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Autore: MaikoxMilo    05/10/2021    3 recensioni
Vi fu un tempo, anche se privo dello stesso concetto di tempo, in cui, si narra, Cielo e Terra, Mondi e Dimensioni, Caldo e Freddo, Umido e Secco, coesistessero in una sola sostanza che racchiudeva tutto; tutto ciò che avrebbe poi assunto un nome, ma che, allora, nome non possedeva. Non c'era quindi un inizio, né una fine, non esisteva Destino, né legge, tutto era miscelato, un tutt'uno indistinto, estroflesso, inscindibile, nonché eterno. Tale concentrato di materia venne chiamato posteriormente "Principio Primo di Tiamat", prima di scomparire completamente nella Notte dei Tempi, svanendo per milioni e milioni di anni.
Tutti gli universi possiedono quindi un'origine comune? Che ne fu di quell'epoca, CHI ordinò il Creato, dandogli una forma propria, dividendo le dimensioni, espandendole all'infinito di propria mano? Chi ebbe la forza per farlo? Perché lo fece, imprimendo così la propria imperitura effige?!
Marduk, Sommo dio Marduk, fosti tu a volerlo, stracciando il gigantesco corpo della dea Madre Tiamat, scindendo così, per la prima volta, il Cielo dalla Terra; gli Universi dalla Matrice?!
Storia ambientata tra i capitoli 10 e 12 della Melodia della Neve, di cui è quindi indispensabile la lettura insieme alle fanfiction precedenti.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Cygnus Hyoga, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Capitolo 5: L’altra faccia della Creazione

 

 

“...E questo è per il Maestro Camus, verme!” urlò ancora Michela, totalmente fuori di sé, continuando a picchiare selvaggiamente Utopo sotto di sé, il quale apparentemente all’angolo, non riusciva a far altro che subire l’ennesimo pugno sulla cassa toracica e, ancora, ancora, senza essere in grado di opporsi, in testa, sulle spalle, ovunque la furia della semi-dea dilagasse.

Avrebbe già dovuto essere in poltiglia, capitolare, stante la forza che ci stava mettendo, eppure… eppure così non era, non sembrava essere, per lo meno. Il suo corpo non faceva altro che rimbalzare per terra, totalmente in balia del fuoco allo Zero Assoluto che la ragazza era stata in grado di maneggiare, ma il colpo di grazia non arrivava mai. Una volta che Michela si fermava un attimo per rifiatare, il ghigno di Utopo compariva sul suo volto sanguinolento e per metà bruciato, costringendo la giovane a riprendere da dove aveva iniziato, sempre più stremata, perché le sue energie non erano infinite e combattere a quel ritmo la prosciugava sempre di più.

Ciò non era normale!

Ciò non POTEVA essere normale!

Hyoga annaspò, tentando di rialzarsi in piedi. Si girò prono, cercando il sostegno delle sue braccia che tuttavia tremavano come alberi sbatacchiati dal vento. Pregò il suo corpo e il suo cosmo di resistere, perché aveva una brutta sensazione, terribile, che non faceva che acuirsi minuto per minuto. Non poteva dargli fede, però!

Finalmente riuscì a rimettersi quanto meno sulle ginocchia, ingoiando aria, che quasi gli mancava, a forza e cercando allo stesso tempo di calmare i propri battiti cardiaci. L’attacco sfrenato di Utopo lo aveva distrutto, non c’era fibra del suo corpo che non ululasse dolore. Si tastò la pelle dell’addome e del torace, sussultando nel sentirne concretamente le bruciature aperte tra le dita. Resistette, non permettendosi di far trasparire il minimo segno di dolore, così gli aveva insegnato Camus.

Camus!

Scoccò una breve occhiata al mentore, ancora steso poco più in là, quasi del tutto incosciente. Michela lo aveva sistemato supino, ma lui, prima di cedere del tutto, aveva comunque provato a girarsi per correre in loro soccorso. Era infatti leggermente sdraiato su un fianco, la mano destra, ormai immota, a penzoloni sopra il ventre per tentare di nascondere ancora una volta l’ombelico su cui si era formata ormai una patina d ghiaccio allo Zero Assoluto. Essa si stava sviluppando verticalmente, lambendo la zona del basso addome da una parte e salendo dall’altra fino all’altezza dello sterno. Quello… quello lo avrebbe aiutato a resistere a Tiamat, Hyoga lo sapeva, era riuscito nell’impresa che si era predisposto. Sorrise, felice di essere finalmente stato in grado di aiutarlo, ciò gli fece forza, spingendolo ad agire.

Prima una gamba, poi l’altra, con lentezza esasperante. Infine fu in piedi, sebbene la testa gli girasse e la vista fosse paurosamente offuscata, rabbrividì nel distinguere Michela ancora intenta a combattere, con perseveranza, ignara però, nella foga, che non poteva essere normale l’assoluta naturalezza con la quale quel mostro subiva la sua fiamma congelata. Cosa aveva in mente Utopo?!

“Ancora sogghigni, maledetto stronzo, anf?! - lo pressò lei, sempre più fuori di sé, sebbene il fiato cominciasse a mancarle – Ora basta, mi hai stufato, MOSTRO! Pagherai… ogni… singola… cosa!” ululò, inviperita, devolvendo tutta sé stessa in un crepitare di fiamme che aveva del prodigioso.

Il colpo fu sferrato… ma abilmente fermato da qualcos’altro che scoppiettava in un altro palmo ammantato da una fiamma color nero pece; una fiamma di tenebre. Michela fu bloccata nuovamente a metà strada; il peggior sentore di Hyoga divenne certezza appena un attimo dopo.

“Ma cos…?!” biascicò la giovane semi-dea, incredula, mentre vedeva Utopo alzarsi come se non avesse subito alcun colpo, tenendola ferma lì, impossibilitata sia a tornare indietro che ad andare avanti. Il ghigno divenne una festosa risata.

“Ora capisco appieno le parole di Fei Oz sul vostro potenziale pressoché illimitato. Devo ammetterlo: me ne dolgo sinceramente di averti presa sotto gamba!” disse, mentre, a fatica, ma senza grossi sforzi, si metteva in piedi, tenendo sempre la ragazza vicina a sé, troppo vicina.

