Buongiornissimo
Kaffèèè … Scrivo
così perché oggi è il mio compleanno,
quindi sono vecchia, ed
ho deciso di premiarmi con questa breve piccola storia.
I capitoli saranno 3, massimo 4 (perché sono prolissa) e
sono stati creati con
lo stesso concetto di Leo Valdez e … WTF?!?, ovvero come
idea carina per una What
If (Se può la Marvel, posso pure io).
Differentemente dalla storia di Leo, questa non fa da apripista ad una
vera e
propria storia, cioè magari se quella di Leo era un Pilot,
questa è tipo “un
prequelino” caso mai volessi. Ho deciso di spezzarla in
più capitolo a causa
dell’eccessiva lunghezza che la storia stava prendendo.
Comunque, nonostante la
storia sia breve, per poter scrivere i prossimi capitolo credo ci
vorrà un po’,
stesso discorso del Crepuscolo (un mese di fuoco).
Ho scelto Jason perché è un personaggio il cui
interesse per me è cresciuto da
zero a mille, nel crescendo dei libri.
Quindi sì, questo è un tributo al Golden Boy di
Percy Jackson, forse non il
migliore, ma prendetelo come tentativo.
Poi, dulcis in fundo, questa storia non è nata da
un’idea originale, qualcuno
su A3O l’aveva già pensata, vi lascio il link
della ff in questione, ma anche
solo leggendo l’inizio capirete che a parte l’idea
hanno poco altro in comune.
In realtà ho scoperto che oltre questa ne esistono ben altre
3 di ff con questo
tema, credo pubblicherò questa anche su A3O così
saranno quattro.
(Link: https://archiveofourown.org/works/15756735/chapters/36660399)
Detto
queste premesse, spero possiate apprezzare la ff.
Un bacio
RLandH
Ps1-
“PICCOLO”
SPOILER DI TOA (TBL & TToN) e spoiler minori su MC&TGOA
Ps2
– Ho disegnato
(MALE) Thrud:
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Thrud-Thordottir-890978835
Jason Grace and … the barbarians
Il
grosso grasso problema barbaro
L’ultimo
ricordo di Jason era di essersi preso una bevanda fredda con suo
fratello …
Apollo, su una spiaggia.
E che era in pace.
Era un bel ricordo, non era come aveva sempre pensato avrebbe virato la
sua
vita – onestamente aveva cambiato idee più volte
su come si sarebbe direzionata
la sua esistenza – però era stato bello.
Era morto, ovviamente, quello non era bello, ma era successo.
Jason aveva sognato come sarebbe stato essere vecchio, sposato e con
dei figli.
La vita andava come doveva andare.
E lui non aveva rimpiatti – o meglio ne aveva – ma
molti meno di quanti
pensasse.
Ricordava la morte.
La sensazione di morire.
Apollo al tavolino che lo ascoltava.
Il sorriso divertito della ragazza di nome Silena.
E la pace.
“Avevi
detto che avrei potuto ucciderti io”
Quello lo ricordava come qualcosa di distorto.
Aveva
aperto gli occhi, aveva incontrato il viso pallido di una bella donna,
dalla
chioma rossa “Ascoltami” aveva detto lei.
Jason
aveva cercato di capire che coso stava succedendo.
La prima cosa che aveva messo a fuoco era stata la lama della spada
della
ragazza sulla sua gola, lei gli era a cavalcioni sul petto,
“Un fiato ed una
mossa e sei morto” gli aveva impartito.
Jason era sveglio, supino su una superficie morbida e stanco.
Non aveva osato muovere un muscolo dalla minaccia, mentre cercava di
elaborare
quello che stava succedendo e che poteva fare.
Gli imperatori!
Apollo!
… Piper!
Poteva provare ad evocare i venti e fulmini.
“Non ti farò niente, ma devi ascoltarmi
attentamente o entrambi la passeremo
male” le aveva detto lei, calma.
“I tuoi amici stanno bene, me lo ha detto Kym”
aveva chiarito quella.
“Kym?” aveva boccheggiato Jason, sentendo la
pressione della lama sulla gola.
Avevi detto che avrei potuto ucciderti io.
“Kymopoleia[1].
Siamo vecchie amiche, sei qui per un favore a lei” aveva
dichiarato quella,
“Lei ti vuole vivo” aveva dichiarato la sconosciuta.
“Ma sono morto!” era stata la risposta di Jason,
alterata.
“Sì, ma la morte ha tante facce” aveva
dichiarato.
“Kymopoleia ti spiegherà tutto ma tu dovrai
assecondarmi dopo. Se dirai la
verità nulla sarà valso e tu continuerai ad
essere morto – in quella maniera
sgradevole in cui lo siete voi – ed io
non avrò un bel quarto d’ora”
aveva chiarito lei.
Jason era rimasto in silenzio.
“Non pensare di usare i fulmini, noi sei l’unico
che sa fare questo trucco,
comunque” le aveva detto lei e lontano, come un eco, Jason
aveva potuto sentire
l’eco di un tuono.
“Hai capito?” aveva chiesto quella.
Jason aveva annuito, confuso e disorientato.
“Giuralo su … ehm … su cosa
giurate voi?” aveva domandato confuso. “Lo
Stige?”
aveva provato Jason, “Ecco, sì, giuralo su quello,
che non mi contraddirai”
aveva detto lei poi.
