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Autore: RLandH    06/09/2021    2 recensioni
[Spoiler! uno, ma bello grosso, su TOA, qualcosa su MC&TGoA| Crossover con Magnus Chase| What If]
Mi sentivo di essere pronta a fare un tributo a Jason Grace.
“Lo giuro sullo Stige” aveva dichiarato, certo di aver commesso un errore.
La ragazza aveva sorriso per la prima volta, “Ascoltami bene, adesso, non dire la verità. Fingiti un mortale, uno di quelli ciechi, proprio ciechi e di che non ricordi niente. Questo dovrebbe esserti famigliare” lo aveva preso in giro lei.
Sì, decisamente risvegliarsi in lungo sconosciuti con la memoria a brandelli e feroci ragazze che lo trattavano come se fossero conoscenti da una vita era una sensazione che conosceva piuttosto bene.
Solo che non era opera di Hera, ma Kymopoleia.
“Adesso?” aveva chiesto Jason, la ragazza aveva allentato la pressione della lama sul suo collo, permettendo a Jason di respirare bene, aveva provato a puntellarsi sui gomiti, per tirare su appena il busto.
Quella non aveva smesso di sorridere.
“Adesso” aveva esordito la sconosciuta, “Io non sono mai stata qui e tu asseconderai quello che dico” aveva dichiarato, “E permettimi di scusarmi in anticipo, ma farà male” aveva terminato.
Genere: Avventura, Commedia, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cimopolea, Jason Grace, Magnus Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Percy Jackson in The Multiverse'
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Buongiornissimo Kaffèèè … Scrivo così perché oggi è il mio compleanno, quindi sono vecchia, ed ho deciso di premiarmi con questa breve piccola storia.
I capitoli saranno 3, massimo 4 (perché sono prolissa) e sono stati creati con lo stesso concetto di Leo Valdez e … WTF?!?, ovvero come idea carina per una What If (Se può la Marvel, posso pure io).
Differentemente dalla storia di Leo, questa non fa da apripista ad una vera e propria storia, cioè magari se quella di Leo era un Pilot, questa è tipo “un prequelino” caso mai volessi. Ho deciso di spezzarla in più capitolo a causa dell’eccessiva lunghezza che la storia stava prendendo. Comunque, nonostante la storia sia breve, per poter scrivere i prossimi capitolo credo ci vorrà un po’, stesso discorso del Crepuscolo (un mese di fuoco).


Ho scelto Jason perché è un personaggio il cui interesse per me è cresciuto da zero a mille, nel crescendo dei libri.
Quindi sì, questo è un tributo al Golden Boy di Percy Jackson, forse non il migliore, ma prendetelo come tentativo.
Poi, dulcis in fundo, questa storia non è nata da un’idea originale, qualcuno su A3O l’aveva già pensata, vi lascio il link della ff in questione, ma anche solo leggendo l’inizio capirete che a parte l’idea hanno poco altro in comune. In realtà ho scoperto che oltre questa ne esistono ben altre 3 di ff con questo tema, credo pubblicherò questa anche su A3O così saranno quattro.
(Link:
https://archiveofourown.org/works/15756735/chapters/36660399)

Detto queste premesse, spero possiate apprezzare la ff.
Un bacio
RLandH

Ps1- “PICCOLO” SPOILER DI TOA (TBL & TToN) e spoiler minori su MC&TGOA

Ps2 – Ho disegnato (MALE) Thrud: https://www.deviantart.com/rlandh/art/Thrud-Thordottir-890978835

 

 

Jason Grace and … the barbarians

 

 

Il grosso grasso problema barbaro

 

L’ultimo ricordo di Jason era di essersi preso una bevanda fredda con suo fratello … Apollo, su una spiaggia.
E che era in pace.
Era un bel ricordo, non era come aveva sempre pensato avrebbe virato la sua vita – onestamente aveva cambiato idee più volte su come si sarebbe direzionata la sua esistenza – però era stato bello.
Era morto, ovviamente, quello non era bello, ma era successo.
Jason aveva sognato come sarebbe stato essere vecchio, sposato e con dei figli.
La vita andava come doveva andare.
E lui non aveva rimpiatti – o meglio ne aveva – ma molti meno di quanti pensasse.
Ricordava la morte.
La sensazione di morire.
Apollo al tavolino che lo ascoltava.
Il sorriso divertito della ragazza di nome Silena.
E la pace.

 

Avevi detto che avrei potuto ucciderti io
Quello lo ricordava come qualcosa di distorto.

 

Aveva aperto gli occhi, aveva incontrato il viso pallido di una bella donna, dalla chioma rossa “Ascoltami” aveva detto lei.

