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Autore: evelyn80    25/08/2021    1 recensioni
L'estate è tempo di vacanza per antonomasia, e anche i Chicago non perdono l'occasione per godersi le tipiche location vacanziere: mare, montagna, città d'arte e campagna. Una raccolta di quattro capitoli in cui ne vedremo delle belle!
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Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Make me smile'
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Carissima Venezia

 



 

Prompt: taxi

 

Location: città

 

 

Quando Jack Goudie disse ai Chicago che potevano godersi un giorno libero prima di spostarsi in Germania dopo la data di Verona, loro non si fecero certo pregare: corsero in stazione e comprarono un biglietto per il primo treno per Venezia. *1)
Una volta usciti dal terminal la prima cosa che li colpì fu la vista del Canal Grande che si snodava davanti a loro, ingombro di imbarcazioni di ogni genere: dalle piccole ed eleganti gondole ai goffi e rumorosi vaporetti. Rimasero a fissare quel traffico caotico ma allo stesso tempo organizzato per alcuni minuti, le bocche atteggiate in una “O” di stupore, prima di riscuotersi dalla loro contemplazione mistica.
«Allora, dove andiamo?», chiese James, la piantina della città dispiegata davanti al viso.
Tutti gli altri si strinsero attorno a lui.
«Io direi di andare subito in Piazza San Marco», disse Peter, indicando col dito il punto sulla carta. «Non si può venire qui senza visitarla».
«Ma è dalla parte opposta della città!», si lamentò Terry, che già ansimava per la fatica di doversi portar dietro tutta la sua considerevole mole. «Io non ci arriverò mai, a piedi!».
«A parte il fatto che ti farebbe bene smaltire tutta quella molenda che ti sei sbafato ieri sera...», cominciò Lee.
«Polenta, non molenda», lo corresse Danny, fiero del suo italiano, beccandosi un'occhiataccia da parte del trombettista. *2)
«Quello che è... Comunque, stavo dicendo che non è necessario andarci a piedi. Possiamo sempre prendere un taxi, no?».
Terry si guardò teatralmente attorno. «Un taxi? E come? Non vedi che non ci sono strade, qui? Secondo te come fa una macchina a galleggiare sull'acqua?».
Lee si sbatté una mano sulla faccia. «Il canale è la strada, idiota! Non vedi che le barche circolano come se fossero automobili? Guarda», aggiunse, indicando un piccolo e veloce motoscafo che stava attraccando al molo proprio di fronte a loro, «quello è un taxi!».
Il chitarrista fissò l'imbarcazione, che in effetti portava la scritta “taxi” in giallo appiccicata sul vetro della cabina passeggeri, ed emise un lungo sospiro di comprensione.
«Ahhhhhhhhhhhhhh, ora ho capito».
Tutti d'accordo, i ragazzi si diressero verso il motoscafo il cui proprietario, non appena li vide arrivare, si sfregò le mani per la soddisfazione: otto polli da spennare non erano mica roba da poco!
«Buongiorno ragazzi! Dove vi porto di bello?», chiese in italiano con un sorriso smagliante.
