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Autore: Evil Daughter    30/09/2021    5 recensioni
Oltre ad essere rozza sei priva di delicatezza.
Pensò Vegeta. Dedicandole l’accusa.
Piegò le labbra in giù, fece maggiore pressione e l’ago schizzò fuori portandosi dietro una scia di sangue annacquato.
Ripensò al ricovero in ospedale, rimembrava ogni particolare; almeno da quando aveva riaperto gli occhi. Alcuni dettagli li avrebbe cancellati volentieri. Altri no, sedimentavano. Lo mettevano davanti a diversi interrogativi. Lei lo aveva salvato.
E sai come sprecare il tuo tempo.
Un pensiero ancora rivolto a lei.
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Vegeta? Un folle omicida. Ma Bulma lo sa bene: mai fermarsi a giudicare unicamente la coda del mostro.
La belva deve essere sempre osservata nella sua interezza.
Periodo trattato: triennio antecedente ai cyborg.
INIZIO RELAZIONE TRA BULMA E VEGETA. STORIA ILLUSTRATA.
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Nuovo capitolo, 18: PROGENIE SEGRETA SOTTO LAMPI DI GUERRA.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Dr. Gelo, Vegeta, Yamcha | Coppie: Bulma/Vegeta, Bulma/Yamcha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'ARANCE MARCE: Bulma e Vegeta, sbagliati e quindi veri.'
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Capitolo XVIII - Progenie segreta sotto lampi di guerra.

 

 

Ne prese uno per capire, il secondo per sbagliare, un altro per il verdetto, il quarto per confermarlo. Con il quinto ed il sesto aderiva doppiamente all’offerta: paghi due, prendi tre. Li gettò nel cestino verde della spesa, stando attenta a non essere vista. Si preoccupò di coprirli con dei pomodori, una vaschetta di pollo macellato, delle lattine di qualcosa con molta caffeina e tre paia di collant a vita alta color daino che non avrebbe mai indossato. Così, non c’era modo di vederli per chiunque provasse a buttare un occhio fra i suoi prossimi acquisti. Ovviamente, a nessuno fregava di lei.
Erano le venti e cinque minuti, lo segnava l’orologio al polso. La signora Brief aveva certamente preparato la cena, apparecchiato la tavola per quattro anche se ci si riuniva in tre.
Nella sua borsa, tra i vari oggetti, c’era un cofanetto d’oro. E nel cestino della spesa...
La chiusura del supermercato era prevista per le ventuno. Aveva un’ora scarsa prima di arrivare alle casse e finirla di continuare a perdere tempo. Bulma si mosse per un altro giretto nel reparto dei parafarmaci. Si accorse di aver esaurito gli ultimi articoli di quel prodotto in offerta. C’era un vuoto tra i cerotti e le bende adesive per gli occhi. Era lo stesso spazio formatosi nei suoi pensieri, quello che non le aveva permesso di tornare immediatamente a casa dopo aver ottenuto ciò che voleva e di cui doveva presto liberarsi, una volta per tutte; si trattava di una seconda questione, in attesa di essere affrontata. E lei voleva iniziare a risolvere questa e l’altra in una sola giornata, ormai finita.

Dagli altoparlanti, una voce avvisò la clientela che il supermercato stava per chiudere e invitava i presenti ad affrettarsi e recarsi alle casse. Bulma scelse quella veloce, passò rapidamente gli articoli e li sistemò in due buste separate: quelli dell’offerta tutti in un’unico sacchetto, il resto a parte. Dietro di lei, una signora anziana la stava osservando insistente.
«Sono per una mia amica!», sbottò imbarazzata. Ma la vecchietta le sorrise con l’aria di chi aveva capito. Bulma fece una linguaccia e si sbrigò ad uscire.

