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Autore: Rosette_Carillon    02/10/2021    2 recensioni
Nonostante la lontananza, sia fisica che temporale, e un lavoro che la tiene sempre impegnata, la morte di Harlan Thrombey è un ricordo che Marta non è ancora riuscita a lasciare andare.
Concedersi altro tempo, o affrontare di petto quella situazione? Intanto la sua vita continua ad andare avanti, in un mondo fatto di supereroi che credeva di aver compreso, e che invece le riserva sempre delle novità.
Genere: Hurt/Comfort, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Natasha Romanoff, Steve Rogers
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Black and white photos'
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NOTE:
il titolo è una citazione del brano ‘the white cliffs of Dover’ di Vera Lynn.
Avevo varie idee per questa ff, ma questa settimana è stata un po' caotica, e credo che anche la ff sia uscita altrettanto caotica ^:^;…spero di no; in caso, chiedo scusa.
Grazie a chi leggerà : ).
 
 
 
 
 
Tomorrow, just you wait and see
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Marta gli tiene una mano immersa nell’acqua calda, solo quella umana. La tiene stretta nella sua, decisamente più piccola, ma più salda e ferma.
L’altra mano stringe il gomito dell’uomo, come se, se le gambe gli cedessero e lui cadesse, lei fosse realmente in grado di sostenere il suo peso.
Bucky trema, gli occhi sgranati. Non dice nulla, conscio di non essere in grado di formare una frase coerente. Deglutisce a vuoto e continua a tacere.
Vorrebbe pregare, sperare, ma dalla sua gola uscirebbe solo un urlo di dolore.
<< Andrà tutto bene, >> mormora Marta, a un certo punto, perché quel silenzio è davvero troppo pensate. Prima che l’uomo possa metterla a tacere, farle notare che lei non è capace di prevedere il futuro, e che lui ha già perso troppo, in questa vita e nella precedente, lei gli ricorda di essere un’infermiera.
<< Ho visto le ferite del capitano, non saranno certo quelle a ucciderlo. >>
Bucky si lascia crollare per terra, scosso dai singhiozzi. La mano umana stinge il lavandino colmo d’acqua, quella in vibrano affonda fra i capelli e stringe con forza.
Marta si inginocchia accanto a lui. << Respira, stai trattenendo il respiro, >> gli fa notare << cerca di respirare seguendo un ritmo. Fai come me, contiamo assieme. >>
Quando l’uomo si calma, non si hanno ancora notizie sullo stato di salute del Capitano. È tarda sera, e Marta lo costringe a mangiare.
Sa che ha fame, ha sempre molta fame dopo un attacco di panico e, gli fa notare, rinunciare al cibo non aiuterà Steve in alcun modo.
È Yelena a cucinare la cena, è spesso lei a cucinare.
Dopo una Vedova Nera ai fornelli, Marta può dire di aver visto davvero tutto.
Bè, tutto forse no…cosa manca? Forse un drago volante? Sì, forse manca davvero solo quello.
<< Se so cucinare, >> si era difesa Yelena dallo sguardo interdetto di Tony, la prima volta che l’avevano vista trafficare con spezie non meglio identificate << posso mangiare sempre quello che voglio. >>
Aveva senso. Dopo anni trascorsi a subire le scelte imposte da altri, la donna aveva rivendicato la sua autonomia in qualsiasi aspetto della sua vita.
A loro si unisce anche Natasha.
<< Steve ha la pelle dura, lo sai meglio di noi, >> cerca di suonare incoraggiante mentre, lentamente, si siede a tavola.
Ha un brutto livido sotto l’occhi destro, una caviglia storta e numerosi tagli. Nulla di grave, ma tutto fastidiosamente doloroso.
In un primo momento Bucky non dice nulla, poi le parole della donna sembrano riscuoterlo dal torpore. << Se fossi stato più-  >> inizia.
<< ‘Più’ cosa? Eri troppo lontano da Steve per poter fare qualsiasi cosa. Non è colpa tua se è rimasto ferito. >>
Lui non risponde; Yelena gli mette davanti la cena con un << mangia. Se muori di fame, chi glielo va a dire al capitano, eh? >> e Bucky, dopo un momento di esitazione, circondato da tre donne per nulla favorevoli all’idea di farlo alzare da quel tavolo a stomaco vuoto, inizia a mangiare in silenzio.
Marta cerca Yelena con lo sguardo, e la ringrazia.
Mangiano tutti in silenzio, perché l’immagine del corpo insanguinato del capitano è ben impressa nelle loro menti, e sono tutti preoccupati per lui.
È stata una missione complicata, ma ogni rischio era stato attentamente calcolato e nulla sarebbe dovuto andare storto.
È Bucky a rompere il silenzio. << A che ora parti domani? >> chiede a Marta.
Lei, che in un primo momento non si era resa conto del fatto che lui si stesse rivolgendo a lei, solleva la testa dal suo piatto. << Scherzi? Dove vuoi che vada con questa situazione? >>
<< Domani è il tuo giorno libero… >>
<< Mi prenderò un altro giorno libero. Oh, no, con me non si discute, soldato. E dopo cena, a letto a riposarsi, >> termina col suo miglior tono severo.
Lui sorride appena << saresti perfetta per l’esercito, te l’ho mai detto? >>
L’atmosfera si fa meno tesa, e anche le due sorelle si rilassano. Yelena ride appena.
Il giorno dopo, Marta sarebbe dovuta andare fuori città. Fuori dallo Stato, per la verità.
Aveva in programma di tornare a casa Thrombey. Perché, non lo sapeva nemmeno lei…forse un attacco acuto di masochismo.
Nonostante gli anni, non era ancora riuscita a fare davvero pace con quanto era capitato fra quelle mura.
Non riusciva ancora a non sentirsi in colpa a non pensare che, se solo fosse stata un po' più attenta, se avesse…se avesse cosa?
Se avesse avuto la capacità di leggere nella mente di Ransom?
Se avesse pensato di rimuovere l’etichetta dalla boccetta del farmaco?
Se avesse portato la sua borsa medica sempre con sé?
Le cose non sarebbero potuto andare in nessun altro modo, lo sa, ma accettarlo non è facile.
Forse l’incidente durante la missione è un segno del destino? Forse tornare in quella casa non può davvero aiutarla.
La partenza, decide alla fine, è solo rimandata.
Deve fare i conti con quanto è successo.
 
