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Autore: Batckas    25/08/2021    1 recensioni
Michele va dai suoceri, ma non si trova particolarmente bene.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ci sono alcune cose che non sopporto proprio, una di queste è andare a trovare i suoceri. Questo penso mentre sono in viaggio… per andare a trovare i miei suoceri. Li definisco così, ma non sono sposato, sto con la mia ragazza da cinque anni e, almeno sette giorni nei dodici mesi, sono costretto a passarli a casa sua. Già solo il viaggio è una vera rottura. Devo fare due cambi di treno, in tutto impiego sette ore e mezza per arrivare. Il mio umore non è dei migliori. Se fosse per me, non andrei, ma la mia ragazza, Rebecca, si infurierebbe. Litigare è il passatempo che schifo di più, quindi faccio quello che devo. 
Mancano ancora tre ore. 
Pensare che la parte del viaggio è quella che mi piace di più… 
I genitori di Rebecca e io siamo incompatibili, non riesco ad andare d’accordo con nessuno dei due, mi limiterò a sopravvivere, vado lì per Rebecca, non per loro.
Sono finalmente arrivato alla stazione, Rebecca mi ha inviato un messaggio dicendomi che sarebbe venuta a prendermi con il padre. La vedo che mi raggiunge, è vestita con una gonna e una maglietta bianca: è bellissima. La stringo forte a me e la bacio. Usciamo dalla stazione. 
“Qualche argomento che non devo trattare con tuo padre?”, domando con fare polemico. Rebecca mi guarda di sbieco, sa che sto scherzando, ma le dà comunque fastidio. 
“I soliti. Semplicemente non dirgli che scopiamo.” 
“Peccato, era la prima cosa che volevo raccontargli.” 
Mi spintona con una gomitata, arriviamo dal padre, Maurizio, che mi saluta con una vigorosa stretta di mano con il fare di chi vuole testare la forza fisica dell’altro. Mi stritola le mani e mi dà una pacca sulla spalla talmente forte che, spinto dal peso della valigia, rischio anche di cadere. Mi riprendo senza dar nulla a vedere e guardo Rebecca. Quell’atteggiamento del padre dà fastidio anche a lei, ma non dirà niente. 
Saliamo in auto e andiamo a casa.
I genitori di Rebecca vivono fuori città, immersi nella campagna. Scendo dall’auto e, per grazia di Dio, vedo gli unici miei alleati in quel posto: due gatti e un cane ormai anziano. Non sono di Maurizio e Paola, la madre, ma randagi che gironzolano da quelle parti. I genitori di Rebecca non sono proprio degli amanti degli animali, ma li lasciano stare. Altro discorso, invece, è per le papere, che Maurizio cura forse con anche più attenzione di quanto dedichi alle figlie. 
Paola esce fuori per salutarmi, ci scambiamo dei baci sulle guance e qualche convenevole. Entro in casa. Rebecca ha due sorelle: Antonia e Maria. 
Antonia è la più grande, quest’anno ha cominciato a lavorare e si comporta come se fosse la prima donna sul pianeta ad avere un’occupazione. Mi sta antipatica ma, siccome per un anno ha convissuto con Rebecca, ho imparato come prenderla per evitare conflitti. 
Maria, invece, la sorella più piccola, non solo è simpatica, ma anche dannatamente intelligente. Ha sedici anni, adora giocare ai giochi da tavolo e, solitamente, sono l’unico entusiasta quanto lei. 
“Ho un nuovo gioco da provare!”, mi dice con complicità. 
“Con me non vuoi mai giocare!”, protesta Rebecca dandole un buffetto. 
“Con Michele è più divertente.” 
Faccio il gradasso, alzo le spalle. 
“Sono più simpatico di te, che ci posso fare.” 
Ormai è sera ed è ora di cena. 
“Allora, mangiamo?”, chiede Maurizio quasi urlando. 
