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Autore: _Lightning_    27/08/2021    2 recensioni
Dopo aver lasciato Nevarro, Din Djarin ha ormai poche certezze: è ancora un Mandaloriano, deve trovare il pianeta natale del Bambino, e i compagni sfuggiti al massacro di Gideon sono vivi, da qualche parte nella Galassia. Quest'ultima è più una speranza, e lui non ha idea di come si viva di speranza. Soprattutto quando tutte le altre certezze, quelle che ha sempre custodito tra cuore e beskar, sembrano sgretolarsi con ogni passo che compie.
Non tutti i suoi fantasmi sono marciati via.
Dall'ultimo capitolo: Il Moff lo conosceva – sapeva il suo nome, da dove veniva, chi fosse la sua famiglia.
Anche Din lo conosceva. Ricordava il suo nome sussurrato di elmo in elmo come quello di un demone durante le serate attorno al fuoco della sala comune, l’unica luce che potessero concedersi in quegli anni di persecuzione. Ricordava il Mandaloriano mutilato e con la corazza deforme che narrava singhiozzando della Notte delle Mille Lacrime, quando interi squadroni d’assalto erano stati vaporizzati a Keldabe dalle truppe imperiali.

[The Mandalorian // Missing Moments // Avventura&Azione // Din&Grogu // Post-S1 alternativo]
Genere: Avventura, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin, Jango e Boba Fett, Yoda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Episodio 4
LA TRAPPOLA

Parte VI




 

La mia tariffa è alta. E se si tratta di Mandaloriani, il prezzo sale.
Non amo mischiare le faccende personali col lavoro.
Comunicazione diretta all’incrociatore imperiale Steadfast,
origine ignota, 9ABY ca.


 

Djarin era rapido.

Barcollò sotto l’impatto del blaster, ma recuperò subito l’equilibrio, voltandosi verso l’esatta direzione da cui era partito il colpo e premendo al contempo il grilletto. 


Boba si limitò a ruotare il busto, avvertendo il sibilo del proiettile che gli sfiorava l’elmo. Un’arma Verpine, a giudicare dal fischio acuto e dall’impatto sonoro contro la parete, e una corazza di buona fattura: lo capì dallo squillo argentino che si propagò nella caverna e dal fatto che l’altro non rimase stordito a lungo. Armature del genere non si vedevano da prima delle Guerre dei Cloni, da quando la Ronda si era impossessata delle miniere di beskar sulla luna di Mandalore

Nessun emblema o colore identificativo, se non il sangue nerastro che lo imbrattava: il metallo riluceva nudo nella penombra densa della grotta, accompagnando i movimenti del guerriero assieme allo sciabordio dell’acqua.

Lo vide piegarsi leggermente sulle ginocchia e riconobbe il movimento. Lo anticipò e decollarono quasi in sincrono, coi ruggiti gemelli dei jetpack a squarciare l’aria compressa del sottosuolo.

Alcune stalattiti più sottili cedettero all’impatto con le loro armature, precipitando nella pozza sottostante con un tonfo cristallino. Ventagli di goccioline si sollevarono dalla superficie, smossi dai getti dei propulsori.

Boba cabrò agile verso l’alto, sfiorando il soffitto e balzando oltre l’avversario che, aspettandosi un attacco, scese in picchiata, fuori tiro. Non se ne curò, concentrato sul visore termico che non registrava alcuna altra forma di vita nei paraggi.

Virò di nuovo, rimanendo sospeso a un paio di metri da terra. Tornò a fronteggiare Din Djarin, atterrato nei pressi del tunnel. Boba si accertò nuovamente che fosse solo. Serrò i denti, gli occhi che saettavano in ogni angolo della caverna.

Dov’era il Bambino?

Le informazioni del Moff erano state chiare: i due erano inseparabili. Dove andava uno, andava l’altro. Sempre,  anche nelle situazioni più rischiose.

Forse era con la mercenaria e lo Jedi. In quel caso, sarebbe stato Zetz a intercettarlo. Il solo pensiero gli fece prudere le cicatrici che gli rigavano il volto.

Non aveva speso interi mesi a pedinare quei due da un capo all’altro della Galassia, avendo cura di scrollarsi di dosso anche i segugi di Bo-Katan, solo per vedersi soffiare la taglia da un ex-Imperiale in rovina.

Quando aveva ricevuto la chiamata del Rodiano, era già atterrato su Awath, pronto ad attendere Djarin al varco non appena fosse tornato alla sua nave. Nel precipitarsi invece alle miniere, aveva previsto molte possibilità, inclusa quella di trovarsi ad affrontare l’intero gruppetto da solo, mentre Zetz e i suoi sgherri avrebbero tagliato loro la ritirata... ma quella gli era sfuggita, con una facilità che lo irritò profondamente.

Poteva quasi sentire i rimproveri di suo padre che gli intimava di leggere sempre la situazione nella sua interezza, uscendo dalla rotta singola della caccia. Quel ricordo gli infuse una nuova, gelida calma. 

