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Autore: elemandorla    17/09/2021    0 recensioni
La ModyCampbell. Bastava quel nome per incendiare l'animo di qualsiasi giovane under 30.
Cinque sconosciuti si ritrovano a condividere un destino comune. Incontratosi sulla crociera dei sogni, inebriati dall'entusiasmo caotico dell'estate, non sospettano minimamente ciò che gli aspetta.
Cinque ragazzi completamente diversi, uniti dalla stessa sorte.
Amore, insidie, tradimenti ed un'isola.
C'è soltanto una regola: sopravvivere.
Genere: Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 5: “Tempesta”

Erano circa le tre di notte quando i padroni della suite cacciarono tutti gli invitati.
La cabina era un vero casino ma Nate mi assicurò che una squadra di pulizie sarebbe venuta l’indomani mattina.
Restammo noi quattro per po’ di tempo, giocammo a stupidi giochi alcolici come obbligo e verità o “io non ho mai”, occasione perfetta per conoscersi meglio, limonare senza pretese e bere ancora più alcool di quanto già non ne avessimo in corpo.
Ad un certo punto vidi Chase sussurrare qualcosa all’orecchio di Beatriz dopodiché i due si alzarono farfugliando di voler contemplare il cielo stellato.
Bella cazzata.
Restai sola con Nate, accoccolata al suo petto sul morbido divano che troneggiava al centro del salotto.
Alternavamo baci di infinita dolcezza ad appassionanti giochi di lingua che mi accendevano un desiderio incontenibile dentro.
Apprezzai tantissimo il fatto che si premurò di passare la metà del tempo a parlare del più e del meno, delle nostre vite, del futuro, senza forzare o far trapelare il fatto che probabilmente le sue intenzioni fossero tutt’altro che caste.
Chiacchierammo tra un bacio e l’altro, ridendo per ogni minima cazzata che usciva dai nostri cervelli annebbiati dall’alcool finche un bacio durato più del solito smosse particolarmente il mio compagno di nottata.
Fuori il vento sferzava l’atmosfera violentemente, percuotendo le vetrate della cabina.
La nave aveva preso ad oscillare più del dovuto, ma ero troppo ubriaca per contestare quest’ultima novità.
Nate mi leccò avidamente il collo e mi posò una mano sul seno. Scese ad accarezzarmi tutta la linea del corpo finché arrivato all’altezza del ginocchio, risalì con la mano sulla coscia, toccandomi con una lentezza devastante.
Quando, infilatosi sotto la gonna, raggiunse l’orlo delle mutandine, mugolai contro la sua bocca, approvando l’iniziativa.
Si, lo conoscevo da meno di ventiquattro ore, e si, non lo conoscevo abbastanza da poter negare il fatto che poteva rivelarsi un pazzo assassino, ma cavolo, era il perfetto sconosciuto più attraente che avessi mai incontrato. Era stato gentile con me, aveva dei saldi principi di vita e amava i gatti.
Cento punti solo per quello.
Mi trametteva un senso di sicurezza, motivo per cui mi sarei concessa a lui senza pensarci due volte.
Mi ero ripromessa più volte che avrei cercato di lasciarmi andare di più e cogliere gli attimi imprevedibili che mi offriva la vita.
Ero chiusa in me stessa come un riccio da troppo tempo.
Continuai a baciarlo appassionatamente mentre i suoi sospiri ansanti mi riempivano la bocca.
Non so che divinità mi misi contro quella sera, ma doveva essere abbastanza accanita perché il cellulare prese a squillarmi in modo insistente proprio in quell’istante.
-Porca troia- imprecò Nate spazientito.
Farfugliai uno “scusa” e vedendo il nome di Beatriz sullo schermo, accettai la chiamata.
-B, che cazzo-
-Keke! Dove sei? Devi venire fuori. Chase non si regge in piedi, è praticamente svenuto. Mi gira la testa e non capisco un cazzo-
Mi tirai su a sedere di scatto.