“Mich...” Hyoga tentò di intervenire ma, fatto un passo, crollò a terra completamente sfiancato, tastandosi il fianco sinistro appena sotto il capezzolo dal quale provenivano fitte sempre più frequenti e dolorose.

Maledizione… la milza deve essersi danneggiata a seguito dei pugni subiti precedentemente -realizzò in un brivido sempre più concreto- Merda, non adesso, non ancora… loro sono ancora in pericolo di vita, non cedere, Hyoga!

Si raccomandò a sé stesso, dicendosi che non poteva cedere, non finché Michela e Camus non sarebbero stati al sicuro, in salvo.

“Dannato! Come puoi?!” esclamò Michela, con una punta di terrore, realizzando che le fiamme nere di quell’essere -che erano state chiamate di Kdur, anche se non conosceva il significato di quella parola- stavano fagocitando le sue, azzurrine ghiacciate, guadagnando mano a mano a terreno. Bruciavano con intensità crescente, rassomigliando ad un’onda calda di 100 vulcani che eruttavano contemporaneamente, no, ben di più, quel calore stava diventando davvero insostenibile, persino per lei che maneggiava la fiamma di suo padre Ares.

“Fiamma nera batte comunque fiamma celeste, anche se devo ammettere che convogliare lo Zero Assoluto del biondino sul tuo colpo è stata una intuizione niente male! – si congratulò Utopo, fintamente cortese – Ma tu rimani una patetica semi-dea, un mezzo essere che non appartiene a nessuno dei due mondi, nonché la più debole delle allieve dell’Acquario! L’elemento principale del tuo colpo è comunque il fuoco e, per quanto tu possa provare ad infarcirlo di altro, non può scalfirmi!”

“Uaaaaaaaaaaaarrrrggghhh!!!”

A Hyoga si accapponò la pelle nel sentire l’urlo viscerale della sua fidanzata, il cuore accelerò le sue pulsazioni per la paura provata, incrementando altresì l’emorragia interna che il ragazzo percepiva diffondersi dentro la sua cavità addominale sempre più bollente, come… come…

Cadde riverso a terra, sputando sangue, trattenendosi la pancia con tutte le sue forze. Era orribile, si sentiva le interiora impregnate di una sostanza calda e liquida che continuava a dilatarsi e spandersi, prosciugandogli le energie. Ormai non vedeva quasi più nulla, a pochi centimetri di distanza da lui era tutto offuscato e, presto, lo sentiva, non avrebbe più neanche distinto le sue mani insanguinate che tendevano verso le due persone più importanti della sua vita senza tuttavia raggiungerle, perché erano troppo, troppo, distanti.

“Michela! Maestro Camus!”

Anche i toni di voce si facevano sempre più bassi, quasi rimbalzavano nella sua mente senza essere acciuffati… si stava arrendendo?! Stava per gettare la spugna?! N-no, neanche fra un milione di anni, neanche contro il nemico più forte mai affrontato!

I sensi lo stavano per abbandonare, era vero, così come era accaduto nella battaglia contro Milo durante la corsa alle Dodici Case, ma, proprio per questo, il Cigno sapeva che poteva combattere anche privo di quelli.

Per… per le persone che amava. Sempre!

“Morirai, ragazza, insieme al biondino che sta già agonizzando! - la fredda voce di Utopo gli giunse comunque tramite il suo Settimo Senso che si stava elevando sempre di più, oltre il limite estremo – Morirete… come se una rovente colata piroclastica si abbattesse su di voi, INCENERITEVI!”

“N-no, a-anf, non te lo… permetterò!”

Hyoga sussultò nel riconoscere la voce tumefatta del suo maestro. Lo vide con gli occhi della mente, Camus, la persona più vicina alla sua idea di padre, provare nuovamente a muoversi, febbrilmente, a scatti annacquati, tanto era il dolore, ma nitidi. Stava provando a reagire per lui e Michela, pur non avendo forze, nella paura di perderli. Si era voltato prono, ma le energie per rimettersi in piedi gli mancavano, mani che arrancavano nella loro direzione, cercando disperatamente di raggiungerli. Fu il cosmo di Hyoga a rispondere, a lambirlo, sussurrandogli di non intervenire, di rimanere lì, di fidarsi di lui, perché… l’avrebbe protetta lui Michela; LI avrebbe protetti entrambi!

Maestro Camus… So quanto tenete a lei, alle vostre nuove allieve, a vostra sorella Marta, so che fareste di tutto per salvarle, come con Isaac, andando oltre i vostri limiti, ma… rimanete lì, vi prego, non siete in condizioni di combattere, muovervi aumenta le contrazioni, ed io… io voglio salvarvi, voglio proteggervi e proteggere loro, come faceva… come faceva il vostro Isaac, perché io… sì, ora posso farlo, Maestro, sono… sono cresciuto!

Gli parve si acquietasse un minimo, ingoiando a vuoto. Era stremato, le palpebre fremettero più volte prima di aprirsi debolmente, prima che i suoi occhi blu si incrociassero con i suoi, cercando di raggiungerlo almeno con lo sguardo, perché fisicamente non poteva.

“Hy… Hy-o-ga...”

“P-posso farlo, Maestro, anf, b-bruciando quel che rimane della mia vita!”

“N-no! Anf, p-perché t-tu ancora non...”

...Non capisci che è con la tua vita che salvi le persone, non con la tua morte, m-mio Hyoga!

Avrebbe voluto tanto dirgli Camus, prima di perdere nuovamente coscienza per il dolore e per lo sforzo di trattenere Tiamat dentro di sé.

Il messaggio non riuscì ad arrivare, ma al Cigno sembrò comunque che quel ‘no’ potesse identificare tutto un mondo. La voce di Camus lo aveva raggiunto ovattata, flebile, tremante, prima di svanire. Chissà cosa gli avrebbe voluto dire, chissà cosa avrebbe voluto fare, probabilmente salvarlo dalla scelta di sacrificarsi, ma non era più tempo per le incertezze, né per i dubbi.

“Se è con la mia vita che posso salvarvi entrambi, allora la brucerò con tutto me stesso!” affermò risoluto Hyoga, facendosi forza e apprestarsi così ad agire.

Con un titanico sforzo, sputando un grumo di sangue che avvertiva nella gola, si rimise in piedi, aprendo gli occhi, che vedevano offuscato, e abbracciando ancora una volta il Cosmo Ultimo.

