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Autore: Asmodeus    20/09/2021    0 recensioni
Ci sono sogni che sembrano folli ai più, ma sono capaci di smuovere le coscienze di pochi eletti. Forse sarebbe meglio lasciarli perdere, ma perché non osare e provare a cambiare il mondo?
E il Team Idro, sogno di Ivan e Ada che cos'è, follia o salvezza?
[Dal testo:] Lo sconosciuto le fece l’occhiolino, prima di tracannare tutto il bicchiere in un colpo e abbandonarlo sul tavolo.
«Ti lascio alla tua serata, allora [...] Spero che tu possa riposare bene, stanotte. Qualunque cosa tu faccia, hai bisogno di energie per continuare a farla al meglio!»
Ada lo osservò allacciarsi l’abito una volta in piedi, mentre si dirigeva dal barista per pagare. Quando tornò indietro le sorrise, sottintendendo di aver pagato anche per lei, per poi avviarsi con calma verso la porta.
Ada non seppe il perché, ma ancora una volta la sua bocca si aprì e parlò per lei.
«Come ti chiami?» chiese, le sue mani che si poggiavano sul suo braccio muscoloso a trattenerlo.
Lo sconosciuto si girò verso di lei, il sorriso ancora più ampio di prima: «Sono Ivan».
«Ivan, hai altri impegni per stasera?»
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Ivan
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
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An Unwavering Dream

File No. 1 – L'incontro

When shadows fall you're feeling small.
It looks like walls are closing in.
Don't be afraid, the dark will fade,
Just take my hand and look again!
[Bree Sharp, "This Side of Paradise"]
 


19:20, mercoledì 7 aprile, Ferrugipoli


Ferrugipoli non era una città dedita allo svago e al divertimento, tantomeno ad una vita che esulasse dal lavoro e poco altro. Tinta di tutte le tonalità del marrone e del grigio, affermava di essere la prova dell’integrazione riuscita di natura e scienza: era una menzogna, ovviamente, e l’imponente edificio della Devon S.p.A. era la conferma di questa bugia così grande da non temere giudizio alcuno. L’enorme edificio in pietra, acciaio e vetro incombeva sulla città più imponente del Monte Camino, che si intravedeva a nord-est: per molti era una vista spettacolare e grandiosa, ma nel suo cuore era pericoloso e letale. Se questa era la prorompente presenza Scienza, di Natura in città ve n’era ben poca: i giardini e i parchi cittadini impallidivano in mezzo agli edifici industriali e ai complessi di appartamenti che affollavano una città granitica, e per quanto il Bosco Petalo a sud fosse ancora maestoso, Ferrugipoli pareva semmai una grossa ferita di acciaio e mattoni all’interno del polmone verde.
Ada percorreva le vie perfettamente lastricate con la sua solita fretta, incurante dell’umanità che le scorreva intorno: era il fiume in piena degli operai e degli impiegati cittadini, che come lei vivevano al ritmo battuto dal presidente Petri e ora ritornavano alle proprie case per cenare e riposare in attesa di un nuovo giorno di lavoro.
Pierangelo Petri: uomo buono, inventore geniale, studioso acuto – aveva sentito fin troppi complimenti per il presidente della Devon, osannato in città come un dio generoso che tutto può e a tutti dona. Anche lei aveva pensato lo stesso, un tempo, ma ora che aveva aperto gli occhi non riusciva più a vederlo allo stesso modo.
La giovane scienziata abbandonò il fiume di folla e si imbucò in una via laterale – anch’essa lastricata alla perfezione, riflesso della potenza e ricchezza dei padroni della città.
Il Nosepass Café era a pochi metri di distanza, e solo quando vi entrò finalmente arrestò la sua fretta e si permise di fare respiri più lunghi e controllati.
Nel piccolo locale angusto e spigoloso aveva trovato quell’angolo di pace che le permetteva di ricaricare le batterie dopo le lunghe giornate in azienda. Il minuscolo bar non doveva aver mai goduto dei famosi “giorni migliori”, e nessuna luce sembrava poter illuminare decentemente le superfici grigio-bluastre del locale, che tutto inghiottivano e macinavano come implacabili ingranaggi.
Eppure, nonostante fosse quanto di più lontano esisteva da Verdeazzupoli, la sua isola natale, Ada aveva trovato nel Nosepass Café il rifugio perfetto per il suo animo inquieto. Soprattutto, aveva trovato qualcuno con cui parlare, un orecchio amico con cui sfogarsi in libertà e senza paura.

