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Autore: daphtrvnks_    28/09/2021    1 recensioni
La mia pelle una volta pallida, un vanto per chi viveva nel lusso, ora è scura.
L'americana continua a guardarmi, abbiamo legato in queste ultime settimane, sa che io, una stupida cinese, non posso fare molto.
Riproverò questa notte. 
Sopravviverà, ne usciremo insieme.''
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bulma, Chichi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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12 Febbraio 1943

Bulma seguiva ogni giorno di pioggia quella ragazzina di cui a malapena aveva capito il nome.

Nel loro giaciglio e durante il lavoro nei campi Mai non le rivolgeva parola, spostava il suo sguardo vacuo avanti e indietro osservando con le iridi scure ciò che la circondava. 

Analizzava e studiava, muoveva le dita sulla terra asciutta scarabocchiando linee e figure, poi le ricancellava posando il piccolo palmo della mano su ciò che aveva disegnato facendo svolazzare via la terra in una folata.

Mai non le aveva più parlato ma un tacito accordo si era creato tra le due che Chichi, ormai, aveva intuito. 

La sua curiosità e in, un certo senso, anche la vaga paura di essere abbandonata da quella che considerava ormai come un’amica si faceva sempre più vivida.

Aveva notato come l’americana osservasse la nativa, si mordeva il labbro scrutandola forse aspettandosi qualcosa da parte sua e dopo la pioggia, Bulma, svaniva. 

Quel giorno però avrebbe scoperto cosa le due stessero combinando e furtiva, dopo aver nascosto il suo diario sotto una lastra di metallo, uscì dal rifugio pedinando le due. 

L’aria umida la fece rabbrividire portandola a stringere le braccia intorno al busto storcendo il naso per il puntiglioso odore di erba bagnata e le sue gambe nude presto si riempirono di punture di zanzara che decise di ignorare nonostante il fastidioso prurito. 

Sempre dritto fino alle guardie poi a destra verso l’ufficio del tenente, lì dove aveva incontrato Goku per la prima volta. 

Quell’albero era ancora rigoglioso con le sue grandi foglie verdi e sgocciolanti, maestoso in tutta la sua grandezza. 

Alle sue spalle due figure inginocchiate tra il fango. 

Chichi si guardò prima intorno e poi, con uno scatto, le raggiunse poggiando le sue mani sulle spalle di Bulma che saltò dallo spavento con un piccolo urlo. 

Mai le tappò prontamente la bocca con le mani sporche, togliendole subito dopo e tornando a fare ciò che stava facendo. 

- Sono io, non preoccuparti. – 

Sussurrò la cinese chinandosi tra le due, con un cenno del capo Bulma sembrò darle il via ingoiando un grumolo di saliva e sentendo il sapore della terra tra le labbra. 

- È il punto più debole della recinzione, non è controllato dai soldati e il terreno è molle, ancora un po’ di pazienza e potremmo scappare da qui. – 

Confabulò mangiandosi le lettere spostando la testa di lato e sputando in modo da togliere il più possibile il fango dalla sua bocca. 

- Non avete pensato al dopo, vero? – 

Alle parole di Chichi Bulma si irrigidì mentre l’altra affondava le dita nella buca. 

Il suo piano folle era scappare e correre il più lontano possibile da quel posto, trovare un traghetto, una barca, qualsiasi cosa e tornare a casa. 

Impossibile tornare a casa, non in quelle condizioni, non in quella situazione, non in quel tempo. 

Bulma, Chichi e Mai a malapena avevano idea di ciò che oltre quell’isola accadeva nel mondo. 

Rimaste a quando il Giappone aveva intenzione di appropriarsi della base aerea nel Guadalcanal, senza sapere che gli americani avessero vinto la base, della battaglia di Stalingrado e delle vittorie dei tedeschi nel continente europeo, di come l’America cercasse di farsi paladina della giustizia volendo a tutti i costi la vittoria. 

- No.- 

12 Febbraio 1943, base americana del Guadalcanal. 

Più di una settimana era passata e Goku iniziava sempre di più a convincersi che quegli americani fossero delle bestie. 

Diavoli scesi in terra senza nessuna umanità o coscienza. 

Non vi era morale tra quei bianchi. 

Altri giapponesi erano stati i presi e le celle come si riempivano venivano svuotate sotto i loro occhi. 