“È tutto pronto.”, risponde prontamente Paola. 
“Posa pure qui la valigia.”, mi dice Rebecca. 
Faccio quanto mi viene ordinato e mi siedo a tavola. Almeno Paola cucina bene.
“Allora, Michele, hai iniziato a lavorare anche tu, non è vero? Di che ti occupi?”, domanda Maurizio. 
“Sono programmatore a Roma.” 
“Ah, e che cosa fai?” 
“Lavoro con un gruppo di persone. I clienti richiedono all’azienda un tipo di software e noi proviamo a soddisfare le loro richieste. Credo di lavorare lì un anno, poi vorrei cambiare.” 
“Per fare cosa?”, interviene Paola. 
“Sempre il programmatore, ma vorrei specializzarmi nei videogiochi.” 
Maurizio palesa il suo disprezzo per la mia scelta assumendo l’espressione di chi ha davanti un pezzo di merda. Si versa nel vino, prodotto da lui, e lo sorseggia lentamente. 
“Ma non farò mosse azzardate, vedo un po’ come si mettono le cose.”, aggiungo rapidamente. 
“Farai meglio.”, dice Maurizio. “Già Rebecca non combinerà un cazzo, qualcuno deve portare i soldi a casa e io non ci penso proprio a mantenervi.” 
Mi bruciano le guance, vorrei picchiarlo. Io posso sopportare, ma non oso immaginare come debba sentirsi Rebecca in questo momento. 
“Con gli studi che sta facendo, troverà lavoro in pochissimo tempo.”, dico io cercando di sollevarle il morale, ma senza ovviamente riuscirci. È ferita, ma non lo dà a vedere.
“Per ora penso a studiare.”, evade la discussione. 
Le guardo gli occhi tristi mentre Maurizio inizia a parlare di gente che non conosco che fa lavori migliori del mio. Mi farebbe quel discorso anche se guadagnassi miliardi al mese. Voglio soltanto alzarmi dalla tavola e andarmene, fare a Rebecca le coccole, ma ovviamente è proibito. In quella casa non ci si alza da tavola se non è Maurizio ad alzarsi per primo. Infatti non appena il porco alza il sedere dalla sedia, tutti noi siamo liberi. Paola lava i piatti, Maria prende il gioco, Antonia sta col cellulare, io esco fuori per dare qualche avanzo ai gatti e al cane, invito Rebecca a seguirmi. 
Usciamo fuori. L’aria è piacevole, ormai è notte, possiamo vedere bene le stelle perché non c’è alcun tipo di fonte luminosa. 
“Non ascoltarlo.”, dico a bassa voce e a denti stretti. 
“Ha ragione.” 
“No. La tua è una scelta giusta, persevera.”
Rebecca si guarda attorno un istante per assicurarsi che siamo fuori dal cono visivo di chiunque e mi dà un rapido abbraccio. I gatti si radunano ai miei piedi, gli do qualcosa, poi mentre sono impegnati a mangiare mi sposto al cane e gli metto vicino ciò che avanza. Quello scodinzola un po’ e si prende le mie coccole, poi inizia a mangiare. 
“Quanto è bello.”, dico. 
“Hai fatto più coccole a lui che a me.”, si lamenta Rebecca facendo la melodrammatica. 
“Potrò rimediare?”, ammicco. 
“Mah, non so se saremo liberi.”
“Sta storia che non possiamo manco stare abbracciati mi ha già rotto.” 
“Anche a me, ma lo sai come farebbe mio padre. Non voglio rovini questi giorni.”
Anche se ormai adulti e con una relazione stabile, io e Rebecca, per i suoi genitori, non dovremmo scambiarci nessuna effusione. Non possiamo fare un viaggio insieme se non prendiamo stanze separate e non possiamo nemmeno permetterci solo di pensare di poter andare a convivere. Posso solo sopportare questa condizione. 
“Andiamo a giocare con Maria.”, dico avviandomi all’ingresso. 
