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Autore: NPC_Stories    11/09/2021    4 recensioni
Storia ambientata nei pochi mesi che Daren e Johel hanno passato nella foresta di Mir, prima che le loro strade si separassero in Ricostruire un ponte. Johel è felice di essersi riunito alla sua famiglia dopo molto tempo, e non si accorge che il suo amico ha cominciato a frequentare una ragazza.
Mi hanno chiesto in molti se Daren abbia mai avuto una relazione amorosa. Forse questa storia è più esaustiva di un semplice "no".
Genere: Fantasy, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1361 DR: Non tutti gli avversari sono nemici


Tazandil sapeva bene come prepararsi a una battaglia: ne aveva combattute molte nel corso della sua vita, forse troppe. Per la maggior parte si era trattato di scaramucce, ma c'era stato anche qualche scontro degno di questo nome. L'anziano elfo non era capace di stare fermo, di vivere nell'ozio, per questo considerava il suo lavoro una benedizione. Era più che un lavoro; anche quando si trattava di offrirsi volontario per dare la caccia ai troll o agli hobgoblin, come era loro costume durante alcune festività sacre, non si tirava mai indietro. Poi c'era stato il memorabile scontro, breve ma intenso, contro i drow del sottosuolo una settantina di anni prima. Forse la sfida migliore della sua vita, a cui era sopravvissuto grazie al buon lavoro di squadra con i suoi sottoposti.
Sì, forse questa era la cosa più importante quando ci si preparava ad una battaglia: la coordinazione, ripassare i piani con i propri alleati, conoscere il territorio se possibile, ma soprattutto conoscere il proprio ruolo. Un elfo solitario aveva meno possibilità di sopravvivenza, perfino quando gli avversari non sembravano molto pericolosi.
Quella notte non avrebbe saputo dire se i goblin fossero da ritenersi pericolosi oppure no; molto dipendeva da quale leader li stesse guidando, dalla sua intelligenza strategica.
Tazandil si stava preparando alla battaglia, ma non era neanche del tutto certo che ci sarebbe stata, una battaglia contro i goblin.

**********


Hinistel non era pronta a tentare un’altra avventura onirica, ma sentiva di non avere scelta. Voleva scoprire la verità sui sogni di Jaylah, su quegli incontri notturni con sua madre, la strega. Erano reali? Erano una fantasia della bimba? C’era solo un modo per scoprirlo.
Jaylah si era addormentata all’improvviso, come accade ai bambini piccoli. Il bracciale fatto con i capelli intrecciati di Hinistel era legato intorno al suo polso. La veggente non aveva davvero scuse per rimandare, e se voleva prendere sonno prima di mezzanotte era il caso di provarci, almeno.
Si sdraiò nel letto e cercò di rilassare la mente. La parte più difficile era non scivolare nella Reverie, che le riusciva così naturale. Doveva dormire. Spegnere la propria consapevolezza. Forse tutto il movimento che aveva fatto nel corso della giornata l’avrebbe aiutata ad addormentarsi, era così stanca…

Hinistel si trovava di nuovo in una stanza dalle pareti in pietra. Era la stessa della notte prima, ma l’elfa non poteva saperlo perché non ricordava il suo sogno precedente. Aveva solo una forte sensazione di déjà-vu.
Jaylah era seduta in un angolo della stanza, su un tappeto circolare. Intorno a lei aveva una bambola di pezza, il suo vecchio orsacchiotto e una lanterna che conteneva una fatina imprigionata.
“Nonna!” La bimba saltò in piedi appena la vide e corse ad abbracciarla. “Che bello, sei venuta per il tè? Ci sono anche i biscotti.”
Hinistel fece una carezza alla nipote, ma continuò a guardarsi intorno nervosa. Non le piaceva essere in un edificio dalla foggia così umana.
“Questa è la tua stanza, tesoro?”
Jaylah la prese per mano e la trascinò con sé verso il suo tappeto.
“Sì questa è la mia stanza, ma io gioco che questo angolo è la mia casa di quando sarò grande” spiegò, sedendosi di nuovo per terra. “C’è anche Lacis l'orsetto, la sua amica Dora che è una bambola, e poi c’è la fatina che vive nella casa di vetro.”
“Uhm… è la sua casa quella? Sembra una prigione” azzardò, tentennante.
“No, è la sua casa! La voleva tutta di vetro. Non è vero Lucciola?” Si sporse verso Hinistel e sussurrò, con fare cospiratorio “si chiama Lucciola perché fa luce, me lo ha detto lei.”
“Oh. Uhm.”
“Hai portato la tua bambina?”
“Cosa?” Hinistel si rese conto solo in quel momento che avrebbe dovuto essere incinta ma non lo era. Eppure non ricordava di avere nessuna bambina. “Non sei tu la mia bambina?”