Le possibilità le aveva considerate e scartate dalla prima all’ultima: era tardi per fare una telefonata, incontrarsi e credere di poter tornare a casa sulle proprie gambe e non in pezzi dentro un sacchetto. A causa della sua indecisione, restituire l’anello finì nella lista degli impegni per i giorni a venire.
Lo terrò ancora per un po’ , nessuno lo vedrà,  intanto avrò tempo per essere sicura se io, anzi, se noi...
Rimuginava su quale tra le due incombenze avesse la precedenza e se chiarire una modificava l’atteggiamento da prendere nei confronti dell’altra.

Lungo la strada negozi chiusi, ristoranti e pub erano gli unici ad animare l’atmosfera. West City non si assopiva mai completamente. La sfiorò l’idea di fermarsi per un drink, avrebbe prolungato la sua passeggiata lontano dalla Capsule Corporation. Sì, una birra l’avrebbe aiutata a rassettare le emozioni. Stava per scegliere il locale in cui entrare, gliene serviva uno che offriva anche hamburger saporiti, aveva fame. Invece, desistette: perché una sensazione, di troppa vicinanza, di colluttazione qualora avesse mancato un passo, la spinse subito all’angolo del terrore. Dietro di lei... qualcuno la stava seguendo. Non si mise a correre, continuò a mantenere l’andatura. Si trovava nella zona centrale della città, solitamente la più affollata, gridare avrebbe fatto scappare chiunque. Cercò piuttosto di vedere il riflesso di costui, o costei, rivelarsi sulle vetrine dei negozi vicini alla sua sinistra.
Inutile.
Decise di voltarsi.

E...


Non c’era nessuno.


L’unica forma a muoversi era la sua immagine. Si soffermò su quella riflessa dal finestrino di un’auto parcheggiata. Un alito di vento le agitò l’acconciatura. Lei si avvicinò alla macchina. Lasciò le buste a terra accorgendosi di un ciuffo scappato alla piega. Andava sistemato.
Con entrambe le mani libere, Bulma spostò la ciocca ravviandola nella fascia che le teneva in piedi la cotonatura. Le piacevano i ricci, non li aveva mai avuti prima, i capelli però erano cresciuti e stavano diventando indomabili. Avrebbe preso un appuntamento dal parrucchiere appena possibile. Segnò anche questo nella propria agenda mentale. Da infilare a cavallo fra le due “urgenze”.

Si guardò di nuovo intorno: stranamente neanche un passante, la movida era tutta sul marciapiede opposto. Ma la sensazione no, era lì, con lei. Stantia, immutata. Pesante come una forte pressione che calava dall’alto.
Era uno di quei momenti in cui avrebbe voluto possedere la stessa capacità dei suoi amici, di avvertire chiunque senza vederlo scovandone semplicemente l’aura.
Invece no: lei era una semplice donna e oltre al sesto senso, che a volte funzionava e altre no, non aveva altre difese.

Sono solo eccessivamente preoccupata per questo maledetto anello.

Solo? Non essere ipocrita, hai svuotato un supermercato.

Si chinò per riprendere le buste. Vide la sua ombra proiettata sul marciapiede... Ok, i suoi capelli erano cresciuti, tanto, ma la sua ombra era... enorme! Doppia, non sua! Si allungava, si muoveva, sopra di lei e stava... stava per... 
Bulma si coprì la testa accucciandosi a terra. Sarebbe stata colpita. Interminabili secondi passarono in attesa del dolore e...

Ancora nulla.

Aprì gli occhi, davanti, dietro di lei nessuno. Poi, alzò lo sguardo: non poteva crederci, c’era davvero qualcosa!
Oltre le luci dei lampioni e delle insegne luminose, nel buio, la scienziata intravide una forma scura, una figura... umana, stava allontanandosi sopra i grattacieli. Più su, fino a sparire.

La perse di vista.

Non me lo sono immaginato!

Poteva azzardare e spingersi a credere di aver scorto una persona, qualcuno molto alto e di mole robusta. Ed era scomparso volando. Non poteva essere un normale terrestre. Ma chi, sennò?