Jason aveva cercato di capire che coso stava succedendo.
La prima cosa che aveva messo a fuoco era stata la lama della spada della ragazza sulla sua gola, lei gli era a cavalcioni sul petto, “Un fiato ed una mossa e sei morto” gli aveva impartito.
Jason era sveglio, supino su una superficie morbida e stanco.
Non aveva osato muovere un muscolo dalla minaccia, mentre cercava di elaborare quello che stava succedendo e che poteva fare.
Gli imperatori!
Apollo!
… Piper!
Poteva provare ad evocare i venti e fulmini.
“Non ti farò niente, ma devi ascoltarmi attentamente o entrambi la passeremo male” le aveva detto lei, calma.
“I tuoi amici stanno bene, me lo ha detto Kym” aveva chiarito quella.
“Kym?” aveva boccheggiato Jason, sentendo la pressione della lama sulla gola.
Avevi detto che avrei potuto ucciderti io.
“Kymopoleia[1]. Siamo vecchie amiche, sei qui per un favore a lei” aveva dichiarato quella, “Lei ti vuole vivo” aveva dichiarato la sconosciuta.
“Ma sono morto!” era stata la risposta di Jason, alterata.
“Sì, ma la morte ha tante facce” aveva dichiarato.
“Kymopoleia ti spiegherà tutto ma tu dovrai assecondarmi dopo. Se dirai la verità nulla sarà valso e tu continuerai ad essere morto – in quella maniera sgradevole in cui lo siete voi – ed io non avrò un bel quarto d’ora” aveva chiarito lei.
Jason era rimasto in silenzio.
“Non pensare di usare i fulmini, noi sei l’unico che sa fare questo trucco, comunque” le aveva detto lei e lontano, come un eco, Jason aveva potuto sentire l’eco di un tuono.
“Hai capito?” aveva chiesto quella.
Jason aveva annuito, confuso e disorientato.
“Giuralo su … ehm … su cosa giurate voi?” aveva domandato confuso. “Lo Stige?” aveva provato Jason, “Ecco, sì, giuralo su quello, che non mi contraddirai” aveva detto lei poi.
“E se non lo faccio sono morto?” aveva chiesto Jason pratico.
Di nuovo morto.
Quella aveva annuito. Aveva un viso duro, bianco come l’acqua neve e i capelli biondo ramato, gonfi come un nido di rovi.
Indossava un’armatura, anche se Jason non ne aveva mai vista una così, con piastrine piatte di ferro lucente. Una manica, invece di essere coperta dalla corazza, portava allacciato un mantello, dove sarebbe dovuta esserci una cappa di pelliccia, c’erano piume bianchissime.
Lo giuro sullo Stige” aveva dichiarato, certo di aver commesso un errore.
La ragazza aveva sorriso per la prima volta, “Ascoltami bene, adesso, non dire la verità. Fingiti un mortale, uno di quelli ciechi, proprio ciechi e di che non ricordi niente. Questo dovrebbe esserti famigliare” lo aveva preso in giro lei.
Sì, decisamente risvegliarsi in lungo sconosciuti con la memoria a brandelli e feroci ragazze che lo trattavano come se fossero conoscenti da una vita era una sensazione che conosceva piuttosto bene.
Solo che non era opera di Hera, ma Kymopoleia.
“Adesso?” aveva chiesto Jason, la ragazza aveva allentato la pressione della lama sul suo collo, permettendo a Jason di respirare bene, aveva provato a puntellarsi sui gomiti, per tirare su appena il busto.
Quella non aveva smesso di sorridere.
“Adesso” aveva esordito la sconosciuta, “Io non sono mai stata qui e tu asseconderai quello che dico” aveva dichiarato, “E permettimi di scusarmi in anticipo, ma farà male” aveva terminato.
Jason non aveva capito cosa intendesse, fino a che non aveva sentito il freddo della lama nel profondo, in lui.
Veloce e letale.
Poi era morto.
Ne era stato certo, perché era già morto.

 

Piper era ad un bar, era con Leo, stava raccontando qualcosa di divertente ed il suo amico ascoltava assorto.
Sembravano felici.

 

