Anime & Manga > Mo Dao Zu Shi
Ricorda la storia  |      
Autore: EleonoraParker    01/10/2021    0 recensioni
Fa male.
Urla, lo grida a quel cielo ormai grigio e vuoto, il male che fa. La supplica di smettere.
Lei esita un istante, ma non si ferma. Non può, non deve. Le ha fatto promettere che non l'avrebbe fatto: sapeva che avrebbe fatto male; sapeva che avrebbe urlato e supplicato affinché finisse.
Lo ha sempre fatto in silenzio, per tutta la vita, per ogni dolore, per ogni ferita e punizione, per paura folle di essere allontanato, nuovamente abbandonato per la sua debolezza, ma non ha mai provato un dolore come questo.
Fa male da sempre, anche se é iniziato solo da poco. Farà male per sempre, anche se finirà.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Wei Ying/Wei WuXian
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I was broken from a young age

Taking my sulking to the masses

Writing my poems for the few

That look at me, took to me, shook to me, feeling me

Singing from heartache from the pain

Taking my message from the veins

Speaking my lesson from the brain

Seeing the beauty through the pain.


Fa male. 

Urla, lo grida a quel cielo ormai grigio e vuoto, il male che fa. La supplica di smettere. 
Lei esita un istante, ma non si ferma. Non può, non deve. Le ha fatto promettere che non l'avrebbe fatto: sapeva che avrebbe fatto male; sapeva che avrebbe urlato e supplicato affinché finisse. 

Lo ha sempre fatto in silenzio, per tutta la vita, per ogni dolore, per ogni ferita e punizione, per paura folle di essere allontanato, nuovamente abbandonato per la sua debolezza, ma non ha mai provato un dolore come questo. 

Un dolore cosi grande da spezzare il cielo, e nello spacco di nero vuoto dividere l'universo in due, una parte appartenente al passato, una al presente, sperando che al futuro non appartenga solo quell'immenso, incolmabile vuoto, che ha già inghiottito tutto ciò che era rimasto. 

Dove é finita, la giovinezza? 

Le risate, l'implacabile gioia, il vispo spirito. 

Dove, le liti, i risolvibili problemi, le riappacificazioni? 

Dove sono finiti tutti? Cadaveri esangui sul pavimento. 

Rimasti in pochi, i superstiti, soli, come naufraghi alla deriva, mani inesperte a tenere il timone nella tempesta, su una nave allagata, cadente, distrutta, spezzato ogni remo e strappata ogni vela.

Dove, come é potuto finire quel piacevole sogno chiamato famiglia, cosí meraviglioso da non poter sembrare altro che un'illusione, all'inizio, un'impossibile, sperata e sognata, realtà? 

Dove é finito lui, erba nei pugni, rocce contro la schiena, e l'indolente cielo come unico testimone? 

Fa male. Fa male da sempre, anche se é iniziato solo da poco. Farà male per sempre, anche se finirà. 

E finirà, non sa se bene o male, ma sa che finirà, prima o poi. 

É ancora giovane, non può che credere che il dolore, prima o poi, finisca. 

E forse é cosi, o forse non lo é del tutto, ma lui può solo sperare che avvenga il prima possibile, che almeno quel dolore, possa finire.

Anche se sa che, se sopravviverà, esso gli lascerà un vuoto profondo ed incolmabile, qualcosa di incomparabile, ed inspiegabile, perché lo ha desiderato, in fondo, lo sta desiderando, e non potrà che continuare a desiderarlo, poi, per quanto faccia e farà male. 

Perché, anche se é ancora giovane, sa che c'é un male peggiore di quello. 

Un male da cui non si può trovar sollievo, un male che, al posto del corpo, brucia l'anima, il male di gocce di pioggia roventi sul viso, negli occhi che non possono più vedere le stelle, a fondersi con le loro lacrime, ad annullare, per una notte, il coraggio della forza che ha promesso, che ancora egli stesso cerca, che ancora nonostante tutto ostenta. 

Quel male, no, non lo dimenticherà. 

Può sopportare la fame e la sete, tagli, ustioni e fratture, persino quello, quello che gli stanno facendo, quello che lui ha chiesto loro di fargli, ma non può sopportare lo sguardo accusatore e la remota consapevolezza, l'inguaribile paura, che dopotutto loro avessero ragione. 

Che sia stata sua, la colpa. 