Goku nonostante avesse toccato con mano la morte e dopo aver sentito più volte il suo odore non riusciva a capacitarsene, eppure, non provava paura o timore. 

Solo disgusto. 

Non era la prima volta che vedeva quel soldato da quattro soldi giocare divertito con un teschio, appartenente a un soldato giapponese, sicuramente. 

Vi era una specie di traffico di resti umani tenuti come tesoro, se ne vantavano, ridevano. 

Affermavano di odiarci fin dalle viscere e addirittura piagnucolavano intristiti quando uno dei soldati rapiti metteva fine alla propria vita in onore della dignità da giapponese. 

Meglio la morte che arrendersi. 

Ma per loro era solo un giocattolo in meno con cui divertirsi. 

La notte tutto era silenzioso e buio, i soldati andavano via e rimanevano soli, abbandonati ai loro pensieri e ai rimorsi. 

Una mosca non girava tra quelle celle e la stanchezza nel corpo del giovane prendeva sempre più il sopravvento facendolo crollare lungo la parete con la bocca spalancata, le labbra secche e spaccate. 

Vegeta dinanzi a lui, inginocchiato, tastava con le dita le sbarre fredde nel tentativo vano di trovare una via di fuga, sempre speranzoso. 

Un colpo di pistola, due, tre. 

Altri ancora a ripetizione e Goku si svegliò di soprassalto confuso, così come Vegeta si alzò in piedi poggiandosi senza forze contro il cemento. 


14 Febbraio 1943, Sumatra. 

Il giorno era arrivato, intorno alle quattro del mattino una pioggia torrenziale aveva permesso alle tre di scappare dal rifugio e correre verso il loro solito punto, tra i soldati addormentati nelle ronde notturne, l’uno sull’altro e col fucile tra le mani sul punto di cadere. 

Un equilibrio precario, un soffio e l’arma sarebbe caduta, tanto bastava perché quegli uomini si svegliassero e le vedessero sgattaiolare affondando le gambe nella terra. 

Sul punto di scivolare con le ginocchia tremanti, le tempie sudate dalla tensione. 

Nelle loro orecchie una banda di musicisti; tamburi, trombe e flauti. 

Era solo il sangue nelle vene, era solo il fiato, era solo il loro cuore. 

Eppure non ne erano totalmente sicure.

Uno di quegli uccelli tropicali gracchiò e Chichi saltò un battito dallo spavento, annaspando. 

La mano di Bulma afferrò la sua tirandola oltre i soldati e velocemente arrivarono oltre l’albero. 

Mai fu la prima ad arrivare, tolse velocemente i rami e le foglie che facevano da nascondiglio e lentamente scivolò nella buca. 

Si aiutò con le braccia facendo attenzione a non toccare la recinzione e in un attimo fu fuori. 

Bulma venne presa dall’eccitazione. 

L’adrenalina partì come una scarica da sotto le unghie percorrendo il suo corpo tremolante. 

Si abbassò nella buca, infilò la testa e i suoi capelli azzurrini si incastrarono nella recinzione. 

Strinse gli occhi serrando le labbra per evitare un lamento, era più grande di Mai di corportatura e non le era passato per la mente che per lei sarebbe stato più complicato. 

Fece forza nelle braccia e oltre il gomito i fili in ferro graffiarono la sua pelle leggermente arrossata dal sole.

Non un fiato, non un sospiro. 

Le guance gonfie. 

Ancora uno sforzo. 

Chichi la guardava trepidante attendendo il suo turno; sotto la veste il diario e all’interno di questo gli ultimi doni da portare al marito della tedesca a cui aveva fatto una promessa sul letto di morte. 

Mai tirò Bulma per le braccia e finalmente fu fuori. 

La corvina voltò le spalle con ansia dando una breve occhiata alla situazione. 

Nessuno nei paraggi e finalmente fu il suo turno. 

Prima la testa nella buca, i capelli ormai lunghi fecero la stessa fine di Bulma, dovette digrignare i denti e farsi forza con le braccia ma qualcosa le afferrò le caviglie tirandola indietro facendole sfregare la guancia destra contro la terra. 

Dimenò un urlo e quando riaprì le palpebre oltre la recinzione Bulma e Mai non c’erano più. 





  
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