Si era svegliato di soprassalto, ancora una volta era steso supino su una superficie morbida. Era un letto a due piazze, si era sollevato stordito e confuso, realizzando di essere in una stanza.
Era capiente, sì, più grandi di qualsiasi stanza singola avesse occupato nella sua vita.
Oltre il letto, da due piazze, c’era un angolo cottura, un piccolo soggiorno, che con la camera compieva un unico ambiente.
C’era una finestra, coperta da tende stesse.
La prima cosa che aveva stordito Jason era stato però l’odore delle lenzuola, sapevano di fresco, un odore che Jason associava a qualcosa che non riusciva ad identificare e c’erano lupi sulla federa – nostalgico.
La stanza aveva due porte, una socchiusa dava su un piccolo bagno.
C’era una cassapanca di legno pallido, levigata e liscia, un armadio a doppia anta, dall’aspetto antico, massiccio e di legno scuro, sulle legno davanti era stata incisa finemente un albero rigoglioso, mezzo su un anta e mezzo sull’altra.
C’era anche un camino, senza rialzo e il focolare sul pavimento, coperto da una cappa di mattoni quadrata, prima di essere assorbito nel soffitto in un cono, il mattonato creava un cornicione, che aveva la funzione di mensola, su cui erano state sistemate delle cornici.
Foto.
Una foto dove Jason – perché era lui – piccolo come un bambolotto stava tra le braccia di una sconosciuta, Beryl Grace, anche Thalia era nella foto, minuscola, cinque anni al massimo, mentre la loro madre provava all’obbiettivo un sorriso stanco, la piccola Thalia ne esibiva uno pieno di vita, le mancava un dentino da latte.
C’era una foto sua e di Piper anche, l’avevano scattata dopo la sconfitta di Gea, pochi giorni dopo aver lasciato il campo, quando le cose andavano bene.
Pieni di aspettative per una vita che non si era mai concretizzata.
Fece male.
L’ultima foto non era mai stata scattata, ma Jason fu ugualmente pregno di gioia nel vederlo. Erano loro sette, però c’erano anche Reyna, Nico ed il Coach che sorridevano all’obbiettivo, parevano una schiera di adolescenti normali in campeggio – e un satiro incazzato – in una schiera di arancione e viola.
Quella foto non era mai stata scattata, non erano mai stati tutti assieme.
Non erano mai stati così felici.
Però era bella, perché Jason l’aveva immaginata un milione di volte. C’era anche lui in quella foto, questo lo rendeva più doloroso, perché non sarebbe mai stato così.
E poi c’era l’albero e Jason si era dannato che non l’avesse notato prima, eppure aveva gli occhiali inforcati.
Un angolo del soffitto era sfondato e rami spessi quanto braccia scendevano da lì, quasi invitandolo ad una salita, certo che avrebbero potuto sostenere il suo peso.
Il legno era d’uro, ma splendido, con foglie verdi grandi. Dal foro del soffitto scendeva una brezza piacevole, Jason aveva assottigliato gli occhi per poter spiare meglio, notando che non vedeva piani superiori solo il resto dei rami, lunghi e infiniti.
Fu quasi tentato di arrampicarsi, ma realizzò di non avere armi con se – e non aveva voglia di morire per la terza volta.
Cominciò ad aggirarsi per la stanza e lì sulla cassa-paca trovò la sua moneta, piccola e d’oro come era sempre stata.
Aprì l’oggetto trovandolo pieno di biancheria per la stanza, lenzuola, strofinacci e asciugamani.
Si diresse all’armadio, aprendolo lentamente, c’erano appesi dei vestiti, all’anta suoi, alcune magliette in verde petrolio nuove, tutte recitavano la stessa scritta.
Hotel Valhalla.
Ma prima che potesse interrogarsi su quello, ciò che lo aveva stordito era stata l’immagine restituita dallo specchio nell’anta interna dell’armadio.
Era Jason ma non era Jason.
Era lui, sì, con gli stessi capelli biondi paglierino, la statura, gli occhi blu dietro le lenti di vetro, la stessa montatura d’orata.
Il naso dritto, le spalle … era lui e non lo era.
Mancava quell’infinitesimale piccolo dettaglio della cicatrice, lì sul labbro, quando da bambino aveva provato a mangiare  una cucitrice.
Era una ferita insulsa, una riga bianca appena visibile, ma era sua.
Era la cosa più vecchia che avesse mai posseduto, prima di scoprire di aver avuto una madre, una sorella, che ci fosse stato qualcosa prima della Lupa e di Roma, aveva avuto quella cicatrice.
Era cresciuta con lui.
Sempre sulla sua faccia.
Così il viso, senza di lei, l’immagine che restituiva era estranea.
Si era guardato le braccia ed aveva notato che ogni ferita, ogni graffio, cicatrice che aveva raccolto da che era bambino ed aveva brandito una spada era scomparsa.
Avevano preso Jason ed avevano cancellato tutto quello che ne era stato di Jason.
Ed anche il suo aspetto non sembrava più suo.

Si era allontanato dallo specchio inorridito e si era seduto sul letto, incapace di razionalizzare quello che era successo.
Era morto, lo ricordava, contro Caligola.
La sconosciuta avevano detto che i suoi amici erano salvi, ma poteva essere vero?
Chi era?
Cosa c’entrava Kymopoleia?

Lui era nei Campi Elisi, lo ricordava. Aveva avuto un contatto leggero con suo fratello, una sorta di connessione astrale. Ricordava di aver incontrato Silena ed il suo fidanzato e tanti altri.
Aveva anche giocato a carte con Menelao e Augusto, quell’Augusto.
‘Sono contento che di Roma sia rimasto ancora così tanto di cui andare fiero’ gli aveva detto. Un imperatore di cui essere orgoglioso!
Ed in quel momento nulla aveva senso …
Dal suo vagabondare era stato risvegliato solamente dal bussare contro la porta.
Era rimasto congelato.
Aveva sentito un vociare appena.
Forse non se la sente?’
Forse è solo scioccato e non sa che sta succedendo?’

“Avanti” aveva miagolato Jason, recuperando dalla tasca dei suoi jeans, la moneta, pronta a lanciarla in alto.
“Imbarazzante ma se non mi apri non posso entrare” aveva risposto una delle due voci, con un tono più alto, era un ragazzo.
Jason si era alzato con fatica, con i riflessi tesi e la mano pronta al lancio ed aveva raggiunto la porta.
Dietro l’uscio c’erano due adolescenti.
Un maschio ed una femmina. Lui era alto, con le spalle larghe e i bicipiti prominenti, occhi verde pistacchio, pelle diafana e capelli biondo dorato, stretti una treccia che partiva dalla sommità del capo e scendeva sulla schiena, alla maniera di un moicano, rasato ai lati.
Lei era il suo opposto, tranne per l’altezza, era slanciata, ma scura, con un viso morbido, lunghi e sciolti capelli neri, composti da ricci stretti e leggeri.
Aveva occhi castani dolci.
Entrambi indossavano la maglietta verde greggio con la scritta Hotel Vallalah.
“Ecco, io e Mel ti abbiamo preparato dei muffin, pensavamo potessi averne bisogno” aveva detto amichevole lei, allungando verso di lui un cestino, coperto da un fazzoletto. “Oh meglio, io ho fatto i cestini e Mel ha fatto i muffin, è bravo” aveva cinguettato poi.
Mel, il ragazzo era arrossito.
“Sì, ehm … io sono Thumelicus, sì lo so è latino, ma è una lunga storia[2], chiamami Mel, mi chiamano tutti Mel e lei è Madina” aveva parlato di nuovo il ragazzo.
“Jason” aveva risposto meccanico lui, mentre prendeva il cestino offertoli dalla ragazza.
“Devi essere parecchio confuso, eh” aveva valutato Mel.
Jason aveva annuito, sincero.
“Confuso molto, ma devo ammettere che svegliarmi in luoghi sconosciuti senza avere idea di come ci sia arrivato, mi è in realtà famigliare” aveva scherzato.
Osservando poi l’espressione stranita dei due avventori.