“Uh… forse. Ma io ho una mamma, e tu sei la mia nonna.” Jaylah ci pensò per un momento. “Sono una bambina, quindi se vuoi sono la tua bambina, ma non sono tua figlia. Lo sai, no?”
Hinistel si sentiva molto confusa. Non era consapevole di stare sognando, pensava che fosse tutto reale, ed era così
strano sentirsi meno consapevole del mondo rispetto a una bimba di quattro anni. Era come se Jaylah fosse diventata la più sveglia e intelligente fra le due, cosa impossibile vista l’abissale differenza di età.
“La tua bambina. Nonna, te la ricordi? Dev’essere nella culla.”
Solo nel momento in cui la indicò, l’elfa dei boschi si accorse che c’era una culla. Era chiaramente di foggia elfica e stonava molto con l’arredamento semplice e grossolano -
umano - della stanza.
La veggente si avvicinò alla culla e vi trovò un minuscolo neonato. Come aveva previsto Jaylah, era una bambina.
“Jaylah, come sapevi che era una femmina?” Chiese Hinistel, un po’ allarmata.
“Uh… non me lo ricordo. Non me lo hai detto tu?”
La veggente ci pensò per un momento. “Forse” concesse. “Ma perché è così piccola?”
“Be’, non è ancora nata” ragionò Jaylah.
La risposta suonò assolutamente plausibile. In un
sogno poteva avere senso, la bambina era lì ma era piccola perché non era ancora nata, chiaro e lineare.
“Come siamo arrivate qui da Myth Dyraalis?” Domandò ancora.
“Io vengo qui quando voglio perché è casa mia” spiegò Jaylah, “mi basta che faccio un passo, e sono qui.”
“Ma” qualcosa non quadrava esattamente, la casa natìa di Jaylah non era nel nord? Non doveva esserci almeno la foresta Wealdath, di mezzo? “Cucciola, casa tua non era lontana lontana?”
“La mia mamma dice che casa ce l’hai sempre nel cuore” rispose la bambina, tranquilla. “Allora, nonna, prendi il tè con noi? Lucciola ne vuole una tazza molto piccola così le ho dato un ditale.”
Hinistel si riscosse a quelle parole, come se all’improvviso avesse ricordato una cosa molto importante.
“Tua madre! Anche lei è qui?”
“Oh, lei arriva quando arriva” minimizzò la bimba. “Starà facendo i lavori.”
“Lavori?” Ripeté in un sussurro.
“Sì, sai… lavare i piatti, dare la pappa alle galline, e poi agli asini, e togliere le erbacce dall’orto, e fare le cose magiche, e cucinare, e lavare i panni e tutto il resto. Mamma deve sempre fare tanti lavori noiosi.”
“E perché non usa la magia per pulire?” Domandò l’elfa, scioccata.
Jaylah si strinse nelle spalle e continuò a giocare con la sua teiera e le tazzine. A quanto pare contenevano davvero del tè. “Lo fa quando ha fretta, ma dice che ogni tanto si deve pulire per davvero, perché… puri… qualcosa.”
La conversazione fra due soggetti sognanti aveva molto più senso logico rispetto a quella che sarebbe potuta avvenire fra una di loro e qualcuno che fosse frutto del sogno, quindi Hinistel continuò a non accorgersi che era, appunto, un sogno. Avrebbe voluto sedersi a giocare con Jaylah, ma non voleva allontanarsi dalla culla. Non sapeva per certo se quella all’interno fosse la
sua bambina, ma si sentiva attratta da quella creaturina indifesa, come se fosse legata a lei.
“Nonna mi sono appena ricordata una cosa. Chi è Amatiar?”
“Chi?” L’adulta guardò la piccina senza capire.
“Non lo so! Ieri ho incontrato una signora tanto bella, che si chiamava Amatiar, era un po’ simile a te. Poi ha detto che tu eri piccola e ha detto che anche io ero Amatiar.”
Hinistel sbiancò. “Vuoi dire
Amarthiar? Quello è il nome ancestrale della mia famiglia, per linea di madre.”
Jaylah le rivolse uno sguardo vacuo. “Scusa nonna, mi sa che non ho capito niente.”
“Hai incontrato questa signora a ca… a Myth Dyraalis?”
“No, sono sicura di no. Era un altro posto. Pieno di fili dorati come quando avete messo gli addobbi di Mezzestate e c’erano fili luminosi fra gli alberi. Ma
più bello.
La veggente ci pensò a lungo, ma alla fine scosse la testa. “Non ho idea di che luogo possa essere. Non l’avrai sognato?”
“No, ho sognato nonno Tazandil. Era in guerra e aveva un
bercoccolo.”