“Ultimo per davvero, stavolta...” si disse tra sé e sé, consapevole di star gettando la sua vita. Non era in condizioni buoni, un assalto ancora lo avrebbe esaurito, ma perché esitare se intanto il suo destino era già segnato?!

Ancora una volta… per amore!

Scattò in avanti, dispiegando le ali del Cigno, infondendo tutto sé stesso, tutta la sua rabbia, tutta la sua disperazione. Si lasciò lambire interamente dallo Zero Assoluto, proiettandosi contro Utopo, il quale, scoccandogli un’occhiata di biasimo misto al disgusto, sbuffò.

“Un attacco suicida, Cigno… facevi meglio ad agonizzare per terra!”

“TACI, UTOPO!”

L’obiettivo di Hyoga non era direttamente lui, ma la salvezza di Michela, la quale, semi-incosciente, cercava di utilizzare la fiamma azzurra per preservare il suo corpo dalla vampa nera che la avvolgeva e che riusciva comunque a bruciarle la pelle esposta. La vide aprire debolmente gli occhi, stremata, guardandolo, le sue labbra si mossero appena, non producendo però alcun suono. Il nemico la stava soffocando con quel braccio artigliato sul suo collo e la Fiamma di Kdur sull’altro. Il ragazzo si sentì pervadere da una rabbia feroce, spietata, mentre i cristalli di ghiaccio e morte, per l’irruenza, si diffondevano in tutta la cattedrale.

Utopo inaspettatamente non si mosse ancora, lo aspettò, gli occhi ricolmi di disapprovazione e di superbia, come se si fosse già aspettato un attacco simile. Ciò avrebbe dovuto mettere in allerta Hyoga, ma la smania di salvare la persona amata, la paura di perderla, aveva offuscato la sua capacità di giudizio. Colui che si professava il Generatore dei Mondi sorrise di sbieco nel vederselo ormai prossimo, interruppe così la sua fiammata, portando, con una azione rapida, il corpo della semi-dea contro di sé per poi lanciarlo subito in aria, neanche fosse stato un foglietto di carta da buttare. Quel gesto così violento e non previsto, obbligò il Cigno a compiere una brusca, quanto disperata, virata per afferrarla.

La riuscì a prendere con il braccio destro, il fianco sinistro era sguarnito, ma non importava, la sorresse con tutte le forze, facendole appoggiare la testa sulla propria spalla e iniziando ad espandere il suo cosmo per contrastare le bruciature che lei aveva nuovamente subito. Ebbe giusto il tempo di fare quello, prima di percepire nitidamente qualcosa conficcarsi dentro la sua carne, proprio all’altezza della milza ormai già ampiamente spappolata.

A Hyoga parve che il suo respiro e il suo stesso cuore si fermassero simultaneamente. Dolore. Lancinante. Ma non un solo grido. Non un solo cedimento. Strinse istintivamente Michela a sé, abbracciandola. Almeno lei era salva, lui invece… il suo sangue ancora pulsante gocciolò per terra, gorgogliando sinistramente. Si ritrovò a stringere la mascella per trattenere il dolore, rivoli purpurei gli sporcavano le labbra secche, colando poi sul mento. Di nuovo il suono del suo sangue che cadeva per terra, un gloglottio inesorabile che era destinato ad aumentare finché non lo avrebbe privato delle forze e del respiro. Non ci diede comunque peso, rimanendo a fissare furioso gli occhi freddi di Utopo, il quale, contrariamente a quanto avesse sperato il Cigno durante il suo assalto, era rimasto invece a debita distanza di sicurezza e ora lo fissava vittorioso, continuando ad irriderlo con quella sua espressione da folle. Anche il nemico stava perdendo inspiegabilmente sangue dalla zampa artigliata, che era infatti corso a tamponare subito con un capo della lunga veste. Solo a quel punto Hyoga capì come avesse agito, le gambe quasi gli cedettero ma le divaricò per non cadere, trattenendosi con la mano libera la zona lesa che sanguinava copiosamente.

Aveva fallito.

Utopo non era caduto nella trappola, non si era avvicinato a lui, ma era rimasto lontano, limitandosi a tranciarsi un unico dito per poi conficcarlo proprio nella milza di Hyoga, ormai ridotta ad una poltiglia sanguinolenta.

“Pensavi… che fossi così stupido, Cigno?!”

“U-urgh...”

“Pensavi che potessi cadere nella tua trappola?! - ripeté Utopo, soddisfatto – Sì, l’intuizione che hai avuto è corretta: quando usi lo Zero Assoluto anche tu diventi un super-conduttore, potresti varcare ogni confine fisico, infliggere danni mortali a chiunque, sia anch’essa un’anima incorporea, sia anch’essa un essere perfetto come me, ma… hai dimenticato, mio povero giovanotto fin troppo spavaldo, che anche io sono uno scienziato, conosco gli effetti di spingere tutto oltre il limite e… posso evitarli agevolmente!” qualcosa lampeggiò selvaggiamente nei suoi occhi, un passo risuonò nella cattedrale gotica che rappresentava il suo mondo.

Hyoga non disse niente, quasi non aveva la forza per parlare, né per muoversi, solo stringere Michela, che stava difficoltosamente recuperano coscienza, contro di sé. Era davvero la fine per lui, non sapeva più… non sapeva più…

Il buio scese sulla sua percezione, persino il Settimo Senso andava svanendosi, inevitabilmente. Il suo ultimo sforzo si era rivelato vano.

In quell’istante la ragazza si riprese, quasi boccheggiò, accorgendosi di essere stretta al suo fidanzato, appoggiata con il mento alla sua spalla destra. Provò l’istinto di abbracciarlo a sua volta, rendendosi però conto, mentre passava il braccio sul fianco opposto, che Hyoga aveva sussultato e che qualcosa di tremendamente caldo le stava colando sulla pelle. Sobbalzò a quella percezione.

“H-Hyoga, c-cosa… - cercò di reggersi da sola, sebbene ne avesse a stento le forze, abbassò di riflesso gli occhi, inorridendosi appena comprese cosa fosse accaduto – N-no… n-no… NO! Hy-Hyoga, amore mio, n...”