 

 

“La prima cosa da accettare è che sei morto. Probabilmente sei morto facendo qualcosa di eroico, difendendo qualcuno, aiutando qualcuno …” aveva cominciando Madina, a raccontare, dopo che si erano accomodati nel piccolo salottino sul divano di quella che – da quel momento – doveva essere la stanza di Jason.
“O semplicemente con una lama alla mano, abbastanza perché fosse ritenuta eroica” era intervenuto Mel cominciando a spostare la carta da uno dei muffin che aveva portato.
Jason aveva ricordato le parole della sua – seconda assassina – “Io non credo di ricordarlo bene” aveva cominciato a dire, non sapendo come doversi destreggiare.
Non era un bravo bugiardo, perché non era un bugiardo.
Si era limitata ad imitare come si era comportato naturalmente, la volta scorsa.
“Ero con la mia  … ex-ragazza, mio fratello ed una sua amica …” aveva detto alla fine Jason, niente di tutto questo era una menzogna alla fine.
Madina aveva sorriso con gentilezza, “Non ti preoccupare, la tua valchiria dirà tutto a cena” lo aveva tranquillizzato, con molta allegria, “Adoro sempre il momento della Valchiria” aveva aggiunto, accomodandosi affianco a Jason sul divano.
“Valchiria?” aveva chiesto Jason.
“Le guerriere che raccolgo le anime degli eroi” aveva spiegato Madina come se fosse stato ovvio.
“Sì. La Valchiria che ha raccolto la tua anima mostrerà a tutti le tue gesta! Vedremo probabilmente a grande schermo la tua morte, non è piacevole, ma è intrattenimento. Comunque, sii contento, non sei morto sei un Einherjar, uno dei guerrieri immortali di Odino. Sei morto, sì, ma sei nella forma migliore possibile” aveva detto orgoglioso Mal.
Odino?
Odino era una divinità nordica, “Odino, tipo il padre di Thor?” aveva chiesto Jason.
“Sì, ma non come nella versione della Marvel. Più … ambiguo” aveva risposto Madina, poi avevano proseguito il loro discorso.
Jason era un einherjar ora, un guerriero immortale, ogni giorno doveva combattere nei campi in preparazione del Ragnarok – la fine del mondo – e mangiare alla tavola di Odino.
Non erano richieste altre funzioni.