                                                                               §
 
È rimasta a pensarci su per una settimana.
In realtà, non ha mai voluto tornare a casa Thrombey. L’unica cosa che vuole, l’unica cosa che sente possa esserle d’aiuto…è stupido, infantile, e soprattutto impossibile, ma l’unica cosa che vuole davvero è parlare con Harlan.
Scusarsi.
Vuole scusarsi per essersi fatta prendere dal panico, per aver lasciato che lui le impedisse di chiamare un’ambulanza.
Un giramento di testa la stordisce facendola inciampare nei suoi stessi piedi, le chiavi dell’auto le cado per terra.
Allunga una mano verso la sedia più vicina, alla ricerca di una stabilità che quel mobile non può darle, e chiude gli occhi.
Una mano le afferra un gomito, mentre una voce familiare chiama il suo nome. È una voce conosciuta, ma non riesce a identificare a chi possa appartenere.
<< Siediti. >>
La voce è fredda. Sembra arrabbiata, e Marta davvero non capisce perché.
Scuote la testa riaprendo gli occhi.
<< Non essere testarda, e siediti, >> ripete Bucky.
Non vuole sedersi, non può sedersi. È rimasta seduta fino a pochi momenti prima, e non è servito a nulla, se non a peggiorare la situazione. Ha bisogno di muoversi, e di distrarsi.
Ha bisogno di respirare.
C’è ossigeno attorno a lei, c’è ossigeno nei suoi polmoni, eppure sembra di no, e fa male. È un dolore fisico che la spaventa, nonostante sappia che non ci sia alcun reale pericolo, e la stordisce.
Da un punto imprecisato della stanza proviene della musica, una vecchia canzone di un’altra epoca, cantata da una voce femminile calda e avvolgente.
 