Ovviamente non possiamo giocare perché Maurizio deve vedere la televisione, o meglio, addormentarsi davanti alla televisione. Restiamo in salotto a vedere il telegiornale, ho talmente sonno che mi si chiudono gli occhi, ma la notte è probabilmente l’unico momento in cui posso stare sereno con Rebecca senza la guardia costante dei suoi genitori, quindi voglio approfittarne. So che di sesso non se ne parla, dobbiamo avere un miracolo per poter solo pensare di appartarci da qualche parte. Trascorrono venti minuti, Maurizio e Paola salgono di sopra per dormire. Finalmente possiamo giocare con Maria. Invitiamo anche Antonia, ma non vuole partecipare. 
Giochiamo fino alle quattro di notte. Ci divertiamo molto. Il sonno mi ha raggiunto, devo dormire. Gli occhi stanchi di Rebecca mi fanno capire che anche lei vuole andare a letto. Diamo la buonanotte alle sorelle e saliamo di sopra dove si trovano le tre camere da letto: una dei genitori, una dove dorme lei e l’ultima, di solito occupata da Maria e Antonia, che è stata lasciata a me per quei giorni. 
Do il bacio della buonanotte a Rebecca e vado in camera. 
Indosso il pigiama e penso che è trascorso il primo giorno, mi corico sul letto e mi addormento nel giro di pochi secondi. 
Il mattino sono svegliato dalle urla di Maurizio che dal piano inferiore sta chiamando Rebecca. Immagino già il nervosismo di Rebecca. La trovo nel corridoio. 
“Che c’è papà! Michele sta dormendo!”, lo rimprovera. 
“Devi andare a fare la spesa.”, continua Maurizio. 
“Non può andarci qualcun altro?”, chiede Rebecca con tono di voce stridulo, un classico quando è molto nervosa. 
“No, ci vai tu.”, tuona il padre. 
Accarezzo la spalla di Rebecca. 
“Dai, digli di sì, il tempo che ci prepariamo e andiamo.”, dico con voce assonata. Rebecca sospira rumorosamente e ripete le mie parole a Maurizio. 
Ci prepariamo e andiamo a fare la spesa. Ogni prodotto che compriamo deve essere prima autorizzato da Maurizio. La spesa sembra non finire mai, sono nervoso e mi dà fastidio la compiacenza con cui Rebecca tratta il padre. Posso capire che è il genitore, ma c’è un limite. Decido di non sollevare la questione per evitare drammi e litigate. 
Torniamo a casa e mettiamo in ordine la spesa. 
“Ma che hai comprato? Ma che cazzo ti devo mettere una badante a fianco, manco la spesa sai fare!”, sbraita Maurizio. 
“Quelle che volevi tu non c’erano!”, protesta Rebecca. 
“Ma sei proprio cretina, andavi da un’altra parte a comprarlo.”
“Dovevo girarmi tutta la città? Sei fuori, la prossima volta vai tu a fare la spesa.” 
“Hai ventiquattro anni e manco la spesa posso farti fare da sola.”, grida. 
Anche Rebecca risponde urlando.
“Era anche in offerta, perciò lo abbiamo preso.”, intervengo. So che Maurizio ci tiene a risparmiare su qualsiasi cosa che non lo riguardi direttamente. 
Lo stronzo brontola qualcosa e se ne va. 
C’è tensione in casa. Paola non sa cosa dire, vorrebbe sdrammatizzare, ma non ne è capace, non che ce ne sia bisogno, non è la prima volta che Maurizio si comporta in quel modo. Rebecca va fuori, la seguo, facciamo un giro per i campi, si sfoga con me, piange un po’, la abbraccio e consolo come meglio posso. Non dico nulla contro il padre, tengo per me le mie considerazioni. Se ci sarà una seconda occasione non starò in silenzio. Non me ne frega niente che è il papà. 
