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Autore: Ellery    12/09/2021    1 recensioni
Ben Solo, stilista di fama mondiale, viene invitato a presentare la sua collezione durante la Settimana della Moda di Milano. E quale migliore compagno di viaggio di uno spocchioso ex-generale del Primo Ordine? Peccato che le cose, naturalmente, non vadano come Hux spera...
Note: La ff è il seguito di "La cura del gatto per negati (e altri novantanove pratici consigli per diventare Imperatori del Male). Note introduttive nel primo capitolo.
Genere: Avventura, Comico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Generale Hux, Kylo Ren
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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7. Dove diamine sei quando mi servi?! 


Ben Solo lasciò ricadere il telo oltre le proprie spalle. Strinse gli occhi per abituarsi ai riflettori della sala, ormai puntati interamente su di lui. La folla, in piedi, applaudiva e gridava il suo nome.

Si inoltrò lungo la passerella, congiungendo le mani in preghiera e inchinandosi a destra e a manca:
«Grazie…» ripeté più volte, mentre le acclamazioni crescevano d’intensità «Grazie! Troppo buoni, troppo generosi! Non mi aspettavo di ricevere tanto apprezzamento. È un’incredibile sorpresa per me» mormorò, mal celando la falsa modestia.

Era visibilmente orgoglioso del proprio lavoro. La collezione era stata un successo e l’ultimo capo era stato la ciliegina sulla torta. Fortunatamente, l’inesperto modello non aveva rovinato l’impatto della creazione.

Sollevò le braccia in un cenno vittorioso, scatenando infiammando l’entusiasmo dei presenti.

Ah, se solo Leia avesse potuto vederlo! Era passato dall’essere un aspirante Jedi con manie oscure, a pupillo di Snoke a… gatto – anche se tendeva a dimenticare quell’incresciosa parentesi nella propria vita – a stilista di successo. La sua vita si riconduceva ad una perfetta scalata, con solo qualche scivolone qui e là, da cui si era prontamente ripreso.

Scese con un balzo dalla passerella e immediatamente si ritrovò a stringere decine di mani, a firmare centinaia di autografi con penne raccattate a casaccio, a ricevere vigorose pacche sulle spalle.

«Grazie! Grazie di cuore!» cantilenò ancora, scorgendo infine Donatella e Valentino avvicinarsi.

«Stupendo mio caro, stupendo» chiocciò la Versace «Non ho mai visto niente di così sublime! Un’opera d’arte.»

«Già!» le fece eco Valentino «I pantaloni Cats, poi… quelli erano un vero gioiello! Meriterebbero d’essere esposti in un museo e non indossati da comuni mortali. Se mi permetti un’unica osservazione, Ben… le scarpe non erano adatte. Mi sarei aspettato qualcosa di più eccentrico a delle semplici Converse.»

Ben si strinse nelle spalle, scoraggiato:
«L’idea originale era abbinare i pantaloni a delle deliziose infradito color verde acido. Una piccola zeppa avrebbe slanciato ulteriormente la figura del modello, ma questi si è rifiutato di indossarle. Purtroppo… era un principiante.» aggiunse, con una punta di disgusto.

Vide gli altri due annuire con foga:
«Si vedeva!» confermò la donna «Come mai scegliere un apprendista per portare un capo simile?»

«Oh, no! Non spettava a lui. Il modello prescelto si è sentito male poco prima della sfilata… sindrome di Stendhal, sapete com’è… e ho dovuto rimpiazzarlo in fretta. In realtà, Hux non è nemmeno un apprendista… è solo un ex-collega noioso, pieno di sé e con un gusto osceno in fatto di abiti. Tuttavia, era una situazione di emergenza…»

«Ti capisco!» sospirò Valentino «Una volta, io ho dovuto obbligare a sfilare un attaccapanni… non ti dico che imbarazzo! D’altronde, sono imprevisti che possono capitare. L’importante è sapervi far fronte.» l’uomo porse il braccio alla Versace, che lo afferrò prontamente «Vieni, Donatella… dopo tanto splendore, dobbiamo ritirarci per meditare sulla nostra prossima collezione. Non sarà facile superare l’idillio di Maestro Solo.»

