Videogiochi > Genshin Impact
Ricorda la storia  |      
Autore: JoiningJoice    10/09/2021    0 recensioni
Gli è sempre piaciuta la sua incapacità di mantenere il controllo nei momenti peggiori, il modo in cui il fuoco danza tra le sue dita. La prima volta che era capitato lui gli aveva chiesto scusa, l’aveva dichiarato un incidente dovuto all’inesperienza e all’entusiasmo; la seconda volta era stato Kaeya a chiedergli di farlo.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Diluc Ragnvindr, Kaeya Alberich
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Erntenacht

 

 

C’è un detto, a Mondstadt, secondo cui in autunno la città profuma per la vendemmia e i primi venti invernali che scorrono tra i vicoli stretti e attraverso le grondaie suonano una canzone di festa; tuttavia, nell’istante in cui la sua schiena sbatte contro la parete di mattoni in ombra, Kaeya non riesce a pensare né al profumo, né alla musica, né tantomeno alla bellezza della sua città. Ciò che prova è molto più dissacrante, e i suoi pensieri sono inebriati dal veleno dolce del vino.

                Ha osato, lo sa: ha alzato la voce sopra quella degli altri commensali, ha attirato l’attenzione su di sé, si è lasciato sfuggire una provocazione di troppo; ed è chiaro come la luna, che in quel momento dimentica di illuminare il vicolo in cui si trova, che l’uomo che più ha teso l’orecchio nella sua direzione quella sera non ha apprezzato i suoi commenti.

                Dal cielo chiaro della notte Kaeya abbassa lo sguardo sul suo aggressore, e fallisce miseramente nel soffocare una risata sardonica, acida quanto il vino che ancora sente in gola. Sono pochi i cittadini di Mondstadt con cui quel misero, carnevalesco tentativo di mascherarsi funzionerebbe; no, dalla parte dell’eroe oscuro vi sono l’agilità, l’abilità nel passare inosservato, ma non certo la segretezza. La maschera bianca gli consente forse di tenere in ombra gli occhi enormi, tristi, ma non esiste al mondo un’altra persona i cui capelli siano colorati di quella peculiare sfumatura di rosso – e non esiste al mondo una persona che la riconosca bene quanto Kaeya.

                « Non è un po’ pericoloso che l’eroe di Mondstadt si mostri così platealmente? », lo interroga, strascichi della risata ancora presenti nella sua voce. Solleva una mano, che stringe sul pugno attualmente impegnato nello sforzo di stringere un lembo della sua camicia. « Proprio all’uomo che ha il compito di inseguirlo, oltretutto? »

                Dall’altra parte non c’è risposta; solo denti stretti in un’espressione di incompleto disgusto, occhi nascosti dall’ombra di una maschera dagli intarsi dorati. La stretta sulla sua camicia si fa più intensa, i muscoli tesi sotto le sue dita. È piacevole, toccarsi in quel modo, dopo tutto quel tempo; è familiare. La mente di Kaeya viaggia lontano, a ricordi d’infanzia: mani strette l’una nell’altra durante temporali estivi, palmi sudati uniti nello sforzo dell’allenamento, in un gesto d’aiuto; il dolore della caduta nell’erba dopo una parata troppo intensa, la risata di Diluc.

                L’unico sforzo che l’eroe mascherato esercita in quel momento arriva a farlo tremare, e forse è uno sforzo, forse solo frustrazione. Lo lascia andare con un gesto repentino, brusco, che costringe Kaeya a sbilanciarsi e a cercare la stabilità in un paio di passi ancor più vicini all’angolo del vicolo buio. Si sistema il colletto, il sorriso velenoso ancora sulle sue labbra.

                « Devi imparare a tenere la bocca chiusa. », borbotta una voce dura. « E il portafogli. Sei sbronzo, Capitano. »

                È crudele, che gli parli ad un metro di distanza, la bocca ora nascosta da un’ombra densa; crudele che gli doni la sua voce e non la sua bocca, che gli doni l’intensità del proprio giudizio ma non lo sguardo deluso che Kaeya associa a quei rimproveri. Fa un passo avanti, il suo aggressore un passo indietro; anche i vestiti neri svaniscono nell’ombra, ora. Ciò che rimane sono i capelli rossi, ramati, l’ennesimo atto di crudeltà. Neppure un cappuccio per negarmi questa verità palese; nessuno sforzo di non farmi del male.

                « Se lo faccio è anche per te. », dichiara, inclinando il capo. Stringe i pugni: non sa mai dove tenere le proprie mani, in sua presenza, se non sono strette attorno ad un boccale o impegnate sul suo corpo. « Considerala un aiuto alla tua immagine pubblica, d’accordo? Più noialtri appariamo come degli incompetenti ubriaconi, più i cittadini pregheranno per l’aiuto dell’eroe mascherato. O sbaglio? »

                Un’altra provocazione, altro silenzio contro cui scontrarsi; Kaeya sospira.

