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Autore: Feisty Pants    08/09/2021    2 recensioni
Tokyo si trova distesa a terra, di fronte a Gandia. Il tempo scorre e lei deve decidere cosa fare per vivere veramente...
Un monologo introspettivo dedicato a questo grande ed eroico personaggio.
SPOILER STAGIONE 5
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Il professore, Nairobi, Tokyo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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ANGEL DE LA GUARDA

Monologo introspettivo per salutare il mio personaggio preferito
 
 
“Tokyo salta adesso!” urla il professore nella mia trasmittente.

“Sarà difficile professore… ce la farà anche senza di me” rispondo a fatica, continuando a sparare all’impazzata.

“No non ce la farò, salta adesso!” mi supplica ancora Sergio, mostrando un lato fragile che non conoscevo.

“È stato sempre il mio angelo custode, ora tocca a me essere il vostro” ribatto io con un groppo in gola, pronta a prendermi la responsabilità delle mie azioni. Mi carico degli esplosivi sulla pancia e, nel farlo, finisco al tappeto sommersa da uno tsunami di proiettili.

 
Riprendo i sensi velocemente, facendo fatica a sollevare le palpebre che mi gravano sugli occhi come massi poderosi.
La vista è offuscata, la testa mi gira e mi rendo conto di essere ancora distesa sul pavimento freddo della cucina.
Le mie orecchie si sforzano di captare i suoni circostanti, riconoscendo con fatica il crepitio delle suole consumate di alcuni scarponi che disintegrano i sassolini sparsi disordinatamente sul pavimento. Mi rendo conto di essere in trappola, circondata da tutti i militari restanti che ora mi osservano come un animale da circo. Vorrei scappare, correre, sparare all’impazzata come ho sempre fatto, magari con il mio solito sorriso da stronza, ma mi rendo conto di non poterlo più fare. Sono in trappola. Accerchiata, senza respiro, senza forza, senza via d’uscita. Gandia non ha nemmeno la decenza di toccarmi, forse perché gli faccio schifo quanto quella “meticcia” della mia Nairobi, motivo per cui si limita a girarmi il corpo con l’ausilio dello scarpone.

È proprio mentre finisco supina che avverto dei dolori lancinanti impossibili da localizzare. Dove credevo di andare? Cosa posso fare? Sicuramente più niente: il mio corpo è ridotto a un colabrodo.


Non ho il coraggio di guardarmi ma so di essere stata trivellata di colpi e di tenere dentro di me il piombo di quei proiettili impregnati dal veleno d’ira di uomini senz’anima.

Cristallizzo l’idea di essere alla fine dei giochi quando sento il cuore appesantirsi, incapace di pompare abbastanza sangue per raggiungere le innumerevoli ferite che bruciano e perforano senza pietà la mia carne e quei lembi di pelle che mi hanno resa la persona grintosa ed energica che sono.

Io, Tokyo, sono una sopravvissuta, una cazzo di maserati come mi ha definita Denver, ma sono consapevole di avere a disposizione un ultimo ruggito prima di cadere nel letargo eterno.

Percepisco l’affanno del mio respiro, la fatica dei miei polmoni bucati, colmi di aria inquinata dal fumo e dalla polvere. Apro maggiormente gli occhi e scruto attentamente la situazione circostante.

Quei damerini dalle tute mimetiche mi stanno osservando. Sembrano meravigliati nel vedermi ancora viva e pure io devo dire di esserlo.

La sofferenza è lancinante, ogni pallottola mi affonda nelle viscere come una pugnalata, eppure la linfa vitale che scorre dentro me non si è ancora esaurita. Qualcosa lo posso sicuramente fare e sono convinta riguardi quelle bombe che mi porto appresso. Inspiro profondamente, provando a racimolare quanto più ossigeno possibile per pensare, ma la cosa risulta difficoltosa a causa dell’odore acre del mio sangue che si mescola al fetore di sudore ed esplosivo.

Non ho bisogno di aria per schiarirmi le idee sul mio futuro, perché quel gesto irrimediabile che compirò tra poco è già sicuro e deciso dentro di me, ma la necessito per scegliere quell’ultimo ricordo in cui voglio vivere prima di lasciare questo mondo.

Si dice che prima di morire ti passi davanti tutta la vita. Non so se effettivamente stia succedendo lo stesso a me, perché ho trascorso i miei anni desiderando una libertà che mi ingabbiava in una falsa vita, in una vera e propria corsa di sopravvivenza. Se la vita è fatta di momenti, però, ne vedo scorrere molti nella mia testa.

Vedo il mio amato René, i suoi sorrisi, le sue carezze e i suoi occhi nei quali contemplavo un oceano di possibilità per la nostra esistenza. Avverto un’ennesima fitta al cuore pensando a lui e a come il tempo in sua mancanza mi abbia logorato l’anima, facendomi arrivare a detestare la vita e a prediligere la morte.

