Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Miky_D_Senpai    25/09/2021    1 recensioni
Il diario mentale di uno studente che non ha ancora capito il mondo che lo circonda, tenendo per sé una regola che è chiara solo alla sua famiglia. Nascondendo con un velo di apatia il rispetto per un'unica persona, riempiendo i propri vuoti con una devozione cieca.
Sopra le leggi di una società che ai suoi occhi cade a pezzi, ma non abbastanza alto da poter godere di una buona visuale sul mondo che lo circonda.
Dal testo:
"Volevate la solita storia sulla scuola? Su quei college americani tutti fighetti in cui c’è sempre il “cattivo ragazzo” che sta con la timida secchiona di turno, che la persuade a passare nel lato oscuro? “Lato oscuro” che poi è semplicemente in penombra.
[...]
... l’avevo notato dalla finestra, fermo nel viale del mio appartamento, di fronte al mio citofono. Mi diverte vederlo sbiancare ogni volta che pronuncio il suo nome."
[AU contemporanea, quasi tutti i personaggi, provate a shippare e lui vi ucciderà]
[Nota dell'autore: Ringrazio chiunque sia passato o passerà a leggere. Devo ammettere che è la prima volta che finisco una long del genere su Efp quindi grazie di tutto il supporto, alla prossima!]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Primo e ultimo angolo dell’autore:
Stiamo raggiungendo la fine della storia, mancano cinque capitoli come già specificato nella descrizione e questo è il quartultimo della trama. L’ultimo sarebbe un extra per risciacquare l’amaro in bocca che lascia concludere per la prima volta una storia abbastanza lunga.
Faccio dei ringraziamenti anticipati a chi segue la storia (soprattutto a coloro che la seguono silenziosamente, perché non ho ancora avuto modo di farlo) e chiunque continua a leggerla arrivati a questo punto.
Resistete ancora un pochino, ci siamo quasi!


Ennesima sveglia alle sette, accompagnata dai felici miagolii di un gatto al quale sembro essere mancato più del solito. Sicuramente sta solo pregustando la scatoletta al salmone norvegese che tengo da parte per il giovedì, giorno in cui il suo veterinario mi ha raccomandato di abbondare con il cibo umido.
Swiffer ha un dietologo, mangia salmone che potrebbe essere il mio pranzo e non mi lamenterei, ma lui ha addirittura da ridire se lo chiamo “palla di pelo viziata”.
 
Ieri sera non mi ha nemmeno aspettato sveglio, anzi, era spalmato sulle mie lenzuola con la stessa pesantezza e voglia di muoversi della sfinge di Giza. Come se fosse lui a pagare le bollette.
Accorgendomi che quella poteva essere la creatura più pretenziosa con cui avessi avuto a che fare quel pomeriggio, ne rimasi quasi colpito: date le premesse e facendo i dovuti calcoli, almeno un quarto delle persone presenti al funerale di mio zio potenzialmente avrebbero potuto mandare in aria i miei piani.
La facilità con cui alcune situazioni si fossero apparentemente risolte e la silente pacatezza con cui il tempo fosse volato erano quanto di più lontano da ogni mia previsione.
Per prima cosa, non mi sarei mai aspettato che il mio tentativo di far lasciare quel posto a Traute avesse la benché minima possibilità di andare a buon fine. E nonostante il mio pessimismo abbia suggerito varie soluzioni alternative, creando possibilità immaginarie vicine al pensiero che la potessero far sparire in quanto testimone di tutte le loro attività, lei era tornata da me, smentendo tutte le mie paranoie.
In quel momento ho lasciato andare uno dei sospiri di sollievi più genuini che abbiano mai lasciato la mia bocca.
La seconda questione era l’interrogativo che puntava verso il signor Smith, ma la risposta ottenuta senza troppe storie aveva eliminato le mie preoccupazioni per quella strana coincidenza che si era andata a creare. E, anche se la storia dell’adozione poteva benissimo essere una sua scusa per coprire qualcos’altro, non avevo nemmeno voglia di stare a cercare un accenno di titubanza nella sua voce o un’incertezza nei suoi occhi. Mi bastava essere certo che almeno lui non fosse parte del complotto per rovinarmi la vita, rimandando a un altro giorno i dubbi sul figlio.