Si rammentò la propria missione, il proprio voto, tramandatogli dalla stessa persona che gli aveva donato la vita: annientare i Jedi e la Ronda, rinnegare Mandalore. L’armatura di suo padre sembrò vibrare a quel pensiero, ansiosa di gettarsi in battaglia. 

Doveva risolvere alla svelta quel confronto, far fuori Djarin e riguadagnare la superficie per intercettare la taglia.

S’inclinò in avanti, prendendo velocità e schivando due colpi di blaster ben mirati alle giunture della sua corazza.


Imbracciò la carabina. Subito, laltro sparò un colpo preciso alla sua spalla, assorbito dalla tuta di volo rinforzata. Boba tremò, ma mantenne la presa. Mirò alla coscia, allunica placca in durasteel rossiccio, più fragile del beskar. 

Il colpo andò a segno e la gamba cedette sotto limpatto, facendo accasciare lavversario su un ginocchio. Boba diede un colpo secco ai propulsori e accorciò la distanza, riagganciando la carabina alla spalla e facendo scattare la lama da polso. 

Atterrò in scivolata, senza frenare lo slancio, il braccio ritratto per colpire: una pugnalata netta sotto il mento dellelmo, dove il beskar lasciava scoperta la carotide, e lo scontro si sarebbe chiuso in pochi secondi.

Una murata di fiamme lo accecò, spingendolo a interrompere laffondo. Un tintinnio penetrante gli aggredì i timpani mentre la sua lama scivolava sullelmo in una pioggia di scintille, mancando il bersaglio.

Boba indietreggiò di un passo, scartando di lato per evitare il fuoco e cercare unaltra apertura verso il collo del Mandaloriano.

Djarin fu più rapido: si rialzò di scatto e gli sferrò una testata, beskar contro durasteel, che lo rintronò per un istante. Scagliò a sua volta una vampata di fiamme, troppo tardi per colpirlo. 

Lo vide balzare oltre la pozza, aumentando lo slancio con una breve propulsione del jetpack per atterrare leggero a distanza di sicurezza, il blaster di nuovo saldamente impugnato e rivolto verso di lui.

Sotto lelmo scalfito da blaster, spade laser e acido di sarlacc, Boba si concesse di tirare le labbra verso lalto, in un misto di frustrazione e adrenalina. 

Era dai tempi di Solo che non gli capitava una taglia così impegnativa.

La coscia gli pulsava, irradiando scariche acute lungo l’intero muscolo. La potenza di fuoco della tozza carabina era più devastante dei blaster imperiali e Din faticò a mantenere l’equilibrio. Avvertì anche la protesta del torso contuso dal gundark: il bacta non era stato sufficiente a rinsaldare le fratture.

Strinse i denti, vedendo laltro Mandaloriano che atterrava sullaltra sponda della pozza, per poi arrestarsi ben saldo sulle gambe. Sembrò fermarsi per studiarlo a distanza, e Din accolse quella breve tregua per riprendere fiato.

La sua armatura verde e rossa parlava chiaro: era un veterano, con ogni scalfittura e incisione del durasteel a testimoniare uno scontro a cui era sopravvissuto. Portava su uno spallaccio il simbolo del mitosauro, nero su giallo; sullaltro, color cremisi, quello che sembrava un sarlacc ruggente. 

La sua abilità nel volo suggeriva molti più anni di addestramento nella Fenice Nascente rispetto ai suoi, e forse anche di Paz. Era evidente dal modo preciso e aggraziato con cui si librava in aria, senza mai perdere quota e direzione, razionando con cura il carburante.

Si rese conto, con improvvisa lucidità, di essere in svantaggio: ferito, provato dallo scontro coi gundark, di fronte a un altro Mandaloriano con più esperienza e, di certo, meno scrupoli di lui. 

Sbuffò dal naso, cercando di smorzare laffanno. A volte, agiva ancora come un Mando’ad inebriato dalla prima battaglia, troppo sicuro di sé e delle proprie capacità. Quello non era uno scontro che avrebbe potuto vincere indenne.

Prima che laltro potesse reagire o scegliere un piano dazione, Din sganciò un paio di cariche termiche dalla cintura. Ruotò sul posto e le scagliò verso la frana che ostruiva luscita, ad appena pochi passi da lui. Quelle si agganciarono saldamente alla roccia, nel punto più vicino al soffitto, ticchettando rapide.

Decollò subito dopo, avvertendo la contromossa dellaltro, che fu più rapido: un lampo verdastro sfrecciò in aria nella sua visuale periferica, seguito da un potente doppio calcio in pieno petto.

Din boccheggiò, avvertendo uno stridio dolente nelle costole già ammaccate. Perse il controllo del jetpack, deviò e impattò contro una colonna naturale incrostata di calcare, viscida dacqua. Vi si avvinghiò a fatica, trovando coi piedi un sostegno appena sufficiente a non farlo cadere a terra.

Laltro Mandaloriano fece per avventarsi su di lui, per poi virare bruscamente a mezzaria e allontanarsi dal raggio desplosione delle cariche. Din lo imitò, sentendo il serbatoio del jetpack che iniziava ad alleggerirsi.