E non può sopportare neanche di vedere altre lacrime sul di lei viso, cosí bello, cosí dolce, quel sorriso che sa dargli forza anche ora, che sa cristallizzarsi dietro le sue palpebre persino adesso, che da ore non riesce a vedere neppure il cielo. Non può sopportare altro dolore nella sua vita, dopo che lei gli ha dato tutto, e tutto ancora gli ha chiesto, tutto il possibile, tutto ciò che lui stesso desidera, e lo meriterebbe lei, quel tutto, quell'amore, quel qualcosa di superiore a tutti loro. Meriterebbe ciò che non esiste e ancora non sarebbe abbastanza. 

Non può farlo, non può sopportarlo, non lo farà. 

E forse non sarà abbastanza, ma sarà qualcosa, e lo lascerà vivere almeno per un po'. 

Ed é ridicolo -pensa in un barlume di folle lucidità- ridicolo davvero, come ogni atto d'altruismo possa in realtà contenere una tale quantità di egoismo. 

Fa quasi paura ma non ha importanza, non più. 

Forse, quello che sta facendo, quel dolore immenso ed inesprimibile che sta provando, che si libera verso il grigio, evanescente soffitto su di lui ogni volta che il labbro, le guance o la lingua, ormai sanguinanti, sfuggono dalla presa ferrea dei suoi denti, potrà calmare tutta quella sofferenza. Perché é dolore, si, ma é dolore cercato, utile, motivato. Non é sangue che scorre sul campo fin troppo bagnato, non sono urla in fuga, consapevoli della loro vanità, non sono membra, quasi trofei, esposti al caldo vento del sole. 

É dolore provato per un singolo sorriso, per una singola carezza, per un solo sguardo che sia ancora quello di un tempo, per non cadere nella cruda realtà di aver perso ormai tutto, di quel tempo. 

Ed é l'unico modo che conosce, per ottenerlo. 

Perché, per quanto faccia male cento volte più di denti di cane nella carne, e di ferite essiccate nella neve, lui sa, ne é convinto, di non avere altro modo per essere ancora ciò che é stato in questi ultimi, fortunati anni, essere ancora voluto ed accettato, di non averlo mai avuto. 

Sempre, un dovere a pesare sul capo, quello di dimostrare di essere degno dei privilegi concessigli, dimostrare di essere inferiore, ed in quanto tale pronto al sacrificio. Forse per questo superiore. E nessuno glielo ha mai imposto, o richiesto, e agli occhi di tutti lui di certo non si é mai adoperato a riguardo, ma non é cosí, non é mai stato cosí per lui, e non possono giudicare coloro che non conoscono. 

Che per ogni vanto, c'é stato un complimento; per ogni aperta risata, un pianto nascosto; per ogni dono, una ferita. Che anche quello che poteva sembrare facile, era in realtà difficile. 

E adesso é qui, viso zuppo di lacrime, ferro di sangue nella bocca, ed un urlo trattenuto nella gola a mozzare il respiro. 

E non importa quello che diranno, vedranno, penseranno, ignari del suo segreto, dopo. 

Lui, e solo lui, saprà la verità. 

E non importa quanto resterà del suo corpo e della sua vita, dopo.

La verità, lo renderà libero, e basterà a tenerlo vivo. 

E, con lui, terrà vivo ciò che é rimasto di loro. 

Non si lasceranno mai, no, non potrebbero. Lo ha promesso ed ha infranto la promessa, ma solo nel proposito di poterla davvero mantenere, un giorno, quando la guerra sarà finita, quando il dolore sarà finito. 

Un altro legame si recide, altra energia abbandona il corpo, un altro urlo lascia le labbra tremanti. 

Non ha più luce, il cielo, crollano la palpebre, crolla la mente, per un istante si arrende al confortevole nulla che la sta richiamando con tanto ardore, seducente come un canto, amaro come il veleno, profondo come solo un sonno mortale può esserlo. 

E respira di nuovo, per la prima volta, a quel sollievo. 

Ma finisce nell'istante successivo, quando percepisce, distante, quasi fuori da sé, qualcosa di appuntito nel braccio che lo richiama alla realtà, alla veglia, alla terrificante coscienza. Lo sente solo perché sa di doverlo fare, sa di dover restare cosciente, si sta costringendo a farlo da ore ormai, forse giorni, forse anni, non é chiaro, ma non lo sente davvero, non potrebbe ormai sentire niente che non sia quell'insopportabile dolore.

E allora tutto ricomincia, ancora, e forse non finirà mai. 