In sette si guardarono l'un l'altro, incerti, perché non avevano capito niente di ciò che il tassista aveva detto.
«Ci penso io», disse Danny, facendosi avanti e mettendosi a parlare nel suo buffo italiano, spesso inframmezzato da espressioni dialettali siciliane e qualche bestemmia vagante.
La trattativa andò avanti a lungo. Il tassista proponeva un giro completo della città, con tanto di sosta alle isole di Murano, Burano e Torcello, visita guidata a una fabbrica del vetro, visita guidata a un laboratorio artigianale di ricamo, sosta in uno dei migliori ristoranti per il pranzo e passeggiata in Piazza San Marco con annessa foto ricordo con i piccioni, il tutto alla modica cifra di 500.000 lire. Danny, invece, controbatteva con un semplice tragitto fino a Piazza San Marco con eventuale ritorno a piedi. *3)
«Si può sapere cosa vi state dicendo?!», sbottò ad un tratto Robert, stanco di sentire quel botta e risposta in sicilian-veneziano.
Il batterista spiegò cosa stava proponendo il tassista e Terry subito si illuminò.
«Sì, io voglio andare a vedere il laboratorio di ricamo! E poi voglio andare a mangiare nel miglior ristorante di Venezia!». *4)
«E ti pareva...», borbottò Lee incrociando le braccia sul petto.
«Anche a me piacerebbe andare a vedere la fabbrica del vetro», aggiunse Laudir, che fino a quel momento non aveva spiccicato una parola.
«Siete sicuri che riusciremo a vedere tutto in un giorno? Torcello è lontanissima», commentò James, girando la piantina della città su se stessa nel tentativo di calcolare le distanze.
Danny tradusse la domanda di James al tassista che annuì di rimando: per 500.000 lire avrebbe corso anche la ventiquattr'ore di Le Mans in metà tempo.
I ragazzi si consultarono tra di loro.
«500.000 lire sono tante, fratelli. Io con me ho solo pochi spiccioli», disse Danny, spulciando il proprio portafogli.
«Quant'è in dollari?», chiese Robert, controllando le proprie banconote.
James tirò fuori dal suo borsello una piccola calcolatrice tascabile e si mise a fare i calcoli.
«E da quando in qua tu te ne vai in giro con la calcolatrice in tasca?», gli chiese Walter, fissando l'amico con le sopracciglia aggrottate.
«Da sempre. Sono un tipo previdente, io!», replicò il trombonista. «Sono circa 566 dollari, spicciolo più spicciolo meno». *5)
Di solito, quando viaggiavano in tour era sempre Jack a tenere la cassa, e i ragazzi avevano solo poche banconote nei portafogli. Mettendo insieme tutto ciò che avevano arrivarono a poco meno di 350 dollari, quindi Danny diede il via alla seconda trattativa, stavolta dettata dall'ammontare di denaro. Per quella cifra, il tassista proponeva la sosta al ristorante e in Piazza San Marco, ma niente isole. Il batterista controbatteva con Murano e Burano, per accontentare Terry e Laudir, e la visita di Piazza San Marco senza foto con i piccioni.
Alla fine Danny la spuntò: lui e il tassista si strinsero la mano per suggellare il loro accordo, le banconote passarono di mano e sparirono rapidamente in una saccoccia, i ragazzi salirono a bordo del taxi e la visita di Venezia poté avere inizio.