“Hm… non so cosa dire. Se la vedi di nuovo, magari chiedile chi è. Se è una persona gentile dovrebbe risponderti.”
“Sì, è gentile… ma alla fine mi ha detto che devo fare la Reverie; ma lei non capisce, io non posso fare la Reverie altrimenti non vedo più la mamma! E allora mi stavo quasi arrabbiando e volevo dirglielo, ‘fatti gli affari tuoi!’, ecco.” Sbottò Jaylah gonfiando le guance. “Ma non ho fatto in tempo perché… ah! Perché poi mi sono svegliata. Hai ragione nonna, era un sogno!” Ridacchiò. “Mi sono proprio
sconfusa!
“E perché non me lo hai detto quando ti sei svegliata?”
“Perché non me lo ricordavo!” Sbuffò la bimba esasperata, poi le scagliò uno sguardo colmo di fastidio. “Nonna, qui marca male. Vuoi giocare con me o no?”
Hinistel cominciò a considerare che il modo di esprimersi di Jaylah era
strano. Per cominciare, non avrebbe saputo dire se la nipote stesse parlando in elfico oppure no, sapeva solo che era in grado di comprendere ogni parola che diceva. Poi, stava usando espressioni idiomatiche molto inusuali, anche un po’ volgarotte, che doveva aver appreso dagli umani della regione in cui viveva.
“Sono nella casa di tua madre. Dunque credo di essere qui per parlare con tua madre.” Ragionò la donna.
“Sì, lo credo anch’io” esordì una terza voce. Hinistel ne cercò la fonte e notò subito due cose: la porta della stanza era sparita, e una drow se ne stava appoggiata alla parete dove poco prima c’era la porta. O almeno, Hinistel credeva che fosse lì. C’era mai stata una porta?
“A meno che invece non siate qui per spiarmi senza farmi la cortesia di rivolgermi la parola” scherzò la drow, ma c’era una punta di durezza nel suo tono, nel suo sguardo. Forse non era una semplice battuta. La sua occhiata sembrò passare Hinistel da parte a parte.

**********


Tazandil si appoggiò al tronco di un albero, cercando di schiacciarsi il più possibile contro la superficie ruvida della corteccia. Avrebbe voluto sparire, rendersi invisibile. Nel tempo aveva perfezionato la sua capacità di muoversi fra le ombre degli alberi, come a diventare un tutt’uno con la foresta, ma talvolta perfino lui incontrava un avversario così abile da poterlo sorprendere.
Questo poteva essere uno di quei rari casi, quindi l’anziano elfo ranger si muoveva con cautela.
Alla fine re Elbereth aveva accettato il suo piano di tendere una trappola ai goblinoidi: un finto accampamento era stato improvvisato vicino alle pendici di una collina, non lontana dall’altipiano che altri elfi stavano ancora circondando.
L’anziano guerriero sapeva che lì c'era una grotta, più o meno a mezza altezza della collina, che era collegata - probabilmente - alle gallerie che correvano dentro alle montagne. Se i goblin avessero visto quell'accampamento elfico come una facile preda, quasi certamente avrebbero attaccato perché avevano dalla loro anche il vantaggio di trovarsi su un terreno in discesa, avrebbero potuto calare sugli elfi come una valanga di picche e rozze spade e approfittare dello slancio per infliggere un duro colpo ai nemici. In realtà sarebbe stata una situazione perfetta per gli elfi se avessero preparato trappole, buche con pali appuntiti, corde di inciampo… ma non ce n’era stato il tempo, avevano dovuto preparare il terreno di battaglia in quattro e quattr’otto.
Avevano solo sistemato alcuni buoni ranger in quell’accampamento e arcieri ancora migliori sugli alberi lì intorno.
Fra gli elfi che fungevano da “esca”, tre appartenevano alla foresta di Shilmista e fra loro c’era un mago; due venivano da Sarenestar, il veterano Nelaeryn e il meno esperto Raedeth. Erano stati scelti perché in passato avevano lavorato insieme, anche se per brevi periodi. Quella scelta a Tazandil era comunque sembrata un po’ forzata, ma era stata un’idea del vecchio Suiauthon. Era un elfo affidabile e assennato, aveva servito come capopattuglia per decenni, Tazandil l’aveva voluto a Shilmista anche per la sua esperienza e per avere il suo consiglio.
Anche, ma non solo.
Suiauthon era un decente stratega, ma tendeva a mettere in atto sempre gli stessi schemi che si erano rivelati efficaci. Per questo Tazandil era sorpreso che avesse preso l’iniziativa e portato tanti suggerimenti fin da prima che partissero per Shilmista. L’aveva aiutato nella selezione dei volontari da portare in guerra e ogni tanto dava anche consigli sulle formazioni di battaglia. Era inusuale, perché di solito il vecchio elfo non ci metteva così tanto impegno. Non era mai stato completamente soddisfatto della decisione di lord Fisdril di nominare Tazandil come ranger capo, mentre Suiauthon aveva più anzianità e più esperienza; c’era una patina di ruggine fra loro, anche se mantenevano rapporti cordiali.