Ero uno zombie che camminava, un fottuto zombie paradossale che ambiva alla libertà senza più la voglia di cercarla essendo rimasto da solo, senza amici, senza compagno e senza famiglia. Come in tutte le storie mi rendo conto che anche la mia ha avuto il suo bagliore grazie all’arrivo del Professore, di quella persona che ho conosciuto con una pistola puntata alle palle e che si è tramutata in un padre.

Io non so se esista veramente un Dio, ma so della presenza di persone buone pronte a sacrificarsi per te e ad accompagnare ogni tuo passo. Quando ero piccola mia nonna tendeva a recitarmi una preghiera:

“Ángel de mi guarda,
dulce compañía,
no me desampares,
ni de noche ni de día,
no me dejes solo, que me perdería…”


Sono consapevole di aver dimenticato qualche pezzo, ma le preghiere non mi sono mai piaciute. Questa però trattiene in sé qualcosa di speciale e l’idea di avere un angelo custode mi ha accompagnata per tutta la vita. L’ho cercato per molto tempo e, qualche attimo prima della mia sconfitta, lui è comparso traendomi in salvo. Sergio è il papà che non ho mai avuto, l’angelo che ha vegliato ogni mio passo, il capo che mi ha sgridata quando necessario e l’amico che meglio mi conosce.

Oh Sergio… io so che questa mia decisione ti farà soffrire, ma tu mi hai concesso un nuovo esodo ed è ora che io ti restituisca il favore. Il tuo piano era geniale tranne per una regola bizzarra che nessuno ha mantenuto: niente relazioni personali.

Avevi calcolato tutto nel dettaglio, ma mai ti saresti immaginato di costruire una famiglia. Nessuno di noi è un robot programmato per uccidere, a differenza di queste quattro marionette che ancora si limitano a fissarmi mentre questo flusso di pensieri mi attraversa il cervello, ma siamo anime libere che vivono in corpi buoni e soprattutto umani.

Ripercorro ancora la mia vita e i momenti più importanti si concentrano proprio attorno a questo dono inconsapevole che Sergio mi ha fatto: la famiglia dei Dalì.

Quanto mi brucia l’idea di farvi soffrire, di avere l’onore di diventare la ragione delle lacrime che sgorgheranno copiose dai vostri occhi quando vi renderete conto del gesto che mi sto decidendo a compiere. Se potessi non vorrei farvi sanguinare il cuore per la mia mancanza, ma io sento di dovervelo perché… siete la mia famiglia. Helsinki, il Prof, Denver, Stoccolma, Mosca, Oslo, Manila, Bogotà, Marsiglia, Palermo, Nairobi, Rio, Lisbona… e perfino quel misogino di Berlino.

Siete tutto ciò che ho e questo mio gesto vi permetterà di guadagnare terreno, di architettare un nuovo piano e uscire da questa dannata banca per vivere le vostre vite!

Un altro mio ricordo lo dedico a te, mio piccolo Rio. Sei così giovane, casto, indifeso e so che quello a cui stai assistendo ti costerà anni di incubi e terapie psichiatriche.

Pensavo che non mi sarei mai più innamorata dopo René, ma la tua dolcezza e i tuoi modi garbati e timidi mi hanno fatto capire di poter vivere ancora una volta l’eredità di quell’amore che credevo di aver perso per sempre.

Tu mi avresti sognata come compagna di vita, magari addirittura come moglie e madre dei tuoi figli nella fantasmagorica villa sul mare con tanto di giardino e cane, ma ti stai rendendo conto che questo non potrà succedere…almeno non fisicamente. Percepisco la tua angoscia in questo momento, il tuo cuore spezzato a metà come un bicchiere di cristallo, le costole che tremano sfregando tra le tue membra e so di non poter fare niente per affievolire la tua pena.

Voglio che tu sappia, Amore mio, che io vivrò nei tuoi ricordi, sarò il tuo angelo custode così come il prof è stato il mio. Osserverò ogni tua mossa, ti invierò segnali e ti fulminerò quando deciderai di scoparti una ragazza a caso solo per dimenticare ciò che provavi nel fare l’amore con me.

Rio, piccolo dolce Rio, ciò che sto per fare può essere paragonato a un suicidio, anche se il mio cuore si sta naturalmente spegnendo sotto il peso di ferite incurabili, ma che cosa c’è di più eroico e libero del donare la vita alle proprie persone care? Tu ti alzerai, troverai una nuova strada senza vendetta, rapine e rabbia, incontrerai una romantica ragazza bionda dagli occhi celesti che ti donerà la vita che hai sempre sognato e io ti prometto che sarò sempre lì, in prima fila, pronta a fare il tifo per te.

