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Autore: Monkey D Anjelika    04/10/2021    1 recensioni
Dal testo:
"Fissò le fiamme finché non vide il suo riflesso.
Quanto odiava quel mondo. Avrebbe voluto bruciare tutto e, poi, far rinascere ogni cosa. La bellezza sarebbe rifiorita dal dolore e fecondata dalla giustizia."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akainu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il fumo oscurava la vista, si era innalzato fino a creare una barriera.
Tra il miasma si notavano piccole scintille non sufficienti ad illuminare il tetro scenario.
Gli occhi scuri di un bambino, di appena sette anni, si mimetizzavano con il fumo.
Lo stesso colore antracite.
Il bambino si alzò a fatica, tossì per l'esalazione e, poi, si ripulì i vestiti dalla polvere.
Le vecchie scarpe da ginnastica rosse che portava erano malconce.
In particolare quella sinistra, il puntale si era staccato dalla suola rivelando il piede nudo.
I pantaloni beige erano logori, strappati e tenuti sulla vita da una cinta gialla con la fibbia color argento, troppo lunga per un corpo così esile e malnutrito.
La camicia rossa era aperta, ormai i bottoni si erano staccati definitivamente e dispersi chissà dove.
Il cappello avana era leggermente sudicio ma la scritta 'giustizia' era, ancora, ben leggibile.
E lui un giorno avrebbe fatto giustizia.
E mentre camminava attento in quella landa desolata, tra le mani stringeva un pugnale preso chissà dove.
Un leggere vento, nel frattempo, aveva portato con sé il fumo e aveva aperto il sipario su quel massacro.
Centinaia di corpi senza vita giacevano a terra, i volti bruciati.
Sarebbe stato difficile riconoscerli, ma tanto a nessuno sarebbe importato.
Sarebbero rimasti lì, non c'erano né pietà né giustizia in quel luogo.
I folti alberi, ora, erano diventati carbone.
Le foglie erano scomparse, bruciate fino all'ultimo.
I fiori erano appassiti per la mancanza di luce.
Non era rimasto nulla di vivo in quell'isola se non quel bambino arrabbiato.
Il suo nome era Sakazuki, un bambino solitario.
Sin da quando ne aveva memoria, lui era sempre stato da solo.
Sua madre, troppo povera, lo aveva lasciato in orfanotrofio sperando che qualcuno potesse amarlo al posto suo.
Ma il bambino non venne mai adottato.
Nessuno fu mai adottato.
Con lui erano presenti altri nove bambini, tutti maschi.
Erano gracili e deboli di spirito.
Suo padre, invece, era sparito dopo aver scoperto che la donna era incinta.
Era un uomo che non voleva una famiglia, sognava di essere importante.
Aveva studiato e desiderava vedere il mondo.
Ma la sua condizione economica glielo aveva impedito, un uomo grande ma in una vita piccola.
Aveva perso il lavoro, quell'isola era povera.
E lui non aveva nemmeno una casa.
Viveva in strada e pensava che suo figlio non lo meritasse.
Nella mente di Sakazuki echeggiavano ancora i lamenti e le lacrime che percorrevano il viso degli orfani e poi toccavano le assi di legno del pavimento.
Sentiva ancora i sonori schiaffi delle suore.
Non si poteva piangere, non si doveva piangere.
Chi piangeva, veniva punito.
E, allora, Sakazuki imparò a reprimere le lacrime.
Riuscì a controllare le sue emozioni, la razionalità fu la sua salvezza.
Era diventato così freddo che le lacrime congelavano dentro.
Le rigide regole di quel luogo, aveva reso rigido anche lui, un bambino.
Tutto funzionava bene lì dentro, le regole stabilivano ordine ed equilibrio.
E Sakazuki pensava che tutto il mondo necessitava di regole e della violenza per chi non le rispettasse.
Ma senza giustizia, ciò non era possibile.
La giustizia non c'era mai stata in quel luogo, la paura dei cittadini le aveva impedito di nascere.
E se, forse, ci fosse stata solo un po' di giustizia, il bambino sarebbe potuto restare con i suoi genitori.
Avrebbero potuto aiutarli.
A quel pensiero, il bambino scosse il capo.
Aveva giurato a sé stesso che mai più avrebbe pensato a quei due.
Quei pensieri lo rendevano debole, vulnerabile.
Si ricordava di essere solo un bambino, ma lui non poteva.
Doveva essere forte.
Il brontolio del suo stomaco, lo interruppe.
Aveva fame, ma dove poteva trovare cibo?!
Stanco si sedette a terra e si accorse che c'era ancora il fuoco acceso.
Ma era diverso dall'incendio, sembrava più un falò.
Qualcuno doveva essere stato lì poco prima.
Ma Sakazuki non ci pensò.
Fissò le fiamme finché non vide il suo riflesso.
Quanto odiava quel mondo.
