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Autore: Michiamothalia    31/08/2021    1 recensioni
I momenti che seguono alla nascita della piccola Armonia, unica figlia femmina di Ares e Afrodite, come li ho immaginati e non ci sono mai stati raccontati.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Afrodite, Ares
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una leggera brezza quella mattina increspava le acque di Cipro, accarezzando l’erba fresca e le fronde dei grandi alberi sotto i quali era possibile trovare rifugio nelle ore più calde. Il vento solleticò la pelle all’imponente guerriero che camminava frenetico, avanti e indietro, sul portico di freddo marmo bianco. Davanti a lui un portone d’oro e legno scuro che lo separava dal trambusto che stava avvenendo all’interno. Era ormai da tempo che le ancelle della sua compagna si agitavano, correndo avanti e indietro e dettandosi ordini a vicenda, ma Ares, pur essendo a conoscenza di ciò che avveniva all’interno, in quel momento aveva un solo assillante pensiero per la mente: la sua Afrodite.
(Ma quanto ci mette?)
Il Tracio era quasi sul punto di appisolarsi sul pavimento, preso da una leggera stanchezza che gli prendeva le membra e rendeva formicolanti le gambe. Maledisse la noia che stava straordinariamente provando da qualche ora in quel posto e fu sul punto di fare lui stesso irruzione dentro la magnifica abitazione, disubbidendo agli ordini della stessa bella Cipriota, “Questa volta sento che andrà bene. Questo bambino non è come Phobos e Deimos, amore mio. Non entrare fin quando non ti avrò mandato a chiamare io stessa. Su, su! Non c’è nulla da temere. Andrà bene!”, poi aveva sfarfallato le lunghe e ricurve ciglia nere ed Ares si era sentito rassicurato dalle parole dell’amante. Non era nella sua natura preoccuparsi per qualcosa che le donne facevano dall’alba dei tempi, ma Afrodite non era una donna qualsiasi. Afrodite era la Dea che lui amava e con lei nulla era normale, tantomeno la pace che gli riempiva il petto quando lei lo faceva accoccolare sul suo seno gonfio e lui si faceva accarezzare la testa quasi fosse un bambino che cercava rassicurazione tra le braccia della madre.
“Divino Ares...” una voce lo chiamò. Riscosso dai suoi pensieri, il Signore delle mura si voltò. Davanti a lui una giovinetta bionda e graziosa con una veste che le arrivava poco sopra le caviglie. I capelli erano stati raccolti morbidi sopra il capo e le orbite verdi erano in contrasto con le leggere chiazze viola che le segnavano gli occhi. Una ninfa, riconobbe Ares, una delle poche ma fidate ancelle di Afrodite. “la mia Signora mi ha mandato a chiamarvi, mio Signore. Afrodite ha appena dato alla luce e ci tiene ad avervi al Suo fianco.” Ares capì e seguì la ragazza, che gli si presentò nel frattempo con il nome di Alteea, fino alle stanze della Signora di Cipro. Il profumo che caratterizzava quel posto e la sua padrona penetrò in men che non si dica nelle narici del Dio che cauto si avvicinava sempre più al talamo dell’amata.
Eccola. Circondata da altre giovani ben vestite, dai volti graziosi e sorrisi caldi giaceva la bella Afrodite, con la pelle chiarissima dovuta alla fatica appena fatta, le guance rosee che piano piano riacquistavano anch’esse colore, gli occhi del colore del mare più profondo e affascinante e i capelli lunghi e intrecciati come un’infinità di splendenti filamenti di rame.
“Ares” disse la Dea con la voce che ora lasciava trasparire anche un filo di stanchezza. “Vieni, amore mio, siediti qui accanto a noi.” Aggiunse, e Ares fece come detto, con le ancelle che si spostarono al suo passaggio chinando il capo in segno di riverenza. Cautamente si sedette sul bordo del letto accanto alla sua amata.