“E se non lo faccio sono morto?” aveva chiesto
Jason pratico.
Di nuovo morto.
Quella aveva annuito. Aveva un viso duro, bianco come l’acqua
neve e i capelli biondo
ramato, gonfi come un nido di rovi.
Indossava un’armatura, anche se Jason non ne aveva mai vista
una così, con
piastrine piatte di ferro lucente. Una manica, invece di essere coperta
dalla
corazza, portava allacciato un mantello, dove sarebbe dovuta esserci
una cappa
di pelliccia, c’erano piume bianchissime.
“Lo giuro sullo Stige” aveva
dichiarato, certo di aver commesso un
errore.
La ragazza aveva sorriso per la prima volta, “Ascoltami bene,
adesso, non dire
la verità. Fingiti un mortale, uno di quelli ciechi, proprio
ciechi e di che
non ricordi niente. Questo dovrebbe esserti famigliare” lo
aveva preso in giro
lei.
Sì, decisamente risvegliarsi in lungo sconosciuti con la
memoria a brandelli e
feroci ragazze che lo trattavano come se fossero conoscenti da una vita
era una
sensazione che conosceva piuttosto bene.
Solo che non era opera di Hera, ma Kymopoleia.
“Adesso?” aveva chiesto Jason, la ragazza aveva
allentato la pressione della
lama sul suo collo, permettendo a Jason di respirare bene, aveva
provato a
puntellarsi sui gomiti, per tirare su appena il busto.
Quella non aveva smesso di sorridere.
“Adesso” aveva esordito la sconosciuta,
“Io non sono mai stata qui e tu
asseconderai quello che dico” aveva dichiarato, “E
permettimi di scusarmi in
anticipo, ma farà male” aveva terminato.
Jason non aveva capito cosa intendesse, fino a che non aveva sentito il
freddo
della lama nel profondo, in lui.
Veloce e letale.
Poi era morto.
Ne era stato certo, perché era già morto.
Piper era ad
un bar, era con Leo,
stava raccontando qualcosa di divertente ed il suo amico ascoltava
assorto.
Sembravano felici.
Si era
svegliato di soprassalto, ancora una volta era steso supino su una
superficie
morbida. Era un letto a due piazze, si era sollevato stordito e
confuso,
realizzando di essere in una stanza.
Era capiente, sì, più grandi di qualsiasi stanza
singola avesse occupato nella
sua vita.
Oltre il letto, da due piazze, c’era un angolo cottura, un
piccolo soggiorno,
che con la camera compieva un unico ambiente.
C’era una finestra, coperta da tende stesse.
La prima cosa che aveva stordito Jason era stato però
l’odore delle lenzuola, sapevano
di fresco, un odore che Jason associava a qualcosa che non riusciva ad
identificare
e c’erano lupi sulla federa – nostalgico.
La stanza aveva due porte, una socchiusa dava su un piccolo bagno.
C’era una cassapanca di legno pallido, levigata e liscia, un
armadio a doppia
anta, dall’aspetto antico, massiccio e di legno scuro, sulle
legno davanti era
stata incisa finemente un albero rigoglioso, mezzo su un anta e mezzo
sull’altra.
C’era anche un camino, senza rialzo e il focolare sul
pavimento, coperto da una
cappa di mattoni quadrata, prima di essere assorbito nel soffitto in un
cono,
il mattonato creava un cornicione, che aveva la funzione di mensola, su
cui
erano state sistemate delle cornici.
Foto.
Una foto dove Jason – perché era lui –
piccolo come un bambolotto stava tra le
braccia di una sconosciuta, Beryl Grace, anche Thalia era nella foto,
minuscola,
cinque anni al massimo, mentre la loro madre provava
all’obbiettivo un sorriso
stanco, la piccola Thalia ne esibiva uno pieno di vita, le mancava un
dentino
da latte.
C’era una foto sua e di Piper anche, l’avevano
scattata dopo la sconfitta di
Gea, pochi giorni dopo aver lasciato il campo, quando le cose andavano
bene.
Pieni di aspettative per una vita che non si era mai concretizzata.
Fece male.
L’ultima foto non era mai stata scattata, ma Jason fu
ugualmente pregno di
gioia nel vederlo. Erano loro sette, però c’erano
anche Reyna, Nico ed il Coach
che sorridevano all’obbiettivo, parevano una schiera di
adolescenti normali in
campeggio – e un satiro incazzato – in una schiera
di arancione e viola.
Quella foto non era mai stata scattata, non erano mai stati tutti
assieme.
Non erano mai stati così felici.
Però era bella, perché Jason l’aveva
immaginata un milione di volte. C’era
anche lui in quella foto, questo lo rendeva più doloroso,
perché non sarebbe
mai stato così.
E poi c’era l’albero e Jason si era dannato che non
l’avesse notato prima,
eppure aveva gli occhiali inforcati.
Un angolo del soffitto era sfondato e rami spessi quanto braccia
scendevano da
lì, quasi invitandolo ad una salita, certo che avrebbero
potuto sostenere il
suo peso.
Il legno era d’uro, ma splendido, con foglie verdi grandi.
Dal foro del
soffitto scendeva una brezza piacevole, Jason aveva assottigliato gli
occhi per
poter spiare meglio, notando che non vedeva piani superiori solo il
resto dei
rami, lunghi e infiniti.