Finito il rinfresco che distoglieva l’attenzione dal trasporto della salma in un posto migliore, i genitori di Mikasa hanno insistito per riaccompagnarmi a casa. Decisione accolta dalla contrarietà della ragazza, alla quale mi sarei volentieri unito, ma non avevo un altro passaggio gratuito per casa e l’idea di condividere un sentimento del genere con lei era raccapricciante.
Fortunatamente ad accoglierci davanti al piccolo cancello della palazzina, dopo un tragitto abbastanza silenzioso, si trovava una sorpresa imbambolata davanti il mio citofono impegnata al telefono con il padre. Eren aspettava da chissà quanto, ma non aveva ancora creato un solco sul marciapiede camminando avanti e indietro con la sua solita ansia infondata.
Nonostante non capissi quale fosse il motivo per cui aveva contattato il dottor Jeager, anche Swiffer nel suo modo di guardarlo con una superiorità malcelata lo giudicava dalla finestra. Sembrava interrogarsi sullo scopo della vita, insieme alle varie domande che hanno spazio in quella testolina felina: “Dove sono i miei croccantini?” e “Come fa la lettiera a essere così pulita?”.
Sono stato anticipato da Mikasa, la quale era subito scivolata fuori dal finestrino per salutare il suo compagno di classe «Ereh!»
L’attimo di silenzio seguente mi serviva a capire come diamine l’avesse chiamato e per quale misterioso motivo la sua voce fosse salita di due ottave, raggiungendo lo stridente starnazzare di un’anatra.
Il ragazzo, colto di sorpresa dal suo richiamo amoroso e totalmente ignaro del nostro arrivo, aveva lo sguardo di una persona appena entrata in contatto con un alieno, potrei capirlo dato lo strano atteggiamento della ragazzina e il suo modo di storpiargli il nome. Ma non capirei mai perché invece di contattare me parlasse con i suoi.
Avendo visto scendere dalla macchina anche il motivo della sua visita, la sua espressione sembra rasserenarsi, quasi si fosse reso conto di non essere il completo idiota che è, ma di aver solo sbagliato orario.
Era la prima volta che qualcuno mi accoglieva davanti a quel portone senza i modi pretenziosi e supponenti comuni ai cacciatori di taglie, anzi, mi sono sentito appagato perché sembrava un cane che attende il padrone dal rientro dopo una giornata di lavoro.
Il poverino si aspettava una mano dal sottoscritto e nonostante ieri fosse il giorno meno adatto, ho accolto la sua richiesta di fare quella lezione di ripetizioni aggiuntiva positivamente: mi sarei liberato in una mossa della ragazzina petulante e dei suoi genitori, concludendo quindi la giornata sfogandomi un minimo su di lui.
 
Solo ora posso sentire gli effetti benefici degli insulti a quella zucca vuota, inizio meglio le giornate ogni volta. È come aver preso a pugni un sacco da boxe per rilasciare i nervi.
La dose di endorfina necessaria ad affrontare la giornata che si staglia davanti a me come un muro stressante è tutt’ora in circolo, liberata da quello che dovrebbe essere scientificamente paragonabile a uno sforzo muscolare.
L’ultimo giorno, quello che secondo le mie previsioni avrebbe racchiuso in sé l’exploit delle idee bizzarre che Erwin aveva tenuto per il “gran finale”. Il cui culmine combacerà sicuramente con la fine della mia vita.
Arrivato a scuola noto subito la piega tragicomica che avrebbe fatto da sfondo al resto della giornata: un branco di primini brancolava davanti all’entrata come zombie di fronte alla sede delle olimpiadi matematiche.
Aggirandomi tra di loro posso sentire un mix tra sguardi sorpresi e stupiti, dato che qualcuno del quarto anno non riesce a svettare come altri sopra le teste vuote dalle quali partono quegli sguardi ebeti e privi di qualsiasi attenzione.