Il tempo inizia a scarseggiare e i miei pensieri vengono interrotti da quella merda di Gandia che mi punta una pistola alla testa. Quel bastardo ha così paura di me da arrivare a volermi terminare con un ultimo colpo, quando il mio corpo sta lentamente decedendo dissanguandosi e scomponendosi.

Con una pistola puntata alla tempia si ha poco a cui pensare, eppure io mi sento tranquilla con tutto il tempo del mondo a disposizione. Non capisco perché, ma in questi secondi risicati mi accorgo di sentirmi felice, leggera e di aver finalmente trovato l’ultimo pensiero in cui voglio vivere prima di morire.

Gandia non ha proprio fantasia e con una donna perforata ai suoi piedi, propone di farla scomparire con la stessa identica sorte di Nairobi. È proprio quell’arma puntata alla mia fronte che mi fa vedere Nairobi. In un millesimo di secondo rivivo il nostro primo incontro, le sberle che ci siamo date a lezione, la tequila, i baci a stampo da ubriache, le condivisioni, i litigi, gli abbracci e tutte le volte che mi ha saputa perdonare senza volere nulla in cambio.

Nairobi non crede in Dio, ma io sono convinta che, se ci fosse il paradiso, lei sarebbe la prima a farne parte perché è capace di perdonare.

Lei mi ha perdonata quando ho parlato male di Axel, quando ho dato fuori di testa, quando Berlino l’ha quasi strozzata e mi rendo conto di trovarmi di fronte a quello stronzo di Gandia che mi appare improvvisamente piccolo. Quell’uomo, se così è possibile definirlo, non ha appreso nulla da Nairobi.

Frustrato e infelice nasconde la sua inferiorità nella violenza, allontanandosi da casa con la missione di sterminarci senza apparente motivo. Il militare avrebbe il tesoro più importante della sua vita direttamente a casa sua, ma predilige rischiare la vita e lasciare orfano suo figlio pur di dare della puttana a due ragazze che, in fin dei conti, altro non han fatto se non rapinare banche e lasciargli un graffietto in testa.

All’odio non c’è mai fine e questo lo so, perché vedo che il colpo è ormai in canna e mi rimane poco tempo per salutare i miei ultimi pensieri terreni. All’odio non c’è mai fine.

E all’amore? Se è vero che dopo la morte non troverò niente, sono comunque convinta che rivivrò l’amore perché la morte non è che la fine di un’esperienza, ma la chiusura di una porta che ne aprirà altre mille.

Nairobi, mia dolce Nairobi.

Quanto ti vorrei avere accanto ora e per questo ho deciso che tu sei il pensiero in cui voglio vivere, l’attimo eternamente felice delle nostre serate a cui voglio delegare il mio spirito. Se fossimo insieme adesso mi rideresti in faccia, per poi credere alle mie folle idee e assecondarmele… per questo ti dico che ora ho una pazza ipotesi: il mio ultimo pensiero riguarda il sogno di rivederti.

Eccoci, Gandia sta per premere quel dannato grilletto e io devo muovermi.

Non è semplice decidere di farsi esplodere, soprattutto se hai la mente ancora fresca per razionalizzarlo, ma devo trovare il coraggio per tirare la dannata cordicella che tengo stretta tra le dita.

L’adrenalina scorre nelle mie vene come un flusso d’acqua inarrestabile ed è lei che permette alle persone di fare scelte a volte irrimediabili. Improvvisamente mi si palesa in mente la visione della scuola media, quando un mio compagno lanciò una moneta sul davanzale minuscolo della finestra proponendomi di andare a prenderla in cambio di denaro. Una scommessa stupida, pericolosa che avrebbe potuto costarmi l’espulsione e soprattutto la vita, eppure l’adrenalina mi cancellò dalla testa la paura di cadere permettendomi di percorrere quel percorso da funambolo con disinvoltura.

Adesso non deve essere tanto diverso… devo solo tirare la cordicella, come quando si decide di lanciarsi da un precipizio facendo bungee jumping.

L’aspetto meraviglioso dell’adrenalina è che ti concede di assaporare il presente, senza sguardo sulle conseguenze.

Vivi quel secondo di libertà, puramente con i tuoi istinti, senza preoccuparti di ciò che dovrai pagare dopo. A questo giro so che non ci sarà un poi… che il futuro di quest’azione mi chiuderà gli occhi per sempre, facendo sparire ogni briciola del mio corpo.

È brutta da pensare, ma è proprio questo che voglio. Desidero morire con onore, sacrificando le mie ultime forze per gli altri e portandomi nel baratro i deficienti che mi stanno osservando certi di aver vinto. Sarei morta comunque, se non naturalmente, per quello sparo che Gandia brama di piazzarmi in fronte, ma io sono una fottuta maserati e con questa ultima corsa ho intenzione di farvi il culo.