Il problema era che Suiauthon mancava dell’adattabilità necessaria per diventare ranger capo, un limite che non aveva mai capito di avere… un limite che Tazandil invece non aveva.
Non molte persone avrebbero associato l’idea di flessibilità, o perfino di fantasia, a Tazandil; però sul campo di battaglia aveva entrambe. Sul campo di battaglia era completamente se stesso e dava il meglio di se stesso, mettendo a frutto tutte le sue potenzialità.
, rimuginò Tazandil accarezzando l’impugnatura di una delle sue spade lunghe; è qualcosa a cui non posso rinunciare. Questo. La battaglia. Il mio lavoro. Morirò con le spade in pugno, come mia madre. Hinistel, dovrai avere pazienza con me…
Il ricordo della moglie riuscì a portare un momentaneo sorriso sul suo volto asciutto. Poi nell’aria si alzò il verso di un gufo, il segnale convenuto con le sentinelle, e ogni pensiero ozioso venne allontanato: era il momento di scoprire come il nemico avrebbe giocato le sue carte.

**********


“No, sono sicura di essere qui per parlare con voi” rettificò l’elfa.
“Bene. Attendevo il vostro arrivo da quando ieri notte Geyla mi ha detto che eravate venuta a trovarla” ammise la strega. Quell’affermazione strappò uno sguardo confuso alla veggente.
“Ieri notte? Io?”
Il sorriso semi-sincero della drow si distese in un’espressione più accogliente, più genuina.
“Comprendo la vostra confusione. Permettetemi di darvi il benvenuto nella mia casa.” Krystel si avvicinò e le porse una corona di fiori freschi - l’aveva sempre avuta con sé? - e la poggiò con gentilezza sul capo di Hinistel. No, non sul capo. La corona era troppo larga, era una collana, e scivolò oltre la sua testa fermandosi poi sulle spalle. Hinistel avvertì un profumo particolare, dolce ed esotico. La cosa la prese in contropiede; si accorse solo in quel frangente che era la prima volta che sentiva l’odore di qualcosa, in quella stanza.
“Questi sono fiori dell’oblio. Vi impediranno di svegliarvi e vi costringeranno a continuare a sognare” spiegò.
“Sognare?” Hinistel spalancò gli occhi. “Ma sono sveglia.”
Sembrava che la drow stesse facendo del suo meglio per trattenere un sorrisetto, che Hinistel percepì come un gesto di scherno.
“No, non lo siete. State sognando. Anche ieri notte stavate sognando, quando siete venuta qui. Ma Johel mi ha chiarito che gli elfi dei boschi solitamente non dormono, quindi immagino che non siate molto esperta di sogni. Le persone non abituate ai sogni hanno la tendenza a svegliarsi non appena la loro mente realizza che qualcosa non va e che stanno sognando, hanno paura di questa mancanza di controllo.”
Questa volta la veggente fece un passo indietro, sconcertata. Le rivelazioni della drow avevano una certa logica. Si portò le mani al petto, tastando la collana di fiori che ricadeva mollemente sotto alle clavicole.
“No, vi prego.” L’elfa scura si sporse in avanti e mise le mani sulle sue. “Potrete toglierla in qualunque momento, non siete mia prigioniera. Ma se ora andaste via, vanifichereste i miei sforzi e i vostri.”
Le dita pallide dell’elfa si svincolarono da quelle della drow, con una certa fretta. Rifletté brevemente su quella proposta.
“Mi giurate che posso andarmene quando voglio?”
“Uffa, mamma, che noia” s’intromise Jaylah, alzandosi dal suo tappeto e correndo a incunearsi fra le due donne. “Hai finito con i discorsi da adulti? Io voglio giocare con te e la nonna” abbracciò sua madre alle gambe, reclamando attenzioni.
Krystel sorrise e ricambiò l’abbraccio della figlia, ma non smise di guardare la veggente. “Certo, ve lo giuro. Non voglio farvi nulla di male, siete la nonna di mia figlia e sembra che lei vi adori.” La drow sospirò, pareva incerta se aggiungere qualcos’altro, e infine lo fece: “Questo per me è un grande conforto e sollievo. Sapere che la famiglia di Johel ha accettato Geyla e la ama.”
Hinistel si sentì presa in contropiede da quelle parole. Potevano forse fare diversamente? Jaylah era la figlia di suo figlio. Come avrebbero potuto non amarla?