Falling in love again
Never wanted to
What am I to do?
I can't help it
 
È su quella voce, su quelle parole che Marta cerca di concentrarsi, mentre cerca di ignorare il suo cuore che riprende a galopparle nel petto, assordandola, fino quasi a farle male.
È la voce di Marlene Dietrich, l’ha sentita nominare spesso, ma non l’aveva mai ascoltata.
Bucky le resta vicino, in silenzio e incerto. Ancora arrabbiato.
È una situazione imbarazzante, dovrebbe essere lei a occuparsi di lui, non il contrario.
Vorrebbe dirgli che sta bene, che non deve preoccuparsi, ma sa che non riuscirebbe a suonare credibile.
<< Per essere un’infermiera, sei piuttosto incosciente. Guidando in queste condiziono avresti potuto avere un incidente. >>
<< Non è successo. >> Non è nemmeno riuscita a uscire da quel salotto, non vuole davvero pensare cosa sarebbe capitato se si fosse messa al volante.
<< Per fortuna. Tu lavori troppo…quand’è stata l’ultima volta che ti sei presa le ferie? >>
<< Non ho bisogno di ferie, ho- >>
La voce della cantante tace, proprio ora che Marta stava riuscendo a farsi cullare da essa come da una ninna nanna.
Viene sostituita da una melodia che, all’inizio non le è familiare. La ascolta solo perché ha bisogno di concentrarsi su qualcosa; poi le parole che sente sono impossibili da non riconoscere.
 
I'm dreaming of a white Christmas
Just like the ones I used to know
Where the tree tops glisten

 …
 
C’è un momento di incertezza, un momento di cui il suo cervello ha bisogno per riconoscere quella musica, poi scoppia a ridere sotto lo sguardo imbarazzato dell’uomo.
<< È una raccolta di brani…>> cerca di scusarsi lui << forse, >> si schiarisce la gola << avrei dovuto cercare di organizzarli… >>
Si tratta di una delle tante playlist che aveva creato poco dopo aver imparato a usare un computer per semplice svago, e non per far crollare un governo. Probabilmente una delle prime che ha creato, e che non ascolta molto spesso.
Nonostante gli anni, nonostante il suo interesse per la tecnologia, ama ancora ascoltare la sua musica preferita col giradischi.
Ha un suono antico, il suono del suo tempo, che gli fa sempre provare un misto di dolorosa nostalgia e serena allegria.
È un qualcosa che, per quanto fuori moda, sa’ di casa.
Col tempo ha iniziato ad apprezzare sempre di più la magia della tecnologia: trovare dischi in vinile non è sempre facile, e non sempre trova quelli con i brani musicali che gli interessano.
Su internet, invece, ha sempre tutto a sua disposizione.
Le ultime note di ‘White Christmas’ si trasformano in quelle più allegre di un pianoforte, e Marta si allontana dalla sedia. Si passa una mano sul volto, ancora stordita, valutando se sedersi o restare in piedi.
Bucky non le ha ancora lasciato andare il gomito e, in un momento di incertezza mista a preoccupazione, se la avvicina al suo corpo, e la trascina in un passo di danza. Lentamente, perché ha paura che perda l’equilibrio e cada per terra.
Marta lo segue docilmente, si lascia guidare da lui sulle note di quel brano che è quasi certa di non aver mai sentito.
 