Uno schiamazzo in fondo alla strada la convinse a tornare a casa; le mancava di incontrare gente ubriaca. E pensare che, fino ad un attimo prima, voleva fermarsi per una birra. Colpa di Vegeta: da quando aveva iniziato una liaison con lui, la soglia del rischio le era vertiginosamente crollata. Raccattò in fretta gli acquisti e a passo svelto, molto svelto, arrivò al cortile della Capsule Corporation in meno di un quarto d’ora.

Non ebbe il coraggio di voltarsi indietro. Passato il badge, entrò in casa e raggiunse l’appartamento con la tensione attaccata alle gambe.

Qualsiasi cosa l’avesse seguita, lei adesso era al sicuro.

 

«Ehilà, sono tornata!»
Nella sala da pranzo trovò entrambi i genitori, stavano mangiando un dolce mentre guardavano un film in tv.
«Bulma, sei riuscita a restituire l’anello?»
«Sì, mamma, non ti preoccupare – si liberò dello spolverino e della borsa e si avvicinò ai suoi – Bravi, siete già al dessert.»
«Scusaci, non ti abbiamo aspettata perché pensavamo fossi andata a cena fuori con Vegeta.»
«Non dire stupidaggini! Sai che ha ripreso ad allenarsi ed ora è molto impegnato.», dando un’occhiata alla cucina, Bulma vide piatti coperti per due persone. Anche Vegeta aveva saltato la cena.
«Dai cara, siediti con noi, tua madre ha fatto la torta al cioccolato con le fragole, ne vuoi un po’?»
«Ti ringrazio dell’invito papà, ma vorrei evitare di iniziare la cena dal dolce.»
«Come vuoi. Però è buona.»
«Non lo metto in dubbio!»
«Vedo che hai fatto compere, tesoro!», notò sua madre.
«Niente che ti riguardi.», rispose lei acida, nascondendo le buste dietro di sé. Poi, si chiuse in cucina scappando dalla mamma impicciona.


Bulma sistemò la spesa nel frigorifero, tranne ovviamente i collant e l’altro sacchetto con i prodotti segreti. Aver parlato con suoi genitori le aveva abbassato l’asticella dell’ansia, tuttavia, qualcuno l’aveva seguita e non riusciva a capacitarsi di chi poteva essere stato. Guardò fuori dalla finestra: la solita calma nel cortile ordinato. Chiunque ci avesse provato, non aveva osato farlo oltre il perimetro della CC. Glielo suggeriva il suo sesto senso.
Ragionò sull’identità del sospetto: no, Vegeta era il primo da escludere. Yamcha... improbabile ma non impossibile. E dopo, chi altri rimaneva? Solo i suoi amici erano in grado di levitare, anche quel musone di Piccolo non così amico. Ma perché avrebbero dovuto seguirla e spaventarla? E nascondersi. E poi con quali intenzioni?! 
Le passò per la testa il primario dell’ospedale, l’unico individuo pericoloso che aveva provato a farle del male e che poteva avercela con lei... Però, il dottore non le era sembrato un tipo abile, insomma, uno che poteva comportarsi come un ninja. E inoltre, che fine aveva fatto?
Dall’ospedale non aveva ricevuto più notizie e, a sua volta, non si era degnata di ricontattare l’infermiere e ringraziarlo.
Difficile scoprire il mistero. Avrebbe continuato a pensarci su fino ad impazzire, ma una fitta allo stomaco la obbligò a lasciar perdere. Doveva occuparsi della fame. Si sentiva improvvisamente allo stremo delle forze. Troppo stress, e le erano rimasti in gola birra e hamburger.