Ma inaspettatamente il Cigno la abbracciò con tutte le energie che aveva ancora in corpo, la cinse, come non si era mai permesso di stringerla, come avrebbe tanto voluto stringerla -si rese conto- magari nel letto, mentre facevano l’amore per la prima volta, promettendosi di esserci per sempre.

Che… strano… pensiero… prima di morire!

Sorrise amaro, mentre, con una leggera pacca, volle l’attenzione di Michela.

“M-michy...”

“Non parlare, Hyoga, ora non parlare! - urlò lei, spaventatissima, scoppiando a piangere mentre istintivamente premeva la sua mano sul fianco del suo ragazzo nel disperato tentativo di arrestare l’emorragia – Camus risolverà tutto, ci penserà lui a te, CI PENSERA’ LUI!!!”

Ma il Cigno scosse debolmente la testa, sempre con quel sorriso amaro e arrendevole che lo rendeva quasi evanescente:

“N-no… devi essere tu ad avere cura di l-lui, tu e le altre… ne ha già passate troppe, per causa mia, p-promettimi che lo proteggerai!”

“No, lo faremo insieme, Hyoga, tu ed io, insieme a Marta e Francesca… ma lo faremo, sei tu che devi promettermelo!”

“N-non ho quasi più forze per… per riuscire a farlo, ma… ma posso farti ancora da scudo, s-se tu ora vai da lui, d-dentro la barriera di ghiaccio. Utopo non potrà più...”

“NO, NON VADO! RIMANGO QUI, HYOGA, CON TE!!!”

Il cigno scosse ancora una volta la testa, sempre più pallido in volto:

“P-per favore, vai… anf, stiamo solo perdendo tempo, ed io...”

“No, ragazza – intervenne Utopo, esasperato da quella scenetta che lo disgustava – Rimani pure lì, abbarbicata a lui, così vi farò fuori entrambi senza il minimo sforzo!”

Michela non ascoltava più nessuno. Riusciva solo a piangere, di nuovo, in lacrime, stringendo ancora di più Hyoga a sé, il quale, a sua volta, tentava di alzare il braccio libero, cercando disperatamente di opporsi con le esigue forze restanti che si andavano a prosciugare.

“Maledetto, anf… l-la proteggerò, fino all’ultimo respiro!”

“Non credo ci vorrà molto, allora, biondino! - lo canzonò in tono irriverente, avanzando inesorabilmente verso di loro. Ormai la vittoria arrideva completamente a lui, erano come due insetti finiti nella tela del ragno – Rendetemi grazia per farvi passare a miglior vita insieme, così vi potrete amare nell’oltretomba! Dite addio ai vostri puerili sogni, siete...”

Ma i suoi occhi, quasi languendo, si spalancarono a vuoto, un ghigno di tutt’altra effige si manifestò sul suo volto; la Vampa Nera di Kdur, con la quale si stava già apprestando a sferrare il colpo finale, svanì in un istante.

Hyoga non capì subito cosa fosse successo. Osservò sbigottito il volto del nemico, ora scosso da fremiti indistinti, i bulbi oculari che si giravano da soli, mentre dalla bocca colava giù una bava appiccicosa. Lo vide ancora indietreggiare, ondeggiando avanti e indietro come se il suo cervello non fosse più capace da solo a coordinarne i movimenti. Le sue mani arrancarono sull’addome, tastando a tentoni, fino a riuscire a toccare finalmente qualcosa.

Gli occhi del Cavaliere del Cigno seguirono attentamente, per quanto gli fosse possibile, i movimenti delle braccia del nemico, finché non distinsero finalmente la ragione di quella reazione così inaspettata, di quel malore che sembrava averlo travolto. Sussultò nitidamente nel riconoscerne la forma e il materiale.

Ciò che si era infatti conficcato con precisione nello stomaco di Utopo, era una freccia; una freccia ghiacciata che dava bagliori dorati e che, nel punto di penetrazione della punta, emanava una sorta di fumo bianco non ben definito che pareva olezzo di…

Di digestione, di putrefazione… -si rese mentalmente conto Hyoga, rabbrividendo istintivamente- ma cosa diavolo…?!

Cadde infine Utopo per terra, bocconi, a faccia in giù, la freccia penetrò ancora di più le sue carni. Le sue corde vocali produssero un solo sibilo striminzito, poi venne scosso dalle convulsioni, dal vomito, che quasi lo soffocava, perché la posizione cui era caduto non gli consentiva di fare altro. Sembrava soffrire le pene dell’inferno…

“Papà!!!”

Fu l’esclamazione di Michela a ridestare Hyoga da quello spettacolo aberrante che non riusciva a non guardare. Si riscosse, mentre la ragazza tra le sue braccia, frenetica, tirando su con il naso, si raddrizzava, sbracciandosi come ad indicare a qualcun altro che erano lì.

Anche il giovane Cigno riuscì infine a voltarsi, percependo dietro la sua schiena un cosmo colossale, che non riusciva del tutto a riconoscere e che tuttavia… sobbalzò nello scorgere il suo maestro, così diverso dal consueto ma… pur sempre lui. Sì, era lui, non poteva essere nessun altro!

“Maestro… Camus!”

Provò a chiamarlo, ma dalle sue corde vocali non uscì che un suono gutturale, rauco, nient’altro, Avrebbe voluto dirgli tante cose, ma… qualcosa lo bloccava. Tornò a fissare Utopo, che continuava a gemere, a vomitare e contrarre involontariamente i muscoli, come se qualcosa lo mangiasse da dentro,ma… che cosa?!

Avvertì appena un bacio tra i capelli. Era Michela, che, nuovamente con il morale alto, sembrava nuovamente speranzosa in un decorso favorevole dell’intera situazione. Gli sorrise, raggiante, nonostante il residuo delle lacrime sulle guance.

“Te lo avevo detto! Resisti, Hyoga, ti prego! Ora ci penserà Camus a te!”

E si allontanò, correndo come meglio poteva, sebbene quello sforzo la sbilanciasse e fosse a sua volta ridotta ai minimi termini. Di nuovo Hyoga si voltò, una punta di paura cruda, netta.

N-no, Michela non andare! Non andare, ti prego! Quello non è…

“Non è… lui, anf!”