 


Ovviamente il tassista, per quella cifra così risicata, non si sognò neanche lontanamente di far percorrere il Canal Grande a quegli otto squattrinati, e diresse il motoscafo verso il più ampio Canale della Giudecca, da dove i ragazzi poterono ammirare solo la Chiesa del Redentore e la Chiesa di San Giorgio, per poi puntare dritto a tutta velocità verso l'isola di Murano. Quando vi arrivarono, i Chicago avevano tutti lo stomaco scombussolato per lo sciabordio dell'imbarcazione. Il tassista li fece scendere al molo principale dell'isola e diede loro delle sommarie indicazioni per raggiungere la più vicina fabbrica del vetro.
Dopo aver assistito alla realizzazione di un piccolo vaso in vetro soffiato, cosa che li affascinò tutti, i ragazzi si ritrovarono in un negozietto pieno zeppo di fragilissimi souvenir sistemati su eleganti scaffali. Subito Lee afferrò Terry per un braccio e lo bloccò.
«Per l'amor del cielo, muoviti piano e con attenzione. Se per disgrazia fai cadere qualcosa ci toccherà lavare i pavimenti per tutto il resto della nostra vita, visto quanto costa questa roba!».
Il chitarrista lo guardò offeso. «Ehi, ma per chi mi hai preso?».
«Per ciò che sei: un elefante in un negozio di cristallerie!».
Terry sbuffò ma si mosse più piano che poté, trattenendo persino il respiro, per riuscire a lasciare il negozio senza sfiorare nemmeno uno scaffale con la sua pancia prominente.
Di nuovo fuori, i ragazzi raggiunsero il taxi: la seconda tappa prevista era l'isola di Burano e i suoi merletti. Ma non appena partiti James, cartina alla mano, si rese subito conto che il motoscafo stava andando dalla parte sbagliata.
«Ehi, stiamo andando verso il centro, non verso Burano!», esclamò rivolto al tassista, indicando col dito e sbatacchiandogli la mappa dritta in faccia. Il conducente non capì, o finse di non capire, così Danny fu costretto a intervenire.
«Sta dicendo che a Murano ci abbiamo messo troppo, e che per i soldi che gli abbiamo dato non può sprecare altro tempo per portarci fino a Burano», spiegò agli altri.
«Ma cos'è, un vampiro? Gli abbiamo dato 350 dollari! Cosa vuole, il nostro sangue?», sbottò Robert, incrociando le braccia sul petto.
Anche Terry si fece avanti, puntandosi i pugni sui fianchi.
«Ehi, amico! Io voglio vedere i merletti!», grugnì col suo vocione da baritono, fissando il tassista con sguardo truce. L'uomo sembrò comprendere improvvisamente l'inglese e, seppure a malincuore, fece inversione a U e diresse verso l'isola in questione.
I ragazzi si divertirono un sacco a gironzolare per le piccole stradine dell'isola, soprattutto nel guardare Terry che lanciava gridolini estasiati alla vista dei complicatissimi ricami ad ago esposti fuori dalle porte dei piccoli negozietti. Ad un tratto si fermò persino a osservare una vecchina che ricamava alacremente un leone di San Marco, chinandosi sul merletto per osservare attentamente i suoi movimenti. La donnina non si scompose alla sua presenza e continuò a lavorare imperterrita in silenzio. Il chitarrista sarebbe rimasto lì per ore se il tassista non fosse corso a richiamarli: avevano già perso quasi un'ora e dovevano tornare a Piazza San Marco per la loro ultima tappa.

 