 

19:35, mercoledì 6 gennaio, Ferrugipoli


«Facciamo un brindisi al signor Petri, ti va?»
Lo sconosciuto alzò il bicchiere verso l’alto, attendendo la sua mossa. Ada avrebbe volentieri fatto a meno di brindare al suo capo insieme a quello strano uomo mai visto prima – ma un bicchiere gratis era pur sempre un bicchiere gratis, e non aveva voglia di discutere anche con lui.
Alzò il bicchiere in un sorriso tirato, senza riuscire a nascondere del tutto la rabbia che provava per il presidente della Devon.
I due bicchieri cozzarono l’uno contro l’altro con un rumore sordo, e lei colse immediatamente l’occasione per annegare nel gin tutti i dispiaceri di quella giornata. La qualità dell’alcool era pessima, e sentì la gola bruciarle nella maniera sbagliata – ma dopotutto che si aspettava, da un locale che serviva l’alcool in bicchieri a forma di “nasi” di Nosepass?
«Tutto bene?» la interrogò l’uomo di fronte alla nuova smorfia apertasi sul suo volto. Aveva un viso amichevole che nascondeva una tendenza alla spavalderia, ma dietro a quegli occhi da spaccone poteva percepire un reale interesse per la sua condizione.
Ada annuì, poggiando il bicchiere e sistemandosi meglio sul duro sgabello – anch’esso a forma di naso, stavolta di Probopass.
«È stata solo una lunga giornata», sussurrò, sondando il volto dello sconosciuto in cerca di indizi su chi avesse di fronte. Era entrato in quel locale pochissimi minuti dopo di lei, sistemandosi subito al bancone sullo sgabello proprio di fianco al suo e ordinando un bicchiere per entrambi.
Doveva essere un habitué del locale, visto che il barista gli offrì immediatamente un bicchiere già pieno di alcol, ma era chiaro che non fosse originario di Ferrugipoli. L’accento nella voce le ricordava le tonalità di qualcuno cresciuto a est, come lei, e istintivamente riconobbe in lui quell’aura malinconica di chi vive lontano da casa. Indossava abiti da uomo d’affari, ma sotto la giacca e la camicia strette erano ben visibili i possenti muscoli di qualcuno abituato a fare lavori pesanti; la pelle abbronzata e il tono alto della voce, inoltre, indicavano un lavoro svolto all’aperto e sotto al sole cocente. Doveva avere circa la sua età, ma dimostrava decisamente più anni del dovuto a causa della barba che gli incorniciava il volto e ai capelli tenuti cortissimi – non certo il tipo di uomo che si vedeva tutti i giorni in quella città, piena di anonimi burocrati e operai tutti uguali e senza spessore.
«Dev’essere dura lavorare alla Devon», buttò lì lo straniero. I suoi occhi scuri scintillavano quasi divertiti, ma Ada non gradiva essere presa in giro, tantomeno da uno sconosciuto.
«Come sa dove lavoro?» lo interrogò stringendo gli occhi.
Un brivido istintivo le corse lungo la schiena: quell’uomo la stava forse seguendo? All’interno del Café vi erano soltanto altri due avventori e il barista, nessuno dei quali capaci di aiutarla in caso di difficoltà. Lei aveva con sé la sua fedele Sharpedo, che dormicchiava dentro la sua Pokéball tenuta in borsa, ma lo sconosciuto era decisamente più imponente di lei e un po’ di timore era più che legittimo.
Lo straniero la squadrò velocemente da capo a piedi e rise fragorosamente. «E dove altro potresti lavorare sennò?», ghignò. «Non mi sembri un’infermiera Joy, e a meno che tu non insegni ai marmocchi della scuola non restano molte opzioni in città».