Mi fanno incazzare, ancora di più sapendo che riescono a lanciarmeli addosso da qualche centimetro sopra la mia fronte. Con cosa diamine è stato concimato il terreno su cui sono cresciuti?
È come essere un bonsai e venir curato con estremo amore e difficoltà in un’alta foresta di faggi, sotto la loro stupida ombra.
Passando tra quei pali della luce su gambe non posso spegnere l’istinto che mi porta ad ascoltare le conversazioni di quelli che incrocio. Forse dovrei trovare un interruttore per i miei istinti basati sulla poca fiducia per il prossimo.
In una decina di metri mi ritrovo immerso in domande di vario genere e che avrei preferito non essere mai costretto a farmi.
Perché sono tutti così scemi? Sembra di stare a guardare un circo, ma così disorganizzato da non avere un’attrazione principale, solo un’accozzaglia senza senso di scenette comiche o movimentate.
Perché Eren battibecca con un ragazzo chiamandolo “faccia da cavallo”?
Cos’hanno da guardare quel biondo dalle spalle larghe e la coppietta con lui?
E non oso nemmeno immaginare cosa abbia combinato quella mora per essere chiamata ragazza patata.
Si vociferava qualcosa riguardo a una studentessa che si era portata una patata bollita che aveva iniziato a mangiare davanti al professore di educazione fisica, offrendogliene metà per non si sa quale stupido motivo.
Passare tra di loro mi riempie di angoscia, stiamo davvero lasciando la scuola a questa mandria di zucche vuote, andremo via a crearci un futuro migliore e loro distruggeranno quello che noi gli abbiamo lasciato in eredità. Potrebbe non essere il luogo sicuro e perfetto che una persona si aspetterebbe, ma dentro queste mura si è più al sicuro che al di fuori, che loro lo capiscano o no.
Appena metto piede sotto il portico incrocio un volto familiare, sfortunatamente per me non è proprio il paio di occhi che preferisco vedere di prima mattina.
«Oh, Levi eccoti qui, pronto per la festa di stasera?» Guardo meglio, sembra che abbia usato del trucco per accentuare le sue occhiaie e simulare una notte insonne. Auruo, anche le fottute borse sotto gli occhi mi vuoi copiare?
«Dovresti smetterla di tentare di arrampicarti sugli specchi per assomigliare a me, basta dormire tre ore in meno tutte le notti e ti vengono naturali»
Dato che è stato colpito sul vivo, non ci mette un secondo a rispondere a tono «Ehi, io ho una skin routine da seguire!» Altrettanto rapidamente si accorge di come quella risposta suona una volta pronunciata.
«Volevo dire.. ho fatto decisamente tardi ieri sera» dice schiarendosi la voce, tentando di recuperare un minimo di dignità nella figura di merda appena portata a termine.
«Sì, potresti usare quella come scusa con Petra, sicuramente ha un effetto migliore»
Aggrappandosi all’unico modo che aveva per portare avanti la conversazione, mi segue nonostante il mio tentativo di lasciarlo ad aspettare gli altri da solo.
«Quindi ci vieni alla festa, no?» mi chiede, di nuovo, con un tono leggermente più autoritario, copiando probabilmente qualcun altro. Il problema di doversi creare da zero un carattere è che non sa da dove iniziare e ha preso come primo spunto proprio il peggiore: un Ackerman.
«Ci vengo, non posso mancare» Probabilmente la faccia sorpresa che segue la mia risposta, è dovuta all’abitudine di vedermi scontroso e contrario a qualsiasi minima manifestazione di affetto.
Dopo qualche attimo di esitazione, continua con altre informazioni non richieste: «Hanno detto che possiamo portare qualcuno»
Che diamine è, un matrimonio? Possiamo addirittura avere un partner per aumentare il numero dei partecipanti? Evidentemente non siamo abbastanza nel nostro gruppo per rendere omaggio al suo addio.