Forse quella sofferenza, quella perdita già subita, non guarirà mai. Ma forse quella che subirà, quando il peggio sarà passato, se passerà, potrà, in parte, compensare quella passata.

Un debito d'amore, di gratitudine, semplicemente ciò che é giusto, e non conosce altro, non potrebbe conoscere altro, la sua mente, che lo sia di più. 

Un debito di vita, per ognuna andata perduta o spezzata.

Un gesto sprezzante verso ogni debole, passato, dolore.

L'unica possibilità di sacrificio, l'ultima illusione per rimediare all'impotenza del dolore. 

L'ultima speranza di accettabile futuro.

Per lui e per tutti loro.

Perché forse, l'unica cosa peggiore di una perdita é il senso di colpa.

E l'unico odio maggiore di quello della vittima verso il carnefice e quello che essa prova verso la debolezza che l'ha resa tale.

 

----


I was choking in the crowd

Living my brain up in the cloud

Falling like ashes to the ground

Hoping my feelings, they would drown

But they never did, ever lived, ebbing and flowing

Inhibited, limited

Till it broke up and it rained down

It rained down, like pain. 


Fa male.

Come la notte e la sua oscurità, quando striscia sulle ossa mentre il freddo si insinua sotto la pelle. 

Fa male, di un male che non si può più sopportare. 

É una ferita che sanguina, nel petto, dritta al cuore, ancora più in profondità.

Nell'anima, nella mente, un'enorme spaccatura in tutto quello che circonda. Che non esiste più, scompare lentamente, scompare nel rumore assordante del silenzio ormai infrangibile. É come un muro, che si innalza lento a chiudere fuori ogni altra cosa, in un ultimo, disperato tentativo di salvarsi da quell'indescrivibile dolore. Ma é inutile, non é mai stato così inutile. 

Mai l'esterno, con tutte le sue voci, le sue urla, le sue accuse, le sue pugnalate, é stato cosí insignificante come lo é ora. 

Mai le viscere si sono distese a tal punto da cercare di strapparsi, lacerarsi con la sola forza di volontà di mettere fine a tutto ciò che c'é di insopportabile. Provocando dolore, e cercando di provocarne ancora affinché non sia più sostenibile. 

Affinché riduca in cenere senza che solo un altro, faticoso, impossibile respiro venga sprecato. 

Neanche la morte, ha fatto cosí male. 

Neanche il cadere nel vuoto, nell'oscurità, nell'ignoto futuro che riservava più dolore di quanto se ne potesse, allora, dopo aver subito già tutta quella sofferenza, immaginare. 

Se lo avesse saputo, se avesse anche solo immaginato, allora, che sopravvivere avrebbe ucciso in tal modo, non lo avrebbe mai fatto. Non lo avrebbe mai scelto.

Almeno, é quello che riesce a pensare, l'unica cosa su cui accetta di concentrarsi la sua mente che, nonostante tutto, ha un istinto da seguire, l'umana sopravvivenza, nonostante il cuore vi si opponga. 

Basterebbe un pensiero diverso, e le porte dell'oltretomba si splancherebbero all'istante per accoglierlo, non ne ha dubbi. 

Ma non può, non riesce, come non riesce più a respirare, a parlare, solo piangere, piangere senza neanche accorgersene, piangere come se farlo avesse un senso, come se potesse ancora cambiare qualcosa. 

Eppure, eppure forse in realtà non é cosí. Solo questo può pensare, la mente offuscata di dolore a tal punto, ma forse non é cosí.

Perché c'é stato un tempo in cui il dolore non faceva paura. C'é stato un tempo, di sacrificio e speranza, in cui provarlo valeva la pena. 

Ma non era questo dolore. 

Era sopportabile, non lo sembrava ma lo era. Poteva cambiare le cose, e lui lo aveva fatto, lo aveva provato e ci era riuscito, le aveva cambiate. 

E forse, in ogni istante, in ogni passo su quella singola trave in equilibrio su di un baratro troppo profondo per vederne il fondo, aveva sentito il legno diventare più fragile, i rumori di ogni crepa, ogni sferzata del vento e la sua spinta, ma non si era fermato, né era tornato indietro, non avrebbe potuto farlo, anche se aveva sempre saputo che, dall'altra parte, non c'era una fiorita sponda ad aspettarlo, forse non c'era neanche più terra, solo nulla, un lago di sangue e di oscurità che richiedeva il suo corpo e la sua anima in cambio di quel potere che gli aveva dato, il potere di sopravvivere e di far sopravvivere la speranza per chi non la aveva più, sempre, anche quando c'era solo ingratitudine ad attenderlo, anche quando si prospettava solo morte all'orizzonte, all'inevitabile tramonto di quella speranza. Per lui, e per tutti quelli come lui, esclusi, dimenticati, disprezzati.