Riuscì solo a biascicare, prima di sentirsi cadere a sua volta a bocconi, esausto, a poca distanza dal nemico. Michela, dal canto suo, non percepiva altro che un enorme sollievo che annebbiava tutte le altre percezioni. Camus era intervenuto per loro, Camus era lì, aveva recuperato la coscienza, Camus era…

Era… era bello, bellissimo, in quella posizione con quell’arco fatto di ghiaccio tenuto tra le mani, le braccia tese ad imitare la posizione tipica degli arcieri. Aveva ancora un ginocchio per terra, l’altro piegato per bilanciarsi, ma sembrava pronto ad alzarsi e riprendere a combattere. I muscoli scultorei dell’addome ben contratti, definiti, nonostante il sangue dorato non avesse smesso di fuoriuscire dall’ombelico; l’espressione leggerissimamente tirata dalla stanchezza, ma indomita e determinata come l’allieva l’aveva sempre scorta; gli occhi…

Ecco, forse erano gli occhi il particolare che avrebbero dovuto metterla maggiormente in guardia, perché pur essendo ben aperti, blu, emanavano un strana luce antica, che aveva un non so che di ineffabile, di divino di… oltre… oltre l’umana essenza, ecco!

Ma in quel momento non poteva soffermarsi su una quisquilia simile: Hyoga stava male! Camus era intervenuto per loro! Sarebbe andato tutto bene! Sì, sarebbe andato tutto bene!

L’arco era ancora proteso nella direzione del nemico, e quindi la sua, perché era in mezzo… ma neanche quello importava.

Camus si alzò lentamente in piedi, sempre con quel meraviglioso arco teso, la pelle lucida per il sudore, i capelli che ondeggiavano appena sui pettorali, gli ultimi ciuffi solleticavano la pelle dell’addome, sfiorando l’ombelico, che emanava luce a sua volta.

Era veramente bello il maestro, ed… eccezionale, sì, lo era!

“Maestro!!!” lo chiamò trillante l’allieva, fuori di se dalla gioia, allargando le braccia mano a mano che si avvicinava a lui. Ma Camus non sembrava nemmeno vederla, fisso com’era a scrutare l’agonia di Utopo.

Hyoga, dal basso, lo guardò e, con orrore, notò che un leggero ghigno si era dipinto sulle labbra dalle quali usciva un respiro appena dispnoico. Ghignare… non era da Camus, Hyoga lo sapeva sin troppo bene. Tremò consistentemente a quella manifestazione aliena. Raccolse tutte le sue energie e il fiato per gridare in direzione di Michela. Doveva avvertirla, a qualunque costo, altrimenti…

“M-Mich...”

“Aiu-t-ami...”

La presa di Utopo sulla sua mano lo sconvolse. Il pilastro, parlando a stento nel suo stesso vomito, lo aveva afferrato, ma non era un attacco diretto, era…

...una richiesta di aiuto…

Hyoga non rispose, era frastornato. Lo aveva odiato, era stato un verme, un mostro, un abominio, eppure, nonostante questo, vederlo agonizzare così atrocemente per mano del suo maestro lo aveva scosso nel profondo, perché Camus era sempre stato giusto, non avrebbe mai provato godimento a far soffrire un altro essere vivente, mai, ne era più certo. Lo guardò, provandone un poco di compassione: stava davvero tanto male, che razza di potere…

Un singulto gli scappò nel constatare che quel fumo causato dalla penetrazione della freccia, si stava sviluppando, passando al fianco sinistro che… che…

Oh mio dio…

Non c’era quasi più un fianco sinistro, solo… il vuoto… perché gli atomi instabili della freccia che Camus aveva scoccato, interagendo con quelli di Utopo, stavano fagocitando i suoi, consegnandogli un’agonia lenta e dolorosa. Neanche uno come lui ne sarebbe scampato!

 

Tutto in natura tende all’equilibrio, Hyoga, pensa solo agli isotopi radioattivi e al loro decadimento. Qualunque cosa interagisca con altre essenze verte verso questo principio, ricercando così la propria stabilità, il proprio cardine su cui continuare ad esistere. Ricordati di questa regola, mio giovane allievo, e non provare a violarla mai, perché le conseguenze, il rompere un tale bilanciamento, potrebbero portare ripercussioni nefaste al mondo intero, anzi, forse persino all’universo nella sua totalità!

 

Le parole di Camus gli risuonarono in testa, ancora esitò, non sapendo cosa fare. Osservò una volta in più Utopo che, di nuovo, disperatamente, chiedeva il suo intervento.

“A-iu-t-a-mi, ragazzo… aiut… anf, anf… u-ucci-dimi! Ucc-idimi con il tuo Zero Assoluto, m-meglio quello che...” continuava a scuoterlo, ma non fu in grado di concludere la frase.

Hyoga avvertì la pressione di un attacco nell’aria, capì che l’arco di Camus era proteso per colpire nuovamente l’avversario, spietatamente, e che Michela era sulla sua scia. Gli si raggelò il sangue nelle vene a quella consapevolezza.

“MICHELAAAAA, anf, anf, non… non andare… l-là!!!”

La ragazza ebbe appena il tempo di arrestarsi, di voltarsi verso l’amato, che avvertì distintamente un sibilo passare vicinissimo al suo orecchio destro. Quel sibilo era un’altra freccia ghiacciata che si conficcò con precisione nel braccio di Utopo, quello che toccava Hyoga.

“UUUUUAAAAAAARRRRGGGGGHHHH!!!”

Un latrato terribile si levò nell’aria, mentre il Pilastro, fuori di sé dal dolore, impazzava, continuando a rotolarsi avanti e indietro preda di una sofferenza oramai più che insostenibile, persino per un non-morto come lui.

Michela si lasciò cadere sconvolta a terra, osservando una volta in più Camus, ancora con l’arco proteso. La sua bellezza era immutata, così come la sua eleganza ma… non era lui -realizzò, con una punta di paura- altrimenti non avrebbe attaccato così, rischiando di mettere in pericolo lei. Se solo Hyoga non l’avesse avvertita per tempo...

Si mise le mani davanti alla bocca, sgomenta.

...L’avrebbe uccisa!