Ben li salutò con un cenno e ne approfittò per ritirarsi nuovamente dietro le quinte. Aveva bisogno di riposare, di smaltire l’euforia e di trangugiare una Fanta ghiacciata per lenire la gola, rinsecchita dai troppi ringraziamenti elargiti.

Tuttavia, non riuscì neppure ad avvicinarsi alla macchinetta: Giorgio Armani gli tagliò la strada, stringendolo in un abbraccio affettuoso.
«Sono così fiero di te!» esordì lo stilista, strizzando le guance al suo pupillo «Sapevo che ce l’avresti fatta. Li hai conquistati, meravigliati, fatti innamorare. Hai superato il tuo mentore!»

Ben si sottrasse a quelle attenzioni con un discreto passo indietro:
«Mi onora molto il tuo parere. Ho solo seguito i tuoi consigli e…»

«Non essere modesto! Questa collezione trabocca di creatività e genio. È vero che domani presenterai il libro alla stampa?»

«Oh, sì! E venerdì mattina terrò un seminario sui pantaloni a vita alta.»

Armani gli arruffò affettuosamente i capelli:
«Ci sarò!» promise solenne «Non me lo perderei per nulla al mondo.»
 

***

 
Hux si infilò nuovamente le Converse. I capelli, ancora umidi, avevano riassunto la naturale morbidezza, ora che erano stati lavati dai quintali di lacca e gel usati per l’acconciatura. Si era concesso una lunga doccia calda e si era rapidamente rivestito, optando per un paio di jeans e recuperando il maglioncino azzurro.

Non aveva alcuna intenzione di aspettare Ren in camera. Non era ancora riuscito a vedere il Duomo, ma questa volta… niente glielo avrebbe impedito! Aveva infilato il certificato medico sulla protesi cardiaca nella tasca dei jeans, per essere certo di non dimenticarlo o perderlo. Inoltre, aveva pianificato l’itinerario perfetto: dopo la cattedrale, si sarebbe diretto con la metropolitana sino alla Pinacoteca di Brera e poi avrebbe ripreso i mezzi pubblici per concedersi un aperitivo lungo i Navigli e poi si sarebbe infilato in un cinema a strafogarsi di pop corn e bibite gassate, per evitare Ren il più possibile.

Era ovviamente irritato con lo stilista. Perché diamine l’aveva coinvolto nelle sue buffonate? Lo aveva praticamente obbligato ad indossare quegli orribili pantaloni con fantasia felina, quasi a sfregio del proprio ordine e senso del decoro. Il suo disagio sembrava averlo divertito non poco: il più giovane generale dei Primo Ordine costretto a gironzolare con dei pantaloni ascellare e i capelli acconciati in un paio di terrificanti corna. Se fossero stati ancora sul Finalizer, lo avrebbe lanciato fuori da un boccaporto e lo avrebbe guardato fluttuare nello spazio per l’eternità. Purtroppo, però… la Terra non offriva possibilità così allettanti; inoltre, tutti adoravano Ben Solo, su quello stupido pianeta!

Afferrò la giacca, dirigendosi a passo svelto verso la porta, ma un rumore secco lo congelò sul posto. Dalla stanza del cavaliere era giunto un tonfo, come di un pesante oggetto caduto a terra. Percepì un brivido corrergli lungo la schiena, ma si costrinse a rimanere calmo, mentre la propria mente analizzava tutte le ipotesi: la donna delle pulizie si era trattenuta nell’appartamento? Un colpo d’aria aveva fatto sbattere la finestra? Oppure… Ben Solo era rientrato prima del tempo, mentre lui era ancora in doccia? Sembrava la spiegazione più plausibile. Si schiarì la voce, tornando sui propri passi.