Si accontentò del polpettone agli spinaci da scaldare nel microonde. Quattro minuti e la pietanza uscì fumante e appetitosa. Con altrettanto poco tempo lei la divorò senza lasciare una briciola. Eppure, non era sazia, c’era ancora spazio nel suo pancino. Mangiò anche la porzione di Vegeta; non fu abbastanza lo stesso.
«Che diavolo mi succede?», aveva ragione di chiederselo, perché il suo corpo stava reclamando altro cibo, tanto cibo.
Aprì il frigo, si avventò su una mela. Arrivata al torsolo, passò ad una scatola intera di alici marinate. Mischiò i sapori, perdendo totalmente il senso del gusto. Il suo stomaco era diventato una voragine da riempire. Non le era mai successo di avere un simile appetito. S’attaccò pure ai salumi e ad un formaggio puzzolente che piaceva a suo padre e che lei detestava. Lo prese a morsi, ingoiò pure la crosta.
Dopo il pesce crudo, Bulma era pronta a fare festa alla torta. Cioccolato, fragole intere; sua madre aveva esagerato con le dimensioni: ne aveva sfornata una alta una trentina di centimetri, ripiena di marmellata densa fra otto strati di cacao fondente, al latte e cioccolato bianco. Quella avrebbe messo in ginocchio qualsiasi buona intenzione e fatto suicidare il contegno. Bulma ci infilò direttamente il dito, affogandolo nel dolce. Colta un po’ di torta, si portò alla bocca il cioccolato morbido mischiato alla marmellata in pezzi. 
Era squisita! Era gioia da assaporare!
Ne tagliò una fetta tanta da riempirci un piatto fondo. Una fetta che comprendeva almeno sei, sette porzioni. Non aveva iniziato dal dessert
, ma con quella cominciava una terza cena.
Prese anche del succo al mirtillo.
Stava per andarsene, quando ricordò di aver dimenticato quel sacchetto della spesa. Mangiare la distraeva, ma più masticava e ingoiava cibo, più sentiva il proprio corpo produrre un’insolita e indescrivibile vampata di piacere e rilassatezza. Di calore nelle viscere e felicità da inumidirle gli occhi. 
Portò tutto nella sua camera, avrebbe continuato ad ingozzarsi là.