Giunti infine al loro capolinea, dopo che il tassista si fu dileguato, gli otto ragazzi si incamminarono col naso all'insù per ammirare l'imponenza del campanile di San Marco e la maestosità della basilica con i suoi cavalli di bronzo sulla facciata. L'enorme piazza, affollata di turisti, li accolse con i suoi caffè e i suoi piccioni, che svolazzarono attorno a loro scompigliandogli i capelli. Peter si portò subito le mani al caschetto per mantenere la perfezione della sua messa in piega, facendo sghignazzare tutti gli altri.
Fatti pochi passi, furono avvicinati da un venditore di granturco. Per 200 lire avrebbero potuto comprare un sacchettino di mangime per fare la classica foto con i piccioni di Venezia. Terry e Danny si lanciarono un'occhiata d'intesa e, frugatisi a lungo nelle tasche alla ricerca degli ultimi spiccioli, coinvolgendo anche Laudir e Walter, riuscirono ad acquistare una confezione di mais.
Con nonchalance Terry si avvicinò a Peter, intento a fotografare con la sua Polaroid la facciata della basilica, e gli depose qualche chicco di granturco sulla testa. I piccioni, che erano sempre all'erta, seguirono attentamente le sue mosse e non appena videro i grani sulla testa dell'uomo biondo si precipitarono a decine su di lui, contendendosi il mangime e beccando inesorabilmente i capelli di Peter.
Il bassista iniziò a urlare come un ossesso, agitando le braccia e le mani per scacciare gli uccelli al punto da lasciarsi sfuggire di mano la macchina fotografica. Terry gli lanciò contro un'altra manciata di mais e altri piccioni andarono ad aggiungersi ai primi, trasformando Peter in una sorta di trespolo umano strillante.
«Certo che sei proprio uno stronzo!», esclamò Robert, tenendosi la pancia per il gran ridere alla vista dell'amico che correva a destra e a sinistra per la piazza inseguito da uno stormo di piccioni.
«Già!», concordò Lee, le braccia incrociate. «Ma almeno stavolta non sono stato io a essere preso di mira».
«Che c'è, sei geloso per caso, buco del culo?», ghignò Terry. *6)
Il trombettista non fece in tempo a negare che già una manciata di mais, seguita da un altro stormo di piccioni, gli finì dritto in faccia.
«Ti odio, Terrence!», gridò mettendosi a correre pure lui, mentre gli altri sei scoppiavano a ridere come matti.
Placato il trambusto e la fame dei piccioni, i ragazzi decisero che era ora di raggiungere la stazione per riprendere il treno e tornare a Verona. Ovviamente non avevano più il becco di un quattrino, così furono costretti a farsela a piedi da Piazza San Marco e non poterono nemmeno fermarsi a mangiare un boccone, con gran disappunto di Terry che, fatti pochi passi al seguito di James che li guidava con la cartina alla mano, iniziò a lamentarsi per la fame e l'inevitabile calo di zuccheri.
«Uffa, ma quanto manca ancora?», chiese il chitarrista con tono lamentoso.
James si fermò e gli indicò il punto in cui si trovavano sulla mappa, poche decine di metri fuori da Piazza San Marco.
«Siamo appena partiti. Ti conviene chiudere il becco e risparmiare il fiato per camminare».
Si rimisero in marcia in fila indiana, il trombonista in testa seguito da Walter che, essendo il più alto di tutti, riusciva a vedere per primo i cartelli di indicazione per la stazione. Seguivano Robert, Laudir, Danny e Terry. Per ultimi, scostati dagli altri, Lee e Peter, coperti di cacche di piccione, camminavano fianco a fianco borbottando tra loro bestemmie e minacce nei confronti del chitarrista.
La passeggiata fu molto lunga, e l'unico punto che destò il loro interesse fu l'attraversamento del Ponte di Rialto: si fermarono sulla sua sommità a contemplare il traffico di imbarcazioni che scorreva sotto di loro, un mormorio di ammirazione che gli sfuggiva dalle labbra.
«Certo che Venezia è proprio una città romantica, vero?», sospirò James una volta raggiunta di nuovo la stazione.
«E anche carissima», sbottò Danny. «Non so se ci avete fatto caso, ma pure per andare ai cessi pubblici bisognava pagare!».
«Avresti potuto pisciare alle gambe di Lee», ridacchiò Terry. «Tanto, escremento più escremento meno...».
Il trombettista sibilò qualcosa di incomprensibile, coperto dalle risate degli altri. Ma quando entrarono nella stazione e fecero per salire sul treno, il controllore li fermò.
«Dove credete di andare?».
«A Verona», rispose Danny, biascicando il suo italiano.
«Allora dovete comprare il biglietto. Quello che avete è di sola andata».
«Fratelli, mi sa che siamo nella merda», mormorò il batterista non appena l'uomo si fu allontanato, spiegando cos'era successo.
«Cazzo, e ora che si fa?», chiese Walter, preoccupato.
«Dobbiamo andare a un telefono pubblico, chiamare il nostro albergo e farci mandare qualcuno a prenderci», rispose James alzando le spalle.
«Chi di voi ha una monetina?», chiese Robert.
Gli altri scossero la testa.
«Le uniche che avevo le ho date a Terry per comprare il granturco», disse il sassofonista, imitato da Laudir.
«E allora, come ce ne procuriamo qualcuna?», chiese Peter, che moriva dalla voglia di farsi una doccia.
«Io un'idea ce l'avrei...», ghignò Terry.
Bastò che bassista e trombettista si mettessero seduti in un angolo della stazione tendendo la mano: erano talmente sporchi e malmessi che non fu difficile per loro farsi passare per due senzatetto, e il cuore generoso degli italiani fece il resto.