L’elfa scura però non le lasciò il tempo di rispondere, si lasciò condurre dalla bambina nel suo salottino immaginario che stava assumendo tratti sempre più reali. Per esempio, c’erano sempre state quelle poltroncine che sembravano fatte di cuscini cuciti insieme? Sì, sicuramente sì. Ce n’era anche una pronta per Hinistel, di un arancione brillante come la sua chioma di fuoco. Non era un segreto che Jaylah amasse i suoi capelli rossi, forse per questo aveva sognato una poltrona uguale. Hinistel avrebbe voluto sedersi con loro, ma la creatura nella culla… non voleva allontanarsene.
“Nonna dai vieni! Prendi anche la tua bimba, può bere il tè con noi!” La chiamò Jaylah.
Hinistel aveva qualche dubbio che la cosa potesse funzionare, ma si chinò sulla culla e con grande attenzione sollevò fra le braccia la neonata. Era piccola, nuda e indifesa, eppure quando Hinistel la prese in braccio sentì che era al sicuro. Che la creaturina non poteva essere toccata, non poteva essere ferita, perché in qualche modo era ancora parte di lei ed era protetta da lei.
La veggente si sedette sulla poltroncina vuota fra i giocattoli, di fronte a Jaylah. C’era un tavolo tondo di legno fra loro, simile a quelli che campeggiavano nella Casa degli Scapoli. Dal tavolo poteva vedere Krystel e Jaylah alla stessa altezza, come se la bambina sedesse su una sedia alta, ma non era così. C’era qualcosa di illogico, ma lo registrò solo con una piccola parte della sua mente. Il profumo dei fiori che aveva intorno al collo si fece più intenso.
Jaylah servì il tè a tutti, anche ai giocattoli, che si mossero per berlo. Anche Krystel stava sorbendo il tè, da cui Hinistel giudicò che non fosse pericoloso stare al gioco.
La bevanda era calda al punto giusto ma non aveva nessun sapore.
"Grazie, Geyla, è buonissimo" sorrise la strega, e Hinistel capì che era una gentile menzogna. "Adesso vogliamo fare vedere la locanda alla tua nonna?"
"Certo!" La piccola saltò in piedi con un balzo entusiasta. "Mi terrai per mano, mamma?"
"Necessariamente", rispose l'elfa scura, e Hinistel pensò che fosse uno strano modo di esprimersi.
Krystel dovette cogliere la sua perplessità, perché si prese il disturbo di spiegare a suo beneficio: "I bambini non ricordano mai bene la planimetria di una casa, anche perché ne hanno una prospettiva sfalsata, e la mia casa è molto grande. Se volete vedere il luogo in cui Geyla è cresciuta dovrò essere io a guidarvi, e questo significa che passeremo dal sogno di Geyla al mio. Per questo devo condurla per mano: per natura, la sua mente si ribellerebbe a questa cessione del controllo. E... voglio mettere in chiaro che se questo vi crea qualche problema non vi costringerò a seguirci, ma dal momento che avete legato l'identità onirica di mia figlia alla vostra, l'unico modo per separarvi da lei sarebbe che una di voi due si svegliasse."
"Come sapete che l'ho fatto?" obiettò la veggente.
"Sono una strega" rispose semplicemente Krystel. "Non conosco il rituale che avete usato, ma ne ho compresi gli effetti."
"Johel mi ha detto che siete una strega, ma non capisco… nel dettaglio, cosa significa?"
L'elfa drow piegò le labbra in un sorriso esitante, serrato ed enigmatico. "Cento streghe potrebbero darvi cento definizioni diverse, perché non solo i poteri delle streghe, ma anche la loro idea sulla loro posizione nel mondo, cambiano da regione a regione e talvolta anche da persona a persona. Mi piacerebbe darvi una spiegazione dettagliata ma sarebbe inutile perché al risveglio non ricorderete tutto, vi resteranno in mente solo le cose più salienti."
"Al risveglio? Ma io sono sveglia…"
"Abbiamo già avuto questa conversazione, lady Hinistel" sospirò Krystel. "Non intendo offendervi, ma non credo che siate pronta per tutto questo."
"Mamma, voglio andare in giardino, e voglio cavalcare un asinello" pretese Jaylah, afferrando una manica della madre per richiamare la sua attenzione.
"Ma certo tesoro, adesso andiamo. Vuoi portare Lacis?"
"No, Lacis adesso deve fare la nanna. Lui è piccolo."
"È molto più vecchio di te, trappolina" la prese in giro la strega. "Ma fai come vuoi."

Hinistel rimase a guardare mentre Jaylah rimetteva a posto i suoi giocattoli, una buona abitudine che aveva anche a Myth Dyraalis. Poi la bambina si mise davanti alla porta, scalpitante. Hinistel non si era resa conto che ci fosse una porta.