Hyoga si fece forza, rialzandosi testardamente in piedi. Guardò Camus come non lo aveva mai guardato, un misto tra la venerazione mai scemata e la disapprovazione per quanto stesse facendo. Lui parve finalmente accorgersi della sua presenza, ricambiò brevemente l’occhiata dell’allievo, non dicendo comunque nulla. Poi, con gesto sinuoso delle braccia, ripose l’arco, lasciando che scomparisse nel nulla, prima di tornare a concentrarsi sulla sua preda. Avanzò. Sia Michela che Hyoga si rizzarono, del tutto impotenti.

“Maestro… Camus!” lo chiamò nuovamente il Cigno con un po’ più di voce, sebbene adoperarla lo prosciugasse ancora di più.

Camus avanzava, un solo obiettivo per la testa. Un passo davanti all’altro per disintegrare Utopo completamente. Era così che funzionava quel potere, quella maledizione, che si era costretto a segregare dentro di sé fino a quel momento e che tuttavia aveva trovato comunque il suo sbocco per salvare e proteggere loro, i suoi allievi.

 

Camus ha manipolato il Potere della Creazione per proteggerci… -realizzò una volta di più Hyoga, fremendo – Lo ha fatto per noi ma, quell’attitudine, è troppo superiore alla sua volontà. E’ infine Tiamat ad avere avuto la meglio, e Tiamat vuole solo disintegrare Utopo, nient’altro, per quello che le ha fatto. Se non faccio qualcosa al più presto, il cuore di Camus… No, non lo permetterò, Maestro, non permetterò che vi smarriate così! So che potete reagire, io lo credo fermamente, non… perdetevi!

 

Penso febbrilmente tra sé e sé, mentre, con un ulteriore, titanico sforzo, sebbene il suo corpo non rispondesse quasi più, si sollevava a fatica da terra, preparandosi ad affrontare l’entità custodita nell’addome del suo adorato mentore.

 

 

* * *

 

 

Avevano ripreso a correre già da un po’, allontanandosi dai templi delle Dodici Case per imboccare invece un sentierino semi-nascosto dalla vegetazione, stretto, erto e difficoltoso. Gli ricordava un po’ i suoi paesaggi liguri, della sua valle, le avventure della sua infanzia sul trattore di Nonno Mario, le esplorazioni con Marta, e ciò gli procurava una stretta di malinconia estremamente tangibile. Quei percorsi abbandonati lui li aveva sempre amati, gli davano un senso di libertà ed avventura, di fanciullezza che era stato costretto a lasciare indietro, che aveva perso per sempre, in un tempo che era stato solo di due anni ma che, dalla sua prospettiva, era stato molto di più. Secoli… quasi millenni.

Faceva del suo meglio per stare dietro al Cavaliere dei Pesci e a Francesca che, a dispetto di come la ricordava, era diventata molto più agile e dal passo lungo, oltre che risoluta e forte sul campo di battaglia. Si meravigliò, chiedendosi per l’ennesima volta, cosa avessero dovuto passare in quel periodo per costringersi a diventare così. Pensò nuovamente a Marta per un breve momento, ma faceva male, forse addirittura più male che il pensare a suo… nonno… che poi si era rivelato non esserlo. Scrollò il capo e strizzò gli occhi, accelerando il ritmo per stare al passo degli altri due. Era già molto stanco e sfiduciato, continuava a non comprendere molte cose circa sé stesso e i nemici che dovevano affrontare che, in piccola misura, conosceva, ma non era quello il momento giusto per perdersi, avrebbe dovuto costringersi ad essere presente e soprattutto utile, anche se vi era una differenza abissale tra loro, come il giorno e la notte.

Il Cavaliere dei Pesci procedeva a grandi balzi in cima al gruppo. Sapevano tutte e tre che avrebbero dovuto recarsi all’ultimo tempio il prima possibile perché Clio si era recata là e, da là, sarebbe poi fuggita, spalleggiata da Ermete, con il carico di energia vitale sottratto. Proprio per quella ragione Aphrodite aveva scelto di imboccare una serie di piste inconoscibili ai più che collegavano comunque le varie Case dello Zodiaco in maniera più immediata, anche se non propriamente agevole. Avrebbero dovuto sbrigarsi, il tempo stringeva, quel percorso sarebbe stato sufficiente per cogliere di sorpresa quella Clio? Fermarla proprio alle porte della statua di Atena e sconfiggerla? Stefano non lo sapeva, Francesca probabilmente ci sperava ardentemente; entrambi potevano solo fidarsi del giudizio di Pisces, unico Dorato ancora in grado di combattere attivamente contro l’entità che sembrava in qualche modo -e misteriosamente!- imparentata proprio con Francesca.

Il ragazzo la guardò di riflesso, studiandola. Lei parve non rendersene conto, trafelata com’era nella corsa, dando così a lui occasione di soffermarsi sulla sua figura. Di costituzione era rimasta pressoché simile ai tempi della Valbrevenna, sempre magra, ben proporzionata, sebbene non altissima. Era invece lui ad aver acquisito un paio di centimetri in più. Tuttavia -e Stefano non aveva dubbi su questo!- tra loro vi era una voragine incolmabile persino di più che con i Cavalieri d’Oro, non solo per i due anni di differenza, non solo perché, fin da piccola, era sempre stata piuttosto matura, no, ma anche per quella particolare luce che emanavano le sue iridi, da sembrare quasi divina… anzi, a ben pensare lei era per davvero una divinità sotto mentite spoglie, Aphrodite, e lo stesso Hyoga, non avevano esitato a rivelarglielo un paio di giorni prima, aggiornandolo sulle ragazze e su come erano giunte lì.

Ne era quindi saltato fuori che Marta e Michela erano semi-dee figlie una di Efesto e l’altra di Ares, insieme all’altra ragazza, Sonia, figlia di Hermes; Francesca invece era addirittura una dea fatta e finita, figlia di Urania la Musa Celeste, nipote di Zeus in persona… Certo, come credere a simili parole? Era rimasto sul chi vive, infatti, scettico, ma i fatti, nel vedere all’opera le care amiche d’infanzia, avevano già limpidamente dimostrato che era tutto vero.

Solo… aveva bisogno di tempo per digerire la faccenda, ecco, perché era tutto così assurdo e irragionevole da confonderlo. Ancora non si capacitava di dove fosse capitato; ancora stentava a credere -ma la somiglianza era lampante!- che la sua migliore amica avesse un fratello maggiore come Cavaliere d’Oro dell’Acquario e riuscisse, quasi con un semplice schiocco di dita, a congelare qualsiasi ostacolo le si ponesse davanti.