Fu quasi tentato di arrampicarsi, ma realizzò di non avere
armi con se – e non
aveva voglia di morire per la terza volta.
Cominciò ad aggirarsi per la stanza e lì sulla
cassa-paca trovò la sua moneta,
piccola e d’oro come era sempre stata.
Aprì l’oggetto trovandolo pieno di biancheria per
la stanza, lenzuola,
strofinacci e asciugamani.
Si diresse all’armadio, aprendolo lentamente,
c’erano appesi dei vestiti,
all’anta suoi, alcune magliette in verde petrolio nuove,
tutte recitavano la
stessa scritta.
Hotel Valhalla.
Ma prima che potesse interrogarsi su quello, ciò che lo
aveva stordito era
stata l’immagine restituita dallo specchio
nell’anta interna dell’armadio.
Era Jason ma non era Jason.
Era lui, sì, con gli stessi capelli biondi paglierino, la
statura, gli occhi
blu dietro le lenti di vetro, la stessa montatura d’orata.
Il naso dritto, le spalle … era lui e non lo era.
Mancava quell’infinitesimale piccolo dettaglio della
cicatrice, lì sul labbro,
quando da bambino aveva provato a mangiare
una cucitrice.
Era una ferita insulsa, una riga bianca appena visibile, ma era sua.
Era la cosa più vecchia che avesse mai posseduto, prima di
scoprire di aver
avuto una madre, una sorella, che ci fosse stato qualcosa prima della
Lupa e di
Roma, aveva avuto quella cicatrice.
Era cresciuta con lui.
Sempre sulla sua faccia.
Così il viso, senza di lei, l’immagine che
restituiva era estranea.
Si era guardato le braccia ed aveva notato che ogni ferita, ogni
graffio,
cicatrice che aveva raccolto da che era bambino ed aveva brandito una
spada era
scomparsa.
Avevano preso Jason ed avevano cancellato tutto quello che ne era stato
di
Jason.
Ed anche il suo aspetto non sembrava più suo.
Si era
allontanato
dallo specchio inorridito e si era seduto sul letto, incapace di
razionalizzare
quello che era successo.
Era morto, lo ricordava, contro Caligola.
La sconosciuta avevano detto che i suoi amici erano salvi, ma poteva
essere
vero?
Chi era?
Cosa c’entrava Kymopoleia?
Lui era nei
Campi Elisi, lo ricordava. Aveva avuto un contatto leggero con suo
fratello,
una sorta di connessione astrale. Ricordava di aver incontrato Silena
ed il suo
fidanzato e tanti altri.
Aveva anche giocato a carte con Menelao e Augusto, quell’Augusto.
‘Sono contento che di Roma sia rimasto ancora così
tanto di cui andare fiero’
gli aveva detto. Un imperatore di cui essere orgoglioso!
Ed in quel momento nulla aveva senso …
Dal suo vagabondare era stato risvegliato solamente dal bussare contro
la
porta.
Era rimasto congelato.
Aveva sentito un vociare appena.
‘Forse non se la sente?’
‘Forse è solo scioccato e non sa che sta
succedendo?’
“Avanti”
aveva miagolato Jason, recuperando dalla tasca dei suoi jeans, la
moneta,
pronta a lanciarla in alto.
“Imbarazzante ma se non mi apri non posso entrare”
aveva risposto una delle due
voci, con un tono più alto, era un ragazzo.
Jason si era alzato con fatica, con i riflessi tesi e la mano pronta al
lancio
ed aveva raggiunto la porta.
Dietro l’uscio c’erano due adolescenti.
Un maschio ed una femmina. Lui era alto, con le spalle larghe e i
bicipiti
prominenti, occhi verde pistacchio, pelle diafana e capelli biondo
dorato,
stretti una treccia che partiva dalla sommità del capo e
scendeva sulla
schiena, alla maniera di un moicano, rasato ai lati.
Lei era il suo opposto, tranne per l’altezza, era slanciata,
ma scura, con un
viso morbido, lunghi e sciolti capelli neri, composti da ricci stretti
e
leggeri.
Aveva occhi castani dolci.
Entrambi indossavano la maglietta verde greggio con la scritta Hotel
Vallalah.
“Ecco, io e Mel ti abbiamo preparato dei muffin, pensavamo
potessi averne
bisogno” aveva detto amichevole lei, allungando verso di lui
un cestino,
coperto da un fazzoletto. “Oh meglio, io ho fatto i cestini e
Mel ha fatto i
muffin, è bravo” aveva cinguettato poi.
Mel, il ragazzo era arrossito.
“Sì, ehm … io sono Thumelicus,
sì lo so è latino, ma è una lunga
storia[2],
chiamami Mel, mi
chiamano tutti Mel e lei è Madina” aveva
parlato di nuovo il ragazzo.
“Jason” aveva risposto meccanico lui, mentre
prendeva il cestino offertoli
dalla ragazza.
“Devi essere parecchio confuso, eh” aveva valutato
Mel.
Jason aveva annuito, sincero.
“Confuso molto, ma devo ammettere che svegliarmi in luoghi
sconosciuti senza
avere idea di come ci sia arrivato, mi è in
realtà famigliare” aveva scherzato.
Osservando poi l’espressione stranita dei due avventori.