"Su, nonna, vieni!"
La veggente era in piedi, anche se non ricordava di essersi alzata, e si avvicinò alla nipotina sempre tenendo in braccio la sua neonata… non ancora nata, in realtà.
"Dovrei rimetterla nella culla?" Ipotizzò, scrutando con attenzione la minuscola creatura che sembrava addormentata.
"Non potete" la fermò Krystel. "La bambina è parte di voi. Siete legate ancora troppo strettamente. Non vi permetterà di lasciarla indietro, scommetto che se la rimettete nella culla non vedrete più la porta d'uscita."
Hinistel sobbalzò, ricordando improvvisamente qualcosa. "È successo questo, ieri! Volevo uscire dalla stanza, ho voltato le spalle alla culla con la bambina, ma la porta era scomparsa e davanti a me mi sono ritrovata di nuovo la culla!"
Krystel stava annuendo con aria saputa.
"Vostra figlia non vi lascerà andare via. È abbastanza grande da avere già una mente sognante, significa che è ben sviluppata nel corpo e nello spirito. Però non è ancora pronta a staccarsi da voi."
La strega aprì la porta, mostrando che dava direttamente sul giardino. Prese una mano di Jaylah nella sua e la condusse fuori. L'elfa chiara le seguì, come se fosse stata trainata da una forza invisibile, ma non ci stava badando molto. Le parole dell'altra donna avevano colpito nel segno.
Hinistel strinse più forte la bambina, sentendo il suo minuscolo cuore pulsare forte. "È cresciuta lentamente, per molti mesi non ho visto il mio ventre gonfiarsi" confessò, senza capire perché ne stesse parlando proprio con la drow. Non si fidava ancora di lei, eppure sentiva il bisogno di confidarsi. "Avevo paura che non fosse ben sviluppata, anche se la nostra druida mi diceva il contrario."
La luce del sole splendeva luminosa, irriverente, molto più sfacciata di quanto Hinistel ricordasse. Certo, lei viveva in una foresta, era abituata ad una luce molto più tenue e filtrata dalle fronde. Il giardino era di un verde vibrante, tranne in un punto in cui era stata ricavata una strana aiuola circolare in cui erano sbocciati molti fiori diversi. Hinistel forse l'avrebbe trovato un po' strano, perfino di cattivo gusto, per il modo in cui la natura era stata imbrigliata. Però in quel momento il panorama era l'ultimo dei suoi pensieri.
"Non posso avere contezza del suo stato di salute fisico," continuò Krystel, "ma la sua volontà è forte, e questo di solito indica che anche il corpo lo è. Specialmente nei bambini non ancora nati: prima si sviluppa il corpo, e poi la mente. Questa bimba potrebbe venire al mondo domani e sopravvivere… ma non vuole ancora farlo. Datele ascolto, e date ascolto al vostro corpo. Sognare, dormire, sono cose a cui non siete abituata. Non so quanto sarete riposata domattina, ma ogni fonte di turbamento per voi è una fonte di turbamento anche per la piccola. Pensate molto bene a quello che state facendo, Geyla è al sicuro con me, non ha bisogno della vostra supervisione."
Hinistel scosse la testa, per negare quella logica. "Ma io non vi conosco. Fate parte indirettamente della mia famiglia perché siete la madre di mia nipote, eppure non capisco la natura del vostro rapporto con mio figlio, non capisco
voi, che tipo di persona siete e che vita conducete. Come posso stare tranquilla?"
"Io non faccio parte della vostra famiglia" la strega si adombrò, la sua voce assunse una tonalità più fredda. "Non faccio parte di nessuna famiglia elfica. Mia figlia fa parte della vostra famiglia, non io. La vostra mania del controllo non è un mio problema."
"Mamma, che posto è questo?" Intervenne Jaylah, guardandosi intorno curiosa. "Quando siamo uscite dal giardino?"
"Non siamo usci…" cominciò Krystel, ma poi si interruppe di colpo. Anche Hinistel notò che c'era qualcosa di strano: non erano più nel cortile delimitato da mura di pietra, non c'erano più edifici umani in vista, adesso erano in una foresta. Per un momento l'elfa dei boschi si spaventò, pensando che fosse Sarenestar. Non avrebbe dovuto essere il sogno della strega? Come poteva conoscere quella foresta così lontana?