Darling, je vous aime beaucoup
Je ne sais pas what to do
You know you've completely
Stolen my heart
Cerca di ascoltare le parole e, fra le braccia di Bucky, si rende vagamente conto che il testo è scritto in due lingue: una è sicuramente l’inglese, l’altra sembra francese.
Non ha mai studiato francese, cerca di capire quello che può.
<< Ho sempre amato questa canzone, anche prima di imparare il francese, >> le dice Bucky. Continua a parlarle a bassa voce, guidandola in lenti passi di danza.
È ciò che, tempo prima, lei aveva fatto con lui.
Marta prova uno strano senso di nostalgia.
In quel periodo, quando si conoscevano da poco, lei viveva ancora col terrore che Ransom potesse tornare a far parte della sua vita.
Lo sognava la notte, e di giorno vedeva il suo volto in quello del capitano.
L’uomo è stato arrestato per la seconda volta da tempo, e ancora non ha più cercato di evadere; la sua vita è andata avanti e lei si è quasi dimenticata di lui.
Quel periodo non è stato uno dei migliori della sua vita, anzi…però è stato prima che metà della popolazione scomparisse dalla faccia Terra, e tutto ciò che è successo prima di quell’evento le appare migliore, più facile, più sereno.
Ma non è vero, lo sa, perché a quel prima appartiene anche Harlan, però, no. Lui non riesce ancora a dimenticarsi.
Ormai è un dolore sordo, che il tempo ha attutito, ma è sempre lì.
<< Marta? >>
<< Sì? >>
<< Cosa ti passa per la testa? >>
Lei non risponde subito. Non sa quanto senso abbia parlarne, e Bucky ha già i suoi problemi, è ancora preoccupato per Steve, nonostante l’uomo si stia riprendendo.
Non vuole nemmeno mentire, però. Non può farlo, dopotutto, perciò alla fine si costringe a mormora un << …Harlan Thrombey >> sulle ultime note di ‘Darling je vous aime beaucoup’.
Bucky sospira. << Non ho mai visto una sua foto, >> dice poi, << doveva essere un gran figo- >>
<< Sergente Barnes! >> sbotta lei, sollevando la testa. Sul volto uno sguardo da mamma che aspetta che suo figlio si renda di aver commesso un errore, e si scusi.
<< Mi dica. >>
Lei sbuffa. << Non ci stavo pensando per quel motivo. >> Poi un dubbio la assale. Lo sente quasi strisciare sottopelle, come una cosa viscida e nauseante. << Non ci sono mai andata a letto, >> la voce le trema. Non aveva mai pensato di dover specificare una cosa simile davanti a Bucky, soprattutto non dopo tutto il tempo che era trascorso, forse aveva sbagliato? << io non ho mai- >>
<< Ehi! >> l’uomo la prende fermamente per le spalle. << Non è ciò che volevo dire. Non l’ho mai pensato. Ti conosco, sei una persona di buon cuore e- >>
<< Sì, bè, lo so da sola che sono stupida, non- ! >>
<< Marta! >>
Fra i due cala il silenzio, e calde lacrime rigano le guance della donna. Sono lacrime di frustrazione e stanchezza, e vorrebbe nascondersi perché si sente in colpa a piangere per lo stress davanti a un uomo che ha visto la guerra, e violenze inimmaginabili.
<< Pensi sia giusto che una persona diventi insensibile per far fronte alla durezza del mondo? >> riprende Bucky, la sua voce più bassa, calma. Rassicurante. << Ti sei mai fermata a pensare che, forse, sarebbe meglio il contrario? Che sarebbe meglio che le persone cercassero di essere più sensibili per rendere il mondo meno crudele? Harlan non è morto per colpa tua, e tu hai ricevuto la sua eredità perché lui ha ritenuto fosse giusto così. >>
La musica fa ancora da sottofondo, ma loro hanno smesso di ballare, ma lui continua  a tenere la donna vicino al suo corpo: gli sembra così piccola e fragile che ha teme per lei. Eppure lo sa che è forte.
La voce di Vera Lynn accompagna le parole dell’uomo << non sei tu quella che aveva torto, non lo sei mai stata. Eri solo circondata da persone che te lo hanno fatto pensare. >>
La prende per i gomiti e la fa spostare verso il divano, dove la aiuta a sedersi.
Lei obbedisce docilmente, e si sistema sul divano, le gambe strette l’una contro l’altra e le braccia incrociate sotto il seno, come a proteggersi.
<< Non riesco a non pensare che Harlan sia morto per causa mia. >>
<< E invece è morto per colpa del suo nipote stronzo, >> mormora l’uomo, mettendole una coperta sulle spalle. Marta se ne stringe addosso un lembo, e si accorge di avere davvero freddo. Con la mano libera si asciuga le guance.
Bucky ferma la musica, poi va a sedersi accanto alla donna che, intanto, ha poggiato la testa contro lo schienale del divano.
<< Dovrei davvero cercare di chiudere i conti col passato, tornare nella vecchia casa di Harlan… >>
<< Fare le cose per dovere non porta mai a nulla di buono. >>
<< Qualcuno trascorre troppo tempo con Stark, mi sembra… >>
<< Dimentichi che io ho avuto il privilegio di conoscere suo padre. >>