-Beatriz dove sei?- chiesi alzando la voce.
-Non lo so cazzo! Vedo delle scialuppe, Chase si è infilato dentro-
Sentì la voce di un uomo di sottofondo che urlava il nome di Beatriz in modo totalmente sconnesso.
La mia amica rise di gusto e poi imprecò. Come se non fosse abbastanza razionale da capire cosa stesse accadendo ma si sentisse troppo in colpa per non restare seria.
Lo faceva sempre quando beveva.
-Va bene, sta’calma ora arriviamo. Mandami la posizione su Whatsapp- ordinai con venata calma mentre dentro di me si stava facendo spazio l’ansia.
Attaccai e guardai con premura il bel viso sconsolato di Nate.
-Beatriz ha bisogno di me. Dice che Chase è talmente ubriaco da non reggersi in piedi e non riuscirà mai a riportarlo qui da sola-
-Dove sono?-
-Mi ha detto qualcosa riguardo a delle scialuppe dove si è infilato Chase, all’aperto-
-Impossibile si riferiscano alle vere scialuppe di salvataggio. Sono stipate al -3 e l’accesso è consentito solo in caso di emergenza-
Sbuffai sconsolata, consapevole che Beatriz quando c’era di mezzo l’alcool era meno affidabile di un poppante.
Cinque minuti più tardi eravamo in ascensore e il mio nervosismo stava raggiungendo le stelle.
Nate mi aveva spiegato che le scialuppe a cui si riferiva Beatriz potevano essere le barchette sistemate sui bordi delle balaustre al pontile centrale, fungevano da divanetti sospesi, erano una sorta di decorazione che i turisti amavano per farsi un paio di rapide foto.
Pericolose e inutili.
Non parlammo finche raggiugnemmo l’uscita diretta al pontile centrale. Spalancai la porta e una raffica di vento mi schiaffeggiò violentemente il viso.
Il mare era un’impetuosa massa scura che si agitava sotto la maestosa nave, solcata da raffiche di vento bollenti.
-Dividiamoci- ordinai. -Controlla le sei scialuppe sul lato destro, io vado a sinistra-
Nate annuì e lo vidi allontanarsi in tutta fretta verso la parte opposta della mia rotta.
Sospirai, e passai in rassegna le scialuppe giocatolo, pregando di trovare la mia sconsiderata amica accanto.
Le barche erano state coperte con dei teli, per non far bagnare i cuscinoni turchesi dentro.
Il mio sguardo captó una nube di fumo che sgusciava fiocamente da sotto la terza scialuppa e mi precipitai trafelata.
Gridai il nome di Beatriz, infilandomi sotto il telo che la coperchiava.
Quelle divinità dovevano odiarmi stasera.
Al posto della mia bellissima amica trovai due occhi occhi glaciali ad osservarmi con una calma sovrannaturale.
Trevor tiró una profonda boccata da quello che classificai come uno Spinello e mi sorrise.
Un sorriso accattivante, malizioso.
-Giusto in tempo per gli ultimi tiri- dichiarò porgendomela.
-E tu cosa diavolo ci fai qui?- domandai esterrefatta per averlo trovato a fumare in una scialuppa giocattolo alle quattro del mattino, nel bel mezzo di una tempesta tropicale.
-Ci deve essere un motivo per cercare un po’ di pace in questa bolgia? L’alba ai Caraibi è una delle cose più belle che abbia mai visto.-
Stavo per replicare qualcosa di poco carino quando mi vibró il cellulare e il nome di Nate comparve sulla schermata.
“Trovati, ti raggiungiamo, dove sei?”
Mi rilassai, grata che stessero bene e invia la posizione live a Nate, in modo che potesse vedere i miei spostamenti.
-Resta. Non scherzo quando dico che è un’esperienza unica-
Lo osservai guardinga, scrutando i bei lineamenti del volto e i pettorali definiti che spiccavano dalla camicia malamente slacciata.