                « In cambio, puoi scontarmi tre o quattro bottiglie di vino dal conto-- »

                « KAEYA-- »

                Le mani che lo spingono nuovamente indietro hanno la forza di macigni, e bruciano come lava; per qualche istante Kaeya vede solo fiamme, l’espressione di una rabbia che conosce bene troppo spesso mascherata come indifferenza. Gli è sempre piaciuta la sua incapacità di mantenere il controllo nei momenti peggiori, il modo in cui il fuoco danza tra le sue dita. La prima volta che era capitato lui gli aveva chiesto scusa, l’aveva dichiarato un incidente dovuto all’inesperienza e all’entusiasmo; la seconda volta era stato Kaeya a chiedergli di farlo.

                Questa volta però è preparato: afferra i suoi polsi, non appena lo stordimento del colpo ricevuto glielo consente, e fa leva su di essi per spingerglisi addosso. L’intera parte superiore del suo corpo propende verso il suo sfidante che, impreparato, indietreggia affinché Kaeya non possa colpirlo con una testa; è un istante, ma è fondamentale per consentirgli di sbilanciarlo e farlo crollare a terra. Trucchi del genere dovrebbe conoscerli, dopo tutto quel tempo, ma sembra che il suo vecchio conoscente abbia ancora in sé quel lato innocente che lo ha sempre svantaggiato durante le loro sfide infantili; quel lato di lui che ha sempre creduto troppo nei principi massimi della cavalleria è ancora vivo.

                La caduta è rovinosa, scomposta. Kaeya fa di tutto per mantenere la presa su entrambi i polsi, ma fallisce: un pugno guantato si scontra con la sua guancia, lo solleva dal corpo che credeva di aver intrappolato e lo fa ruzzolare di lato. Prima che possa alzarsi, o anche solo voltarsi per controllare la sua posizione, il suo aggressore dai capelli rossi gli monta sopra. La risata di Kaeya muore in un verso strozzato nell’istante in cui percepisce una lama contro il collo.

                « Non lo faresti. », ride.

                « Non sai veramente quando è il caso di stare zitto. »

                Riprende fiato, e ad ogni respiro la sua gola sembra chiamare a sé la lama gelida. Sarebbe bello, pensa, morire per mano sua.

                « No, non ho mai imparato. », sibila; si alza di scatto, una scommessa con la morte che subito rivela la sua vittoria: la lama scorre sulla sua pelle, ma non vi affonda. Il pugnale cade di lato e le sue labbra sono quelle di Diluc, le sue mani sono tra i suoi capelli. Lo sente protestare, gemiti soffocati; morde il suo labbro inferiore e Kaeya stringe gli occhi per il dolore pungente, ma persiste feroce nella propria rivalsa. Sente il sapore metallico del sangue invadergli la bocca. Per un momento gli sembra che il corpo che lo sovrasta ceda, che la lingua contro cui muove la sua si muova in accordo con lui; ma quell’istante finisce, e dita calde affondano nei suoi capelli scuri solo per poterlo strappare via da sé. Annaspa, ricercando il fiato, mentre l’altro lo lascia andare e si alza su gambe che tremano. Un raggio di luce naturale lo illumina, per qualche istante, e Kaeya osserva un paio di occhi innaturalmente rossi e fissi nel vuoto rivivere anni di sentimenti privi di una definizione. L’uomo che non conosce più gli si sottrae di nuovo, china la testa e sputa a terra. Pulisce con una mano guantata le labbra tinte di rosso.

                « Bastardo. », borbotta. Kaeya scoppia a ridere: si abbandona a terra, si tiene la pancia.

                « Di tutti gli insulti…! », singhiozza; si porta una mano al viso, per coprirsi gli occhi. Così facendo può illudersi, in più di una maniera: può fingere di non aver riconosciuto quegli occhi, quelle labbra; può fingere di non sapere che il rifiuto violento che ha ricevuto non fosse dovuto al sapore del sangue nella sua bocca, ma a quello del vino. Può fingere che vada tutto a bene, che gli sia concesso di svegliarsi un’altra volta col viso affondato in quella massa di capelli rossi ed essere felice.

                Non gli va di alzarsi, di tornare al mondo reale. Lui è ancora lì, lo sa: lo sta guardando, domandandosi se Kaeya gli stia solo dando ciò che vuole o se sia genuinamente impazzito. La risposta non la conosce neppure lui.

                « Va, dai. », lo provoca, senza abbassare la mano. « Si sta comodi, sulla pietra. Non hai dei… carri da salvare o dei tetti da scalare o qualsiasi cosa sia quella che fai ogni notte? »

                Vuole credere che se non abbasserà la mano lui si chinerà su di lui e sospirerà, scuotendo la testa; riderà con lui, non di lui, e gli porgerà una mano per aiutarlo a rialzarsi. Una mano salda, accogliente, ancora calda delle fiamme generate dall’eccitazione.

                A fare di sottofondo alla sua fantasia però ci sono solo passi freddi e rigidi, sempre più frettolosi e sempre più distanti. Kaeya abbassa la mano e scopre sopra di sé un cielo privo di nuvole, tinto di un blu scuro. I suoi unici compagni, almeno per quella sera, non sono né il profumo del vino né la musica generata vento – ma un retrogusto di sangue amaro come il fiele, ed un silenzio che raggela le vene.

 

 

 

 

Me, inhaling: joke’s on you the jonas brothers can’t break up they’re B R O T H E R S

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Genshin Impact / Vai alla pagina dell'autore: JoiningJoice