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Autore: Ivy001    24/09/2021    2 recensioni
One-Shot Bogobi, che ammetto è abbastanza particolare ma che spero possa piacere ;) buona lettura a tutti
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Berlino, Bogotà, Nairobi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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E’ una calda domenica estiva quella che Madrid vive in occasione di un matrimonio speciale.

“Sei pronta, mammina? È tardi, dobbiamo andare!” – la voce di un bambino all’incirca di nove anni, accompagna il suo insistente bussare alla porta.

Nella toilette è chiusa da almeno un’ora, la padrona di casa, una donna di indubbia bellezza, tanto estetica quanto interiore, dai lunghi capelli neri e la carnagione olivastra.

“Mia bella gitana, non vorrai farmi arrivare tardi al matrimonio del caro vecchio Sergio, vero?” – ad aggiungersi al minore, è un uomo dalla magra corporatura, dotato di fascino, che trasmette anche solo aprendo bocca.

Indossa, in pendant, con il piccoletto, uno smoking chiaro, abbellito da un buffo fiocco nero che funge da papillon.

“Eccomi” – e così, aprendo la porta, la mora si mostra in tutto il suo splendore.

“Sei stupenda” – si complimenta suo figlio, sorridendole come solo lui sa fare, confermando la lusinga con il pollice all’insù.

“Tu non dici nulla?” – chiede la zingara all’uomo, in attesa di un ok di approvazione.

Dal momento in cui si invaghì di quello che era il suo capo, divorziato dalla quinta moglie, con una prole alle spalle, la gitana aveva messo da parte se stessa e i suoi sogni, stupendosi, nonostante il passato doloroso con il padre di suo figlio, di aver accettato condizioni tali e una palese infelicità.

E così, dopo ben tre anni di matrimonio con il direttore De Fonollosa, Agata Jimenez sente che accettare di piacergli, giorno dopo giorno, mantenendo accesa la passione, è la salvezza dall’ennesima delusione e dal fallimento in amore.

Per di più, quella creatura a cui ha dato la vita, Axel è il suo nome, merita stabilità che solo una famiglia completa può dargli.

“Credo tu debba coprirti di più, riserva per me questa scollatura” – le sussurra all’orecchio l’uomo, facendole l’occhiolino.

Dopo averle esplorato il decolté con occhi famelici, il capofamiglia si allontana, prendendo il figliastro per mano.

La gitana vorrebbe gridare, buttare fuori la sua frustrazione. E per l’ennesima volta, tace.

Afferra un coprispalle di pizzo nero, nella cabina armadio, e copre quanto più possibile, del suo corpo, un corpo bello, sinuoso, sodo nei suoi trentatré anni. Un corpo proprietà di suo marito, la cui sola colpa è essere oggetto di desiderio altrui.

Gli occhi inumiditi rischiano di devastarle il trucco, quindi tenta di trovare una soluzione: respira profondamente, fissandosi un’ultima volta allo specchio, e rivolge a se stessa parole che tempo addietro rivolse ad una ragazzina, vittima di bullismo, a cui diede una mano nell’affrontare il branco.

“Sono Agata Jimenez, e sono una figa da paura… non posso continuare a vivere nella speranza che Andrès mi ami. Non mi ama, mi ritiene di sua proprietà…” – tenta di convincersi di cambiare rotta, di doverlo a se stessa, alla sua tempra forte e decisa, quella che l’ha sempre connotata negli anni. Però la sua mente le ricorda chi c’è di mezzo e i discorsi che seguono schiacciano quelli precedenti –“… e Axel ha bisogno di un padre! Dove cazzo credo di andare? È questo il mio posto. Dovrò essere bella, perfetta, non sbagliare mai, non oscurare mio marito e dargli piacere ogni notte…e dovrò farlo solo per il bene del mio piccolo!”

Afferra la pochette luminosa, posta sul letto, e raggiunge la famiglia, già a bordo della loro automobile.