 

 

Spazio autrice:


Benvenuti al terzo capitolo della raccolta partecipante alla mia stessa sfida. Questa volta la location era la città e il prompt, suggerito da Kim WinterNight, era TAXI. E per quanto sembri facile, all'inizio non avevo proprio idea di come utilizzarlo. Poi mi sono ricordata che, per riallacciarmi alla “Real Life Challenge”, quando i miei genitori andarono a Venezia durante il loro viaggio di nozze, furono (come i Chicago) presi in consegna da un tassista che fece fare loro il giro panoramico della città, li portò alle isole di Murano, Burano e Torcello, alla fabbrica del vetro e perfino indicò loro un ristorante in cui mangiare, e ovviamente furono spennati vivi perché Venezia è da sempre una città molto cara anche se bellissima, lo devo ammettere. Qualche anno fa ho avuto l'occasione di girarne una buona parte a piedi e ho visto monumenti stupendi. Anche il fatto che i bagni pubblici siano a pagamento è vero (quanto meno al giorno d'oggi: due euro per una pipì XD) e un tempo (ora non più) in Piazza San Marco si trovavano proprio i venditori di granturco per richiamare i piccioni e farsi la foto con loro (ebbene sì, da piccola l'ho fatta pure io, anche se per fortuna mi sono scampata le cacche).
Questa volta, invece di inserire come banner una foto del gruppo, ho deciso di usare una creazione molto fantasiosa che ho trovato su Pinterest, che rappresenta il centro storico di Venezia con il corso del Canal Grande modificato per formare il logo della band.
Il titolo invece, ha una doppia interpretazione, che credo siano comprensibilissime XD.
Tanto per la cronaca, questa shot è ambientata l'1 settembre 1977. Il giorno prima i Chicago hanno tenuto un concerto all'Arena di Verona, e il successivo in Germania si terrà il 3 settembre, quindi li ho immaginati alle prese con un giorno di riposo. Ed è per questo che, stavolta, compare anche Laudir: a quell'epoca era membro ufficiale della band.
Vi ricordo inoltre di andare a dare un'occhiata alle storie di Kim WinterNight e Soul Dolmayan che partecipano a questa sfida!
Vi lascio ora alle note numerate per aiutare la giudice della Challenge.
*1) Jack Goudie, cognato di Walter Parazaider, era il manager della band durante i tour. Come già detto sopra, il 31 agosto 1977 la band tenne un concerto all'Arena di Verona.
*2) In questo periodo della sua vita, pochi mesi prima di morire, Terry aveva raggiunto il ragguardevole peso di 136 Kg. Era consapevole di dover dimagrire, ma gli piaceva troppo mangiare. Danny ha origini italiane, che io ho ipotizzato siciliane in quanto sua nonna lo chiamava “Dannuzzo”.
*3) 500.000 lire nel 1977 era una cifra enorme, corrispondente a circa 2.000 euro attuali (ho fatto il calcolo qui: https://www.infodata.ilsole24ore.com/2016/05/17/calcola-potere-dacquisto-lire-ed-euro-dal-1860-2015/?refresh_ce=1).
*4) In una delle mie story line ricorrenti (chiamata “Uncinetto!AU”), Terry ha una grandissima passione per l'uncinetto e il ricamo, che poi diventerà il suo hobby abituale in vecchiaia (quella vecchiaia che non vivrà mai, purtroppo).
*5) Secondo la mia story line James è un tipo preciso, che porta sempre con sé nel suo borsello un quadernino su cui annota tutto. È quindi logico che possa avere con sé anche una calcolatrice. Il cambio lire/dollari riportato nel testo è reale, in quanto sono andata a cercarmi quanto valeva il dollaro rispetto alla lira in quel periodo.
*6) “Buco del culo” è un soprannome che ho coniato io per Lee, facendolo pronunciare a Terry, perché il trombettista insieme a Walter e James (la sezione fiati) si erano rinominati “Hole in the Ass Gang”.

  
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