“Quindi è una specie di aldilà” aveva valutato.
Era ancora morto.
Solo che sembrava terribilmente vivo, era difficile da spiegare, quando si era trovato nei Campi Elisi, non si era sentito così, si era sentito leggero, privo di ogni mal pensiero, ogni dubbio, incertezza, dissipato.
Era come vivere a mollo, nella gioia. In quel momento si sentiva vivo. Nella sua peggiore forma di vità.
“Si, solo che ecco, è un aldilà molto aldiquà” aveva dichiarato Madina, “Pensa che alcune volte riusciamo anche a farci una scampagnata per i nove mondi, sì, ne esistono nove. Midgard è comunque il più bello” aveva esclamato lei.
“Per questo ci teniamo aggiornati su come funziona il mondo” aveva stabilito Mel, ingurgitando un altro muffin, “Altrimenti saremmo un po’ indietro. Madina è nata nel milleseicento ed io sono un po’ più vecchio” aveva raccontato lui.
“Poi, sarà che sono figlia di Ullr – un dio norreno, quello dello scii[3] – ma combattere, a me, diverte proprio, è una vera botta di adrenalina!” aveva raccontato Madina, “A me no, infatti non vengo a combattere tutti i giorni, siamo così tanti che non se ne accorgono mica” aveva dichiarato Thumelicus.
“Comunque tranquilla a cena Odino e gli altri responsabili, racconteranno tutto molto meglio, anche i nostri doveri” aveva detto la ragazza, lanciando uno sguardo piuttosto critico all’amico.
Mel aveva riso con imbarazzo.
“Scusa, porto i segni di una vita con un’arma alla mano” si era difeso il ragazzo, alzando ambedue le mani.
Nonostante la sua affermazione, aveva la carne liscia priva di qualsiasi imperfezione.
Nessuna ferita, nonostante a loro dire combattessero ogni giorno.
“Mi è sparita una cicatrice” si era lasciato sfuggire, toccandosi poi con le dita li dove sapeva dovevano esserci i resti della sua impresa con la spillatrice.
“La trasformazione in einherjar cura tutte le tue ferite, letteralmente[4]” aveva raccontato Mel.
Madina aveva allungato una mano verso il suo amico, lui si era sfilato dallo stivaletto a mezza-gamba un coltello dalla lama sottile e le aveva tagliato il palmo della mano, secco. Lei aveva emesso un lamento, ma aveva cercato di non sgocciolare su Jason, sui muffin o sulla tappezzeria.
Jason aveva potuto osservare come il taglio, marginale, si fosse rimarginato in fretta sulla pelle della ragazza.
Mel aveva ripreso a parlare: “Di solito non è sempre così veloce, il taglio era superficiale e Madina è una semidea, loro ci mettono meno tempo” aveva chiarito subito lui.
Anche lui era un semideo.
“Questo, Jason, vale per tutte le ferite” aveva dichiarato lei, “Anche fuori di qui, siamo più veloci a rimarginare le nostre ferite, siamo difficili da riuccidere” aveva specificato.
“Ma fuori di qui siamo assolutamente mortali” aveva chiarito immediatamente Mel, “Se muori, bang, la tua anima … ehm … si dissolve? Finisci nel regno di Hell? Non ci teniamo a scoprirlo.
Jason aveva battuto gli occhi.
Madina aveva continuato il discorso del suo amico, “Ma qui dentro siamo praticamente immortali, si rimarginano ogni ferita, anche quelle letali. Letteralmente moriamo e torniamo in vita. Non è sempre bellissimo, come processo, ma prima ci fai l’abitudine, meglio è. Anche perché preparati per i prossimi dieci anni morirai un bel po’ di volte. Le battaglie sono un casino” aveva raccontato allegra lei, con gli occhi lucenti.
“Ora, forse, ti lasciamo ad elaborare le informazioni” aveva cominciato Mel, ma Jason aveva indicato loro l’albero che irrompeva nella sua stanza.
Così era cominciata un’altra serie di nozioni utili e terribilmente confusionarie.
Quello era l’Yggdrasil l’albero del mondo, che sorreggeva tutti i mondi. “Quando diventi esperto è un buon modo per spostarsi, ma ecco, non te lo consiglio. L’Yggdrasill è animato da creature non troppo amichevoli e se dovessi cadere da lì finiresti nel Ginnungagap. Il nulla” aveva detto gentile Madina.
“Adesso, ha ragione Mal, ti lasciamo elaborare. Così ti presentiamo anche gli altri abitanti del nostro piano, siamo al ventesimo” aveva aggiunto la ragazza.
“Sì con te siamo ufficialmente cinque, possiamo finalmente organizzare una partita di calcetto” aveva scherzato Mal, “Se non fosse che Fred non esce mai” aveva aggiunto con un tono più cupo.
“Ti richiamiamo per la cena va bene?” aveva chiesto invece Madina alzandosi, “Uhm, ecco, puoi fare un giro, ma fai attenzione ogni porta potrebbe portarti potenzialmente in un mondo pericoloso …” aveva aggiunto lei con imbarazzo.
“Grazie” aveva risposto solamente Jason. Stanco.

Aveva scoperto che il suo bagno aveva una vasca e memore dei tempi a nuova Roma ne aveva approfittato.
Era finito nell’oltremodo norreno, per desiderio di Kymopoleia.
Stava mentendo a tutti, perché glielo aveva detto una sconosciuta.
Ed era comunque morto, ma non abbastanza.
Sentiva la mancanza dei Campi Elisi, più della sua vita, più dei suoi amici … era strano, no?
Ma Jason aveva avuto l’impressione che tutta la sua vita fosse un conflitto, una sfida, una fatica e finalmente aveva potuto liberarsi ed in quel momento, eccolo, a combattere per il resto della sua vita fino alla fine dei tempi.
Perché?

Si era ammollato nella vasca, quando avevano bussato nuovamente alla porta, Jason si era mosso meccanico, per andare ad aprire, con l’asciugamano allacciato alla vita e gli occhiali dimenticati sulla cassapanca. Ci vedeva ugualmente, bene, abbastanza da aver creduto per una vita di vederci, ma ora si rendeva conto che la sua vita era un filo appannata.
Straniamento quello la resurrezione non lo aveva curato.
“Oh, Wotan!” aveva esclamato Thumelicus quando lo aveva visto, “Scusa ero in … bagno” si era giustificato Jason, “Nessun problema, solo che è la tua grande serata e dobbiamo andare” aveva detto quello, grattandosi il capo.
Lui aveva annuito, recuperando dei vestiti nell’armadio, aveva imitato Mel ed aveva messo la maglietta dell’hotel, sembrava un po’ come quella del campo, di appartenenza.
Thumelicus gli aveva sorriso, poi erano uscita dalla stanza, Jason aveva osservato un lungo corridoio, con moquette ed una fila di porte che sembrava tendersi verso l’infinito.
Il suo cicerone aveva cominciato ad indicare il suo ingresso, quello di Madina e degli altri due avventori.
Si era fermato davanti ad una porta ed aveva bussato, carico di aspettative.
Nessuna risposta.
“Fred, sono io Mel. Sto andando a cena, c’è anche Jason, quello nuovo, e la sua gran serata … non è che vorresti venire?” aveva chiesto Mel con aspettativa, “Le ragazze ne sarebbero contente” aveva aggiunto.
Era seguito del teso silenzio e poi una risposta, “No, je … io credo resterò qui …” piano, con lo stesso tono miagolato di un gatto.
Thumelicus aveva chiuso gli occhi e sul viso si era dipinta un’espressione sconfitta.
Il ragazzo si era staccato ed aveva invitato Jason a seguirlo, “Uhm … Fred non esce molto. Ogni tanto lo fa, siamo un po’ preoccupati che si dissolva. Può succedere” aveva raccontato quest’ultimo.