Incompresi. 

Ma lo aveva fatto, e questo significava che lo avrebbe fatto sempre, anche se avesse saputo…

Sangue cola, lungo il braccio, giù sul polso, dalle dita. Cola per la lunghezza del flauto di legno, cola nei suoi fori, scuotendolo nel profondo, dandogli ancora vita, perché in fondo é questo che cerca, é questo che richiede. 

E adesso, per come sta vibrando, per come sta pulsando l'oscurità dentro di lui, per quanta cruda e terribile disperazione lo sta invadendo, sarebbe forse in grado di fare un ultimo assalto, un'ultima vendetta nei confronti di coloro che hanno ucciso, che hanno preso una casa e l'hanno ridotta in polvere davanti ai suoi occhi, in cenere i suoi abitanti, sparsi al vento come fossero foglie, insignificante nulla da schiacciare, quando c'era un cuore, in loro, e c'era ancora un cuore, in lui, anche se tutti avevano smesso di crederci. 

Potrebbe farlo, potrebbe punirli per quello che gli hanno fatto fare, per il dolore che gli hanno fatto infliggere quando non avrebbe dovuto, per quello di cui lo hanno accusato quando non avrebbe potuto, per il senso di colpa in cui lo hanno fatto e lo fanno bruciare ancora adesso, per aver usato, giocato fino a divorare ogni avversaria pedina, per salvarne anche l'unica possibile, l'ultima rimasta, dal suo lato della scacchiera, contemporaneamente annientandole, bianco contro nero, vita contro morte, su di un legno crepato, prossimo a spezzarsi, tutti fin troppo vicini ai suoi margini di vuoto ed oscurità. 

Potrebbe ma non lo fa, non può, non vuole. 

Perché sarebbe inutile. Perché non gli riporterebbe ciò che ha perso. E non ha mai considerato la vendetta inutile, ma persino respirare, ormai, gli sembra inutile.

Perché lei non respira più. 

Non respira più.

E allora ogni singola anima rimasta su di un mondo ormai ghiacciato, inospitale e morto, non ha più importanza. Neanche la sua. La sua meno di tutte. 

La sua, senza quella di lei, non ha più valore. 

Il vento di fuoco sconvolge la folla, la fa impazzire, e gela ancora il suo cuore. Lacrime scorrono, mentre i passi retrocedono.

Lontano, più lontano che può da loro, da lui. Si, anche da lui.

Lui che adesso é qui, e non si interessa di ciò che accade alle sue spalle, né del peccato che lui ha commesso, ma solo, ancora, della sua salvezza.

Lo sa, non può negarlo.

E per questo vuole stargli lontano, il più lontano possibile.

Perché lui lo aveva capito, come sarebbe finita. Lui lo aveva avvisato.

E sa di non averlo potuto ascoltare, sa anche di non aver voluto, e forse é stato un errore, é quasi certo che sia cosí, ma comunque non può sostenere il suo sguardo. Quella condanna che gli ricorda come abbia scelto di ignorare ogni segnale di avvertimento, e di voltare il capo al sentore di tragedia, quasi un tanfo, umido e pesante, mortale, che chiaramente si stava avvicinando. 

Ma che importanza ha, ora? Dopotutto, quello che é stato non si può cambiare, giusto? 

Chi é andato, non può più tornare. Neanche lui, neanche il Patriarca di Yiling può riuscirci. 

E allora a cosa serve, la vendetta, il potere…

A cosa serve lui?

Ad un passo dal baratro, persino la mente smette di lottare. Cede al cuore, ed all'impossibilità di far sopravvivere quell'istinto.

Un tempo, c'era un motivo per sopportare qualsiasi dolore, della vita, delle punizioni, degli abusi, dell'invidia, della morte, e ancora dell'oscurità, della repulsione, dell'isolamento, della solitudine, seppur non apparente, profonda ed insondabile. 

La solitudine dell'incomprensione.

Ma ormai non ha più senso, sopportare. Non ha più senso sopravvivere al suo dolore, se qualcuno del suo dolore é appena morto. 