È giunto il momento Toky, come ti chiamerebbe Nairobi. Cerco di riprendere possesso dei miei muscoli e attiro l’attenzione di Gandia aprendo la mia mano destra dove, incrostate di sangue, compaiono le tre catenelle scintillanti.

Non ho intenzione di distogliere lo sguardo da Gandia nemmeno per un secondo perché voglio godermi la mia rivalsa e la paura che brilla nei suoi occhi disgustosi. Il generale deglutisce improvvisamente, allentando la presa sul grilletto e cominciando a respirare con affanno. Gandia mi fissa in volto non capendo il significato di questo mio affronto e io voglio dimostrargli di aver vinto. Controllo i nervi del mio viso e cerco di non pensare al dolore per umiliarlo un’ultima volta.

Delicatamente abbozzo un sorriso, l’arma vincente che le persone schifose come loro non conoscono. So bene di quanto possa ferire un sorriso e mi accorgo di aver centrato il segno. Gandia intuisce di aver perso e, come un bambino terrorizzato, avrebbe voglia di ritirarsi ai piedi della mamma ma comprende di non avere più tempo.

Nel mio sorriso capisce di aver sempre sbagliato, di aver gettato nel cesso la sua vita rinunciando alla famiglia e al futuro. Nel mio sorriso comprende di aver perso, perché si trova davanti a una ragazza inerme che lo ha fottuto per bene. Ho un millesimo di secondo prima di tirare quella cordicella e decido di utilizzarlo per farli affondare ancora di più nella fossa melmosa in cui li ho rinchiusi. Scruto con attenzione il volto sporco e vuoto di Gandia per poi fargli l’occhiolino. Il mio ultimo ricordo di vita è meraviglioso, ma il suo… mi viene quasi da ridere… non lo è. Addio, lurido assassino, porta di me il ricordo di questo occhiolino da stronza che ti tartasserà nell’aldilà.

Lo vedo aprire la bocca per urlare e capisco di dover sfoderare l’adrenalina. Forza Tokyo, non cedere proprio ora. Ciao mondo, io vado.

Tre…due….

Sento Gandia strillare di tornare indietro…

Il conto non si ferma.

Uno…



È tutto finito.
 

“Toky…”

Una voce mi chiama e io sento le palpebre incollate, impossibili da aprire. Sembra la voce di mia madre pronta a svegliarmi per andare a scuola dopo una serata in discoteca.

“Toky Toky…”

La voce si fa sempre più vicina e limpida, tanto da riconoscerne le sfumature e penso di essere in un sogno. Solo una persona mi chiamava così e ora non c’era più.

“Hey, addormentata svegliati!”

Improvvisamente mi rendo conto di essere in una nuova dimensione e ricordo il gesto che ho compiuto poco fa. Delicatamente apro gli occhi riparandoli immediatamente da una fonte di luce accecante. Dopo tutte quelle ore trascorse in una topaia tetra, il sole e il bianco sono faticosi da reggere. Le mie pupille si adattano gradualmente al bagliore, per poi riuscire a mettere a fuoco l’ambiente circostante.

Niente.

Non vedo nulla.

Attorno a me è tutto bianco e sembra di essere in una stanza piena di latte. La paura mi assale improvvisamente e penso di essere ancora viva. Guardo istintivamente le mie braccia e le gambe, immaginandole rosse e distrutte dagli spari, eppure non è così. Mi ritrovo vestita di rosso, in stile giapponese come piace a me, con il corpo pulito e integro senza nemmeno un graffio. Dove mi trovo? Che cos’è questo posto?

Dal luogo bianco vedo muoversi qualcosa. Una persona vestita di rosso sembra avvicinarsi a me, ma risulta impossibile capirne la fisionomia. È quando si trova a due passi che mi accorgo di essere finalmente a casa.

“Avevi ragione sai… esiste qualcosa dopo la morte” mi dice la voce più bella del mondo. Io alzo il viso e un sorriso di felicità compare sulle mie labbra. Lei era lì e io ero finalmente a casa.

“Esiste la vita… e ora possiamo andare a casa. Vieni con me, c’è anche René che ti aspetta” continua Nairobi radiosa come non mai.

La mia migliore amica mi porge la mano e io mi assaporo quegli attimi incredibili che mai mi sarei immaginata di rivivere. Grintosa ed energica come sempre, le afferro la mano tirandomi in piedi, per poi stringermi a lei consapevole di essere veramente in quel ricordo a cui ho pensato prima di morire.

“Sia chiaro però… qua è tutto troppo bianco. Ora che sono arrivata io, bisogna fare festa”

Le dico in tono scherzoso ammirando i suoi denti bianchi perfetti. Felici e spensierate, con il corpo e la mente leggera, ci muoviamo nell’eternità dirette verso la nostra nuova meta.

Ciao mondo, ora mi godo il finale infinito della storia.

È stato un piacere.

Tokyo
  
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