“La
prima
cosa da accettare è che sei morto.
Probabilmente sei morto facendo
qualcosa di eroico, difendendo qualcuno, aiutando qualcuno
…” aveva cominciando
Madina, a raccontare, dopo che si erano accomodati nel piccolo
salottino sul divano
di quella che – da quel momento – doveva essere la
stanza di Jason.
“O semplicemente con una lama alla mano, abbastanza
perché fosse ritenuta
eroica” era intervenuto Mel cominciando a spostare la carta
da uno dei muffin
che aveva portato.
Jason aveva ricordato le parole della sua – seconda assassina
– “Io non credo
di ricordarlo bene” aveva cominciato a dire, non sapendo come
doversi destreggiare.
Non era un bravo bugiardo, perché non era un bugiardo.
Si era limitata ad imitare come si era comportato naturalmente, la
volta
scorsa.
“Ero con la mia …
ex-ragazza, mio
fratello ed una sua amica …” aveva detto alla fine
Jason, niente di tutto questo
era una menzogna alla fine.
Madina aveva sorriso con gentilezza, “Non ti preoccupare, la
tua valchiria dirà
tutto a cena” lo aveva tranquillizzato, con molta allegria,
“Adoro sempre il
momento della Valchiria” aveva aggiunto, accomodandosi
affianco a Jason sul
divano.
“Valchiria?” aveva chiesto Jason.
“Le guerriere che raccolgo le anime degli eroi”
aveva spiegato Madina come se
fosse stato ovvio.
“Sì. La Valchiria che ha raccolto la tua anima
mostrerà a tutti le tue gesta! Vedremo
probabilmente a grande schermo la tua morte, non è
piacevole, ma è
intrattenimento. Comunque, sii contento, non sei morto sei un
Einherjar,
uno dei guerrieri immortali di Odino. Sei morto, sì, ma sei
nella forma
migliore possibile” aveva detto orgoglioso Mal.
Odino?
Odino era una divinità nordica, “Odino, tipo il
padre di Thor?” aveva chiesto
Jason.
“Sì, ma non come nella versione della Marvel.
Più … ambiguo” aveva risposto
Madina, poi avevano proseguito il loro discorso.
Jason era un einherjar ora, un guerriero immortale, ogni giorno doveva
combattere nei campi in preparazione del Ragnarok – la fine
del mondo – e
mangiare alla tavola di Odino.
Non erano richieste altre funzioni.
“Quindi
è
una specie di aldilà” aveva valutato.
Era ancora morto.
Solo che sembrava terribilmente vivo, era difficile da spiegare, quando
si era
trovato nei Campi Elisi, non si era sentito così, si era
sentito leggero, privo
di ogni mal pensiero, ogni dubbio, incertezza, dissipato.
Era come vivere a mollo, nella gioia. In quel momento si sentiva vivo.
Nella
sua peggiore forma di vità.
“Si, solo che ecco, è un aldilà molto aldiquà”
aveva dichiarato Madina,
“Pensa che alcune volte riusciamo anche a farci una
scampagnata per i nove
mondi, sì, ne esistono nove. Midgard è comunque
il più bello” aveva esclamato
lei.
“Per questo ci teniamo aggiornati su come funziona il
mondo” aveva stabilito
Mel, ingurgitando un altro muffin, “Altrimenti saremmo un
po’ indietro. Madina
è nata nel milleseicento ed io sono un po’
più vecchio” aveva raccontato lui.
“Poi, sarà che sono figlia di Ullr – un
dio norreno, quello dello scii[3]
– ma combattere, a me, diverte proprio, è una vera
botta di adrenalina!” aveva
raccontato Madina, “A me no, infatti non vengo a combattere
tutti i giorni,
siamo così tanti che non se ne accorgono mica”
aveva dichiarato Thumelicus.
“Comunque tranquilla a cena Odino e gli altri responsabili,
racconteranno tutto
molto meglio, anche i nostri doveri” aveva detto la ragazza,
lanciando uno
sguardo piuttosto critico all’amico.
Mel aveva riso con imbarazzo.
“Scusa, porto i segni di una vita con un’arma alla
mano” si era difeso il
ragazzo, alzando ambedue le mani.
Nonostante la sua affermazione, aveva la carne liscia priva di
qualsiasi
imperfezione.
Nessuna ferita, nonostante a loro dire combattessero ogni giorno.
“Mi è sparita una cicatrice” si era
lasciato sfuggire, toccandosi poi con le
dita li dove sapeva dovevano esserci i resti della sua impresa con la
spillatrice.
“La trasformazione in einherjar cura tutte le tue ferite,
letteralmente[4]”
aveva raccontato Mel.
Madina aveva allungato una mano verso il suo amico, lui si era sfilato
dallo
stivaletto a mezza-gamba un coltello dalla lama sottile e le aveva
tagliato il
palmo della mano, secco. Lei aveva emesso un lamento, ma aveva cercato
di non
sgocciolare su Jason, sui muffin o sulla tappezzeria.
Jason aveva potuto osservare come il taglio, marginale, si fosse
rimarginato in
fretta sulla pelle della ragazza.
Mel aveva ripreso a parlare: “Di solito non è
sempre così veloce, il taglio era
superficiale e Madina è una semidea, loro ci mettono meno
tempo” aveva chiarito
subito lui.
Anche lui era un semideo.
