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Autore: thewanderess    03/10/2021    0 recensioni
"Il Maestro è morto, lo hanno ucciso. Sono morti tutti... e io sono rimasto. Sono vivo, capisci? L'ultimo alchimista..."
Genere: Angst, Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tui congiunse le mani e chiuse gli occhi in segno di preghiera. 

Il sole era già alto e scottante da un pezzo e chi era ancora rimasto in città era immerso nelle sue attività quotidiane da diverse ore. All’esterno della piccola casetta di mattoni si udivano distintamente le voci di alcune donne e di un paio di bambini piccoli. 

“Grande Ishvala, guidaci nel nostro cammino. Fa’ che il tuo popolo non soccomba, donaci salvezza e saggezza, e aiutaci ad adorare la tua misericordia, anche in momenti difficili come questo. Proteggi questa casa...” La giovane donna inginocchiata in direzione del sole parlò con voce supplichevole, come faceva ogni mattina ormai da anni. Il bambino accanto a lei sbirciò qualche secondo, avvertendo un tremolio preoccupante nella voce della sua mamma.

“E fammi un favore: proteggi papà. Grazie.” 

La donna rise piano, cercando di contenersi. “Tui, non puoi chiedere favori durante una preghiera. Se vuoi che Ishvala ti ascolti devi dimostrare rispetto.”

“Già mamma, scusa. Ora posso andare?” 

Lei sospirò paziente, poi fece cenno a Tui di andare, scuotendo la testa. Quel bambino era la sua vera, unica salvezza.

La luce lo accecò qualche istante, ma Tui non aspettò di vedere bene nuovamente per correre via, attraversando il cortile e salutando distrattamente le poche persone che si trovavano lì. Percorse stradine semi deserte e silenziose, non senza qualche esitazione, fermandosi qua e là ad osservare i luoghi della sua infanzia che erano ormai un lontano ricordo. C’era l’emporio del vecchio bisbetico Armin, a cui lui e i suoi amici facevano sempre un sacco di scherzi. La porta era sbarrata e l’insegna pendeva come morta. Casa di Stefan e sua moglie era vuota da mesi, qualcuno ne aveva smantellato completamente l’interno. Il bar di Philip, l’unico del villaggio, era stato bruciato dopo che lui se ne era andato a combattere coi ribelli. Ma non erano stati i soldati, almeno a quanto ne sapeva lui.

La collina di Ruya era il punto più alto della città. Dalla collina si poteva osservare gran parte della prateria su cui sorgeva il villaggio, ma tutti i bambini erano talmente abituati a salire lassù che farlo di corsa non era per loro di nessuna difficoltà. 

“Pum! Pum! Siete morti, soldati! Bastardi, aaahh!”

Tre ragazzini si voltarono, udendo Tui risalire a tutta velocità la collina. Urlava minacce di morte e parolacce con la sicurezza che nessun adulto l’avrebbe sentito. Ogni mattina, lui e i suoi amici si ritrovavano lì per guardare il villaggio, l’immensa distesa di erba gialla e, ancora più lontano, le montagne sacre che in inverno si riempivano di neve. I bambini giocarono per diverse ore, mangiarono a sazietà le pere del piccolo e storto albero lì accanto e giocarono ancora, fingendo che tutto fosse come prima. La guerra non era lontana da quel piccolo angolo di mondo, ma quasi non la si avvertiva, come se al contrario di tutto il resto del paese lì, in quella che era considerata la regione più bella del territorio di Ishval, la distruzione avesse deciso di entrare in punta di piedi, solo per portarsi via con estrema cortesia chi era disposto e capace di combattere la sua battaglia senza senso.

“Secondo voi che vuol dire essere un Ishvalan?”

Tui era sdraiato accanto agli altri, sull’erba riscaldata dal sole e smossa dalla brezza serale, fresca e pura. 