Entrò nella stanza al buio; ne conosceva il perimetro, lo spazio occupato da ogni mobile, e arrivò quasi a posare il piatto sul comodino accanto al letto.
Accese l’abat-jour. 
Tic.
Morì di infarto.
Non era sola.
Vegeta, davanti a lei, se ne stava appoggiato alla scrivania e teneva le braccia incrociate. La guardava irritato. Bulma urlò, rischiando di buttare a terra il piatto con la torta golosa. Il sacchetto invece ciondolava appeso ad un suo braccio e la borsa con l’anello era rimasta fortunatamente sull’appendiabiti dell’ingresso.
«Così prima o poi mi farai crepare!»
«Non esagerare. È da molto che ti sto aspettando, dove sei stata?», la rimproverò lui.
Addirittura?
C’era da chiedersi invece da dove sbucasse tanto pretenzioso interesse.
«Vegeta, questo non è normale! Ti trovo qui, in silenzio, al buio, a fare il fantasma nella mia camera! Dopo un mese che non ti fai più vedere!»
«È nella seconda parte della tua lagna che mi stai accusando, vero? Perché non mi sei mai sembrata triste o dispiaciuta di trovarmi, specie in questa stanza.»
Bulma sbuffò, aveva ragione lui. E parlare di normalità con Vegeta sapeva di barzelletta inutile.
Ciò non toglieva che l’aveva comunque terrorizzata, trascurata per trenta giorni. Erano tanti.
«Non mi sarei spaventata se tu fossi stato... Più presente.», civettò fanatica in contrapposizione con la porzione di torta mastodontica che avrebbe dovuto farla vergognare.
«E quella? Tutta per te?», appunto. Se n’era accorto, Bulma diventò rossa, «Sì e non deve interessarti.»
«Infatti non me ne frega nulla.»
Bulma la addentò per dispetto. Non offrì assaggi, la torta era sua. 
«Perché mi stavi aspettando? – avrebbe voluto chiedergli perché si fosse tenuto lontano da lei, ma intuiva da sola la risposta: iniziava con Super, proseguiva con Io il Principe e terminava con Saiyan che se non la sapeva lunga non poteva raccontarla – Problemi nella tua gravity room?»
«No. È incredibilmente resistente, più di quel che immaginavo... », lei però continuava a mangiare incurante del rumore che produceva il suo ghiotto ruminare, badando poco alle parole di Vegeta. Sì, un altro paio di forchettate e si aggiudicava la vittoria nel match contro il dolce.
Però una simile voracità non aveva nulla di terrestre. Se ne rese conto pure il saiyan: «Avevi fame... », osservò. Bulma guardò il piatto: erano rimaste le fragole, tenute per ultime in quanto sue preferite. Ma la fetta composta da otto strati di piacere di zucchero, tutto scomparso rapidamente nel suo stomaco.
«Era la mia cena.», rispose innocente.
«Capisco.»
Chiedigli se è stato lui!
Suggerì in fretta la coscienza.
Ti ha seguita e quando tu te ne sei accorta se ne è andato. Ecco perché ti aspettava qui.
E perché l’avrebbe fatto? Non ha senso. Io ho visto qualcuno molto... molto più alto.
Si creò una pausa tra loro; Vegeta, sempre a braccia conserte, guardava altrove continuando a non rivelare il perché della sua visita. Poi, un oggetto calamitò la sua attenzione. Bulma vide il saiyan muoversi e fermarsi a prenderlo da sopra una mensola.
«Questo l’ho già visto.», esclamò lui.
La scienziata si girò per guardare meglio cosa egli avesse trovato, «Stai tenendo fra le mani il dragon radar», spiegò.
Vegeta stese le labbra in un sorriso sghembo: su Namecc non si era sbagliato, il figlio di Kakaroth l’aveva fregato, quell’aggeggio era davvero un radar cerca sfere.
«E tu lasci un oggetto simile in un posto incustodito?»
Derisorio, ma soprattutto polemico! A Bulma mancava questa parte di lui.
«Non è un posto incustodito, è la mia camera. Sei tu che ti prendi la libertà di entrare.»
«Non essere sciocca, un aggeggio del genere farebbe gola a chiunque, meriterebbe un posto migliore.»
«Siamo in pochi a sapere delle sfere magiche.»
«Scherzi? Io sono la prova vivente che la voce si è sparsa un po’ oltre il pianeta Terra. Dovresti stare attenta, Bulma!», continuava ad esprimersi con durezza; ma le parole appena dette suonarono a lei come una calda protezione.
Diglielo che qualcuno ha provato a seguirti!
«Sei preoccupato per me?»
«No, affatto. Mi importa che nessuno si azzardi ad ottenere l’immortalità.»
Ci ho creduto troppo facilmente.
«Sai, avevo sedici anni quando lo creai, dopo aver trovato per caso una delle sfere... »
«Mpf, il gioco di una ragazzina... – e così lei era anche l’inventore di quel marchingegno, Vegeta non se ne stupì – Che però ha portato te e i terrestri ad avere parecchi guai.», commentò.