-C’è una tempesta tropicale in corso che non può che peggiorare. Il vento è violento, non è prudente stare qui. Vieni dentro-
Trevor rise, una risata rauca e tremendamente sexy, che ovviamente mi irritò all’istante.
-Cazzi tuoi- sentenziai intenta a lasciarlo al suo destino.
-Non vuoi sapere perché conosco il tuo nome?-
Mi bloccai ancora prima di sgusciare fuori dal telo che copriva la piccola barchetta.
Cazzo, il bastardo è bravo.
Sapevo di averlo già visto da qualche parte e la curiosità mi stava divorando.
-Giochi sporco-
-E tu sei in vacanza. Non credi che potresti zittire la piccola maestrina che è in te almeno per qualche ora e lasciarti andare? Tieni-
Mi porse nuovamente la canna che si consumava lentamente, protetta dal vento impetuoso.
-Ti sveleró tutto. Questione di pochi minuti, poi raggiungeremo gli altri-
Non seppi nemmeno io perché accettai, afferrando quella sigaretta intrinseca di peccato firmai quella che sarebbe stata la mia condanna.
Sgattaiolai dentro la barchetta coperta, sistemandomi accanto a lui.
Il mio cervello mi intimava di battere in ritirata: non era da me dare così tanta confidenza a gente estranea, men che meno fumarci insieme.
Ma il mio istinto, quella piccola parte che riuscivo (quasi) sempre a tenere sotto controllo, parlò, anzi urlò di accettare l’invito di Trevor, che era per me quella piccola dose di adrenalina che a lungo avevo tenuto lontano.
Trevor mi trasmetteva trasgressione e mistero.
Due elementi che in me erano sempre stati dormienti.
Riparata dal vento, tirai una boccata dall’oggetto proibito e mi rilassa all’istante.
-Parla- gli intimai guardandolo negli occhi.
Trevor ghignó, le fessure dei suoi azzurrissimi occhi erano ridotte per via della droga in circolo, eppure bastarono pochi secondi per farmici perdere dentro.
La sua essenza beffarda e strafottente mi rapiva completamente. Era il ragazzo più indecifrabile e misterioso che avessi mai conosciuto e se da un lato detestavo non comprendere una persona a primo impatto, dall’altra parte questa cosa mi intrigava da morire.
Si avvicinò al mio viso tanto da sfiorarmi il naso, mi guardó con uno sguardo affamato e poi sporse il viso verso la mia mano.
Fece un lungo e profondo tiro dalla canna che tenevo tra le dita, dopodiché mi prese il viso tra le mani e attaccò le sua bocca alla mia, sfiorandomi le labbra.
Espirò, passandomi il fumo passivo dalla sua bocca, ed io inspirai, estasiata da quel gesto che mi provocò un brivido al basso ventre.
Diamine.
-Tocca a te-
-Hai promesso di dirmi come conosci il mio nome-
-Lo faró. Dopo che tu esaudirai la mia di richiesta. La vita è fatta di compromessi- mi sussurrò all’orecchio.
Il suo sguardo di sfida mi accese dentro un’inspiegabile voglia di dimostrare che punto uno, non ero una frigida bacchettona, punto due, sapevo divertirmi anche io.
Tirai una boccata di fumo e gli premetti la mano dietro la nuca per avvicinarlo alle mie labbra.
Gli soffiai il fumo sulla bocca mentre a pochi centimetri dal mio viso due blocchi d’argento fuso mi osservavano.
Successe tutto d’un tratto.
Trevor non stette fermo come avrebbe dovuto.
Mi permette le labbra contro la bocca con prepotenza. Mi bació senza darmi nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo, o di essere totalmente consapevole dell’atto.
Non mi ritrassi.
Perché cavolo non mi ritrassi?
Schiusi le labbra e gli diedi libero accesso alla mia bocca, estasiata dal modo in cui mi aveva cinto la vita, stupita dall’Audacia con cui mi aveva presa e sistemata sopra di lui in un’unica mossa.