Lo sconosciuto aveva ragione, dopotutto: quasi tutta Ferrugipoli lavorava per o con la Devon S.p.A., e lei non era certo l’eccezione. Era arrivata fin lì dalla lontana Verdeazzupoli, con tanto di ottime referenze e piena sogni da realizzare – sogni che ora erano divenuti soltanto un vago ricordo, al pari della lunga e fluente chioma cui aveva rinunciato per conformarsi alla stupida moda del capello corto della città.  
«Che vuole da me?» tagliò corto. Non aveva voglia di parlare di lavoro, tantomeno con uno sconosciuto, e cercò di chiudere in fretta quello spiacevole siparietto. Se si trovava in quel buco di bar era proprio per sfuggire alle torme di colleghi che affollavano tutti gli altri locali della città, e tirare in ballo la Devon anche lì sarebbe stata la fine per lei.
«Che cosa voglio? Nulla!» affermò l’altro. «Ero solo curioso di sapere cosa ci facesse una ragazza così per bene come te in un posto del genere… e la tua faccia dice abbastanza da sola».
«Come le ho detto, è stata solo una lunga giornata», spiegò rapidamente. «Volevo bermi qualcosa in pace prima di buttarmi a letto… e senza parlare di questo lavoro maledetto».
Le ultime parole le sfuggirono di bocca in un sussurro, e Ada sbiancò, maledicendosi per la stanchezza e le sue espressioni traditrici. Non avrebbe voluto dire nulla, ma la giornata pesante e il gin scadente non la stavano aiutando.
L’uomo svuotò il resto del bicchiere, per poi allungarlo al barista e chiedere un altro giro.
«Ti fa così schifo?» domandò, sorridendole con un ghigno alla vista del suo bicchiere non ancora vuoto. Ma parlava del gin, o si riferiva ancora alla Devon?
«Comunque, non voglio sapere niente, tranquilla. Speravo solo di averti offerto qualcosa di decente, per rallegrarti un po’ la serata…»
Ada sorrise mesta, buttando giù il resto del gin scadente.
«Sì, fa davvero schifo», ammise, anche lei senza specificare a cosa si riferisse mentre osservava l’altro che invece riceveva il suo secondo giro. Il barista doveva averla sentita, perché le lanciò un’occhiataccia prima di allontanarsi nuovamente, e lei scosse la testa davanti a quella mezza incomprensione.
Lo straniero sorrise divertito a quel siparietto. «Il nemico ti ascolta! Attenta a quello che dici…» si interruppe, prima di domandare: «Come hai detto che ti chiami?»
«Non l’ho detto», sbuffò lei, rassegnata ma ormai presa da quel discorso. «Comunque sono Ada», capitolò infine, arrendendosi alle sue domande.
L’uomo aprì la bocca in un ampio sorriso, alzando poi il secondo bicchiere in un nuovo brindisi, stavolta in solitaria: «Allora un bel brindisi per te, dolce Ada!»
Lo sconosciuto le fece l’occhiolino, prima di tracannare tutto il bicchiere in un colpo e abbandonarlo sul tavolo.
«Ti lascio alla tua serata, allora», aggiunse infine, alzandosi. «Spero che tu possa riposare bene, stanotte. Qualunque cosa tu faccia, hai bisogno di energie per continuare a farla al meglio!»
Ada lo osservò allacciarsi l’abito una volta in piedi, mentre si dirigeva dal barista per pagare. Quando tornò indietro le sorrise, sottintendendo di aver pagato anche per lei, per poi avviarsi con calma verso la porta.
Ada non seppe il perché, ma ancora una volta la sua bocca si aprì e parlò per lei.
«Come ti chiami?» chiese, le sue mani che si poggiavano sul suo braccio muscoloso a trattenerlo.
Lo sconosciuto si girò verso di lei, il sorriso ancora più ampio di prima: «Sono Ivan».
«Ivan, hai altri impegni stasera?»