“Questo, Jason, vale per tutte le ferite”
aveva dichiarato lei, “Anche
fuori di qui, siamo più veloci a rimarginare le nostre
ferite, siamo difficili
da riuccidere” aveva specificato.
“Ma fuori di qui siamo assolutamente mortali” aveva
chiarito immediatamente
Mel, “Se muori, bang, la tua anima … ehm
… si dissolve? Finisci nel regno di
Hell? Non ci teniamo a scoprirlo.
Jason aveva battuto gli occhi.
Madina aveva continuato il discorso del suo amico, “Ma qui
dentro siamo
praticamente immortali, si rimarginano ogni ferita, anche quelle
letali.
Letteralmente moriamo e torniamo in vita. Non è sempre
bellissimo, come
processo, ma prima ci fai l’abitudine, meglio è.
Anche perché preparati per i
prossimi dieci anni morirai un bel po’ di volte. Le battaglie
sono un casino”
aveva raccontato allegra lei, con gli occhi lucenti.
“Ora, forse, ti lasciamo ad elaborare le
informazioni” aveva cominciato Mel, ma
Jason aveva indicato loro l’albero che irrompeva nella sua
stanza.
Così era cominciata un’altra serie di nozioni
utili e terribilmente
confusionarie.
Quello era l’Yggdrasil l’albero
del mondo, che sorreggeva tutti i mondi.
“Quando diventi esperto è un buon modo per
spostarsi, ma ecco, non te lo
consiglio. L’Yggdrasill è animato da creature non
troppo amichevoli e se
dovessi cadere da lì finiresti nel Ginnungagap. Il
nulla” aveva detto gentile
Madina.
“Adesso, ha ragione Mal, ti lasciamo elaborare.
Così ti presentiamo anche gli
altri abitanti del nostro piano, siamo al ventesimo” aveva
aggiunto la ragazza.
“Sì con te siamo ufficialmente cinque, possiamo
finalmente organizzare una partita
di calcetto” aveva scherzato Mal, “Se non fosse che
Fred non esce mai” aveva aggiunto
con un tono più cupo.
“Ti richiamiamo per la cena va bene?” aveva chiesto
invece Madina alzandosi,
“Uhm, ecco, puoi fare un giro, ma fai attenzione ogni porta
potrebbe portarti
potenzialmente in un mondo pericoloso …” aveva
aggiunto lei con imbarazzo.
“Grazie” aveva risposto solamente Jason. Stanco.
Aveva
scoperto che il suo bagno aveva una vasca e memore dei tempi a nuova
Roma ne
aveva approfittato.
Era finito nell’oltremodo norreno, per desiderio di
Kymopoleia.
Stava mentendo a tutti, perché glielo aveva detto una
sconosciuta.
Ed era comunque morto, ma non abbastanza.
Sentiva la mancanza dei Campi Elisi, più della sua vita,
più dei suoi amici …
era strano, no?
Ma Jason aveva avuto l’impressione che tutta la sua vita
fosse un conflitto,
una sfida, una fatica e finalmente aveva potuto liberarsi ed in quel
momento,
eccolo, a combattere per il resto della sua vita fino alla fine dei
tempi.
Perché?
Si era
ammollato nella vasca, quando avevano bussato nuovamente alla porta,
Jason si
era mosso meccanico, per andare ad aprire, con l’asciugamano
allacciato alla
vita e gli occhiali dimenticati sulla cassapanca. Ci vedeva ugualmente,
bene,
abbastanza da aver creduto per una vita di vederci, ma ora si rendeva
conto che
la sua vita era un filo appannata.
Straniamento quello la resurrezione non lo aveva curato.
“Oh, Wotan!” aveva esclamato
Thumelicus quando lo aveva visto, “Scusa
ero in … bagno” si era giustificato Jason,
“Nessun problema, solo che è la tua
grande serata e dobbiamo andare” aveva detto quello,
grattandosi il capo.
Lui aveva annuito, recuperando dei vestiti nell’armadio,
aveva imitato Mel ed
aveva messo la maglietta dell’hotel, sembrava un
po’ come quella del campo, di
appartenenza.
Thumelicus gli aveva sorriso, poi erano uscita dalla stanza, Jason
aveva
osservato un lungo corridoio, con moquette ed una fila di porte che
sembrava
tendersi verso l’infinito.
Il suo cicerone aveva cominciato ad indicare il suo ingresso, quello di
Madina
e degli altri due avventori.
Si era fermato davanti ad una porta ed aveva bussato, carico di
aspettative.
Nessuna risposta.
“Fred, sono io Mel. Sto andando a cena,
c’è anche Jason, quello nuovo, e la sua
gran serata … non è che vorresti
venire?” aveva chiesto Mel con aspettativa,
“Le ragazze ne sarebbero contente” aveva aggiunto.
Era seguito del teso silenzio e poi una risposta, “No, je
… io credo
resterò qui …” piano, con lo stesso
tono miagolato di un gatto.
Thumelicus aveva chiuso gli occhi e sul viso si era dipinta
un’espressione
sconfitta.
Il ragazzo si era staccato ed aveva invitato Jason a seguirlo,
“Uhm … Fred non
esce molto. Ogni tanto lo fa, siamo un po’ preoccupati che si
dissolva. Può
succedere” aveva raccontato quest’ultimo.