Avevano preso un ascensore e Mel aveva digitato uno dei primi piani, sebbene l’ascensore avesse trovato il suo arresto subito dopo di loro.
Nel cubicolo erano entrati un ragazza che aveva ricordato a Jason immediatamente Rachel, con un sorriso sbarazzino ed una matassa di riccioli rossi, sebbene se soluzioni finissero lì, ed un ragazzo dall’incarnato scuro, i riccioli, una baionetta legata alla schiena e vestito come se fosse uscito da una ricostruzione della guerra di secessione, per quanto fosse probabile fosse uscito direttamente da lì.
“Oh ciao, Mel, nuovo vicino?” aveva chiesto subito quello.
“Sì. Jason loro sono Tj e Mallory, diciannovesimo piano, praticamente delle leggende qui[5], più di Leif Eriksson e suo padre” aveva dichiarato Mel, con un sorriso bell’allegro.
“Devo dire che non ho idea di chi sia” aveva ammesso Jason.
Mortale, indovino? Hai proprio la faccia da mortale” si era inserita Mallory, con un sorriso da rana, l’amico le aveva tirato un buffetto con il gomito.
Jason aveva ricordato le parole della sconosciuta, annuendo, pieno di vergogna per la sua stessa menzogna. “Leif Eriksson è stato il primo europeo a giungere in America, ben quattro secoli prima di colombo” aveva spiegato subito Tj. “Lo vedrai a mensa, siede al tavolo di Odino!” aveva aggiunto Mel, “Mi ricordo ancora quando è arrivato” aveva scherzato poi.
Jason iniziava a farsi l’idea che non fosse solo un po’ più vecchio di Madina.

 

La sala da pranzo era enorme, piena di tavoli con altrettante persone, creando un mare di teste, su cui sopra scivolavano nell’aria splendide fanciulle.
Valchirie, le aveva definite Mel.
La sala era dominato da un enorme albero d’oro, il più grande e bello che Jason avesse mai visto, che faceva pendent con il soffitto tempestato da tondi clipei dorati.

Il tavolo addossato alla parete era il più evidente, era rialzato rispetto gli altri. Il posto centrale era occupato da un vecchietto, con il sorriso arzillo e l’occhio coperto da una benda. Doveva essere Odino, il patriarca della mitologia norrena, lo Zeus degli altri. La cosa che spiccava di più era sicuramente l’abbigliamento da allenatore di football che avrebbe trovato l’approvazione di Coach Hedge ed i due corvi, neri e grossi, appollaiati sulle sue spalle. Al suo fianco, era una corte di altri signori, più o meno pittoreschi.
“Quello è Wotan, padre-tutto, signore degli Asi e fondatore del Valhlala” aveva dichiarato subito Mel.
“Pensavo si chiamasse Odino” aveva commentato Jason.
“Oh, sì, giusto è il nome ehm … scandinavo. Io appartengo ai cherusci ed uso il nome nostro” aveva dichiarato.
“Sono un popolo germanico, vero?” aveva chiesto Jason, se li ricordava i cherusci, per un fatto storico, che dopo milleni Roma non aveva ancora superato[6].
Mel aveva sorriso, “No. Sono i Romani ad averci chiamato così, germani. Però sì era un popolo, oltre il Reno, se lo ricordano in pochi” aveva raccontato poi il germano.
Jason aveva chiuso gli occhi per un secondo.
La sconosciuta aveva detto di mentire. “E cosa sono gli Asi?” aveva chiesto per non entrare nel discorso della romanità.
“Gli dei, gli dei della guerra, ci sono Asi e Vani, diciamo che gli Asi comandano, circa, cioè non credo che qualcuno lo direbbe mai ad alta voce a portata di orecchio della divina Freya[7]” aveva risposto con allegrezza Mel, mentre lo guidava tra il dedalo di tavoli, appena dopo essersi congedati da Tj e Mallory.
“Quelli accanto ad Odino sono i Thegn, gli alti funzionari, sono tutti uomini che Odino ha scelto personalmente, quello lì, è proprio Leif” Mel aveva indicato quelli che sedevano al tavolo di Odino, anche se Jason non era riuscito a distinguere bene quale fosse il famoso Leif Eriksson.
Però aveva riconosciuto subito Madina, che sventolava una mano verso di loro.