19:45, mercoledì 7 aprile, Ferrugipoli


Ivan la stava aspettando al solito posto al bancone, con il loro tradizionale bicchiere di gin scadente già pronto nei due bicchieri.
«Andato tutto bene oggi?», la salutò, alzandosi in piedi nel vederla arrivare. Pareva genuinamente contento di vederla, e anche lei si era ormai abituata a quella strana compagnia impossibile.
Ivan continuava ad avere modi gentili con lei, intervallati frequentemente da quegli sprazzi di autentica spontaneità che l’avevano conquistata. Si vestiva ancora come un uomo d’affari ogni volta che si incontravano, ma lei aveva capito da tempo che quella era solo una copertura. Probabilmente era un ingegnere al lavoro presso il Tunnel Menferro, che non aveva voglia di passare per un semplice operaio quando tornava a dormire in città – men che meno ora che si vedevano con regolarità. Non le interessava scoprire il perché di quel mascheramento, o come mai vivesse a Ferrugipoli invece che soggiornare più vicino al luogo di lavoro: le bastava la sua compagnia, i brindisi col gin insieme e un orecchio amico con cui sfogarsi.
«Tutto come al solito», sbuffò lei sedendosi, mentre il solo vederlo le migliorava già l’umore. «Scusa il ritardo, è stata una giornata molto lunga…»
Osservò i possenti muscoli guizzare sotto la camicia mentre Ivan tornava a sedersi, e per un attimo si chiese come dovesse essere trovarsi racchiusi in un abbraccio da parte sua. Cancellò poi istantaneamente quell’immagine mentale, ricordandosi che il loro rapporto non implicava quel tipo di interazione. In tutte quelle settimane, mercoledì dopo mercoledì, non avevano fatto altro che parlare, senza mai andare oltre a quell’oretta di chiacchiere davanti a un gin che ormai aveva imparato ad apprezzare. Gli unici apprezzamenti che Ivan aveva mostrato di avere erano verso il suo lavoro – e i suoi capelli, nonostante lei odiasse quel taglio corto e l’aspetto spento che aveva assunto la sua un tempo folta chioma corvina.
«Che ha fatto oggi il tuo capoccia?» la interrogò.
Ivan aveva calato la maschera nei confronti del signor Petri dalla seconda sera passata insieme, non appena aveva capito che la sua fiducia nel suo capo era già incrinata. Nonostante fosse sempre lei a sfogarsi e a raccontargli del lavoro, mentre lui manteneva un forte riserbo per la sua vita personale, era chiaro come Ivan disprezzasse Pierangelo Petri e la Devon S.p.A.
«Ha messo in cantiere un nuovo progetto, l’ennesima “idea geniale che rivoluzionerà il mondo!”» sputò lei, facendo il verso al suo capo. «“Scopriremo come e cosa sognano i Pokémon”, a quanto pare. Vuoi spiegarmi tu a cosa serve quest’ennesima scemenza?»
Ivan sorrise divertito di fronte alla sua rabbia. Le era chiaro come lui stesse continuando ad alimentare il suo disgusto sempre più crescente verso il signor Petri, ma anche se non ne intuiva il motivo le andava bene.
Tutta Ferrugipoli, anzi, tutta Hoenn in realtà dipendeva da lui e dai suoi capricci. Da giovane era stato certamente una figura geniale, riuscendo a trasformare una piccola azienda mineraria in una vera e propria multinazionale capace di rivaleggiare con la Silph S.p.A. di Kanto e la Macro Cosmos di Galar. I nuovi tipi di Pokéball e i vari medicinali per Pokémon e umani prodotti dalla Devon avevano rivoluzionato la regione, e le sue ultime invenzioni come il PokéNav appena immesso in commercio lo avevano reso un idolo per tutti gli allenatori.
Eppure, negli ultimi tempi si era concentrato su idee sempre più assurde e inutili: un marchingegno per resuscitare i fossili, una macchina per trasformare gli umani in Pokémon, e ora anche la tecnologia per decifrare i sogni. Passava la gran parte del tempo a contattare esperti in giro per il mondo per acquistare pietre rare, e quando si faceva vedere in azienda era solo per avviare il nuovo, assurdo progetto del momento.
«Immagino come saranno felici azionisti e contribuenti di questa nuova invenzione…» la punzecchiò Ivan, distraendola dai suoi pensieri.
«Oh, vedrai, la adoreranno!» rise amaramente lei, roteando gli occhi disgustata. «Non gli importa nulla di come Petri butta i loro soldi, ormai è il loro nuovo dio e loro comprerebbero di tutto da lui. A qualunque prezzo».
«Ne sei convinta?» chiese l’altro, facendosi più serio.
«Li ha già convinti a comprare le famose Scarpe da Corsa Devon, ricordi?» gli ricordò. «Certo, il meccanismo interno ad aria compressa agevola la corsa e rende il tutto meno faticoso, ma…»
«… Ma basterebbe usare delle semplici scarpe da ginnastica, sicuramente più economiche», concluse lui.