<< Dios mío, >> mormora Marta, e l’uomo ride. << Senti, capisco che tu voglia far pace con quanto è successo, ma forzare le cose non porta a nulla di buono. Davvero. Parlo per esperienza. >>
<< Sono già passati anni da quando è morto... >>
<< Sì, bè, il dolore non ha una data di scadenza, >> le labbra di Buky si piegano in un sorriso amaro. << Io non ho ancora smesso di sentire la mancanza degli anni ’30, e della vita che non ho avuto. Spesso mi chiedo cosa sarebbe successo se fossi riuscito a fuggire con Natasha, e non avessi mai rivisto Steve...e non so dirti quale delle due alternative sia la migl- >> si ferma e si schiarisce la gola, imbarazzato.
Ama Steve, cerca di spiegare, è solo che-
<< Non puoi smettere di chiederti cosa sarebbe successo se le cose fossero andate in modo diverso, mh? >>
Dopo quello i due taciono. Ognuno perso nei propri pensieri, restano immersi nel silenzio del salotto.
Marta chiude gli occhi per un momento e, senza che se ne accorga, si addormenta pacificamente.
Bucky la osserva un pò, poi decide di portarla in camera sua: si è addormentata in una posizione troppo scomoda, non può restare così.
La prende in braccio facendo attenzione a non svegliarla, e a non toglierle la coperta di dosso, e esce dal salotto.
Lungo i corridoi, incontra Steve.
Ha un brutto graffio su una guancia, un livido sull’altra, l’occhio ancora gonfio. Un cerotto in fronte.
Rallenta il passo con uno sguardo severo sul volto << che fai, idiota? >> sibila << tu dovresti riposare. >> Il capitano sbuffa e fa roteare gli occhi, intenertio dalla preoccupazione dell’altro. << Sto bene, >> dice poi. Non è proprio vero: sente dolori ovunque, non si è ancora ripreso del tutto, e ha bisogno di riposo. << Lei? >> accenna a Marta con la testa.
<< Dorme. È a pezzi. >>
<< Nat mi ha detto che sarebbe dovuta andare fuori dallo Stato. >>
Bucky annuisce. << Boston. Poi ha avuto un attacco di panico e la gita fuori città non è andata in porto, >> si stringe nelle spalle. << La porto nella sua stanza. >>
<< Poi torni da me? >>
<< Certo. >> Fa per proseguire, invece si ferma di nuovo << ehy, non è domani che dobbiamo incontrare quello che è riuscito a scatenare un casino con degli anelli? >>
<< Ha un nome, >> sospira Steve << Xu Shang-Chi, e sì, è domani. Ora accompagna a letto lei, >> termina allungano una mano ad accarezzare il volto di Bucky, mentre accenna  a Marta col capo.
<< Agli ordini. >>  
 
 

 



 
 
 
 
  
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