Non era sola al tavolo, con lei c’era un’altra ragazza, era di origine nativo americane, ma era diversa da Piper, quello fu il primo pensiero di Jason. Aveva il viso piatto, gli occhi allungati, verso la forma di una mandorla, l’incarnato caramello e capelli nerissimi, lisci e dritti.
“Oh, tu sei quello nuovo!” aveva canticchiato lei, sorridendo, aveva labbra sottili, allungando una mano verso di lui, indossava guanti imbottiti.
Differentemente da loro non aveva la maglietta verde bottiglia, ma sfoggiava un abbigliamento di pelliccia ed una collana con le perline.
“Io sono Astrid” si era presentata.
Non era un nome che si aspettava, doveva ammettere.
“Jason” aveva detto lui, stringendole le mani.
“Spero Jason che la tua morte eroica non sia stata una casualità, perché noi, piano venti, abbiamo il minor numero di morti in battaglia e voglio tenere questo record” aveva dichiarato Astrid con fermezza.
Madina aveva scosso il capo sconsolato, “Scusala, Jason, Astrid è molto competitiva” aveva provato a giustificare l’amica.
“Anche oggi Fred non viene?” aveva chiesto, invece, Astrid, a Mel, ignorando Madina..
L’altro aveva fatto un cenno di diniego.
Astrid aveva arricciato le labbra contrite, infastidita da quella notizia, prima di distogliere l’attenzione della conversazione muta che stava avvenendo tra Mel e Madina.
“So combattere” le aveva detto Jason, insicuro anche del perché l’avesse fatto.
Astrid aveva annuito, “Bene, perché noi due passeremo molto tempo assieme, come puoi immaginare” lo aveva avvertito lei, con una mano aveva fatto cenno ai due loro commensali.
Mel e Madina erano ancora assorti in una conversazione fitta, sottovoce, composta di gesti e sguardi.
Ah, erano una coppia!
Oh. Madina era lì almeno dal mille-e-seicento.
“Hai dovuto fare da reggi candele” aveva valutato Jason.
Il suo pensiero era andato a Leo, che aveva sempre vissuto male quella situazione.
Leo, chi sa se avrebbero potuto rincontrarsi. Madina e Mel avevano detto che di tanto in tanto potevano uscire.
 “Quattrocento anni” aveva risposto Astrid, anche se non era una domanda, mentre sfilava da una delle bretelle di cuoio quello che aveva tutto l’aspetto di un corno potorio. “La mia fortuna che avevo questo” aveva dichiarato lei, “Lo avevo addosso quando sono morta, ospita molto più idromele dei bicchieri che danno qui” aveva stabilito.
Jason non era sicuro fosse una battuta perché il viso di Astrid era rimasto ieratico.

Odino aveva attirato l’attenzione di tutta la sala, aveva delle notizie interessanti prima di procedere con il pasto e con l’usuale giornaliero bagno di sangue.
“Prima di tutto accogliamo i nostri nuovi ospiti” aveva stabilito, lasciando la parola ad un uomo che si chiamava Helgi, che Mel subito si era predicato nello spiegare fosse il receptionista dell’hotel e uno dei guerrieri dell’elite.

“Sarah Topika” aveva chiamato quello.
Da un tavolo si era alzato una giovane donna, più grande di Jason, aveva occhi grandi di un nero profondo, l’incarnato caffè-latte e i capelli tinti di un biondo piuttosto accesso. La donna aveva un espressione piuttosto confusa, differentemente da Jason lei doveva essere una mortale in tutto il suo splendore.
“Ora, visioneremo dalla Valchiria-Cam la tua eroica morte, Sarah” aveva detto Hodi.
Vicino al tavolo, dal cielo era scesa una ragazza, “La Valchiria che ha raccolto la tua anima è Samirah Al-Abbas” nel dire quell’ultima cosa, si era levato dall’intera sala un brusio di applausi e fischi.
Jason aveva guardato la ragazza incriminata.
Poteva essere una sua coetanea, aveva un hijab verde, con una fantasia di fiori rosa, che copriva il capo, lasciando scoperto un viso bronzeo con un espressione soddisfatta.
Gli abiti assolutamente civili, erano nascosti dietro un armatura con placche argentee sottili … come quelli della sconosciuta.
La ragazza che lo aveva salvato-ucciso era una valchiria.
Samirah aveva premuto qualcosa sulla sua armatura e subito davanti ai loro occhi aveva proiettato qualcosa.
Sembrava come un ologramma.
C’erano due bambine che piangevano, una era quasi adolescente, ma non esattamente e l’altra era più piccola, Sarah era già ferita, ma brandiva tremante un coltello contro qualcuno.
L’uomo si era fatto avanti, Sarah non era arretrata.
L’uomo le era balzato addosso, c’era stata una colluttazione, era durante un po’ , in qualche modo l’uomo aveva preso il coltello ed aveva ferito Sarah al ventre, le ragazzine avevano urlato.
Poi era successo qualcosa, c’era stato un po’ di disturbo nella ricezione.
Quando la telecamera era tornata a registrare,
Sarah era livida, abbracciata alle ragazzina più piccola, la più grande era il telefono, forse a chiamare i soccorsi.
Una figura si era affacciata nella scena, era stata molto veloce – ma brillava di luce dorata[8] – ed aveva dato a Sarah il coltello da stringere nella mano.
La visione si era interrotta, mentre la donna spirava per la ferita ed anche lei si illuminava di una forte luminescenza aurea.
Helgi aveva sbuffato, esausto, che a Jason aveva ricordato Chirone, mentre Odino aveva ridacchiato.
“Valchiria, questo intervento è … irregolare” aveva dichiarato Hodi stanco, ma il sorriso soddisfatto di Samirah non aveva fatto una piega.
“Lei può fare tutto quello che vuole, praticamente, non sarà una valchiria per sempre ed ha il bonus dell’aver salvato il mondo … due o tre volte” aveva commentato Mel.
“Io adoro la Valchiria-Cam di Samirah, c’è sempre qualche irregolarità[9]” aveva aggiunto Madina, battendo le mani sul tavolo.