Il pranzo è di una noia mortale, Antonia e Maurizio parlano di cazzi loro che non interessano a nessuno e lo fanno con un tono di voce così alto che qualsiasi altra conversazione diventa impossibile. Quella sera io e Rebecca decidiamo di uscire, accompagniamo anche Maria che si vede con le amiche. 
Andiamo in un pub per mangiare. Sono felice finalmente di poter baciare la mia fidanzata senza dover sentire gli occhi di Maurizio addosso. 
La serata procede tranquillamente, Rebecca mi sembra molto più serena del pomeriggio, il cibo è buono, l’atmosfera piacevole, un venticello fresco adorna perfettamente la cena. Abbiamo appuntamento a mezzanotte con Maria. Guida Rebecca, io ho la patente, ma non porto l’auto. Raggiungiamo la macchina, ci sediamo per aspettare Maria. Chiacchieriamo come siamo soliti fare, di tutto senza remore. 
“Ti amo.”, dico interrompendola. 
Lei sorride. 
“Ti amo anche io.”, risponde in imbarazzo come se fosse la prima volta che glielo dico, io mi innamoro di nuovo e la bacio. Cinque minuti dopo Maria bussa al finestrino. Torniamo a casa. 
Maurizio e Paola sono già a letto. 
Il mattino seguente, non si sa per quale miracolo, Maurizio e Paola non ci sono. Antonia anche è uscita, Maria dorme di sotto. 
Rebecca si intrufola nella mia stanza e mi bacia delicatamente, ma con malizia. 
“Dici che è sicuro?”, chiedo, eccitatissimo. 
“Sì…” 
Rebecca sa come prendermi, nel giro di pochi secondi ho un’erezione e voglio soltanto fare l’amore con lei. È irresistibile. Lo facciamo sul mio letto cercando di fare meno rumore possibile. Quando abbiamo finito, Maria non si è ancora svegliata e nessuno è tornato. Ne approfittiamo per farci le coccole. 
Udiamo un’auto e subito ci mettiamo sull’attenti e scendiamo di sotto fingendoci indaffarati in qualcosa. Rebecca mi prende in disparte, con urgenza. 
“Dove hai buttato il preservativo?”
“In una busta che ho portato.” 
“È nascosto?” 
“Sì, non preoccuparti.” 
La mattinata scorre tranquillamente. 
Dopo pranzo io e Rebecca ci mettiamo sul divano e, senza neanche accorgercene, ci addormentiamo. 
Riapro gli occhi, Rebecca non c’è, mi alzo e la cerco, sento delle voci provenire da fuori, mi avvicino, Maurizio sta urlando. 
“Dormite insieme? Dio! Vorrei morire ora, guarda.” 
“Ci siamo solo addormentati vicini!” 
“Sì, ma significa che lo fate altre volte!”, è la voce di Paola. 
Vorrei picchiarli entrambi. Sto per uscire, ma Rebecca rientra. Cerco di afferrarle il braccio, ma mi respinge, sta piangendo. 
Entrano anche Paola e Maurizio che mi guardano e non dicono niente. Vado di sopra da Rebecca che mi racconta quello che è successo: ci hanno visti dormire sul divano e hanno accusato Rebecca di essere una poco di buono, di aver tradito la loro fiducia e altri discorsi pazzoidi. 
Sono arrabbiato, ma Rebecca si dispiace. La abbraccio e contengo la rabbia. 
Cala la sera, io e Rebecca scendiamo per aiutare a preparare la cena, esco fuori un attimo per accarezzare i gatti, Maurizio mi segue.
“Ti piacciono proprio, eh, perché non te li porti a casa?”, attira a sé un gatto fingendo di dargli da mangiare e lo colpisce con un calcio. Lo guardo negli occhi. 
Lo stronzo sta ridendo. 