Le cariche termiche detonarono con un boato, sprizzando ovunque acqua, pietre e schegge rocciose. Londa durto lo sbalzò in avanti, scagliandolo contro la parete, ma si raggomitolò per tempo. Riuscì ad ammortizzare limpatto, si diede la spinta coi talloni e balzò di nuovo al centro della caverna.

Un raggio di luce grigiastra trafisse la penombra, rivelando una breccia nella frana, appena sufficiente a far passare un uomo adulto.

Din fece per dirigersi lì, ma il Mandaloriano gli sbarrò la strada a mezzaria e piegò il ginocchio con un clic : un piccolo missile scaturì dalla placca protettiva. Din ebbe appena il tempo per avvitarsi e dare gas in verticale, mandando il proiettile esplosivo a perdersi nel buio con unesplosione sorda.

Si trovò a sovrastare lavversario di circa un metro, sfiorando il soffitto aguzzo di stalattiti. Approfittò di quel vantaggio: simpennò, compì una mezza capriola su se stesso, disattivò il jetpack ed entrò in stallo, sentendo lo stomaco che si avvitava prima della picchiata. Trattenne il respiro per quella manovra azzardata in un ambiente così ristretto, mentre la gravità lo artigliava.

Cadde a siluro, sparando un colpo. Il Mandaloriano si scansò,  schivandolo come previsto. Din scagliò il laccio dal polso mentre cadeva in verticale accanto a lui, agganciò con uno schiocco la sua caviglia e lo trascinò con violenza verso il basso – poté udire limprecazione gutturale dellaltro, colto di sorpresa, e il singulto stentato del suo propulsore che andava fuori asse.

Un istante prima di impattare al suolo, Din riattivò il jetpack con un ruggito, sterzò verso lalto e recuperò quota, sganciando il rampino. Il clangore metallico che seguì gli confermò lo schianto dellaltro Mandaloriano e gli diede il via libera per la fuga. 

Represse lamarezza per quella tattica affatto onorevole, ma prolungando lo scontro avrebbe solo ottenuto di farsi sgozzare alla successiva colluttazione. Fuggire di fronte a quellauretii... no, quel dar’manda, – un senz’anima, un Mandaloriano che aveva rinnegato tutto ciò che lo rendeva tale – gli bruciava terribilmente.

Il Bambino, però, era più importante. Così come le risposte che gli dovevano Cal e Scorch e lArmaiola.

Schizzò quindi verso lapertura creatasi nella frana, insinuandosi nello spazio troppo angusto e facendosi largo a bracciate verso lesterno. Sassi e detriti rotolarono via, picchiettandogli la corazza con un tintinnio continuo. Si contorse con un grugnito per sgusciare oltre lultimo metro che lo separava dallaria aperta, cercando di scalciare quanto più possibile per occludere il passaggio. Udí un paio di tonfi soddisfacenti.

Quando colse il sibilo alle sue spalle, diede un colpo di propulsore per evadere eventuali proiettili in arrivo. Dietro di lui, una successione serrata di piccole esplosioni si abbatté contro la frana, senza riuscire a smuoverla.

Bene. Il Mandaloriano doveva essere a corto di missili a concussione, anche se non avrebbe tardato a recuperare qualche carica termica per riaprirsi la strada.

Laria livida e ventosa dellalba lo accolse. Il mondo era diviso allorizzonte tra il grigio del cielo e il nero aguzzo dei vulcani, sormontati da sporadici pennacchi di lava. Si trovava sullorlo di un crinale a strapiombo sulle valli laviche, attraverso le quali serpeggiava un sentierino più adatto a un blurrgh che a un umano. In lontananza, emergeva il piccolo spazioporto, spazzato dalla mareggiata ancora in corso.

Lo scoppiettio di statico nellelmo gli disse che la linea comlink con Cara era aperta, seppur con un cattivo segnale, e si affrettò a richiamare sul visore la geolocalizzazione della compagna. Un puntino rosso lampeggiò a circa un click da lì, quasi in sincrono con la spia del jetpack che ormai raschiava il fondo del serbatoio e con gli echi vicini di uno scontro a fuoco serrato.

Prese un respiro pesante, che gli stritolò le costole sotto alla corazza. Poi, con un passo oltre lorlo dello strapiombo, sfrecció nel cielo color cenere, verso il suono dei blaster.
 


Note dell’Autrice:

Macciao! *sventola la manina da dietro un masso* sono proprio io, il vostro cap– ok, la pianto, giuro.

Sì, sono sparita e non ho scusati. Frivolezze a parte, spero che il primo PoV sia stato una sorpresa, e sappiate che sono in fibrillazione per il possibile feedback in merito 👀
In tutto ciò, la prossima parte è lultima di questo interminabile episodio, quindi vi aspetta un altro bel carico di azione!

Ah, per chi si fosse perso qualcosa: ho pubblicato un Glossario su Wattpad, tanto per sfizio personale, e ho revisionato i capitoli pubblicati lì. Qui su EFP sto procedendo a rilento, perché con l'html è un incubo fare tutto, ma riuscirò a sistemare anche qui :)

A prestissimo e grazie a tutti coloro che hanno atteso con pazienza questo aggiornamento ❤️❤️❤️

-Light-

 

 

   
 
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