Avrebbe voluto bruciare tutto e, poi, far rinascere ogni cosa.
La bellezza sarebbe rifiorita dal dolore e fecondata dalla giustizia.
Quella linea di pensieri fu spezzata da un luccichio che proveniva dalla spiaggia.
Sulla sabbia, a pochi metri, da dove era seduto Sakazuki c'era qualcosa.
Era piccolo ma la sua superficie rifletteva le fiamme.
Il bambino, incuriosito, si avvicinò.
Davanti ai suoi occhi trovò uno strano frutto.
Aveva un colore cremisi, era accesso e sfumato.
Alcune parti erano più scure di altre.
Sembrava il colore del magma.
Sakazuki era dell'idea che fosse più bello che buono, ma il suo stomaco vuoto desiderava essere riempito.
E così assecondò la fame e lo ingerì.
Come aveva dedotto, non aveva un buon sapore.
Era aspro ma sempre meglio di nulla.
Dopo aver ingoiato lo strano frutto, si sedette sulla sabbia e iniziò a giocare con essa.
Bruciava, ma non ci fece caso.
All'improvviso sentì il caldo divenir parte di sé.
Nelle sue vene iniziò a scorrere il magma, il caldo del fuoco lo avvolse.
Il suo corpo si stava trasformando.
Prendeva fuoco ma non bruciava.
Il bambino si spaventò.
Urlò dalla paura finché dalle sue mani, che si agitavano, non uscì lava.
Sakazuki l'ammirò solidificarsi.
Che frutto era quello? Cosa aveva mangiato?
Era piccolo, non conosceva ancora i frutti del diavolo ma era abbastanza sveglio per capire che quello strano potere dipendeva dal frutto appena ingerito.
Era diventato come un vulcano, un uomo di magma.
Non ebbe paura, anzi sorrise.
Quel potere sarebbe stato utile a sconfiggere i nemici e imporre giustizia.
Era diventato invincibile.
Nulla poteva bloccare la fuoriuscita di lava.
Il fuoco ardeva in lui, ma non era così forte da poter sciogliere il ghiaccio che avvolgeva il suo cuore.
Sarebbe diventato un uomo ardente, un uomo caldo ma con il cuore freddo come il marmo.
Un carattere freddo e distaccato, un ossimoro vivente.
All'improvviso le sue orecchie udirono delle risate.
Sakazuki si guardò intorno.
Non c'era nessuno.
Poi guardò verso l'orizzonte, una nave si stava allontanando.
Guardando meglio, il bambino vide una bandiera nera sventolare con sopra inciso un teschio.
Sakazuki sgranò gli occhi, erano pirati.
Si stavano allontanando dalla sua isola.
Allora dovevano essere stati loro!
Quei criminali avevano distrutto tutto quello che aveva.
La rabbia ribolliva in lui, il fuoco divampava nel suo animo.
I pirati, quei criminali.
Erano stati loro sicuramente, erano sempre stati loro.
Sakazuki lo sapeva bene, tutti lo sapevano.
La gente parlava, bisbigliava.
Da un po' di anni a quella parte, alcuni giovani avevano salpato i mari per trovare tesori e portare morte e distruzione.
Alcuni erano molto forti e crudeli, erano così tanti che nemmeno la giustizia riusciva a fermarli.
La marina era in crisi.
Loro avevano portato il degrado, erano il degrado della società.
Era colpa loro se i raggi della giustizia non illuminavano più alcune isole remote.
Prima la criminalità era poca, i criminali erano per lo più ladri o assassini.
Persone cattive sì, ma non scappavano per i mari.
Rimanevano nell'isola ed era facile scovarli.
Ma da quando c'erano i pirati, era difficile trovare i colpevoli.
A volte, nemmeno lo si voleva, si aveva così paura che la giustizia non interveniva più.
Alcuni ne avevano approfittato: rubavano, uccidevano e violentavano per, poi, incolpare i pirati.
Non aveva senso cercarli, ormai erano troppo lontani. In mezzo al mare, in altre isole.
Chissà dove.
Questa era la giustificazione di alcuni marine locali.
Sakazuki odiava quelle parole.
Quando vide quella nave allontanarsi, quei corpi senza vita e quel potere impadronirsi di lui, divenne un cane rabbioso.
Qualcosa scattò dentro lui.
Un pensiero, un desiderio, una necessità.
La sua volontà di arruolarsi in marina e combattere tutti i pirati.
Avrebbe imposto la sua giustizia.
Il suo magma avrebbe bruciato il male, e poi, da essa sarebbe rifiorito la giustizia.
Ma non si poteva combattere la violenza senza la violenza.
La guerra avrebbe portato la pace, la morte avrebbe portato la vita, l'aridità avrebbe portato la fecondazione e la criminalità avrebbe portato giustizia.
Tutto sarebbe stato coperto dal rosso del magma, il rosso sarebbe stato il suo colore.
Il rosso del fuoco e del sangue dei pirati che sarebbero caduti per mano sua.
Avrebbe riscattato il suo passato e la sofferenza dei suoi genitori.

 

   
 
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