«Hai già chiesto a Petra?» gli domando, sapendo che per lui sarebbe la scelta più ovvia.
«È già stata invitata, viene con Gunter»
Non è passato un giorno da quando litigavano che già è tornata da lui, se non è amore questo. Immagino quindi che Erd non venga per evitare lo scontro.
«Penso di invitare una ragazza del primo anno per fare colpo, sai no?» tenta di vantarsi di una manovra subdola e inefficace, soprattutto perché la festa non è la sua e dovrebbe comunque riuscire a trovarne una disperata.
«Quella che chiamano ragazza patata promette bene»
Ed è ufficialmente diventata l’ultima conversazione che avrei voluto fare per iniziare una qualsiasi giornata, anche se non fosse condita con la consapevolezza che il membro più importante del nostro gruppo sta per andarsene.
Non che mi importi della comitiva in sé, dato che con il tempo abbiamo iniziato ad accettare soggetti come Auruo e i suoi amici, ma senza qualcuno che organizzi e faccia da mente al posto loro probabilmente si sfascerà. I singoli gruppetti che si possono già notare, spalmati tra quinto e quarto anno, si faranno più distanti ed evidenti, se riusciranno a non dividersi anche tra loro.
Mi siedo al mio posto, continuando a pensare che probabilmente in questa sezione Hanji dovrà fare da ponte tra due gruppi che si verranno a creare, poiché nonostante non facciano parte di quella combriccola, io resterei con Farlan e Isabel. Non riuscirei a sopportare il mio sosia e miss facilina troppo a lungo senza qualcuno che li renda meno insopportabili.
Fuori dalla porta il flusso degli studenti è lento e costante, con tutte queste restrizioni solo un paio di studenti alla volta possono entrare, facendosi misurare la temperatura all’entrata dal personale ATA. Solite regole imposte dall’”alto”.
Riesco a vedere i miei compagni attraversare l’assembramento di primini appostati davanti al cancello in attesa di un pullman che li porti in gita. Sembra tutto più tranquillo visto dalla loro prospettiva, meno stress accumulato dalla costante esposizione a un numero troppo elevato di verifiche e interrogazioni programmate. Argomenti più semplici e più tempo libero per affrontarli o pagare per delle ripetizioni ed essere seguiti anche da qualcuno che non ne ha la minima voglia, ma ha un bisogno disperato di soldi.
Salendo sul veicolo noto proprio lo scemo a cui stavo pensando, gasato insieme al suo amichetto e mia cugina per la giornata completamente regalata a cui vanno incontro. Mentre io devo restare qui a pensare ai capricci dell’altro scemo che compare appena lo sportello di chiude dietro di loro.
La chioma bionda perfettamente tirata da una parte è stavolta pettinata in modo più sbarazzino e le singole ciocche che erano fuori posto scendevano lungo la parte rasata stranamente bene. Possibile che stia trasgredendo le sue stesse regole senza essere colpito dal fulmine del karma?
Avrò modo di capire cosa è successo al suo pettine più tardi, è appena entrato un uragano in classe.
«Leeeeeviiiiii!» urla muovendosi con dei saltelli per arrivare di fronte a me e appena è abbastanza vicina per rompere qualsiasi restrizione da covid e buonsenso, urla come se fossi sordo «Buongiorno!»
Non so in quale universo parallelo lei stia vivendo l’altra metà della vita, ma probabilmente in quel magnifico posto io sono già morto. Per questo sembra che le manco tanto ogni giorno.
«Quattrocchi, fai silenzio» La sosto mettendole la mano sul viso, approfittandone per tapparle anche la bocca e non dovermi sorbire un altro urlo da quella distanza.
Ma mentre lei mugugna qualcosa sullo spostarla e il volermi chiedere come stia andando la giornata, da dietro le sue spalle riesco solo a intravedere la chioma bionda entrare nell’aula sbagliata. Sbatte quasi allo stipite della porta quello spilungone dalla faccia trasandata.
«Cosa vuole ora?»
   
 
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