Non so cosa fare. Vorrei gridargli contro e picchiarlo. Quasi sicuramente le prenderei anche di santa ragione. Il gatto scappa veloce. Perché diavolo lo ha fatto? Quanto è malato? Voglio andarmene da lì e portare Rebecca con me. Ma non faccio niente, resto lì come un fesso e lo vedo mentre rientra e chiede a Paola quando si mangia. Non ho voglia di rientrare e men che meno ho voglia di sedermi al suo fianco per la cena. Rebecca esce fuori per chiamarmi, non le dico niente dell’accaduto, ma capisce che sono furibondo. 
Divoro tutto ciò che trovo nel piatto mentre Maurizio parla di quanti soldi ha guadagnato un suo cugino facendo non so cosa. 
“Deve essere proprio appagante.”, continua. “Altro che fare il programmatore.” 
“Io sono felice del mio lavoro.”, rispondo con stizza. 
“Eh sì, ma guadagni la metà.”
“Non mi importa, almeno sono contento.” 
“Con la contentezza non si pagano le tasse.” 
“Non lo metto in dubbio, ma preferisco poter pagare le tasse ed essere soddisfatto del mio lavoro.”
“Sarà come dici tu…”, fa cadere la discussione. 
Per fortuna. 
Do la buonanotte a Rebecca e vado a letto, ma non sono soddisfatto. Voglio in qualche modo punire Maurizio. Vado in camera di Rebecca, ancora sveglia, e la bacio con voluttuosità. Lei è divertita, ma anche un po’ spaventata. La eccita che la voglio così tanto, ma non può ignorare i genitori praticamente nella stanza affianco. 
“Ci sentiranno.”, protesta. 
“Tu non fare rumore. Se ci riesci.”, la prendo in giro. Le tolgo le mutandine e inizio a leccarle il clitoride. Rebecca si mette una mano davanti alla bocca. Continuo a leccarle la vagina fino a farla venire. 
Sono eccitato e arrabbiato, ho strani pensieri per la testa, vorrei entrare nella camera di Maurizio e Paola e dire loro che ho appena fatto avere un orgasmo alla figlia. 
Rebecca mi bacia. 
“Fammi ricambiare il favore.”, mi sussurra all’orecchio. 
Mi fa sedere sul letto e pratica del sesso orale, le eiaculo in bocca, lo sputa in un fazzoletto. 
Voglio dirlo a Maurizio, voglio fargli vedere il mio sperma sulle labbra della figlia. I pensieri di rabbia, però, svaniscono insieme alla libido; resto con Rebecca, la stringo forte. Le sue carezze lasciano che la rabbia si sgretoli lentamente. Ci diamo di nuovo la buonanotte. Molto più rilassato vado a dormire. 
Il pomeriggio del giorno dopo sono fuori con Rebecca, io gioco coi gatti mentre Rebecca mi guarda, non le piacciono molto gli animali, le fanno un po’ senso, ma in realtà quando prende coraggio non si vuole più staccare da loro. Le papere passeggiano lì attorno, si avvicinano al cane, la papera maschio, quello stronzo, becca la coda del cane che reagisce ringhiando. Come se fosse in pericolo la vita della figlia, Maurizio si precipita fuori sventolando un bastone e facendo allontanare il cane. L’animale si incammina lontano. Se lo colpiva non so cosa avrei fatto. Vedo Maurizio che si assicura che le papere stiano bene prima di farle tornare nel recinto. 
“Cane del cazzo.”, commenta passandomi vicino. 
“Vuoi prendere a calci anche lui?”, dico con tono di sfida. 
Mi fissa per un istante, poi se ne va, ma come se si fosse ricordato di qualcosa torna indietro e sferra un calcio così forte ad uno dei gatti che quello vola e sbatte contro una colonna rompendosi la spina dorsale, cade al suolo, Rebecca urla e piange. Un rivolo di sangue cola dal musetto della micia. 
Maurizio sputa per terra e rientra. 