Li, a cavalcioni su di lui, sentì il cuore battermi all’impazzata per l’impetuosità di quel gesto e le farfalle danzarmi nello stomaco.
Mi baciò con irruenza, cominciando un gioco lascivo di lingue che si cercavano, desiderose di possedersi, trasmettendomi tutta l’eccitazione che aveva in corpo.
Quell’eccitazione che era resa esplicita dalla reazione del suo corpo a contatto con il mio.
Mi strinse spasmodicamente i fianchi, ansimando contro la mia bocca.
Percepì in quel contatto l’aroma dolciastro di menta e fumo. Un aroma che mi inebriò più di quanto non avesse già fatto la cannabis.
Si staccò da me pochi secondi dopo, poggiando la fronte sulla mia, col respiro ansante.
Mi leccò il labbro inferiore nel modo più seducente che avessi mai visto fare e mi guardò negli occhi.
Mantenni il contatto visivo e mi resi conto solo in quel momento di star trattenendo il respiro, scalpitante di capire la sua prossima mossa.
Trevor era una visione vietata ai minori di quattordici anni. Dannatamente seducente, accattivante in ogni gesto che compieva.
Persino quando non faceva nulla trasmetteva una carica sessuale dirompente.
Sdraiato in modo scomposto sui cuscini turchesi di quella barchetta, che facevano concorrenza al colore dei suoi occhi, con la camicia sbottonata da cui scalpitava un fisico sovraumano. Notai come il suo petto ansante, rimasto ancora più nudo, era in parte coperto da un tatuaggio tribale che spiccava sulla pelle lievemente abbronzata.
I capelli chiari erano scarmigliati dall’atto passionale appena consumato o forse dal modo in cui glieli avevi stretti presa dal momento.
La mascella scolpita, i lineamenti contratti e gli occhi imperturbabili.
O forse no.
Mi parve di scorgere una scintilla di desiderio in quelle pozze ghiacciate e turbolente, che in quel momento avevano assunto una sfumatura ricordante il colore di una tempesta.
Desiderava me?
Rimasi incantata ad osservare indisturbata l’uomo che mi stava davanti, chiedendomi con che senno avessi acconsentito quel bacio.
Ci avevo parlato pochi secondi e l’avevo classificato come un arrogante maschilista dai principi malsani.
Ma diamine, nessuno mi aveva mai baciata in quel modo.
Nessuno mi aveva mai fatta sentire tanto desiderata come lui in quei pochi secondi che mi aveva stretta a sè.
Mi scrutò intensamente, con lo sguardo di un predatore affamato. Mi parve che anche lui fosse in attesa di una mia mossa.
Cosa si aspettava? Che mi ritraessi o continuassi?
Non mi diede il tempo di prendere una decisione perché mi cinse la vita e mi attiró nuovamente a se, catturandomi la bocca in un bacio diverso, più dolce e passionale.
Santa Carolina!
Sentivo le mie difese sciogliersi e il mio autocontrollo vacillare.
Ad un tratto il rumore di passi frettolosi e sbilenchi sul pontile arrivó alle mie orecchie forte e chiaro.
La cascata di capelli rossi di Beatriz fece capolino sotto il telo che ci nascondeva.
-Keke! O mio dio! E tu chi cazzo sei?-
La mia amica ci guardò confusa e scoppió a ridere subito dopo.
Mi affrettai a scendere dalle sue gambe e mi sistemai in modo impacciato accanto a lui.
-B! Io… ti cercavo… pensavo fossi qui dentro e ho incontrato ..-
-Trevor- finì lui la frase con un cenno del capo.
Beatriz ci squadró per qualche istante prima di aprirsi un un sorisetto che trapelava i maliziosi pensieri galleggianti in quella testolina.
-Posso?- chiese indicando lo spinello caduto a terra di cui mi ero bellamente fregata dal momento in cui Trevor mi aveva toccata.
-Accomodati- le rispose il biondo tranquillamente, per nulla scosso dall’essere stato interrotto da una perfetta sconosciuta.