Quasi subito però si rese conto che la flora non era quella giusta: non c'erano gli stessi altissimi e imponenti alberi di conifere, il terreno stesso appariva diverso, più umido e con un sottobosco differente. Grandi tronchi di
chiomanera svettavano facendosi strada al di sopra del frondame largo e piatto degli alberi del crepuscolo, che schermavano parzialmente il sole; ma nessuno di quegli alberi era paragonabile alle conifere di Sarenestar, che potevano arrivare anche ai trecento piedi d'altezza. La corteccia quasi nera degli alberi del crepuscolo riusciva a dare alla foresta un'aria spettrale, nonostante si potessero udire delle risate leggere in lontananza. Eppure anche quelle risate avevano qualcosa di sbagliato, di tetro. La strega si era fermata di colpo.
"Non dovremmo essere qui" sussurrò con un filo di voce, come se avesse paura di attirare l'attenzione di una bestia pericolosa. "Torniamo indietro."
"Dove siamo?" Hinistel si guardò intorno cercando di cogliere una qualche logica in quella foresta, sperando di individuare un sentiero magari. Non ve n'era nessuno, anzi, sembrava quasi che gli alberi si spostassero ogni volta che lei distoglieva lo sguardo, come per confondere loro le idee.
"Siamo dentro a un incubo" mormorò Krystel. "Un
mio incubo."
La veggente strinse la sua bambina con una punta di panico.
"Siamo in pericolo?"
L'altra scosse la testa. "No. Non è un incubo violento, è uno di quegli incubi che ti lasciano addosso solo una cappa di disagio."
"Ci sono diversi tipi di incubi?" Hinistel adesso era da qualche parte a metà fra la paura e la desolazione. Cielo,
perché qualcuno avrebbe mai dovuto scegliere di sognare anziché di meditare come dovrebbero fare gli elfi?
"La vostra presenza qui, temo abbia fatto strani scherzi alla mia mente. Sentirmi
giudicata da una di voialtri, un'elfa chiara, e quel ridicolo discorso sulla famiglia…" Krystel le lanciò un'occhiata di sbieco come se la ritenesse direttamente responsabile dell'incidente "deve aver liberato i miei ricordi più tetri".
L'elfa dei boschi sobbalzò e si rese conto che la drow aveva preso in braccio Jaylah e la stringeva con la stessa spasmodica ansia con cui lei stringeva la sua neonata. Si rese conto per la prima volta che era solo una madre che voleva proteggere sua figlia, ma da che cosa, non lo aveva capito. Era quasi come se volesse proteggerla da Hinistel tanto quanto dai pericoli dell'incubo.
"Un ricordo? Voi siete già stata in questa foresta?" Questa rivelazione la confuse parecchio, perché cosa mai avrebbe potuto fare una drow in una foresta? Credeva che la madre di Jaylah vivesse in una zona di campagna, in mezzo agli umani, e che avesse sempre vissuto lì. La foresta dell'incubo, non era una semplice allegoria?
"Oh, sì, sono già stata qui. Ho
vissuto qui. Andiamo via, prima che arrivino loro."
"Loro? Chi sono, loro?"
"Loro. Gli elfi della luna."

Krystel, Hinistel e le loro bambine cominciarono a muoversi fra quegli alberi che sembravano farsi fitti, innaturalmente fitti, apposta per dare fastidio a loro. Hinistel non aveva mai avuto paura di una foresta o di un albero, e non ne aveva nemmeno ora, ma percepiva una sensazione di ansia, fretta, disagio. Forse era la paura di Krystel che la stava contagiando; quello era il suo sogno dopotutto, il suo territorio, il suo immaginario.
Le risate eteree, gioiose e inquietanti insieme, risate che sicuramente appartenevano agli elfi della luna, erano sempre al confine della loro sfera uditiva, anzi ogni tanto sembravano farsi più vicine. In aggiunta a tutto questo c'era la sensazione di stare girando in tondo.
"Così non va bene. Dannazione." La strega sibilò con fastidio. "Non va affatto bene. Temo che non riuscirò ad uscire finché la cosa che mi trattiene qui resterà al mio fianco."
"E la cosa che vi trattiene qui sono io" ricapitolò Hinistel.
"Non esattamente voi. Il vostro giudizio. Il vostro atteggiamento di superiorità così
elfico."
"Insomma dovrei cambiare atteggiamento per sollevare la pressione dal vostro animo, è questo che state dicendo?"
La strega fu scossa da un sussulto, che dopo un momento la veggente riconobbe per quello che era: una risata amara.
"Non mi aspetto che lo facciate in questi prossimi minuti. Nei sogni siamo noi stesse, senza filtri, senza maschere, nemmeno quelle che di solito ci mettiamo per gentilezza. Non vi fidate di me, io non mi fido di voi, non diventeremo amiche stanotte; nemmeno per uscire da un incubo."
"Che cosa vi hanno fatto gli elfi della luna?" Sussurrò Hinistel. "Quale nervo scoperto ho toccato?"