«Ren?» chiamò, ma senza ottenere risposta. Aggrottò la fronte, abbandonando il cappotto per dirigersi verso la stanza altrui «Ren? Sei tu?» domandò nuovamente. Un nuovo colpo venne da oltre l’uscio «Se è un scherzo, non è divertente!» ringhiò, bloccandosi quando una voce cavernosa gli rispose.

«Oh, spiacenti! Non è affatto uno scherzo…»

Un uomo corpulento apparve sulla soglia, seguito da una figura più bassa e tarchiata.

Hux indietreggiò istintivamente, afferrando la prima cosa alla propria destra. Si ritrovò a stringere il telecomando.
«Chi Kriff siete?!» esclamò con una nota isterica.

Che fossero malintenzionati, era più che certo. Escluse immediatamente l’ipotesi di semplici ladri: non aveva alcun senso arrampicarsi sino al quinto piano di un hotel extra-lusso per cercare di derubare dei turisti. L’albergo era pieno di camere ben arredate e con ospiti facoltosi in attesa solo d’essere spennati. No, doveva esserci un altro motivo. La stretta sull’arma improvvisata aumentò, fino a fargli sbiancare le nocche.

«Cercate Ren, non è vero?» biascicò, sperando di prendere tempo «Beh, in qualunque guaio si sia ficcato, io non c’entro! Non ho niente a che fare con lui e le sue stramberie da…»

«Ren? Non abbiamo idea di chi sia, spiacenti. Noi… cerchiamo te.»

La salivazione si azzerò all’improvviso, mentre il suo cervello lavorava freneticamente per una soluzione. Lanciarsi da una finestra era fuori discussione, così come il barricarsi in bagno e aspettare l’arrivo dei soccorsi; l’unica via era raggiungere la porta e scappare nel corridoio.

«Me?» balbettò, ottenendo un vistoso cenno d’assenso.

«Sì! Armitage Hux, collaboratore della CIA.»

«No, avete sbagliato persona! Sta nella camera accanto!» mentì, ricavandone solo delle risate divertite.

«Come se non avessimo letto e riletto il tuo dossier…»

«Beh… venite al sodo! Cosa volete?»

«Soltanto offrirti una gita turistica in Russia.»

«No, grazie! Non sono interessato.»

«Non ci interessa la tua opinione, sai?» l’uomo più grosso fischiò. Immediatamente, dalla porta d’ingresso, sopraggiunsero altri due malfattori «Bene, ora ci siamo tutti!» esordì, indicando sé stesso «Io sono Lev, capo della Primula Rossa. Siamo parte dei servizi segreti russi… o, meglio… vorremmo tanto farne parte, ma il KGB non ci considera molto. Beh, dopo questa impresa dovranno ricredersi.»

«Quale impresa?»

Lev lo ignorò, indicando il collega baffuto accanto a sé:
«Kovalski e poi… lì abbiamo…» accennò al terzo, con una importante barba riccioluta «Vladimiro e infine… Dimitri» l’indice si puntò su un giovane basso, dall’aspetto ordinario e competente. Se non fosse stato biondo cenere, sarebbe potuto passare per il sosia di Mitaka.

«Sì, d’accordo… non mi interessa» Hux sollevò il mento sprezzante, accennando all’ingresso della suite «Vi ordino di uscire immediatamente!»  come supposto, nessuno gli diede peso «Andatevene, oppure…»

Oppure cosa? Non aveva neppure un’arma con sé. Si sarebbe dovuto accontentare del telecomando e forse dei cuscini del divano. Quei quattro non sembravano particolarmente diplomatici: Lev, il più nerboruto, si stava già avvicinando, mentre gli altri tre si disponevano a ventaglio, come a tagliargli ogni via di fuga.

«Vieni con noi con le buone, o preferisci le maniere forti?»