Chiude gli occhi, e l'ultima lacrima, l'ultima di una vita intera, l'ultima sofferenza che ormai non si può più soffocare, come é sempre stato fatto in passato, traccia il suo cammino di distruzione sulla pelle pallida. 

E finisce tutto ora. 

Finalmente, tutto può finire, in un vento di sangue che avvolge, ad accoglie, nel confortevole vuoto. 

Ha compreso, crescendo, che il dolore non finisce mai davvero. Resta sempre, nel suo ricordo, anche se nel più remoto angolo della mente. E continua a fare male, sempre. 

Ma é la vita, in fondo, a generare il dolore. 

Se se ne priverà, forse anche il dolore cesserà di esistere in lui. 

O forse é ormai radicato in modo cosí impossibile da infestare le sue carni e la sua anima anche quando essa le avrà abbandonate. 

Non può saperlo con certezza, ha sofferto troppo per essere ancora lucido al punto di non cadere nella convinzione che quel dolore sia il peggiore che si possa provare.

Ma se c'é anche una sola possibilità che sia cosí, é sufficiente. Farebbe di tutto, ormai, pur di far tacere quelle voci.

Ma non vede altra via che questa, ed in fondo non esiste altra via che questa. 

E quando é finalmente sul punto di librarsi, come falco e aquila, più su delle montagne, giú fino al mare, nelle infernali caverne sprofondando, qualcosa lo afferra.

Qualcosa lo richiama alla vita, all'inaccettabile realtà. 

É lui. 

In fondo, lo sa anche prima di aprire gli occhi, non potrebbe essere nessun altro. 

Non più.

Ma lui ignora, ignora quanto inutile sia il suo gesto.

Ignora quanto gli stia facendo male.

Ed é una supplica allora, una supplica che a sua volta ferisce di un diverso dolore, quella che proferisce, sottile, chiedendogli di lasciarlo andare. 

É una supplica che soffre e fa soffrire, e di quella sofferenza si incolpa e ancora genera dolore, perché sa che altro se ne sta lasciando dietro. Lo sa, lo vede. 

Lo conosce.

Pur nell'ultimo momento, anche quando la vita scorre via come gocce di sangue sulla pelle, lui sta causando dolore.

Ed é questo, a fare ancora più male.

Ma poi, qualcosa, qualcuno, lo salva da quella sofferenza.

L'ultima persona da cui se lo sarebbe aspettato, ed in fondo la prima da cui aspettava di ricevere il dono della morte. 

Lo uccide.

Avrebbe voluto. Non ci riesce. 

É abbastanza.

Per una volta, una singola volta nella sua esistenza, deve essere egoista.

Deve farlo. 

Non può reggere la consapevolezza del suo odio, non adesso. Della sua pietà, nonostante tutto.

Non é forte abbastanza, non é all'altezza. 

Forse, al suo posto, nessuno lo sarebbe.

E se potesse ancora parlare chiederebbe scusa, a tutti, anche a lui, della cui presa bruscamente si libera. 

Non merita tutto questo, non ne merita le conseguenze, non avrebbe mai dovuto conoscerlo.

E allora chiude gli occhi, lasciandosi andare, perché non vuole vedere. 

Non può ragionare, e non vuole sapere.

Vuole solo, per una volta, smettere di soffrire.

Ed é forse il suo nome, quell'urlo portato dal vento, mentre l'anima lentamente di disfa sotto i morsi violenti dei ricordi. 

Quelli belli, però, che portano un pacifico sorriso, non per questo meno dolorosi.

Perché forse, lo stesso senso di colpa é una perdita. 

E l'unica crudeltà maggiore di quella che il carnefice infligge alla vittima, é quella che egli infligge a sé stesso. 

 

---

 

By the grace of the fire and the flames

You're the face of the future, 

you're the blood in my veins. 

 

Let the bullets fly, oh let them rain

My life, my love, my drive, it came from pain. 

 

Fa male.

Svegliarsi fa ancora male, come faceva anni fa, aprire gli occhi nella cruda luce del giorno. Ma non per la consapevolezza che il giorno che si appresta a vivere non porterà altro che ulteriore dolore, come in passato, ma per la consapevolezza che il meraviglioso giorno che si appresta a vivere é a lui concesso, e a chi lo meriterebbe anche di più, non lo é.