«Guai? No, non li chiamerei guai, ce la siamo sempre cavata grazie alle sfere del drago e in qualche modo... tutto questo mi ha portata ad incontrare te.»
Bulma condì le fusa con due occhi bellissimi e rassicuranti come il mare di una baia sgombra ed accogliente. Vegeta non li voleva. Pure se tuffarsi in quelle acque calme continuava ad essere gradevole, fin troppo gradevole per uno come lui. Le restituì il radar: «Ti consiglio di nasconderlo bene.»
«Te ne vai di nuovo?»
«Ero venuto per un motivo preciso, non per chiacchierare con te.»
«Be’, allora che aspetti? Di’, sono tutta orecchie!»
«Sapresti riprodurre la mia divisa da combattimento?»
«La tua divisa? Quella che avevi quando sei venuto sulla Terra?»
«Esatto. Non combatterò mai indossando abiti terrestri, non sono adeguati, sufficientemente resistenti. E soprattutto, io sono un saiyan, voglio che questa differenza rimanga.», si espresse limpido, perentorio, viziato. Una vena pulsante stava percorrendogli la tempia, lo sguardo era concentrato. Fremeva per la risposta e non avrebbe tollerato dinieghi.
 Le aveva fatto una precipua richiesta, la sola di cui veramente gli importava, e l’aveva fatta a lei, non al dott. Brief. Bulma se ne sentì lusingata. La scienziata colse l’occasione: «Ho capito. Anche se adesso vivi qui e non vuoi distruggere la Terra, si dovrà comunque continuare a temere il principe dei saiyan, giusto?», voleva comprendere i suoi futuri intenti e tastare quel terreno di cui non conosceva solidità. Ce ne voleva uno compatto per sostenere le probabili buone nuove in arrivo. Ma Vegeta, purtroppo, rappresentava il sisma e non la casa.
Lui le concedette l’assenso del proprio silenzio. Poco, per trarne una conclusione positiva.
E mi chiedo se il tuo orgoglio stia guarendo dalle ferite.
«D’accordo. Hai ancora quella danneggiata che indossavi su Namecc?»
«Sì.»
«Ottimo! Studiando le materie che la compongono potrò sicuramente accontentare la tua richiesta.»
«Ne sei certa?»
«Ti ho mai dato motivo per dubitare di me? Dovresti aver capito che quando si tratta di invenzioni non mi pongo alcun limite, proprio come te nella gravity room.»
Gli sorrise. Lui sostenne il suo sguardo, il mare profondo.
«Ad una condizione però.», soggiunse lei.
«Non accetto condizioni.»
«Stavolta lo farai. Perché io realizzerò per te una nuova armatura da combattimento, a patto che tu non- tu... – uno spasmo assurdo le strizzò lo stomaco –  Tu non- Non- Ah!»
Bulma sentì la bocca riempirsi di saliva e disgusto. Il piatto di torta sbranata era lì, sul comodino, vicino ma lontano dal suo naso, eppure l’odore delle fragole che aveva lasciato le sembrò divenire denso, insopportabile, marcio, un puzzo che picchiava e ostruiva la gola.
Non qui, non adesso!
Si alzò di corsa. Cadde il piatto, la moquette lo salvò dal rompersi. Le fragole rotolarono via. Lei andò diretta in bagno, arrivò in tempo per espellere quello che indiscriminatamente aveva ingurgitato.
Vegeta non mosse un dito, rimase come incantato.
Non era terrestre. Non era stata fame terrestre.
Un altro conato la sconquassò, nessuna mano venne in soccorso per tenerle la fronte e i capelli da tagliare. In ginocchio, scossa dai tremori e dagli spasmi muscolari che le scavavano il torace, Bulma si voltò appena per vedere se lui fosse ancora lì. Vegeta c’era ma si teneva a distanza, appoggiato al piedritto d’ingresso del bagno. Perché distante doveva essere il suo posto in quella situazione.
Tirò lo sciacquone una terza volta. Calmatasi, si asciugò la bocca con la carta igienica. Aveva la gola in fiamme e sentiva i succhi gastrici pizzicarle il naso.
«Avevi ragione tu, quella torta era troppa solo per me
... Mi sento uno schifo.», era uno schifo bugiardo, che non poteva più nascondersi. E quello non era l’esito di un improvviso disturbo alimentare.
Vegeta però non la stava seguendo, osservava altro adesso. Bulma intercettò la direzione dei suoi occhi, dello sguardo precipitato sulla moquette e che da lì più non si rialzava. La scienziata ne comprese presto il motivo: dovevano esserle caduti  durante la corsa per salvare il salvabile. Lui li guardava fisso. Sta leggendo. Il sacchetto della spesa era sul pavimento, i test di gravidanza comprati al supermercato pure. Lui a braccia chiuse, la bocca serrata e la coscienza che ingoiava consapevolezze. Perché non dice nulla? «Vegeta?» Granitico era il volto e affilato lo sguardo. Vano tentare di riavere la sua attenzione. Dimmi qualcosa, ti prego... 

