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Autore: Chiara PuroLuce    04/10/2021    1 recensioni
Una madre disperata che ha perso la speranza, chiede solo giustizia per sua figlia Maria. Ce la farà?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                    LA SPERANZA PERDUTA     
 
                                                                        pumpNIGHT 2021  Prompt 2 – Speranza
 
 
 
La speranza è l’ultima a morire!
Vorrei tanto sapere chi è stato a dire questa cavolata. Speranza. Puà.
Quando mia figlia è stata incarcerata ingiustamente, quante persone ipocrite me l’hanno detto.
La vicina di casa, l’edicolante, la cassiera del mini market sotto casa, il postino… persino la sindachessa. Non che io abbia mai sbandierato le mie preoccupazioni in giro o cosa, anzi… sono una tipa piuttosto solitaria e silenziosa e non lego facilmente con la gente. Ecco perché tutta questa intromissione gratuita e ipocrita mi ha mandata in bestia.
Ma che ne sanno loro. Che ne sanno di quello che prova una madre, una vedova, alla notizia che la sua figlia maggiore è stata ingiustamente arrestata in America per essere stata la basista di un furto da Tiffany nel periodo natalizi dove, purtroppo ci è scappato il morto, la guardia giurata del negozio uccisa a sangue freddo. Che ne sanno del fatto che il dolore ti accompagna giorno e notte e non ti lascia mai. Che ne sanno loro di cosa si prova a vedersela davanti con la tuta arancione e le manette ai polsi mentre un giudice le legge l’assurda sentenza che la relega dietro le sbarre per vent’anni. Così lontana e irraggiungibile.
Io sto qua, nel mio bel paesino italiano e lei sta là, a New York. Sono riuscita a prendere un permesso lavorativo per andare ad assistere al verdetto.
Ho sperato di trasferirmi là, ma non so la lingua e sono sola.
Ho sperato che prendessero i veri responsabili, ma inutilmente.
Ho sperato che qualcuno stesse finalmente a sentire la versione di mia figlia che hanno arrestato il giorno dopo mentre – ignara e da sola, come una turista qualunque qual era – stava per salire sull’Empire State Building.
Ho sperato che avesse giustizia.
Alla fine, ho smesso di sperare e ora convivo con la realtà. Per un caso raro di omonimia, mia figlia è ancora trattenuta a Rikers Island, innocente e impossibilitata nel chiedere la revisione del processo.
Mi ha detto che le hanno mostrato delle prove che la collocano lì, ma – sfortuna sua – quel giorno lei era rimasta in hotel per un forte mal di testa che l’aveva accompagnata fino a sera quando era ricomparsa a cena. Nessun testimone, parole ritenute inattendibili.
Sono già due anni che è lì dentro. Non venite più a parlarmi di speranza.





Cinque anni dopo.
 

«Mamma, mamma ci sei?»
 
«Sono in giardino, Alex.»
 
Ah, mio figlio Alex, se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. E se non ci fosse, io probabilmente mi sarei lasciata andare alla depressione. Ha appena diciotto anni, ma in tutto questo tempo è stato la mia salvezza. Mia figlia Maria domani ne compie trenta ed è ancora una detenuta americana.
 
«Mà, c’è una telefonata da parte dell’avvocato Petrilli» mi annuncia quasi timoroso.
 
Strano che telefoni senza preavviso e a quest’ora poi. Che sia successo qualcosa di grave a Maria? Mollo le cesoie, afferro il cordless e metto il vivavoce.
 
«Pronto, avvocato? Che succede?»
 
«Buongiorno anche a lei, signora Bianchi. Oggi sono portatore di buone notizie, le vuole sapere?»
 
«Signor Petrilli, per favore, non faccia certi giochetti con me, non sono in vena. Mi dica tutto.»
 
«La chiamavo solo per avvisarla che hanno arrestato i veri responsabili della rapina alla gioielleria.»
 
«Non… non sta scherzando, vero? Perché guardi che se è così, io…»
 
«Nessuno scherzo macrabo, signora. Hanno riaperto il caso dopo che un tizio arrestato per spaccio si era lasciato sfuggire di avere partecipato alla rapina da Tiffany anni prima e proprio come basista. Li hanno presi, l’incubo è finito.»
 
Oddio, mi sta scoppiando il cuore. Alex mi abbraccia di scatto e lancia un urlo di gioia che penso abbia assordato anche il Petrilli dall’altro capo del telefono.
 
«E… e la nostra Maria verrà rilasciata adesso, vero?» Gli chiedo speranzosa.
 
«Sua figlia verrà informata da me tra poco e, se tutto va liscio come credo, dovrebbe essere fuori dal carcere tra un paio di giorni. Il tempo di formalizzare gli arresti, processarli per direttissima e archiviare le prove e poi, finalmente, sarà una donna libera» sento che ridacchia e poi mi dice «visto che avevo ragione? Mai perdere la speranza.»
 
«Sì, ha ragione, ma si metta nei miei panni…» sospiro e poi aggiungo «ne è proprio sicuro, vero?»
 
«Ahahah, ma certo che sì. Non la prenderei mai in giro. Penso che a Maria farebbe piacere vedervi per primi, appena esce. Mi autorizza a organizzarvi il viaggio? Verrò io personalmente a prendervi agli Arrivi.»
 
«Sì, sì, grazie. Io sono impedita con l’inglese e poi non ho la testa per organizzare neanche la cena, in questo momento, figuriamoci un volo per due con tanto di pernottamento in hotel.»
 
Sento che ride e poi ci lasciamo con la promessa di sentirci in giornata per aggiornarci sul volo e per sapere le reazione di Maria alla notizia.
Stringo forte Alex a me e insieme piangiamo per la gioia di avere ancora la famiglia riunita e questa volta per sempre.
Sono felice. Sulla speranza la penso ancora così – poiché so io cosa ho passato in tutto questo tempo – ma non starò tranquilla fino a che non avrò mia figlia Maria accanto fisicamente. In questi anni ho potuto vederla pochissimo, con minimo contatto fisico e guardate a vista dalle guardie. Maria ha pulito strade, falciato erbacce legata con catene ad altre quattro detenute. Ha lavorato in lavanderia, in mensa… e non si è mai lamentata. Perché, mi ha spiegato, se stai buona e ubbidisci, la vita migliora lì dentro e puoi ottenere un piccolo premio, come una telefonata in più a settimana.
Maria è diventata forte e coraggiosa suo malgrado. È cresciuta in fretta e ha fatto tutto da sola. L’ammiro molto e con me anche Alex che aveva appena undici anni all’epoca del suo arresto e mi accompagnava sempre a trovarla, la sua condizione di minorenne glielo permetteva e non vedeva l’ora.
 
«Terra chiama mamma, terra chiama mamma» Alex mi distoglie dai miei pensieri facendomi ridacchiare dopo tanto tempo, lo guardo e lui mi dice «stavo dicendo che sarebbe meglio andare a preparare le valigie, non trovi? Credo che l’avvocato ci prenoterà il primo volo che troverà.»
 
«Sì, hai ragione, il giardinaggio può attendere. Maria no!» Gli rispondo di getto.
 
Poi, la confusione più pura. L’unica cosa che ricordo, oltre all’attesa snervante fuori dal cancellone, è il sorriso sincero e commosso di mia figlia che mi corre incontro e mi stringe a sé, per poi fare la stessa cosa con Alex. Infine, ci guarda a turno e dichiara.
 
«Mai perdere la speranza. Adesso ci credi, mamma?»
 
Le sorrido. Chi sono io per negarle qualcosa?
   
 
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