Fa male riattraversare con la mente il passato in un istante ogni mattina, ogni volta che é costretto a riconoscere sé stesso. Perché lui é quel passato, ed il dolore che ha lasciato nelle ossa e sulla pelle. 

Fa male sapere che é servito dolore, morte e sacrificio persino per farlo tornare. E non é più un dolore come quello che era abituato a provare, che si potrebbe urlare o piangere, persino far scorrere via con il sangue, no. Questo dolore non può scomparire. É nella sua essenza, é parte di lui dalla sua nascita, da questa nuova, nascita. E, lo sa, resterà lí per sempre.

Il dolore per non poter rivedere mai più il di lei sorriso. Per non poter sentire mai più il profumo di loto della sua casa. Per non poter piú rivedere quei volti affamati di speranza. E non importa quanti anni sono passati o passeranno, continuerà a far male. 

É un dolore sordo, profondo eppure non soffocante, forse a lungo andare logorante, ma non letale, non più. Per questo non se ne può liberare. 

Per questo sa che é un dolore necessario. Perché é qui per continuare a ricordargli chi é e chi é stato, anche in questa nuova vita, quando potrebbe ricominciare. 

E serve a lasciarlo vivere, seppure nella consapevolezza, perché l'ignoranza lo ucciderebbe ancora. 

Fa male, soprattutto al mattino, quando offusca gli occhi assieme alla bianca luce del sole. Per questo si rifiuta di vederla tanto ostinatamente e cosí a lungo. 

Eppure, adesso, ha qualcosa che non ha mai avuto prima.

Adesso ha qualcuno che ha saputo rendere la perdita ricordo, il senso di colpa una prigione abbandonata dopo averne infranto le sbarre, e l'odio niente più che il simulacro di un contrasto, necessario affinché il suo opposto avesse vita e valore, sempre.

Qualcuno che può amare senza dover sacrificare sé stesso nel farlo. 

Qualcuno che, con un semplice sorriso accennato, quasi invisibile, appena la luce del primo mattino ha smesso di abbagliare, sa ricordargli che, almeno questa volta, la sua presenza non ha portato solo dolore. 

Almeno questa volta, potrebbe persino aver portato a qualcuno felicità. Un sorriso altrimenti mai visto sul suo viso.

E certo, questo significa responsabilità, forse la più grande che abbia mai avuto, ma é una responsabilità necessaria, che lo tiene in vita, lo scopo che nasconde il dolore e lo spinge a lottare. A non sentirsi più cosí inutile e troppo spesso impotente.

E della luce di quel sorriso, di quel qualcuno, si lascia allora riempire gli occhi, la testa, corpo e anima. Affinché copra, cancelli e possieda l'oscurità di ogni errore e la crudeltà di ogni lama. 

Anche se é tanta, a volte persino troppa, più di quanta avrebbe mai immaginato di trovare e per questo quasi insostenibile. Anche se, a volte, può far male, e far forse somigliare quel male a fragilità.

Ma non é cosí, lo sa. Lo ha capito, ed ora finalmente lo sta vivendo. 

Non é mai fragilità. Non é mai superiorità ad imporre inferiorità. Non é mai giudizio o costrizione. 

É forza, invece. La forza che troppo a lungo é mancata, la cui assenza lo ha spinto giù, nel vuoto del nulla. 

É forza che con lui, giorno dopo giorno, sta rinascendo nella sua resilienza, nonostante il dolore passato e quello presente. 

É vita. É amore. 

E si, forse é anche dolore, ma ormai il dolore é inciso sulle pareti del suo cuore, é parte di lui, comprende che non esisterebbe, senza di esso. 

Nulla di umano lo farebbe.

Perché forse, non c'é miglior perdita di quella del senso di colpa.

E l'unico amore più importante di quello dell'amante verso l'amato, é quello dell'amato verso la sua stessa forza di amare. 

------

Solo un tributo a Wei Wuxian e al modo in cui ha affrontato a testa alta per tutta la sua vita enormi, indescrivibili sofferenze. Perché lo merita.
Vicende in versione drama, si parte ovviamente dall'estrazione del nucleo, poi si passa alla morte a seguito della battaglia alla città senza notte ed infine il presente postcanon, in cui già vive nei meandri delle nuvole con Lan Wangji.
Versi in corsivo dalla canzone 'Believer' degli Imagine Dragons.
Grazie a tutti per aver letto, spero vi sia piaciuta. :-) 

 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Mo Dao Zu Shi / Vai alla pagina dell'autore: EleonoraParker