«Credo che tra poco rilascerà la nuova versione delle Scarpe, tra l’altro. E vedrai come si affolleranno tutti nei negozi per comprarle, anche se a casa ne hanno già altre dieci paia…»
Ada affogò il suo sfogo svuotando il bicchiere, senza fermarsi per fare il loro brindisi tradizionale con cui prendevano in giro la Devon o il signor Petri. L’idea che la gente fosse disposta a spendere così tanti soldi per delle stupidate, quando i suoi progetti continuavano a marcire nei laboratori, la rendeva furiosa. Forse anche per questo non aveva problemi a discutere con Ivan di lavoro: anche se raccontava dettagli teoricamente riservati o confidenziali, non le importava che le sue parole potessero rischiare di danneggiare l’azienda. Per quanto ne sapeva, l’altro poteva essere in realtà una spia industriale, ma un possibile danno alla Devon S.p.A. non era qualcosa che la interessasse.
Ivan la guardava serio, preoccupato da quel cambiamento della loro routine. Le si avvicinò, roteando il bicchiere ancora pieno tra le mani prima di passarglielo, come offerta consolatoria.
«E il tuo progetto su quella maschera da sub tecnologica? Almeno ti hanno approvato i finanziamenti?» chiese infine. La preoccupazione nel tono della sua voce indicava il suo reale interesse per la faccenda, e non un’ennesima punzecchiatura contro la Devon: Ada gliene fu silenziosamente grata.
«Niente da fare, ovviamente. Così come il progetto di miglioramento del sistema di aereazione sottomarina…»
La sua voce si incrinò per la delusione, e lacrime di rabbia cominciarono a fluire dai suoi occhi.
Aveva mollato tutto a Verdeazzupoli per inseguire i suoi sogni e diventare una famosa scienziata come il signor Petri, per migliorare la vita delle persone e rendersi utile alla società. Ma la megalomania di quell’uomo l’aveva resa uno dei tanti, inutili ingranaggi di un sistema ormai avulso dalle reali necessità della gente. Tutti i suoi studi sull’ingegneria idraulica e la meccanica dei fluidi erano compressi in progetti in cui lei non credeva, e la frustrazione per quel lavoro l’aveva asciugata sempre di più della felicità di cui era sempre stata piena.
«Mollalo, Ada».
Ivan le aveva preso l’esile braccio tra le mani, e la stringeva con delicatezza mentre la fissava con estrema serietà.
«Mollalo. Lascia la Devon, Petri e questa città, e vieni a lavorare con me».
Lo guardò confusa, le guance rigate dalle lacrime roventi di rabbia che continuavano a scenderle dagli occhi troppo stanchi.
«Che… che stai dicendo, Ivan?» balbettò, girandosi completamente verso di lui.
Ivan aveva perso ogni traccia della sua solita gioviale spacconaggine, e i suoi occhi brillavano di una luce a lei sconosciuta, decisa e… anche un po’ eccitata?
«Dico che devi licenziarti da quell’inferno, e venire via con me. Sto per tornare a Porto Alghepoli, insieme a te possiamo…»
Lei lo fermò, sfilando il braccio dalla sua stretta e portandoselo al petto.
Ivan non le aveva mai detto da dove venisse, né che cosa facesse di preciso a Ferrugipoli, tantomeno che avesse un’azienda di qualche tipo, o chissà che altro, nella città costiera del nord. Ma ora che aveva scoperto le carte, la paura la paralizzò.
«Venire via con te? Porto Alghepoli?» chiese, confusa. Voleva saperne di più su quell’uomo, e quello era il decisamente il momento della verità. «Che vai blaterando, Ivan?» aggiunse. Un conto era sfogarsi contro la Devon, ma ben altra cosa era parlare di lasciare l’azienda e lavorare per chissà chi altri. «Chi sei, davvero? E soprattutto, cosa ci fai qui?»
Ivan si raddrizzò sullo sgabello, sistemandosi la camicia e buttando l’occhio intorno a loro. Al Café vi erano i soliti due avventori, habitué come loro, più il barista – ma erano comunque un pubblico eccessivo per quello che avrebbe dovuto dirle.
«Non qui. Ti spiegherò tutto, ma dobbiamo…» cominciò facendo per alzarsi, ma lei lo arrestò di nuovo.
«Dobbiamo un bel niente! Sono stufa di uomini che mi dicono cosa devo o non devo fare!»
Ada era furente, non più soltanto con Petri e la Devon ma anche con quello che credeva fosse un amico e che ora le stava chiedendo di mollare tutto per inseguire chissà che cosa.
«Mi spiegherai tutto, qui, adesso. Oppure puoi andartene da solo a Porto Alghepoli, anche adesso».
Era stata una giornata psicologicamente troppo pesante, e non riusciva più a trattenere quell’istinto rabbioso che le ardeva dentro da troppo tempo – istinto che Ivan aveva alimentato per settimane e che ora gli si rivoltava contro.
Ivan tornò a sedersi, sospirando rassegnato, ma annuì. Controllò che né il barista né gli altri avventori potessero sentirlo, poi si protese verso Ada e cominciò a raccontare.