“Vuol dire che abbiamo la pelle scura e gli occhi rossi.” Disse uno dei bambini, alzando una mano verso il cielo, osservandosi con attenzione il braccio. “Siamo diversi dagli altri. Non c’è nessuno come noi. Siamo speciali e i soldati ci invidiano, per questo ci odiano. Me l’ha detto mia madre.”

“Si, probabilmente è vero… chi non vorrebbe essere come me? Sono troppo bello.” disse un altro.

Tui si addormentò ridendo. Sognò di essere un bambino di Amestris, con degli occhi azzurri come il cielo, la pelle chiara e la pancia piena. Di correre sulla collina come sempre, ma una collina molto più verde, e poi di guardare fuori dalla finestra la neve, quella che aveva sempre visto da lontano sulle montagne. Sognò suo padre che tornava felice, pieno di cicatrici e zoppicante ma vivo. Vivo.
Era veramente la sua vita?

“Tui svegliati! Ragazzi forza! Sta succedendo qualcosa. Abbiamo dormito troppo!”

Il sogno beato di Tui venne interrotto bruscamente, così come quello degli altri. Era già buio, un buio in qualche modo lucente. Il bambino pensò subito ai guai che avrebbe passato a casa se ci fosse stato ancora suo padre, e alla preoccupazione – concreta, quella – di sua madre. Si tirò a sedere con fatica, mentre il suo amico scuoteva rudemente lui e gli altri, piangendo.

“Cos’è questo odore?”

Si alzarono tutti, e uno dopo l’altro rimasero inorriditi. Il villaggio in fondo alla collina era totalmente in fiamme. Il fumo copriva gran parte della vallata e delle montagne e la puzza di bruciato raggiungeva persino la collina. A Tui sembrò di aver dormito per un mese intero. Non riusciva a capacitarsi di come, in poche ore, la sua casa potesse essersi trasformata in quell’inferno. 

“Ishvala, cosa succede?!”

“Hanno bruciato tutto, sono stati i soldati…”

Uno dei bambini si accucciò a terra e si tappò le orecchie per non sentire le urla, gli spari e le esplosioni in lontananza. Dondolandosi, serrò gli occhi e contò fino a dieci ma, quando li riaprì, le fiamme c’erano ancora.

“Tui cosa facciamo?”

“Io vado da mia madre.”

“Ma è pericoloso! Andiamo a chiedere aiuto.”

“E a chi?” Gli diede man forte Roan, il suo migliore amico. “Io scendo”

Tui annuì, e insieme cominciarono a ruzzolare alla massima velocità giù per la collina. 
Non poteva aver lasciato sua madre da sola per tutto quel tempo. Suo padre gli aveva detto di proteggerla. Doveva stare bene. Doveva essere viva. 

I soldati erano ovunque e circondavano la città. Per qualunque estraneo sarebbe stato difficile intrufolarsi nel villaggio senza essere visti, ma Tui conosceva ogni antro, ogni via e ogni scorciatoia esistente. La città era nelle sue mani e quindi aveva un vantaggio sui soldati. Il suo amico era già scomparso, probabilmente per tornare a casa sua, ma lui non ci badò. Non aveva mai visto tanti soldati tutti insieme, soprattutto così armati. La gente per le strade fuggiva terrorizzata. Riconobbe persino qualcuno. Ma a che scopo bruciare tutto? Non c’era nessun combattente in città, l’avevano detto i pochi adulti rimasti, per rassicurare lui e gli altri giovani. Per questo nessuno veniva a disturbarli, non erano un pericolo per nessuno. Sua madre non era un pericolo.

Un paio di colpi di fucile esplosero proprio accanto a lui. Era evidente che volessero beccarlo, ma ringraziò Ishvala per averlo creato così rapido e scattante. Casa sua era ancora distante, ma fu costretto a fermarsi nella piazza centrale. Brulicava letteralmente di soldati armati fino ai denti, che accerchiavano un gruppo di persone terrorizzate.