-Beatriz- farfuglió lei entrando a carponi nella tana improvvisata, accendendosi lo spinello.
-E’ qui la festa?-
La massiccia figura di Chase comparve nella traiettoria, in mano reggeva una bottiglia mezza vuota di Vodka liscia.
I suoi occhi ambrati, offuscati dall’alcool, intercettarono il corpo della mia amica accoccolata sui morbidi cuscini e si aggiunse maldestramente alla comitiva.
-Cazzo fratello, ti tieni le due pollastre tutte per te?-
Feci una smorfia e mi morsi la lingua per non ribattere sul fastidioso epiteto e mi chiesi cosa diavolo stessimo facendo tutti ammassati in quella barca.
-In realtà sono venute loro a rompermi le palle- rispose mister simpatia regalandoci uno dei suoi primi sorrisi sinceramente divertiti.
-Vecchio lupo di mare- scandì il moro traccanando un sorso dalla bottiglia.
-Siete tutti impazziti?- chiesi sconcertata. -Cosa cavolo stiamo facendo qui?-
-Siamo bloccati fuori. L’accesso al pontile è vietato al pubblico dalle 4 alle 6.30 del mattino. Ho provato a forzare la porta ma potrebbe partire l’allarme-
La calda voce di Nate ci raggiunse pochi istanti dopo, rispondendo alla mia domanda sarcastica.
-Come prego?-
Fissai confusa il bel volto del mio compare di bevute, apparso da sotto il telo come i precedenti amici.
La mia espressione doveva apparire furente e sconcertata perché vidi Nate incupirsi.
-Mancano due ore Principessa, rilassati e bevi. Troveremo il modo di divertirci. Nataniel! Entra nella barca delle meraviglie- ordinò Chase con la voce impastata dall’alcool.
Sobbalzai, udendo il rumore dei tuoi in lontananza.
Il ticchettio della pioggia tropicale spezzó il silenzio.
-Accetto l’invito solo perché diluvia-
Il quinto componente si aggiunse alla stravagante comitiva di estranei che si era ritrovata costretta a condividere un’angusto spazio, vittime di un temporale tropicale.
Si sistemò accanto a me e gettó una rapida occhiata furtiva a Trevor.
-Cosa ci fai qui?-
-E tu?- chiese il biondo espirando una boccata di fumo di proposito in faccia a Nate.
Il quale si incupì impercettibilmente, scuotendo la mano per scacciare la nube tossica.
La pioggia scrosciava violenta sopra le nostre teste, riparate solo da quel sottile telo di raso.
Scoccai un’occhiata allo schermo del cellulare: le cinque meno un quarto.
Avrei dovuto starmene zitta e buona per più di un’ora emmezza in questa minuscola scialuppa con Trevor alla mia sinistra e Nate alla mia destra.
I due uomini più belli che avessi mai incontrato, incompatibili come sole e luna.
Opposti direi.
E io li avevo baciati entrambi. La stessa sera.
-Da’ qua-
Afferrai la bottiglia di Vodka, quasi strappandola dalle mani di Chase e ne bevvi finché non sentì la gola bruciarmi come fuoco.
Strinsi gli occhi e deglutì a fatica.
-Questa è la mia ragazza! Tieni Stella-
Beatriz mi porse lo scheletro dello Spinello ormai quasi totalmente consumato da cui ricavai un paio di tiri e la testa prese a girarmi, facendosi sempre più leggera.
-Rendiamo questa agonia interessante- proclamó la mia focosa amica.
Prese il cellulare e smanettó un paio di secondi. D’un tratto, la vidi dimenare le braccia sulle note carismatiche di “Music Sounds Better With You”.
La musica invase l’angusta barchetta, rallegrando gli animi alticci di ciascuno di noi.
Risi di gusto nel vedere Chase con indosso gli occhiali da sole che cantava a squarciagola e Beatriz intenta a tappargli la bocca.
Anche Nate prese a muovere la testa a ritmo di musica, sorseggiando dalla bottiglia ormai agli sgoccioli.