“Bene, così già va meglio” – precisa De Fonollosa, riferendosi alla scollatura ben coperta.

“Credevo ti piacesse questo abito, me l’hai regalato tu”

“Certo, però è bene indossarlo nella giusta maniera” – aggiunge lui, per poi isolarsi nel suo mondo, fatto di lavoro e di lusso, alle prese con chiamate importanti, durante l’intero tragitto.

Ad Agata e suo figlio resta solo il silenzio forzato, fatto di sguardi complici tra loro e di dolci coccole.

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La cerimonia è breve e intensa. La sposa, bellissima e radiosa, è Raquel Murillo, ispettrice della polizia, di cui la Jimenez sa poco e niente, nonostante sia appena diventata sua cognata.

Lo sposo, invece, lo conosce fin troppo bene. Sergio Marquina, uomo noto per il suo quoziente intellettivo sopra la media. Un genio in tutto e per tutto, che scherzosamente Andrès chiama Professore. È proprio l’intellettuale, che la colpì, dal principio, per il buffo tic agli occhiali, che ha aiutato Agata a trovare lavoro, approfittando del fatto che con lei condivideva un appartamento. Il suo adorato coinquilino, per cui la gitana, inizialmente, prese una sbandata, la indirizzò nell’azienda di famiglia.

“Sediamoci qui, credo sia il nostro tavolo!” – afferma il Boss alla consorte, preparandosi alla consumazione delle portate durante la festa  – “Che banale mio fratello, siamo al tavolo con la tua migliore amica arrapata e il suo toyboy” – brontola leggendo i nomi delle persone con cui condividere le successive ore di festa.

“Arra…cosa?” – chiede Axel, confuso.

“Ehm..lascia perdere, tesoro. Guarda, c’è Paula! Vai a salutarla, è laggiù” – la Jimenez interviene, infastidita dalle parole di Andrès, e indica a suo figlio la presenza della piccola di Raquel, ormai adottata da Sergio come fosse suo stesso sangue.

Il baby gitano corre subito dall’amica, con cui adora giocare, e la coppia resta da sola.

“Potresti evitare offese a Silene e Anibal per favore?”

“Pensavo mettessi il broncio perché avevo urtato la sensibilità di Axel” – il tono beffardo di De Fonollosa è l’ennesima frecciata che fa male ma a cui la donna non risponde.

Eppure ha molto da dirgli, e tanto da sbattergli in faccia.

Manda giù l’ennesimo boccone amaro e, per evitare di esplodere, dice - “Vado a congratularmi con gli sposi!” – e senza ascoltare la replica del suo compagno, si allontana.

Raquel e Sergio sono alle prese con alcuni invitati, ed è proprio il Marquina, riconoscendo l’amica, qualche metro distante, a farle segno di avvicinarsi.

“Congratulazioni, vi auguro di essere felici e che con queste nozze abbiate realizzato il sogno di una vita” – nel pronunciarsi, gli occhi della gitana si velano di tristezza; lei che avrebbe voluto vivere un amore come quello, con un’unione sentita e intensa... le rimane poco se non notti di passione e regali su regali. Mai dolcezze, mai coccole, mai supporto reciproco.

Agata non si accorge, nel mentre, di due uomini, di fianco a lei.

Ed è uno di loro a prendere parola – “E il tuo sogno di una vita, qual è?”

A quel punto, la Jimenez si volta verso lo sconosciuto, notando un tipo con un sigaro in bocca, i capelli scuri e una folta barba, dalla corporatura decisamente grossa. Accanto a lui, invece, un esile uomo dai capelli abbastanza lunghi e un baffo a tratti simpatico.

Evita di rispondere, tornando a dedicarsi ai novelli sposi.

Però sente su di se gli occhi di una persona estranea, e avverte un fastidio che decide di ridurre.

E lo fa, congedandosi.

“Ma guarda tu che tipo strano” – parla tra se e se.