"Mi hanno giudicata, ve l'ho detto. Mi hanno giudicata e mi hanno trovata inadatta,
non elfa, aggressiva e colpevole. Ero colpevole solo di essermi difesa, ma non mi hanno creduto perché sono drow, quindi bugiarda e infida per natura. Non è quello che temete anche voi?"
"No…" Hinistel provò a negare. "Non ho un'opinione così definita."
"Eppure non vi potete fidare del giudizio di Johel" ribatté lei, "né del parere di mio fratello, o del modo in cui ho cresciuto mia figlia. Tutto questo non vi dice abbastanza su di me, avete bisogno di controllare di persona."
"Sarebbe lo stesso se foste umana!" Sbottò Hinistel, perché era davvero esasperata dall'atteggiamento della strega, dal suo essere sulla difensiva. "Avete detto che nei sogni siamo sincere, giusto? D'accordo, siete voi l'esperta, dovreste sapere che ora sono sincera. Non mi piace che la madre di mia nipote non sia una di noi: ecco, l'ho detto. Non mi piace perché non vi capisco, perché siete strana, perché vivete con gli umani, e
anche perché siete una drow ma questo non è tanto importante quanto pensate; noi abbiamo accolto un drow come Amico degli Elfi, che è una grandissima cosa per una comunità chiusa come la nostra. Dannazione, sarebbe una grandissima cosa per qualsiasi comunità elfica! Non è la vostra razza il problema, è la vostra cultura, che non conosco, che ho bisogno di comprendere, perché non so come crescerà mia nipote quando tornerà da voi a centinaia di miglia dalla sua famiglia elfica. Jaylah è una di noi, è sangue del mio sangue, non posso essere tranquilla sapendo che sarà affidata a una donna che per me è una perfetta sconosciuta."
"Ma io sono sua madre, Geyla non è vostra" obiettò Krystel, ma non aveva più lo stesso tono teso e piccato. Le risate degli elfi della luna sembravano svanite in lontananza.
"Lo so" riconobbe Hinistel. "E la cosa mi manda ai matti."
E a quel punto, la strega fece l'ultima cosa che l'elfa dei boschi si sarebbe aspettata: sorrise e sbottò in una risatina. Qualche raggio di sole in più riuscì a filtrare tra le fronde.
"Siete qui per amore di mia figlia" riconobbe infine, con voce un pochino più morbida. "E non avevo sbagliato a pensare che fosse per mania del controllo."
"Non avete sbagliato" concesse Hinistel, ancora rossa in viso. "Ma vi assicuro che sono qui per conoscervi e non per giudicarvi. La mia opinione su di voi non è mai stata negativa, perché mio figlio mi ha parlato di voi e dell'affetto che prova per voi."
"Allora la sua opinione ha un peso" Krystel appariva quasi stupita. "Però voi sapete che non è amore, vero?"
"Lo so" annuì la dama elfa "e ne sono molto sollevata. Non voglio che anche lui vada a vivere a centinaia di miglia da casa."
"E non volete nemmeno che io venga a vivere con voi" indovinò Krystel.
"Siete voi la prima a non volerlo" ritorse Hinistel. "Ma se le cose dovessero cambiare, se il sentimento che vi lega a mio figlio dovesse diventare più…
più, scoprireste che la nostra foresta è molto più bella di questo tetro angolo di mondo" sottolineò con orgoglio, indicando con un gesto della mano la boscaglia intorno a loro.
"Per carità, ho già vissuto con gli elfi, per ben due volte. Da bambina con gli elfi della luna, e in seguito con gli elfi selvaggi, il popolo del mio defunto marito. In nessuno dei due casi sono stata accolta bene, ero soltanto tollerata di malagrazia, finché alla fine non mi hanno cacciata. Non reputo di essere una persona antipatica o indisponente, credo che i motivi fossero altri."
"Non siete stata molto simpatica con me" puntualizzò Hinistel, ma c'era una nota scherzosa nel suo tono.
"E non lo sarò, finché avrete l'intenzione di tenere per voi la mia bambina" Krystel rispose con lo stesso tono, perché forse aveva capito che alla fin fine Hinistel non avrebbe avuto cuore di separare Jaylah da sua madre. Nonostante tutto.
"Mamma, lì!" Jaylah richiamò la sua attenzione e indicò con un ditino un muro di pietra che era comparso in mezzo agli alberi. In quel muro c'era una porta. "Quello non è il muro del cortile di casa? La porta degli orti?"
Hinistel non conosceva i luoghi a cui Jaylah stava facendo riferimento, ma vide l'espressione di Krystel illuminarsi.
"Sì, lo è. Bravissima, topolina. Sembra che possiamo tornare a casa." Rivolse alla veggente un tiepido sorriso. "E forse io e la tua nonna potremmo perfino diventare amiche, prima o poi."
   
 
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