Jason aveva guardato Sarah, era pallida e delle lacrime solcavano il suo viso, “Non ti preoccupare Helgi” aveva preso la parola Odino, “Non possiamo che riconoscere il coraggio mostrato da questa giovane donna, nel proteggere quelle due giovani. Erano le tue figlie?” aveva chiesto poi il padre degli dei alla diretta interessata.
“Le mie nipoti” aveva miagolato Sarah.
“Sei morta combattendo, sei morta valorosamente e con un’arma alla mano, Samirah non è stata forse molto ortodossa” Odino aveva fatto una pausa scoccando uno sguardo alla valchiria, che ora sembrava molto meno convinta, e fischiettava guardando in un’altra direzione, “E neutrale. Ma questo luogo è ora la tua casa. Benvenuta nella nostra Sala” le aveva detto, alzando un calice.
Un’altra valchiria aveva subito allegato alla donna un calice con cui brindare, che quella aveva accettato tremante.

Helgi aveva chiamato un’altra anima, con un nome per Jason impronunciabile, questa volta si era alzato un ragazzo, giovane come Jason, con i capelli neri lisci ed il trucco sugli occhi ed una maglietta di una band metal, aveva un’espressione dura ed arrabbiata, ma quando la valchiria che l’aveva salvata – una dodicenne con un sorriso frizzante – si era subito addolcito.
Il ragazzo aveva aiutato dei suoi compagni ad uscire da una finestra, mentre la loro scuola era in fiamme, era morto poi per l’esalazione del fumo, ma l’aveva fatto con il coltellino svizzero alla mano.
Anche lui era stato accolto nella Sala.

Jason aveva cominciato a sudare freddo, cosa avrebbe inventato la sua valchiria, per lui …?
Helgi aveva ripreso a parlare:
“Jason Grace” il suo nome non gli era mai parso più estraneo.
Astrid gli aveva messo una mano sulla spalla e lui si era alzato.
Percepiva tutti gli occhi dalla sala su di lui.
Tutti.
Nel mentre davanti al tavolo di Odino si era palesata la sua misteriosa salvatrice.
“Oh, Thrud Thordottir, non porti molto anime tu …” aveva valutato Helgi. Lei aveva ridacchiato, prima di voltare il viso verso Odino.
“Oh, nonno!” aveva chiamato subito, con un tono in falsetto e bambinesco.
Solo quando era stato appellato, Jason aveva notato che Odino aveva tolto l’occhio sano dalla sua figura per guardare quella che doveva essere sua nipote. “Durante il mio salvataggio, la Valchiria-cam è rimasta … ehm … distrutta” aveva dichiarato Thrud, fingendo vergogna.
Si era sollevato un brusio per la sala.
“Questo è altamente irregolare” aveva commentato uno dei thegn di Odino, mentre il tavolo principale cominciava a confabulare tra loro.
Jason aveva un problema.
Lo stava capendo.
Aveva vissuto abbastanza situazioni disagianti da riconoscere un problema quando lo vedeva.

 




[1] La sorellastra di Percy, conosciuta da lui e Jason in TBOO

[2] Thumelicus è la versione latina di un nome germanico che dovrebbe essere Thumelik, credo. Ma ehi.

[3] NON STO SCERZANDO. Ullr è conosciuto come il Dio che Scia (ed è rappresentato con gli scii) ovviamente anche dio con l’arco ed altre cose fighe. MA IL DIO DELLO SCII, PLS.

[4] Magnus lo descrivere simile al processo di Captain America prima e dopo il siero (quindi in realtà che corregge ogni cosa). Nel suo caso lui si era anche irrobustito, Jason era nella sua forma migliore già di per se, quindi capita solo questo. Uhm, ho pensato di lasciargli gli occhiali, perché sì. Ma se ci pensiamo Jason non si era mai accorto di averne bisogno, quindi non so … essendo stati donati da un Dio mi piaceva l’idea che ne avesse davvero bisogno.

[5] Sono due personaggi cardine di MC&TGOA

[6] 100 punti a chi indovina! Indizio: Teutoburgo!

[7] La mitologia Norrena divide il pantheon in Asi e Vani, che sono due stirpi in guerra, che poi hanno fatto pace. Gli Asi sono le divinità bellicose, mentre i Vani sono le divinità della natura (conosciamo poche divinità vani, che però sono state adottate nel pantheon Asi, tra queste quella figona di Freya).

[8] Le Valchirie sono in grado di vedere I Guerrieri destinati al Valhalla di luce dorata; perciò, qualcuno è intervenuto (coffcoff*Alex*coffcoff)

[9] Questo è un inside Joke, nella saga di Magnus, Samirah (che è viva, quindi invecchia, perciò non sarà sempre una valchiria) porta tre anime nel Valhalla e non va mai liscia. Quindi pensavo di continuare così, inoltre, Samirah è implicitamente la valchiria preferita di Odino, quindi …

   
 
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