei nostri profili singoli, e anche in questo. Ogni nostra pubblicazione, per noi, è un headcanon di Kodocha e del futuro di questi protagonisti. Quello che si potrà leggere in queste shot saranno piccoli episodi dell’infanzia di Sari e Oji, i figli di Sana e Akito (precisiamo che Oji è un personaggio inventato da noi, perché Akito doveva essere definitivamente redento dai fatti di Deep Clear comportandosi decentemente davanti a una seconda gravidanza di Sana).
Questi momenti possono essere letti in modo scollegato da tutto il resto, ma chi ha sempre letto quanto abbiamo pubblicato, noterà - adesso o più avanti - dei piccoli riferimenti ad altre storie e altre situazioni!
Volevamo far conoscere meglio soprattutto Oji. Noi, di lui, sappiamo già moltissimo, ma volevamo capire un po’ che tipo di bambino fosse stato. Perché in TOL il riflettore è acceso su Sari quindi ci era rimasto qualche interrogativo su di lui, che abbiamo voluto condividere.
In questa prima shot, Oji pensa di lasciare il karate. Non si sente portato per questo sport, non lo ama come invece lo ama suo padre o sua sorella. Nella linea temporale che abbiamo idealmente tracciato per questi personaggi, Oji dovrebbe avere circa 9/10 anni, Sari 13/14.
C’è un filo sottilissimo che legherà queste storie, ed è la parola che dà il titolo alla raccolta.
Chikau è una parola giapponese che tradotta in italiano significa “promessa, giuramento”. E in ogni pubblicazione ci sarà un richiamo, grande o piccolo, a questo impegno.
Speriamo che abbiate trovato piacevole la lettura e l’idea di questa raccolta!
Un saluto a tutti!
Shoshin




   
 
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