L’alcol e il fumo fecero il loro dovere.
Presi a muovermi a ritmo anche io, ondeggiando i capelli e chiudendo gli occhi, abbandonandomi alla musica caotica.
Ridevo ogni volta che venivo assordata dalla stonatissima voce di Chase o quando Beatriz cercava di imitarlo, urlando come una cornacchia.
Pochi minuti dopo la tempesta era un ricordo lontano.
Nonostante il violento vento e la pioggia scrosciante, dentro quel piccolo rifugio, cinque ragazzi stavano solo pensando a divertirsi.
Ubriaca e felice, sentivo costantemente uno sguardo di ghiaccio addosso.
Trevor era assorto tra i suoi pensieri, coinvolto fisicamente solo dalla melodia travolgente che aleggiava nell’aria.
Muoveva impercettibilmente la mano contro la coscia, senza mai staccarmi gli occhi di dosso.
L’apice del delirio arrivó quando Chase, ormai mascotte del gruppo, si alzò dalla comoda postazione e prese a twerkare nel modo più impacciato che avessi mai visto, offrendoci uno show degno del GeordieShore.
Beatriz si lanció nella sfida, rannicchiata su se stessa, tentó di imitare il ragazzo, scuotendo il bacino contro chiunque fosse rimasto seduto.
Avevo le lacrime agli occhi per quell’imbarazzante balletto guidato da menti non lucide quando ad un tratto, un rumore metallico mi bloccó all’istante.
-Cos’è stato?-
Zittì tutti non appena quell’orribile scricchiolio si ripresentó.
Guardai inorridita Trevor, cosciente del fatto che solo lui era rimasto parzialmente sobrio, e nei suoi occhi vi lessi il terrore.
La scialuppa caló repentinamente di mezzo metro, facendoci sbattere gli uni contro l’altri.
-Tutti fuori!- urló Trevor.
Successe tutto nel giro di una frazione di secondi.
Ognuno di noi, preso dal panico, si alzó di scatto, provocando una concentrazione del peso massiccia sulla già precaria barca.
La scialuppa prese ad oscillare contro la facciata esterna della barca, stridendo in modo orribile sul metallo fresco di pittura.
Gridai, presa dalla paura cieca.
Prontamente Trevor rimosse il telo che ci teneva in trappola, squarciandolo come poteva.
La pioggia ci invase, scorticandoci la pelle.
La barca caló ancora di qualche metro ad una velocità che provocò il crollo di tutti noi.
Sbattei il ginocchio contro il freddo bordo in legno e imprecai. Ma l’adrenalina era troppa anche solo per sentire dolore.
Afferrai Beatriz per un braccio.
Urlava e piangeva, consapevole di ciò che stava accadendo.
La discesa verso il mare aperto venne bloccata dalle funi, che ancora parevano reggerci. Ma esse si rivelarono troppo sottili per trattenere il peso di tutti noi.
La prima cima si staccó con uno schiocco raccapricciante e mi si strinse lo stomaco.
-Reggetevi!- urló qualcuno.
La scialuppa restó in bilico, perpendicolare all’oceano.
Cademmo rovinosamente uno addosso all’altro, aggrappandoci a qualsiasi cosa ci capitasse a tiro.
Conficcai le unghie nella spalla di Nate, appeso con un braccio alla prua della barca, e afferrai Beatriz con la mano.
Guardai la mia amica in lacrime e scorsi nei suoi occhi brillanti, la paura più cieca.
Mi guardai intorno, sforzandomi di non mollare la presa, consapevole che se l’avessi lasciata andare o se Nate ci avesse lasciate andare, saremmo morte.
Captai il corpo di Trevor rannicchiato contro il legno della poppa e Chase che invece era aggrappato all’estremità della barca con il corpo sospeso a mezz’aria.
Volevo gridare aiuto, ma il respiro mi si bloccó in gola.
Quando anche l’ultima cima in grado di reggerci si ruppe, il mio cuore perse un battito.
  
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