«Fatti visitare da un medico.»

Non aggiunse altro, gli accordi per la battle suit dimenticati. Le diede le spalle e prese le distanze da tutto ciò che in quella camera voleva braccarlo. Naturalmente braccarlo, lo sapeva.
Bulma aspettò di sentire il rumore della porta della stanza accanto richiudersi, lo sperava. Non arrivò.
Girandosi verso la finestra, vide nel buio una fredda vampata luminosa esplodere e andare lontano. Dissolversi in una sottile scia bianca.


Un esercito di lacrime, dopo averla mitragliata, marciò via dai suoi occhi.

 

 

~ ~ ~

 

 

La sveglia trillò alle cinque e quarantanove del mattino, così come l’aveva memorizzata.
Bulma si alzò, a tentoni arrivò nel bagno della sua camera dove pigiò l’interruttore della luce. Il bastoncino, anzi i bastoncini, preparati ore prima, la aspettavano tutti in fila sul bordo del lavabo. Erano sei.
Si ricordò che era possibile raccogliere le urine in un contenitore ed immergere gli stick successivamente per i secondi che servivano. Ma non lo aveva. Come aveva potuto dimenticarsene? Andò per le spicce, stando attenta a non sporcarsi nonostante il sonno. E con estremo pazzesco controllo della vescica, riuscì ad usarne tre.
Attese il tempo necessario.
La sua faccia era uno straccio sbattuto. Non aveva avuto il coraggio di ingurgitare più nulla; ora, moriva di fame. 
Roteò il piede, i
l pavimento era freddo e sentiva le gambe anchilosarsi.
Finalmente, la lancetta dell’orologio abbatté il traguardo. Contò: «Due, quattro, sei...», sapeva come funzionavano certi test, eppure, andò lo stesso a leggere il bugiardino della confezione: «Due linee uguale incinta.»
Gli stick erano tre, le linee sei. La vita imperava e glielo stava dicendo tre volte.
Adesso non far finta che non te lo aspettavi!
Se lo aspettava. Era stato per confermare una certezza, ma averla sotto agli occhi per la prima volta le faceva tremare il cuore. Era un’allegra eufonia di emozioni, c’era l’euforia del cambiamento, il bisogno di gridare, la paura che aguzzava i sensi, e guardarsi allo specchio diventava un’esperienza nuova. Si sentiva forte, piccola dinamite, improvvisamente sveglia e viva per due, ogni cosa intorno a lei vibrava. Si sarebbe messa seduta stante a colorare una parete di celeste pastello sfogando la sua gioia. Doveva dirlo, dirlo subito. Ora poteva.
Uscì dal bagno, dalla sua camera e si precipitò in quella a fianco col viso di una ragazzina... che aveva dimenticato cosa l'avesse fatta piangere.
«Vegeta, ho una notizia!», ce l’aveva dalla sera prima «Vegeta!», era felice, felicissima. Il suo amore contorto, malgiudicato, aveva creato la vita. Vegeta non era un folle omicida, era un padre, lo avrebbe dimostrato al mondo intero. Ne portava in grembo la prova: era rimasta incinta di lui senza che le fosse stato torto un capello. Era l'evidenza vivente che nel saiyan v'era traccia di umanità, sentimenti, tenerezza.
«Vegeta... » lo chiamò.
La sua voce finì risucchiata. La stanza era vuota.  Nessuno le rispose.
Giusto. Lui se ne era andato e dalle condizioni intonse del letto si capiva che non aveva fatto ritorno.


«Nostro figlio... Aspetto...  nostro figlio.» ripeté fra sé, domandandosi poi se anche lei fosse realmente così contenta di quel cambiamemento... perché l'euforia stava diradandosi assorbita dall'assenza del saiyan.

 

Continua...

