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Autore: Napee    10/09/2021    4 recensioni
**questa storia partecipa all’ Autumn Contest indetto dal gruppo facebook Takahashi fanfiction Italia**
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Il vento ululava ancora forte e il fuoco doveva essersi spento ormai da molte ore. Era solo grazie a lui che non era ancora morta assiderata.
“Torna indietro, Rin.” Disse di nuovo. Stavolta lei negò debolmente con la testa. Lo degnò di una risposta soltanto perché sapeva quanto odiava ripetere le cose ed essere ignorato.
“Non posso.”
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Piccolo warning:
anche se accennata, la storia tratta di una relazione tossica con risvolti tragici. Se siete sensibili riguardo l'argomento, vi consiglio di non leggere. Non è mia intenzione turbare emotivamente nessuno.






 
Spirito immortale




La vetta della montagna sembrava volersi celare continuamente dai suoi occhi. Proseguiva a rilento, cercando di non cadere, tenendosi saldamente alle briglie di Ah-Un come un appiglio alla vita stessa.
Ogni tanto guardava di sotto, oltre lo strapiombo, dove vedeva il sentiero facilmente praticabile lasciato ormai da molto tempo.
Era stanca e provata. Le cosce le dolevano per lo sforzo e i piedi nudi erano ormai atrofizzati dallo sforzo del lungo e impervio cammino. Il primo freddo autunnale non aveva affatto aiutato. Non sentiva più le dita delle mani e aveva brividi continui lungo tutto il corpo.
Il vento poi, implacabile e irato, soffiava su come se avesse voluto spingerla giù e allontanarla dalla sua meta.
Scivolò un paio di volte e la cavalcatura draghesca fu in grado di arrestare la sua caduta con strattoni secchi del muso che si ripercuotevano sulle briglie legate alle sue mani, ormai congelate, chiuse a pugno attorno ad esse.
Il sole aveva iniziato la sua discesa già molto tempo prima. Gli ultimi e strenui raggi lambivano la buia notte fornendole una vaga luce che ancora le permetteva di vedere dove mettere i piedi.
Ma non sempre. Aveva iniziato a scivolare a terra per la stanchezza. Per la fatica della scalata. Erano giorni che era in viaggio e non aveva intenzione di fermarsi, ma quando la notte scese inesorabile impedendole persino la vista, fu costretta a fermarsi.
Si rifugiò dalla fredda notte mettendosi a riparo dietro una sporgenza un po’ più pronunciata.
Ah-Un si sdraiò stremato. Rin lo guardò con aria colpevole. Non avrebbe voluto trascinarlo in quella folle impresa, ma non poteva fare altrimenti. La consapevolezza di essere debole, fragile e di aver costantemente bisogno di aiuto bruciava su di lei come un marchio di vergogna.
Aprì la borsa legata ai fianchi del drago e ne estrasse una coperta. L’avvolse intorno all’animale e lui parve volerla ringraziare tirando su una delle teste e guardandola fisso per qualche istante. I suoi occhi di serpente erano molto più espressivi di quanto la gente comunemente pensasse. O forse era stata lei a trovare un briciolo di amicizia in un demone rettile dal sangue freddo.
Gli carezzò il muso grata con un sorriso stanco e si allontanò di qualche metro per raccogliere qualche sterpaglia per accendere il fuoco.
La natura secca della montagna era perfetta per quello. Non esisteva niente di rigoglioso. Persino i pochi e radi arbusti sembravano non vedere l’ora che l’inverno ponesse fine alle loro agonie.
Avvolta nella stessa coperta di Ah-Un, dinanzi ad un placido fuocherello, Rin ascoltava il vento ululare. Il grido della montagna impervio e oltraggiato dalla sua presenza.
Glielo avevano detto che non sarebbe stato facile. Glielo avevano detto che la montagna proibita avrebbe fatto di tutto per farla desistere, ma Rin, imperterrita, continuava ad avanzare sempre di più giorno dopo giorno.
Si addormentò con la pancia vuota tanta era la stanchezza per quegli interminabili giorni di cammino. Stremata, esausta, non aveva neppure sentito il sonno sopraggiungere.
Verso metà del suo riposo, avvertì una presenza al suo fianco. Ah-Un si mosse leggermente e lei, appoggiata fra le sue zampe, oscillò con lui. La presenza si sedette con lei, nella coperta, al suo fianco. Il profumo di neve della sua pelle la fece sorridere inconsciamente. Non si sentiva minacciata, il calore del suo corpo lo avrebbe riconosciuto fra mille.
“Torna indietro.” Le disse. Il disappunto nella sua voce era palese. Talmente presente da sembrare consistente.
Rin gli si strinse cercandolo. Allungò le mani e la pelliccia morbida impattò contro le sue dita. Era calda e avvolgente. Profumava di bosco. Il vento ululava ancora forte e il fuoco doveva essersi spento ormai da molte ore. Era solo grazie a lui che non era ancora morta assiderata.