Sentì le nocche del gigante scrocchiare sinistramente a quella minaccia, e del sudore freddo gli imperlò la fronte; tuttavia, per nulla al mondo avrebbe reso la vita facile ai russi. Non si sarebbe lasciato catturare senza combattere.

Hux lanciò il telecomando, scaraventandolo dritto sulla fronte di Lev. Ignorò le imprecazioni dell’avversario, ruotando rapidamente per afferrare il prezioso vaso Ming sul tavolino da tè. Lo lanciò verso Kovalski, che ruzzolò al suolo tra i cocci. Lev però si stava riprendendo rapidamente e Vladimiro si stava muovendo in fretta per bloccargli la ritirata. Hux indietreggiò rapidamente, scagliando qualunque oggetto gli capitasse sotto mano: un cactus decorativo in plastica, una fruttiera, una radiosveglia e un cestino dell’immondizia in stile barocco. Riuscì a raggiungere il bagno e a serrare la porta dietro di sé. Un attimo dopo, i pugni di Lev rimbombarono sul battente di legno.

«Pensi di esserci sfuggito? Idiota! Ti sei messo in trappola da solo.»

Era vero, naturalmente. Non aveva nessuna possibilità di scappare ai suoi assalitori… e sicuramente non avrebbe trovato un oggetto contundente nel gabinetto. Si guardò rapidamente attorno, ma riuscì a recuperare soltanto una spazzola e un flacone di deodorante. I colpi si fecero sempre più insistenti, finché non si udì uno scricchiolio sinistro della serratura.

Si accostò alla porta, facendo scattare la chiave e aspettando l’ennesimo tonfo; aprì di scatto l’uscio, e Lev si sbilanciò in avanti. Bastò una spallata per spingerlo a terra, mandandolo a sbattere contro il lavandino di marmo chiaro. Hux non si fermò a controllare i danni: scattò in avanti, spruzzando sulla faccia paffuta di Kovalski una generosa dose di deodorante. Sentì il russo urlare quando lo spray gli finì dritto negli occhi. Abbandonò la bomboletta, concentrandosi sulla spazzola: con un tiro preciso, riuscì a cacciarla nell’orecchio sinistro di Vladislavo. L’avversario si piegò per il dolore e lui ne approfittò per scattare verso l’uscita della suite. Rimaneva solo Dimitri, ma era così mingherlino che una semplice pedata lo avrebbe fatto volare dall’altra parte della stanza.

Corse in sua direzione.

«Togliti dai piedi, sottospecie di Mitaka biondo!» ringhiò, proprio mentre l’altro avanzava per affrontarlo. Allungò un pugno, cercando di colpire il volto nemico, ma questi fu più rapido. Dimitri parò il suo affondo, catturandogli il polso e torcendoglielo abilmente dietro la schiena «Che cazzo…?» squittì, sconvolto. Possibile che quell’ometto magrolino possedesse una forza tale? O forse era solamente ben addestrato. Troppo ben addestrato, si disse, quando un calcio gli piegò le ginocchia e lo fece crollare a terra.

Tentò di divincolarsi, ma la presa altrui si era fatta ancora più salda «Lasciami andare, pezzo di… mhpf…» uno straccio umido gli premette sul naso e sulla bocca. Un odore pungente gli mozzò il respiro e gli martellò in testa; i sensi si spensero quasi immediatamente.

Ren, dove diamine sei quando mi servi?! Fu l’ultimo suo pensiero.
 

***
 

Lev si massaggiò la fronte con una salvietta, cercando di eliminare il sangue dal viso. Lo spigolo del lavandino aveva aperto un largo taglio sul sopracciglio sinistro. Gli altri non se la cavavano meglio: Kovalski si era ripetutamente sciacquato il volto, ma senza cancellare l’olezzo di vaniglia e violette selvatiche del deodorante. Vladislavo teneva la testa nel frigobar, sperando di lenire il pulsare all’orecchio infilzato dalla spazzola. Dimitri era l’unico ad essersela cavata egregiamente e aver centrato l’obiettivo.