Così assorbito dal flusso dei suoi pensieri, si rese conto a stento che Aphrodite, improvvisamente, senza preavviso, si era fermato di scatto, indicando loro di fare silenzio con breve gesto della mano. Automaticamente si immobilizzò.

“C’è… c’è qualcuno poco più avanti, prudenza!” li avvertì sottovoce, estraendo una delle sue solite rose.

Sia Francesca che Stefano si acquattarono nelle fratte, parzialmente nascosti, mentre il Cavaliere dei Pesci, intrepido, si portò il gambo alla bocca, preparandosi a scagliare un colpo micidiale al primo cenno di pericolo. Sulle prime, i due giovani non percepirono niente, nonostante tutti i loro sensi fossero già allertati, poi si udì un fruscio appena accennato poco oltre loro, dietro la curva del monte, si tesero quindi conseguentemente, pronti all’azione, nonostante Pisces fosse davanti a loro in evidente atteggiamento protettivo, il fremito prima del balzo, dell’attacco. Si udirono infine delle voci in avvicinamento… familiari!

“C-ce la fai, Lia, anf?”

“S-sì, Shura, pant, va tutto bene, anf, dobbiamo sbrigarci e ricongiungerci agli altri!”

Si ritrovarono ben presto a rilassarsi sensibilmente, guardandosi reciprocamente, prima di distendere la muscolatura e andare incontro loro. Erano di sicuro Aiolia e Shura, anche se le loro sfumature vocali avevano assunto un qualcosa di un poco più strascicato, meno vigorose e forti, ma sempre le loro. I cosmi, del resto, erano gli stessi, perfettamente riconoscibili. Percorsero la curva secca che seguiva fedelmente il fianco destro della montagna. Ormai erano vicinissimi, pochi centimetri ancora e si sarebbero trovati, là, oltre quella sporgenza rocciosa. Avrebbero unito le forze e…

“Aiolia, Shur…!”

Ma Aphrodite, scorgendoli prima, non ultimò la frase, semplicemente sussultò, mentre gli altri due ricambiavano il suo sguardo incredulo. Li osservò meglio per convincersi che fosse davvero così… Era davvero così! Si diede immediatamente una risposta: l’invecchiamento precoce o l’involuzione propria dei poteri di Clio doveva dipendere dalla composizione sanguigna individuale, ormai era più che certo. Per fermarla quindi avrebbe dovuto ricorrere allo stesso espediente. Strinse i pollici sulle nocche, chiedendosi se fosse davvero pronto ad usare un’attitudine che non apparteneva nemmeno alla sua attuale vita.

Stefano e Francesca, essendo dietro di lui, li distinsero dopo, ma la loro reazione fu pressoché uguale.

“N-no! Il nemico… Clio ha contaminato anche voi!” esclamò Francesca, sconfortata, le gambe tremanti davanti al fatto compiuto.

Gli occhi che ricambiavano i loro sguardi, infatti, erano i loro, riconoscibili dal contorno e dalla sfumatura, ma velati da una nebbia opaca che, in circostanze normali, non avrebbe dovuto esserci, non in quel momento, almeno. Le rughe sul viso, nette come il delta di alcuni fiumi, esemplificava la loro vecchiezza, l’ingiurioso scorrere del tempo che aveva colpito la loro fisicità.

“F-Fracesca! Aphrodite! Vi ho riconosciuto dalla voce!” li chiamò Aiolia, stanco e logoro, raddrizzandosi un poco per cercare di darsi un tono, sorridendo comunque nel constatare che, almeno loro, stessero bene.

“N-non non ci vedi, Lia?” chiese prudentemente Aphrodite, fissandolo in volto.

“N-no, temo di essere diventato cieco...” mugolò lui, con rabbia. Si stava infatti sostenendo pressoché interamente al compagno d’armi. Dalla posizione assunta e da come gli apparivano le gambe, doveva avere le vene varicose.

Splendido davvero! Uno dei più valenti Cavalieri d’Oro ridotto così, come se non bastasse ciò che è già capitato agli altri! Menomale che Deathy non è qui…

Si ritrovò a pensare Francesca, tesa come non mai nel vedere la più alta carica dei difensori della dea Atena decimata in maniera così vergognosa, senza possibilità di difesa. Nel frattempo il dialogo al di fuori di lei proseguiva.

“C-Clio avete detto? E’ lei che ha… causato tutto questo, pant?” volle sapere Shura, imprimendo un poco di più il suo tono d voce mentre gli occhi gli si illuminavano per la furia a stento tenuta a freno.

“E’ così, lei… pare abbia il potere di assorbire l’energia vitale delle creature viventi per… un certo scopo! - spiegò sbrigativo Aphrodite, assottigliando lo sguardo – Lo ha fatto in tutto il Santuario, a quanto pare e… ci sono state delle vittime!”

“Noi siamo stati attaccati senza rendercene conto. – ammise Shura, sebbene gli costasse fatica ammetterlo per il suo onore - Eravamo sulle scale tra il decimo e il nono tempio, facevamo parte del gruppo di soccorso sotto le direttive di Saga che, per proteggerci tutti, ha ingaggiato battaglia con quel pezzo grosso di… di...”sembrò non ricordarsi il nome.

“Ermete?” tentò Francesca, apprensiva.

“Sì, lui… ma non so dove siano andati a combattere, i loro cosmi sono lontani. Saga e Shaka sono tra i più forti difensori della dea, ma l’attacco è stato davvero tremendo, ci ha colto alla sprovvista come un Cavaliere d’Oro NON dovrebbe mai farsi cogliere!”

Sembrava, anzi era evidente, che gli bruciasse parecchio essere ridotto così, l’aver abbassato la guardia a quel modo, lui che era tra gli eletti e il protettore dei più deboli, lui che era un Dorato Custode e ne andava così fiero. Si dava una presunta colpa per qualcosa che non sarebbe comunque riuscito a contrastare, perché al di là della forza cosmica di chiunque. Erano davvero nemici terribili, quelli, per batterli sarebbe occorsa tutta la potenza delle schiere della dea e, forse, anche di più, di tutte le divinità di quel mondo chiamato Terra. Francesca strinse le mani, facendosi sbiancare le nocche. Era una guerra totale, su più fronti, come totalizzanti erano le mire di Fei Oz e dei suoi adepti.