“Perché ci state facendo questo? Il villaggio è sempre lo stesso dall’ultima volta che siete venuti! Non c’è nessun ribelle qui.” Era il Monaco Anziano ad aver parlato. Tui lo ammirava e lo chiamava Maestro, come tutti, per la sua autorevolezza e per la fiducia che ispirava a chiunque. Eppure appariva minuscolo, rispetto agli uomini in divisa blu che lo sovrastavano, quella sera. Quasi patetico mentre pregava loro e il Dio Ishvala di lasciarli in pace. “Ci sono solo donne, bambini e vecchi. I pochi giovani non possono combattere. Vi prego!”

Un ufficiale di alto grado, parlò ad alta voce al piccolo gruppo di Ishvalan spaventati e impossibilitati a scappare. “Ordine esecutivo 3066. Tutti gli alchimisti di stato sono chiamati dal Comandante Supremo King Bradley a scendere in battaglia contro i dissidenti, ribelli e combattenti di etnia Ishvalan.”

“Ma noi non-“

Un soldato sferrò un colpo col calcio del proprio fucile al volto del vecchio, che cadde svenuto immediatamente. 

“Maestro!” Urlò un giovane monaco tentando di soccorrerlo. Un altro avanzò di un passo, preso dalla rabbia, con le lacrime che gli rigavano il viso disperato. 

“Ma che razza di gente siete?!”

Il cerchio di soldati con i fucili puntati si strinse ancora di più attorno al gruppo di monaci e donne. Le fiamme  divampavano lì attorno e l’ufficiale decise che era meglio sbrigarsi. Si limitò ad un breve gesto della mano, per ordinare ai suoi uomini di fare fuoco. Tutte quelle persone caddero all’istante, morte. Roan e sua madre erano lì.

Tui corse via sperando di non essere notato, superando altri soldati, altre fiamme ed innumerevoli esplosioni. Il cortile della sua casa era vuoto, così come tutte le abitazioni. Solo il cadavere di una donna, uccisa con un colpo di fucile all’addome, spuntava a metà da una finestra. La porta di casa sua era spalancata, ma lui ci si fiondò comunque, ritrovandosi nella cucina immersa nel buio. I mobili erano divelti e i pochi oggetti della mamma erano in mille pezzi sul pavimento. Un tremore lo colse e gli impedì di correre nuovamente alla ricerca di sua madre. Magari era scappata davvero. Forse lo stava cercando… doveva andarsene. 

Ma poi dal retro della casa, quello che dava sul torrente, udì distintamente delle voci maschili. 
Erano ancora lì e ridevano.


Sentì una rabbia tremenda montargli addosso. Avrebbe voluto raccogliere uno dei coltelli da cucina di sua madre e andare lì fuori ad ucciderli tutti, punirli per quello che avevano fatto. Ishvala l’avrebbe voluto, ne era certo. Come poteva permettere che quelle persone morissero senza che ve ne fosse una ragione?

Il coltello per fortuna era appeso al solito posto, sopra la stufa. Gli balenò per la testa il pensiero che, fino ad un anno prima, non era in grado di raggiungere quel punto così in alto. Un segno in più che stava facendo la cosa giusta. Anche suo padre sarebbe stato d’accordo. La loro casa era stata profanata e ora lui doveva vendicarla. Poi avrebbe raggiunto la sua mamma ovunque fosse fuggita.

E infine li vide. Erano nel giardino, coi loro inseparabili fucili. Si asciugavano il sudore dalla fronte madida e sporca di terra e guardavano con interesse un ammasso di vestiti sotto di loro.  

 Sua madre era a terra. Ne era sicuro, perché solo lei al villaggio aveva quei bei capelli corti e ricci, candidi e morbidi. Cercò di ricordarne il profumo, ma riuscì solo a sentire l’odore soffocante del sangue e dei corpi bruciati. I soldati stavano cominciando a perdere interesse e si allontanavano dal corpo. Ma uno di loro rise ancora e prese la rincorsa. Si gettò con gli stivali su di lei, spappolandole il cranio sotto gli occhi di suo figlio. 

Tui lasciò andare il coltello e cadde in ginocchio davanti ai soldati.
  
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