Avevano
preso un ascensore e Mel aveva digitato uno dei primi piani, sebbene
l’ascensore avesse trovato il suo arresto subito dopo di loro.
Nel cubicolo erano entrati un ragazza che aveva ricordato a Jason
immediatamente Rachel, con un sorriso sbarazzino ed una matassa di
riccioli
rossi, sebbene se soluzioni finissero lì, ed un ragazzo
dall’incarnato scuro, i
riccioli, una baionetta legata alla schiena e vestito come se fosse
uscito da
una ricostruzione della guerra di secessione, per quanto fosse
probabile fosse
uscito direttamente da lì.
“Oh ciao, Mel, nuovo vicino?” aveva chiesto subito
quello.
“Sì. Jason loro sono Tj e Mallory, diciannovesimo
piano, praticamente delle
leggende qui[5],
più di Leif Eriksson e suo padre” aveva dichiarato
Mel, con un sorriso
bell’allegro.
“Devo dire che non ho idea di chi sia” aveva
ammesso Jason.
“Mortale, indovino? Hai proprio la faccia
da mortale” si era inserita
Mallory, con un sorriso da rana, l’amico le aveva tirato un
buffetto con il
gomito.
Jason aveva ricordato le parole della sconosciuta, annuendo, pieno di
vergogna
per la sua stessa menzogna. “Leif Eriksson è stato
il primo europeo a giungere
in America, ben quattro secoli prima di colombo” aveva
spiegato subito Tj. “Lo
vedrai a mensa, siede al tavolo di Odino!” aveva aggiunto
Mel, “Mi ricordo
ancora quando è arrivato” aveva scherzato poi.
Jason iniziava a farsi l’idea che non fosse solo un
po’ più vecchio di Madina.
La sala da
pranzo era enorme, piena di tavoli con altrettante persone, creando un
mare di
teste, su cui sopra scivolavano nell’aria splendide fanciulle.
Valchirie, le aveva definite Mel.
La sala era dominato da un enorme albero d’oro, il
più grande e bello che Jason
avesse mai visto, che faceva pendent con il
soffitto tempestato da tondi
clipei dorati.
Il tavolo
addossato alla parete era il più evidente, era rialzato
rispetto gli altri. Il
posto centrale era occupato da un vecchietto, con il sorriso arzillo e
l’occhio
coperto da una benda. Doveva essere Odino, il patriarca della mitologia
norrena, lo Zeus degli altri. La cosa che spiccava di più
era sicuramente
l’abbigliamento da allenatore di football che avrebbe trovato
l’approvazione di
Coach Hedge ed i due corvi, neri e grossi, appollaiati sulle sue
spalle. Al suo
fianco, era una corte di altri signori, più o meno
pittoreschi.
“Quello è Wotan, padre-tutto,
signore degli Asi e fondatore del Valhlala”
aveva dichiarato subito Mel.
“Pensavo si chiamasse Odino” aveva commentato Jason.
“Oh, sì, giusto è il nome ehm
… scandinavo. Io appartengo ai cherusci
ed
uso il nome nostro” aveva dichiarato.
“Sono un popolo germanico, vero?” aveva chiesto
Jason, se li ricordava i
cherusci, per un fatto storico, che dopo milleni Roma non aveva ancora
superato[6].
Mel aveva sorriso, “No. Sono i Romani ad averci chiamato
così, germani. Però sì
era un popolo, oltre il Reno, se lo ricordano in pochi” aveva
raccontato poi il
germano.
Jason aveva chiuso gli occhi per un secondo.
La sconosciuta aveva detto di mentire. “E cosa sono gli
Asi?” aveva chiesto per
non entrare nel discorso della romanità.
“Gli dei, gli dei della guerra, ci sono Asi e Vani, diciamo
che gli Asi
comandano, circa, cioè non credo che qualcuno lo direbbe mai
ad alta voce a
portata di orecchio della divina Freya[7]”
aveva risposto con
allegrezza Mel, mentre lo guidava tra il dedalo di tavoli, appena dopo
essersi
congedati da Tj e Mallory.
“Quelli accanto ad Odino sono i Thegn,
gli alti funzionari, sono tutti
uomini che Odino ha scelto personalmente, quello lì,
è proprio Leif” Mel aveva
indicato quelli che sedevano al tavolo di Odino, anche se Jason non era
riuscito a distinguere bene quale fosse il famoso Leif Eriksson.
Però aveva riconosciuto subito Madina, che sventolava una
mano verso di loro.
Non era
sola al tavolo, con lei c’era un’altra ragazza, era
di origine nativo
americane, ma era diversa da Piper, quello fu il primo pensiero di
Jason. Aveva
il viso piatto, gli occhi allungati, verso la forma di una mandorla,
l’incarnato caramello e capelli nerissimi, lisci e dritti.
“Oh, tu sei quello nuovo!” aveva canticchiato lei,
sorridendo, aveva labbra
sottili, allungando una mano verso di lui, indossava guanti imbottiti.
Differentemente da loro non aveva la maglietta verde bottiglia, ma
sfoggiava un
abbigliamento di pelliccia ed una collana con le perline.
“Io sono Astrid” si era presentata.
Non era un nome che si aspettava, doveva ammettere.
“Jason” aveva detto lui, stringendole le mani.