“Torna indietro, Rin.” Disse di nuovo. Stavolta lei negò debolmente con la testa. Lo degnò di una risposta soltanto perché sapeva quanto odiava ripetere le cose ed essere ignorato.
“Non posso.” Pigolò con la voce ancora impastata dal sonno. Lo sentì irrigidirsi e divenire immobile. Quando si arrabbiava con lei, quasi si dimenticava di respirare.
“Perché sei così testarda?” Le domandò. Non sapeva se aspettasse una risposta o meno, ma la cosa la fece sorridere.
“Ho promesso che sarei stata degna di te.” Gli disse. Sesshoumaru espirò tutta l’aria trattenuta fino a quel momento con stizza. Le aveva già detto mille volte quelle parole e, ancora, si ostinava a ripeterle come fossero una giustificazione degna per mettere a repentaglio la propria incolumità.
La strinse a sé con ardore, mentre i primi raggi del sole iniziavano ad allungarsi verso il cielo placidamente rivelando una distesa ovattata di nebbia.
“Oggi non puoi proseguire. C’è troppa nebbia.” Le comunicò e lei annuì piano per fargli intuire che aveva capito.
“Non posso fermarmi.” Si giustificò. Sesshoumaru sospirò infastidito cercando di non perdere la pazienza.
“Cosa speri di trovare sulla cima che  altri non hanno già cercato?” La schernì con tono stizzito. Rin non se ne curò. Un sorriso beffardo le carezzò le labbra.
Aveva ragione. La fonte della vita eterna che si trovava sulla cima della montagna proibita, era stata meta di pellegrinaggi infiniti nel corso dei secoli. Ormai, dopo tanto tempo, altro non era che una mera leggenda, ma a lei questo bastava. Avrebbe fatto di tutto pur di poter passare l’eternità con Sesshoumaru. Avrebbe fatto di tutto pur di essere finalmente accettata come sua compagna e non come mera concubina umana. Finché lei sarebbe stata mortale, Sesshoumaru non avrebbe mai potuto sposarla. Il loro amore, vero e sincero, sbocciato per caso nelle vicissitudini della vita, era stato un dono inaspettato. Bellissimo. Un sentimento così puro e forte che li aveva spinti l’uno fra le braccia dell’altra senza pensarci due volte, come se non appartenessero a due razze in guerra da secoli l’una contro l’altra.
Rin sorrise strusciando il naso nell’incavo del suo collo, inspirando il profumo di neve che emanava la sua pelle candida.
Aprì pigramente gli occhi e il viso del demone le si parò a pochi centimetri di distanza. Etereo e imperturbabile come sempre.
No, non era così… non era indifferente a quello che stava accadendo. Nei suoi occhi aleggiava una nube scura che rendeva l’oro delle sue iridi più simile al colore della linfa degli alberi.
Era angosciato dal suo viaggio. Quel litigio che avevano fatto quando lei gli aveva comunicato la sua partenza e il suo piano, quella rabbia, era mutata in ansia e poi in angoscia per le sue sorti.
Lo vedeva chiaramente nel suo sguardo, i suoi occhi non potevano nasconderle nulla. Quegli interminabili giorni di silenzio in cui l’aveva ignorata per punto preso, adesso, dinanzi alla minaccia della sua stessa morte, sembravano così inutili e lontani.
Tempo sprecato in una rabbia non necessaria.
“Se anche non ci fosse niente, sarò in pace con il cuore pensando di averle provate tutte per stare con te.” Le disse con un sorriso stanco. Sesshoumaru amò quel sorriso fino all’ultimo istante.
 
La baciò cauto, stringendola a sé mentre quel nuovo giorno si affacciava all’orizzonte. Il vento intanto ululava sferzandogli le labbra e la nebbia diveniva sempre più densa e avvolgente. Spettrale. S’immerse in essa e lasciò che il vento la spirasse via insieme allo spirito di Rin.
Ogni attimo che passava, era lo straziante e doloroso addio che ogni notte si costringeva ad affrontare.
Quando i raggi del sole illuminarono il suo viso pallido di una nebbia spettrale ed i suoi occhi vitrei che un tempo erano stati caldi e avvolgenti, Sesshoumaru percepì il solito dolore di sempre. Quel lacerante supplizio che gli dilaniava il cuore, ma che non voleva risparmiarsi.
Lo stesso identico, mai mutato, di quando trovò il suo corpo congelato fra le montagne rocciose incastrato con la carcassa di Ah-Un in un ultimo disperato tentativo di tenersi al caldo.
Da quella notte, la sua anima vagava sulla montagna alla ricerca della vetta mai raggiunta. Alla ricerca del coronamento di un amore che non aveva mai raggiunto.
E Sesshoumaru vagava con lei, vegliando la sua immortalità finalmente raggiunta nell’oblio della maledizione della montagna.
  
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