 


 

Questa storia è il mio primo, vero esperimento con una long dopo tanti, troppi anni, nonché la mia seconda incursione nel fandom dei Pokémon.
Era tutto partito come una breve one-shot per l'evento "Back to Office" di  Fanwriter.it, ma alla fine mi sono lasciato prendere dall'ispirazione, il prompt che avevo iniziato a sviluppare è andato a farsi benedire e ne è uscita questa storia qui.
Hoenn è un po' come una seconda casa per me, e Zaffiro è stato il primo videogioco Pokémon con cui ho giocato e che non fosse di amici o parenti. Ho sempre avuto a cuore la storia lì raccontata, e trovo che sia un buon punto di partenza per parlare del difficile rapporto tra civiltà tecnologico-industriale e mondo naturale, nonchè di cambiamenti climatici e potenza degli eventi naturali.
Ho quindi deciso di esplorare l'incontro tra Ada e Ivan, qui ancora giovani ma in futuro alleati all'interno del Team Idro, e continuare ad indagare sulla loro storia. Ho ripreso l'aggiornamento del personaggio di Ada effettuato in ORAS, dove viene detto che da giovane Ada ha lavorato per la Devon S.p.A. di Ferrugipoli, e ho esplorato altresì un aspetto di Pierangelo Petri visto da un altro punto di vista, molto più critico, accennato nel manga. La storia comunque non segue alcun filone narrativo specifico di videogiochi, anime o manga, e pertanto è una mia rielaborazione della fondazione del Team Idro.
Il titolo è stato ispirato dalla colonna sonora di Pokémon B&W, ripresa anche in X&Y, "An Unwavering Heart", che è stata la colonna sonora che mi ha accompagnato nella scrittura di questi capitoli.
Spero che possa piacervi, e vi sarò immensamente grato qualora decideste di lasciare una piccola recensione.
Arrivederci al prossimo capitolo!
   
 
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