“Spero Jason che la tua morte eroica non sia stata una
casualità, perché noi,
piano venti, abbiamo il minor numero di morti in battaglia e voglio
tenere
questo record” aveva dichiarato Astrid con fermezza.
Madina aveva scosso il capo sconsolato, “Scusala, Jason,
Astrid è molto
competitiva” aveva provato a giustificare l’amica.
“Anche oggi Fred non viene?” aveva chiesto, invece,
Astrid, a Mel, ignorando
Madina..
L’altro aveva fatto un cenno di diniego.
Astrid aveva arricciato le labbra contrite, infastidita da quella
notizia,
prima di distogliere l’attenzione della conversazione muta
che stava avvenendo
tra Mel e Madina.
“So combattere” le aveva detto Jason, insicuro
anche del perché l’avesse fatto.
Astrid aveva annuito, “Bene, perché noi due
passeremo molto tempo assieme, come
puoi immaginare” lo aveva avvertito lei, con una mano aveva
fatto cenno ai due
loro commensali.
Mel e Madina erano ancora assorti in una conversazione fitta,
sottovoce,
composta di gesti e sguardi.
Ah, erano una coppia!
Oh. Madina era lì almeno dal mille-e-seicento.
“Hai dovuto fare da reggi candele” aveva valutato
Jason.
Il suo pensiero era andato a Leo, che aveva sempre vissuto male quella
situazione.
Leo, chi sa se avrebbero potuto rincontrarsi. Madina e Mel avevano
detto che di
tanto in tanto potevano uscire.
“Quattrocento
anni” aveva risposto
Astrid, anche se non era una domanda, mentre sfilava da una delle
bretelle di
cuoio quello che aveva tutto l’aspetto di un corno potorio.
“La mia fortuna che
avevo questo” aveva dichiarato lei, “Lo avevo
addosso quando sono morta, ospita
molto più idromele dei bicchieri che danno qui”
aveva stabilito.
Jason non era sicuro fosse una battuta perché il viso di
Astrid era rimasto
ieratico.
Odino
aveva attirato l’attenzione di tutta la sala, aveva delle
notizie interessanti
prima di procedere con il pasto e con l’usuale giornaliero
bagno di sangue.
“Prima di tutto accogliamo i nostri nuovi ospiti”
aveva stabilito, lasciando la
parola ad un uomo che si chiamava Helgi, che Mel subito si era
predicato nello
spiegare fosse il receptionista dell’hotel e uno dei
guerrieri dell’elite.
“Sarah
Topika” aveva chiamato quello.
Da un tavolo si era alzato una giovane donna, più grande di
Jason, aveva occhi
grandi di un nero profondo, l’incarnato
caffè-latte e i capelli tinti di un
biondo piuttosto accesso. La donna aveva un espressione piuttosto
confusa,
differentemente da Jason lei doveva essere una mortale in tutto il suo
splendore.
“Ora, visioneremo dalla Valchiria-Cam la tua eroica morte,
Sarah” aveva detto
Hodi.
Vicino al tavolo, dal cielo era scesa una ragazza, “La
Valchiria che ha
raccolto la tua anima è Samirah Al-Abbas” nel dire
quell’ultima cosa, si era
levato dall’intera sala un brusio di applausi e fischi.
Jason aveva guardato la ragazza incriminata.
Poteva essere una sua coetanea, aveva un hijab verde, con una fantasia
di fiori
rosa, che copriva il capo, lasciando scoperto un viso bronzeo con un
espressione soddisfatta.
Gli abiti assolutamente civili, erano nascosti dietro un armatura con
placche argentee
sottili … come quelli della sconosciuta.
La ragazza che lo aveva salvato-ucciso era una valchiria.
Samirah aveva premuto qualcosa sulla sua armatura e subito davanti ai
loro occhi
aveva proiettato qualcosa.
Sembrava come un ologramma.
C’erano due bambine che piangevano, una era quasi
adolescente, ma non
esattamente e l’altra era più piccola, Sarah era
già ferita, ma brandiva
tremante un coltello contro qualcuno.
L’uomo si era fatto avanti, Sarah non era arretrata.
L’uomo le era balzato addosso, c’era stata una
colluttazione, era durante un
po’ , in qualche modo l’uomo aveva preso il
coltello ed aveva ferito Sarah al
ventre, le ragazzine avevano urlato.
Poi era successo qualcosa, c’era stato un po’ di
disturbo nella ricezione.
Quando la telecamera era tornata a registrare,
Sarah era livida, abbracciata alle ragazzina più piccola, la
più grande era il
telefono, forse a chiamare i soccorsi.
Una figura si era affacciata nella scena, era stata molto veloce
– ma brillava di
luce dorata[8]
– ed aveva dato a Sarah il coltello da stringere nella mano.
La visione si era interrotta, mentre la donna spirava per la ferita ed
anche
lei si illuminava di una forte luminescenza aurea.
Helgi aveva sbuffato, esausto, che a Jason aveva ricordato Chirone,
mentre
Odino aveva ridacchiato.
“Valchiria, questo intervento è … irregolare”
aveva dichiarato Hodi
stanco, ma il sorriso soddisfatto di Samirah non aveva fatto una piega.
“Lei può fare tutto quello che vuole,
praticamente, non sarà una valchiria per
sempre ed ha il bonus dell’aver salvato il mondo …
due o tre volte” aveva
commentato Mel.