«Chi l’avrebbe mai detto che il bastardo era così combattivo? Pensavo fosse un innocuo nerd, e invece…» allungò un calcio all’ex-generale, ancora svenuto «Bene, procediamo col piano. Dimitri… amh, volevo dire… Guerra e Pace, recupera dalla lavanderia un carrello per il bucato e quattro uniformi dell’hotel. Ci travestiremo da inservienti e nasconderemo il nostro amico dentro al carrello. Dovrebbe starci, ben impacchettato. D’altronde, sono piuttosto capienti quegli affari e… fortunatamente, il signor Hux è piuttosto asciutto.»

«Bene!» Dimitri sgattaiolò rapido fuori dalla stanza, infilando poi l’ascensore per raggiungere la lavanderia.
 

***


Ben Solo, sgranocchiò l’ultima tartina ai gamberetti, prima di dichiararsi sazio. Alla sfilata era seguito un rinfresco, in cui gli ospiti non avevano perso occasione per congratularsi ancora con lui. Aveva accolto tutti con un sorriso sfavillante, ma terminato il buffet si era dichiarato stanco. Si era scusato e aveva ripreso la via dell’hotel.

Il taxi lo scaricò direttamente davanti all’ingresso. Ben lasciò, come consueto, una mancia fin troppo generosa prima di varcare la soglia dell’albergo. Salutò allegro il portiere e un paio di clienti intenti a effettuare check-in.

Premette il pulsante dell’ascensore e attese il suo arrivo. Poco dopo, le porte si aprirono e rivelarono quattro addetti alle pulizie, alle prese con un pesante carrello, composto interamente in pannelli d’acciaio. Il coperchio, di un acceso rosso gambero, era mantenuto semiaperto da un voluminoso lenzuolo stropicciato.

«No, tu spingi e io tiro!» stava dicendo il più grosso dei quattro, cercando di coordinare gli altri collaboratori.

«Vi occorre una mano?» si offrì immediatamente Ben, ricevendo in cambio dei rapidi cenni di diniego.

«Oh, no! Grazie signore, non occorre. Ecco fatto!»

Con uno strattone, il carrello venne finalmente fatto scivolare fuori dall’ascensore e spinto lungo la hall.
Ben alzò le spalle, infilandosi nell’ascensore e premendo il numero cinque.
 

***
 

Kovalski si voltò verso lo sconosciuto, osservandolo sparire dietro le porte dell’ascensore.

«Non vi sembra assomigliasse molto a Ben Solo?» domandò infine.

«Lo stilista?» fece eco Vladimiro «Non l’ho visto bene. Era lui?»

«No, non credo. Sarà stato un sosia» commentò Dimitri.

«Magari era…»

«Scusate!» il portiere li apostrofò malamente, squadrando con diffidenza il voluminoso e pesante carrello «Dove state andando? Dovete passare sul retro con questo!» picchiò due volte sul coperchio, cercando di compattare maggiormente le lenzuola che sporgevano dal bordo «L’ingresso ufficiale è solo per i clienti!»

«Ci… ci dispiace!» attaccò immediatamente Lev, levandosi il berretto contrito «Ma il furgone di carico della biancheria sporca ha avuto problemi e ci ha chiesto di uscire dall’ingresso principale. Sembra non riescano a passare per… questioni di traffico.»

Il portiere li squadrò con diffidenza, prima di sbuffare:
«Molto bene, ma che sia l’ultima volta!» esclamò, osservando i quattro sparire alla svelta oltre le porte scorrevoli.
 

***
 

Ben entrò nella suite, marciando rapidamente verso il divano. Superò una spazzola, uno straccio imbevuto di cloroformio, i cocci di un prezioso vaso Ming e il telecomando, ruzzolato per terra accanto a una bomboletta di deodorante. Rassettò alla meglio i cuscini e vi si lasciò sprofondare.