Prende posto e nel farlo, si accorge che proprio quello straniero le si è seduto accanto.

“Cosa vuole?” – replica lei – “Guardi che sono sposata” – indica la fede al dito.

“Ehm.. lo so, tranquilla!”

“Allora cosa sta cercando? Vada via…al suo tavolo”

“Eh… questo è il mio!” – le sorride, godendo dell’imbarazzo suscitato in quell’affascinante donna.

“Non ci credo!” – esclama, afflitta, lei. A quanto pare quella giornata sarà più pesante del previsto, teme.

“Vedo che hai già conosciuto uno dei miei migliori amici” – la voce di Andrés interrompe il momento di silenzio creatosi tra i due dopo la gaffe di Agata.

“Amici? Non li ho mai visti”

“Ne abbiamo vissute di avventure da giovani…e che nottate nei pub, a rimorchiare” – ricorda, nostalgico, De Fonollosa.

“E quante scopate” – decisamente di poco gusto il commento fatto in presenza di sua moglie che, giunta all’apice della sopportazione, decide di ignorarli, raggiungendo gli amici storici, dislocati nelle varie aree dell’immenso e ricco salone del ristorante. I novelli sposi, infatti, non badarono a spese, volendo regalarsi una giornata indimenticabile anche dal punto di vista del lusso, scegliendo una location di alto livello.

“Va tutto bene, tesoro?” – domanda Monica Gaztambide ad Agata.

Monica è una sua collega, nota per la dolcezza e la pacatezza, madre di un bambino di quasi tre anni, che ha vissuto un passato analogo a quello della Jimenez: infatti, il piccolo, Cincinnati, dal nome buffo su scelta di un buffissimo patrigno, fu concepito da una relazione extramatrimoniale. Ad oggi, Cinci è cresciuto da un genitore che l’ha letteralmente adottato, ma che non l’ha concepito.

Come se il copione della vita della zingara, si ripetesse nelle vite delle sue amicizie!

“Si, certo. Come sempre” – risponde la gitana, mentendo.

Poi la voce di Andrés la richiama all’ordine.

Il pranzo è servito e da quel tavolo e da quella compagnia, non può più allontanarsi.

Almeno per il momento.

Di fronte ad un uomo che, finge attenzione per la chiacchierata con gli amici, e che, invece, continua a fissarla con la coda dell’occhio, Agata fatica ad alzare lo sguardo e a godere a pieno del ricevimento.

Inoltre, Silene, la sua migliore amica, è alle prese con il suo toyboy da dedicarle poche attenzioni. E pensare che credeva di potersi appoggiare alla sua presenza, in qualunque momento. Invece le tocca accettare che dia priorità al fidanzatino.

Il suo silenzio però viene notato. E dalla persona meno attesa.

“Qual è la città dove vorresti andare, almeno una volta nella vita? O meglio, qual è la città che sogni di visitare da tutta una vita?” – le chiede lo straniero, spiazzando Agata che si desta da pensieri vaghi che si addensavano nella sua mente fino ad un attimo prima.

“Ehm…come mai questa domanda?” – le pare assurdo quell’interrogativo.  

“Semplice curiosità” – risponde, mostrandosi, a differenza di qualche ora prima, più cordiale e meno interessato a guardarla come fosse un’opera d’arte al museo.

“Io andrei a Tokyo” – interviene Silene, prendendo finalmente parte al discorso.

“In Giappone? Sul serio?” – perfino il suo Anibal resta sorpreso e commenta – “Io direi Rio, tutta la vita!”

“E tu?” – insiste il tizio con Agata.

La Jimenez ci pensa su, non trovando un’immediata risposta. In fondo ci sono tante città che vorrebbe visitare.

“A dire la verità, non ho una preferenza”

“Se vuoi, ti dico la mia” – aggiunge il tipo di cui il nome resta un’incognita – “Io sono incuriosito dall’Africa”

“Africa? Amico, sei un morto di fame. Io invece punterei su una bella città europea come..non saprei…Berlino! La Germania è una potenza mondiale e di incredibile potere” – anche Andres dice la sua.