“Io adoro la Valchiria-Cam di Samirah,
c’è sempre qualche irregolarità[9]”
aveva aggiunto Madina,
battendo le mani sul tavolo.
Jason
aveva guardato Sarah, era pallida e delle lacrime solcavano il suo
viso, “Non
ti preoccupare Helgi” aveva preso la parola Odino,
“Non possiamo che
riconoscere il coraggio mostrato da questa giovane donna, nel
proteggere quelle
due giovani. Erano le tue figlie?” aveva chiesto poi il padre
degli dei alla
diretta interessata.
“Le mie nipoti” aveva miagolato Sarah.
“Sei morta combattendo, sei morta valorosamente e con
un’arma alla mano,
Samirah non è stata forse molto ortodossa” Odino
aveva fatto una pausa
scoccando uno sguardo alla valchiria, che ora sembrava molto meno
convinta, e
fischiettava guardando in un’altra direzione, “E
neutrale. Ma questo luogo è
ora la tua casa. Benvenuta nella nostra Sala” le aveva detto,
alzando un calice.
Un’altra valchiria aveva subito allegato alla donna un calice
con cui brindare,
che quella aveva accettato tremante.
Helgi
aveva chiamato un’altra anima, con un nome per Jason
impronunciabile, questa
volta si era alzato un ragazzo, giovane come Jason, con i capelli neri
lisci ed
il trucco sugli occhi ed una maglietta di una band metal, aveva
un’espressione
dura ed arrabbiata, ma quando la valchiria che l’aveva
salvata – una dodicenne
con un sorriso frizzante – si era subito addolcito.
Il ragazzo aveva aiutato dei suoi compagni ad uscire da una finestra,
mentre la
loro scuola era in fiamme, era morto poi per l’esalazione del
fumo, ma l’aveva
fatto con il coltellino svizzero alla mano.
Anche lui era stato accolto nella Sala.
Jason
aveva cominciato a sudare freddo, cosa avrebbe inventato la sua
valchiria, per
lui …?
Helgi aveva ripreso a parlare:
“Jason Grace” il suo nome non gli era mai parso
più estraneo.
Astrid gli aveva messo una mano sulla spalla e lui si era alzato.
Percepiva tutti gli occhi dalla sala su di lui.
Tutti.
Nel mentre davanti al tavolo di Odino si era palesata la sua misteriosa
salvatrice.
“Oh, Thrud Thordottir, non porti molto anime tu
…” aveva valutato Helgi. Lei
aveva ridacchiato, prima di voltare il viso verso Odino.
“Oh, nonno!” aveva chiamato subito, con un tono in
falsetto e bambinesco.
Solo quando era stato appellato, Jason aveva notato che Odino aveva
tolto
l’occhio sano dalla sua figura per guardare quella che doveva
essere sua
nipote. “Durante il mio salvataggio, la Valchiria-cam
è rimasta … ehm … distrutta”
aveva dichiarato Thrud, fingendo vergogna.
Si era sollevato un brusio per la sala.
“Questo è altamente irregolare” aveva
commentato uno dei thegn di Odino, mentre
il tavolo principale cominciava a confabulare tra loro.
Jason aveva un problema.
Lo stava capendo.
Aveva vissuto abbastanza situazioni disagianti da riconoscere un
problema
quando lo vedeva.
[1]
La
sorellastra di Percy, conosciuta da lui e Jason in TBOO
[2]
Thumelicus è la versione latina di un nome germanico che
dovrebbe essere
Thumelik, credo. Ma ehi.
[3]
NON STO
SCERZANDO. Ullr è conosciuto come il Dio che Scia (ed
è rappresentato con gli
scii) ovviamente anche dio con l’arco ed altre cose fighe. MA
IL DIO DELLO
SCII, PLS.
[4]
Magnus
lo descrivere simile al processo di Captain America prima e dopo il
siero
(quindi in realtà che corregge ogni cosa). Nel suo caso lui
si era anche irrobustito,
Jason era nella sua forma migliore già di per se, quindi
capita solo questo.
Uhm, ho pensato di lasciargli gli occhiali, perché
sì. Ma se ci pensiamo Jason
non si era mai accorto di averne bisogno, quindi non so …
essendo stati donati
da un Dio mi piaceva l’idea che ne avesse davvero bisogno.
[5]
Sono due
personaggi cardine di MC&TGOA
[6]
100
punti a chi indovina! Indizio: Teutoburgo!
[7]
La
mitologia Norrena divide il pantheon in Asi e Vani, che sono
due stirpi in guerra, che
poi hanno fatto pace. Gli Asi sono le divinità bellicose,
mentre i Vani sono le
divinità della natura (conosciamo poche divinità
vani, che però sono state
adottate nel pantheon Asi, tra queste quella figona di Freya).
[8]
Le
Valchirie sono in grado di vedere I Guerrieri destinati al Valhalla di
luce dorata;
perciò, qualcuno è intervenuto
(coffcoff*Alex*coffcoff)
[9]
Questo è
un inside Joke, nella saga di Magnus, Samirah (che è viva,
quindi invecchia,
perciò non sarà sempre una valchiria) porta tre
anime nel Valhalla e non va mai
liscia. Quindi pensavo di continuare così, inoltre, Samirah
è implicitamente la
valchiria preferita di Odino, quindi …