«Ah, sono esausto!» esclamò, scrutando l’anta del frigobar dimenticata aperta.

Se avesse avuto ancora la Forza, si sarebbe limitato a richiamare una lattina di birra. Invece fu obbligato ad alzarsi per raggiungerla. La vita degli esseri umani comuni era davvero faticosa! Naturalmente, si stava abituando sempre di più… ma gli veniva spontaneo chiedersi come le persone potessero sopravvivere a lungo senza Forza. Beh, avrebbe dovuto chiedere ad Hux come ci si sentiva ad essere una nullità per così tanto tempo. Probabilmente, l’altro non gli avrebbe comunque risposto, se non per mandarlo a quel paese.

Sospirò, recuperando il telecomando per accendere lo schermo piatto. Immediatamente, una interessante televendita sui frullatori automatici riempì il silenzio della stanza.

«Hux!» chiamò «Fanno vedere i frullatori che volevi…» lo avvertì, stappando la lattina e trangugiando un sorso di birra «Sbrigati… accettano solo le prime cinque telefonate.»

Nessuno gli rispose.

«Hux! Guarda che non durerà per sempre questa campagna. Ti conviene darti una mossa.»

Ancora niente.

«Si può sapere che stai combinando di là?» domandò, ma senza alcun successo.

Iniziava a trovare snervante quella quiete.

«Se sei arrabbiato con me per la sfilata, sappi che non ne hai motivo. È stato un successo e il tuo contributo si è rivelato fondamentale. Davvero, non avrei saputo come fare senza di te. Ti ho promesso una cena, ricordi? Quindi… se vuoi, potremmo uscire più tardi e… scegli il ristorante.»

Nulla.

«Strano…» bofonchiò a denti stretti, deciso a giocare un’ultima disperata carta. Il collega non avrebbe saputo resistere ad un tale affronto e avrebbe sicuramente interrotto l’ostinato silenzio in cui si era chiuso per ripicca «Armitage! Sto parlando con te!»

Ancora silenzio.

Si alzò controvoglia, dirigendosi verso la stanza dell’altro. Si sporse oltre l’uscio, aspettandosi di trovarlo addormentato sul letto, ma la camera era completamente vuota. Anche il bagno, seppure in disordine, non ospitava nessuno e così il resto della suite.
Ben scrollò le spalle, tornando al sofà e alla sua birra. Afferrò il cellulare e digitò un rapido messaggio:
 
Dove sei andato?
Potevi almeno lasciarmi un biglietto!
 
Poco dopo, un trillo giunse da sotto il tavolino. Si chinò, recuperando lo smartphone e rigirandolo tra le dita.
«Ha anche dimenticato il telefono…»
 

***
 

Hux tentò di riaprire le palpebre pesanti, ma riuscì soltanto a schiuderle un poco. Intravide delle paratie metalliche e dei neon soffusi. Un incessante ronzio gli rimbombava nelle orecchie.

Sembra un motore, si disse, tentando inutilmente di muovere le braccia e di distendere le gambe.

Appoggiò il capo alla fredda parete, sollevando un poco il mento. Intravide una figura corpulenta, senza riuscire a metterla a fuoco.

«Ren?» biascicò, mentre l’uomo si chinava su di lui.

«Si sta svegliando…» lo sentì dire «Ci vuole un altro giro.»

«…Cosa?»

Una pezzuola imbevuta gli venne nuovamente sbattuta in faccia. L’odore penetrante tornò ad annebbiargli i sensi.

 
 
Angolino: odio i periodi incasinati e senza ispirazione per scrvere, accidenti!
Ho approfittato della domenica per risistemare l'ultimo capitolo a cui stavo lavorando da un po'. Spero di poter riaggiornare presto... Mi dispiace per la mia lentezza da tartaruga. Cercherò di non lasciare il povero generale nei guai troppo a lungo. 
Un abbraccio

E'ry

 
  
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