Eccola. Nonostante non l’avrebbe mai ammesso neppure a sé stesso, Ares era dipendente da quella Dea tremendamente bella che, come faceva tra i mortali, aveva seminato il sentimento più pauroso di tutti anche dentro di lui: l’amore. Mise da parte il tiepido imbarazzo iniziale quando il profumo familiare della Cipriota gli solleticò il naso e si chinò a baciarle la fronte, e poi le labbra rosse. Inevitabilmente il suo sguardo cadde anche su quella creaturina incredibilmente piccola, così neonata, che Afrodite stava allattando stretta al petto. Di solito, molti dei suoi divini compagni, lui compreso, avevano assunto forme più mature già pochi istanti dopo la nascita. Come Atena, nata adulta e vestita per la guerra ed Artemide che qualche istante dopo aver visto la luce per la prima volta, aveva aiutato la madre a partorire suo fratello gemello Apollo. “Sembra così piccolo…” la voce di Ares parve un sussurro. La mano della Dea non occupata tra le manine raggrinzite del nuovo arrivato, si portò ad accarezzare affettuosamente una guancia del Temibile Guerriero. Prima di far incontrare i loro sguardi, Afrodite congedò educatamente con un gesto le sue servitrici che lasciarono subito la stanza sorridendo in segno di assenso. “Ares”, iniziò dolcemente la Dea dell’Amore. Non aggiunse molto altro, limitandosi ai gesti; accarezzò ancora una volta la guancia dell’amante, per poi calare la mano sulle lenzuola candide che avvolgevano il neonato pacifico tra le braccia della mamma. Seguendo quei movimenti, Ares si concesse ancora qualche istante per studiare suo figlio. In contrasto alla carnagione rosata erano i tanti capelli scurissimi e sottili che gli ricoprivano il capo. Gli occhietti, ancora troppo piccoli per essere contraddistinti da un colore, erano semi aperti e cercavamo di abituarsi alla luce che filtrava attraverso le finestre, illuminando a giorno la stanza. I piedi erano piccoli e raggrinziti come le manine che ora stringeva chiuse a pugno, in una delle quali era piazzato ben stretto un dito di sua madre. Sulla fronte erano marcate appena delle rughette di concentrazione e le guance paffute si muovevano contemporaneamente al seno della madre da cui ora si nutriva del suo primo latte.
“Ares…” Afrodite lo dovette richiamare per ottenere di nuovo la sua attenzione, e quando fu certa di averla, rapida ma allo stesso tempo delicata, scostò di un po' il lenzuolo che copriva il neonato dalla vita in giù… la neonata. “Una bambina, amore mio. Te l’avevo detto che questa volta era diversa.” Afrodite non ebbe bisogno di risposta alcuna oltre l’espressione ora dipinta sulla faccia del Signore della Guerra. Si trattenne a stento da ridacchiare divertita, fino a quando non venne richiamata dai vagiti della bimba che ora si agitava scomposta sul petto della madre, avendo finito di mangiare. Ci volle poco per calmarla, pur non facendola addormentare.
“Posso…?” chiese il Tracio alludendo a sua figlia. Afrodite annuì e mentre gli passava quel fagottino di candide coperte e lenzuoli disse, divertita, “Pensavo che avessi perso la lingua. Bentornato, mio bel guerriero!” e così con entrambe le mani ora libere gli prese il volto e lo baciò veloce a fior di labbra. Ares prese meglio in braccio la bambina e se la portò stretta accanto al suo petto.
Nello sguardo che ora lo scrutava fisso, senza quasi mai sbattere le palpebre, rivide per un istante quello di Afrodite ed ora che osservava meglio, incredibile era la somiglianza tra madre e figlia. Mentre la teneva stretta in braccio, con l’altra mano andò ad accarezzare cautamente con un solo dito il volto ancora gonfio della bambina e il senso di pace che lo avvolse fu quasi più forte di ogni emozione che avesse mai provato. Un batticuore estremamente forte, un’emozione da fargli smuovere qualcosa dentro, una pace primitiva che non pensava gli potesse mai appartenere. Non lui, forte e temibile guerriero. Era inspiegabile cosa l’aveva travolto in così pochi attimi, quasi fosse stato colpito da una saetta di suo padre Zeus all’improvviso. E in quel silenzio così piacevole, sotto lo sguardo attento e terribilmente innamorato di Afrodite, Ares udì suoni e profumi nuovi. Cose mai provate prima. Un qualcosa di così sensazionale da riuscire a farlo sorridere in modo così spontaneo. “Armonia…” iniziò il Tracio, “La dolcezza. Colei che governa tutto e porta la pace anche nei cuori più austeri” aggiunse Afrodite, e poi ripeté “Armonia.”, mentre ora si apprestava a far scorrere una mano delicata sul dorso della neonata che giaceva beata e mezz’addormentata tra le braccia sicure di suo papà.
Lei era diversa, la prima figlia femmina.

Armonia. La bellezza, la dolcezza, l’affetto, la pace… Lei, l’Armonia.

   
 
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