Note: scusate per il ritardo con il quale vengo a pubblicare questo capitolo. Mi spiace molto anche continuare a disertare gli appuntamenti settimanali con le vostre di storie. Ma ahimè non arrivo a dama. Recupererò. Non lo giuro. Lo faccio.
Passando al capitolo, suvvia Bulma, sei troppo nervosa paranoica anche quando sai benissimo che sei incinta! Ma lei è stranina, ce la vedo a comportarsi guardinga. E l’appetito da lupi? Approfondirò il tema più avanti, però mi piace pensare che rimanere in cinta di un saiyan accentui tutto, la fame, la percezione degli odori, le nausee, ci può stare. Rende il momento della gravidanza “divertente”. Non a caso in Chiedete e vi sarà dato. Ottenete e vi sarà tolto. Bulma mangia molto, ma tenta di nasconderlo. Fragole e cioccolato citazione alla suddetta. ;)
Vi è piaciuto lo scambio che ha avuto con Vegeta? Io mi sono sempre immaginata un dialogo simile tra loro, sul radar cerca sfere e le sfere del drago. Volevo che si sentisse un po’ la confidenza, ormai sti’ due ce l’hanno. E Vegeta polemico su questioni di "sicurezza" è qualcosa di già sentito in DBS-Broly. Se ci stavate pensando è così.
Per la battle suit, ho voluto fosse lui a chiederla, il che ha un significato potente. Tutto nella mia testa!
E siamo giunti alla notizia dell’arrivo di Trunks, come vi è sembrata la reazione di Vegeta? Cioè, lui se ne è andato ancor prima di sapere, così intanto comincia ad abituarsi all’idea. Va’! Quindi, vi dico che ci sarà anche il momento della dichiarazione vera e propria. ^^ E tornando all’inizio, qualcuno stava seguendo Bulma. Presto si tornerà ad avere a che fare direttamente con l’ospedale.

Vi ringrazio per essere giunti sin qui. Spero restiate, siamo quasi alla fine, quasi, non perdetevela!

Grazie a voi tutti che mi scrivete o mi seguite in silenzio.

 

Per i curiosi vi linko altre storie che se siete fan di Vegeta e Bulma vi farà piacere leggere:

MINI LONG SU VEGETA E BULMA:
Durante una festa, Bulma esprime un desiderio. Il Dio Drago la ascolta e poco importa se lei non intendeva sul serio le proprie parole, lui obbedisce.
-------------------
Ultimo capitolo pubblicato: 7. NESSUNO TOCCHI LA REGINA. (illustrazione di apertura all'ultimo capitolo: FASTIDIOSA per i fan di Bulma, di Radish, di Vegeta, il capitolo stesso è insopportabile, ve lo sconsiglio.) / Storia illustrata/ PG che aggiungo qui oltre a quelli giù segnalati: Dodoria, Freezer.

Cell è già un brutto ricordo. Ma Kakaroth è morto. Vegeta torna alla Capsule Corporation inutile e sconfitto. 
Titolo e brano di accompagnamento dei CCCP.
Buona lettura.

Transustanziazione. Se non, amare.
Fresco di battaglia contro l'inferno tinto di rosa, Vegeta torna sulla Terra. Dove dovrà affrontare Bulma e soprattutto se stesso. 
Per cuori teneri e putridi come il mio. 
Attenzione: c'è un alto tasso di zuccheri che incontrerete nel leggerla.

Aporetico EgoTismo
Una OS? No, un pugno allo stomaco. Dal Principe dei Saiyan aspettatevelo, non sarà piacevole.

GLI ALIENI... NON ESISTONO.
Più la nascondi, più la verità torna a galla. Come un cadavere.
Il piccolo Trunks scoprirà qualcosa che il suo papà non potrà più nascondere. 
Dal testo:"Si misero entrambi a ridere, brillavano gli occhi a tutti e due. Di fantasia, di ludico e puerile. 
Ma quando il vento cessò, abbassando le polveri, e i toni della terra si rivelarono essere più chiari e diversi rispetto a ciò che malamente inumavano; poco lontano da loro e dal cratere camuffato di verde spoglio, un misero dettaglio – qualcosa di forma strana, quindi aliena come aveva detto Trunks – apparì."

 

   
 
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