La questione “città” ha saputo rompere il ghiaccio e coinvolgere tutti i presenti alla tavolata.

“L’Africa ha la sua bellezza, caro il mio De Fonollosa! E io penso che la città di Nairobi sia da scoprire” – nel pronunciare quel nome, il tipo posa gli occhi sulla gitana, ancora una volta, la quale, ora, non avverte fastidio, ma imbarazzo.

“Tocca solo a te adesso! Dimmi, se tu potessi scegliere…qual è la città dei tuoi sogni?”

In quei momenti, la Jimenez ricorda di quando sua nonna gli raccontava di storie mitiche che avevano come sfondo la Colombia.

“Direi Bogotà, sì…Bogotà… penso proprio che sia quella la città”

In quel preciso istante, i ricordi di quando da bambina confessava alla nonnina i suoi sogni, con le aspettative lavorative e amorose, riaffiorano prepotentemente rammentandole dell’insofferenza presente.

Con il cuore in gola e il pianto prossimo ad esplodere, la mora si scusa e corre via.

Il tutto accade senza che il marito se ne accorgesse, preso, come al solito, dal suo ego.

Raggiunto il giardino esterno, Agata scoppia in un lungo e devastante pianto.

Ed è in quel preciso istante che una mano si adagia sulla sua spalla.

Sobbalza, e si volta verso la figura che l’ha raggiunta.

“Tu?” – lo straniero l’ha raggiunta, cogliendo un malessere velato dai suoi profondi occhi scuri.

“Perché sei così triste? Una donna come te dovrebbe solo sorridere”

“Perché? Perché ho i soldi e un marito che mi soddisfa?”

“Non intendevo quello”

“Lascia stare, in fondo neanche ti conosco. Non so neppure il tuo nome” – si asciuga il viso, scostando lo sguardo da quello, penetrante, dell’uomo straniero - “e smettila di guardarmi, sembra che tu non abbia mai visto una donna!” – tuona contro di lui, esasperata.

“Ti guardo come fossi la città che sogno di visitare da tutta una vita” – confessa, arrossendo. Il tono dolce di quel omone grande e grosso, disorienta totalmente Agata.

Quell’affermazione, per lo più, la fa sorridere. L’ha appena paragonata ad una città…

“Mi conosci appena”

“Già, è bastato un istante perché tu diventassi la mia Nairobi”

Quelle parole colpiscono la Jimenez nel profondo del cuore.

Adagia timidamente gli occhi su di lui e legge una mai conosciuta tenerezza.

“Voglio solo essere amata!” – rivela, lasciando emergere la realtà dei fatti. Vuole essere amata, perché, in fondo, suo marito non lo fa!

A quel punto, le parole servono a poco ed è lo straniero a fare un passo avanti.

Con estrema dolcezza, le sfiora il viso, e la gitana non si ritrae.

“Permettimi di essere il tuo Bogotà, così come tu sarai la mia Nairobi”

Avvolta da braccia possenti, che per la prima volta le offrono protezione, Agata si lascia andare.

Bogotà, sì è così che lo chiamerà, è diventata la città della sua vita… e probabilmente è la soluzione alla sua infelicità.

“Posso baciarti adesso?”

“Stai chiedendo il permesso per farlo?” – incredula, Agata capisce di avere di fronte a se la salvezza del suo cuore.

E non attende la risposta dell’uomo.

Lo afferra per la cravatta e lo tira a sé. Probabilmente si pentirà, forse tra qualche ora passerà tutto, o chissà…la vita potrebbe aver deciso di darle una nuova chance.

Un incontro di labbra, un assaporarsi lungo e intenso, e la consapevolezza di non desiderare nient’altro per sentirsi davvero nella città che si sogna da tutta una vita.

 

 

TO BE CONTINUED……

 

 

 

 

   
 
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