Io non credo ai miei occhi. Mi avvicino alla povera bestia, non respira più, è morta sul colpo, l’altro gatto si avvicina e lo lecca, ma invano, il cane torna sul posto e inizia anche lui a toccare con il naso l’animaletto, ormai inerme. Rebecca singhiozza disperatamente, Paola esce fuori e vede lo scempio, torna dopo due minuti con un sacchetto di plastica in cui mette il corpo della gattina. 
“Tuo padre è uno psicopatico.”, dico a denti stretti e pugni serrati. Rebecca non mi risponde, è un fiume di lacrime. La abbraccio, ma i miei pensieri sono rivolti a Maurizio. 
E alle papere. 
So che non c’entrano niente, so che non hanno nessuna colpa, ma sono l’unica cosa a cui Maurizio sembra tenere e intendo fare loro del male. Con una malvagità che non credevo di avere in corpo, pianifico il mio atto. La sera stessa mi avvicino al recinto delle papere e le provoco facendole incazzare, il maschio allunga il collo per pizzicarmi, ma mi ritraggo. Voglio prenderle e calci, anche ucciderle. Gli occhietti delle papere mi guardano con circospezione, sanno che sto tramando qualcosa ai loro danni. I galli vicino sono incuriositi e si affacciano alle gabbie. Apro la porticina delle papere, quelle escono sculettando, il maschio prova ad attaccarmi di nuovo. Prendo un bastone e lo colpisco sul becco, quello si ritrae e si allontana con la compagna. 
Io… mi sono sentito bene. 
Voglio colpirlo di nuovo, farlo più male. 
La vista del cane mi distrae, mi avvicino e lo accarezzo per una buona mezz’ora. Rebecca viene a chiamarmi perché è pronta la cena. 
La mia mente devolve sempre più nel piano criminoso che intendo perpetuare. Attendo pazientemente la notte, voglio rubare un coltello dalla cucina, ma mi rendo conto che mi farebbe particolarmente schifo, poi non voglio ucciderle, forse, voglio farle soffrire un po’. Voglio che per una cazzo di volta Maurizio debba rendersi conto che anche io posso fargli del male. 
Il porco è davanti alla televisione.
“Dove vai?”, mi chiede Rebecca che ha passato il pomeriggio a scusarsi per il padre. 
“Picchio le papere.”
Rebecca non capisce, ovviamente, ma non dico altro ed esco, vado al recinto delle papere, le attiro fuori, le faccio stizzare e, davanti alla porta di ingresso per farmi vedere bene da Maurizio, le prendo a calci, quelle gridano, Maurizio si volta verso di me. Continuo a pestarle, mai troppo forte, ma nemmeno piano. Maurizio scatta dal divano e viene verso di me, le papere tentano di fuggire, ma afferro il maschio per le piume, quello prova a mordermi, ma gli blocco il collo. 
“Che cazzo fai?!”, grida Maurizio. “Lascia stare le mie papere.” 
“Voglio vedere se vola lontano quanto il gatto.”
Carico il calcio.
Vedo l’altra papera che fugge terrorizzata. 
Provo una pena immensa per loro. 
Mi dispiace che gli ho fatto del male. 
Mi sento in colpa per come mi sono comportato e per quello che ho fatto. 
“Sei un fottuto pazzo.”, accusa Maurizio. 
Mi guardo le mani, non so nemmeno io cosa pensavo di fare a quelle povere papere. Soprattutto cosa avrei risolto? Un bel niente. Persone come Maurizio non cambiano. 
Accorrono tutti fuori. 
Maurizio mi si avvicina minacciosamente. 
“Papà!”, grida Rebecca mettendosi tra me e lui. 
“Levati.”, Maurizio le tira uno schiaffo. 
E, finalmente, gli do un pugno. 
Non ho mai fatto a botte con qualcuno.
Ma c’è sempre la prima volta. 

 





   
 
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