“Abbiamo appena avuto il tempo di renderci conto che uno strano odore di lavanda si stava diffondendo nell’aria. Aiolos ci ha detto qualcosa, voleva avvertirci, ma...” Aiolia serrò dolorosamente gli occhi, quel gesto mise in allarme gli altri tre.

“Dov’è Aiolos?!” domandò Aphrodite, manifestando appena la preoccupazione.

“Guardate voi stessi...”

Aiolia indicò qualcosa dietro di sé, lo videro arrancare nel voltarsi, notando altresì che una sorta di fascia era stretta al suo petto, prima di accorgersi che proprio dietro di lui, ancorato e in posizione beatamente dormiente c’era un neonato dai capelli castani e il pollice in bocca.

“Ma è… Aiolos?!” Francesca si meravigliò nel riconoscerlo mentre, strabuzzando gli occhi, osservava prima il fratello minore, che però appariva molto più vecchio, e poi il maggiore, che sembrava un fagiolino avvolto da una specie di bozzolo. Era tenero e carino, persino la giovane dea, non avvezza a trattare con i nanerottoli sempre sporchi di pupù e moccico, si lasciò andare ad una manifestazione di tenerezza, schiacciandogli un poco le guance, mentre Stefano li osservava da distante, sebbene i suoi occhi fossero caldi.

“Ci siamo sentiti strani, quasi abbiamo ceduto alla perdita dei sensi, ma poi abbiamo bruciato istintivamente il cosmo, disperatamente. Tuttavia era tardi… - buttò fuori aria Shura, sempre infastidito da quel momento di debolezza – Quell’odore nauseabondo è sparito subito dopo, Aiolia ed io ci siamo guardati le mani e… ed erano piene di rughe, di vene sin troppo percettibili e macchie marroncine. Aiolos invece era… era in queste condizioni, dormiva”.

“E’ successo lo stesso a Mu e Aldebaran anche loro sono… regrediti!” illustrò Aphrodite, osservando prima uno e poi l’altro.

“Da-davvero? Anche loro?! Cough, cough!” esclamò Aiolia, prima di trasalire e tossire perché aveva utilizzato troppa voce.

“Sì, mentre Milo… è ridotto come voi!” disse a sua volta Francesca, nervosa.

I due Cavalieri si sorpresero, scambiandosi un’occhiata d’urgenza, sebbene il Cavaliere di Leo non potesse più vedere. Probabilmente avevano perso lo stesso quantitativo di anni, eppure Aiolia, pur essendo più giovane del compagno, ne dimostrava di certo di più, con quella testa pelata, le zampe di gallina ben vistose al bordo degli occhi e le labbra rosato tenue, sottilissime; Shura invece era un Signor Ottantenne, così sembrava agli occhi della ragazza che lo scrutava con un pizzico di curiosità, con quei capelli ancora forti e vigorosi, le rughe presenti anche se non eccessive, ad eccezione di quelle della fronte, più nette, gli occhi accesi e intrepidi.

Pareva proprio avesse vinto la sua personalissima battaglia contro il tempo!

“Shura, Aiolia, noi… dobbiamo andare!” si fece serio Aphrodite, conscio di star perdendo sin troppo tempo.

“Non possiamo lasciarli così...” si contrappose però Stefano, osservandolo come se avesse detto una bestemmia.

“Ragazzo… se non la fermiamo noi, quella Clio, staranno per sempre così...”

“M-ma...”

“Aphrodite ha ragione… la difesa del Santuario, l’annientamento dei suoi oppressori, ha la precedenza nel cuore di un Cavaliere!” esclamò risoluto il Capricorno, comprendendo bene la decisione del compagno.

Stefano stentava a crederci, in quel luogo, per la sua educazione, si comportavano tutti in maniera del tutto incomprensibile, forse operando per un fine che credevano superiore. La situazione, del resto, era molto seria, si sarebbero dovuti anche fermare a soccorrere gli altri, e invece… no, loro dovevano andare a fermare Clio, era stata la decisione del Grande Sacerdote cui tutti dovevano sottostare. Osservò di riflesso il terreno, sentendosi ancora più perso. Per lui, che fino a quel momento era stato ateo, era tutto tremendamente illogico.

“Mi dispiace…” si scusò ancora Aphrodite, come se gli mordesse la coscienza.

“E’ dovere, non occorre che ti dispiaccia!” lo tranquillizzò Shura in tono affabile.

Il Cavaliere dei Pesci annuì, prima di dare un’altra occhiata indicativa a Francesca e Stefano e precederli. Il ragazzo si ritrovò ad esitare ancora, non sapendo se perseguire la sua legge morale di aiutare due poveri anziani e un bebè a raggiungere la salvezza, o seguire chi era più esperto di lui e quindi in grado di muoversi meglio in una situazione di emergenza. Francesca gli diede una pacca sulla spalla per confortarlo, prima di rivolgersi direttamente agli altri due.

“Raggiungete l’arena, lì ci sono il Nobile Shion, Milo, Mu e Aldy, sarete più al sicuro che qui e noi… vi prometto che vi riprenderemo la vostra Ergon!”

“L’Ergon, l’energia vitale? - chiese Shura, sorpreso, come se sapesse già cosa fosse, prima di annuire comprensivo – Sarà fatto, ci recheremo lì e… prudenza, mi raccomando!” sorrise, cosa assai rara, affidandogli la missione, mentre, prendendolo sottobraccio, aiutava Aiolia a muoversi.

“Contiamo su di voi!” affermò il Cavaliere leonino, sebbene gli costasse molto non poterli aiutare maggiormente. Poi ricominciarono a scendere, traballanti, gli scalini

“E’ giusto… lasciarli così?” domandò Stefano, pieno di incertezze, rimettendosi comunque a correre insieme a Francesca.

“Non potremmo comunque fare niente, Stevin, se non fermare quella Clio e riprendere ciò che è loro. Andiamo, forza!” provò ad incentivarlo, desiderando chiudere in fretta quella faccenda.

In verità non andarono molto lontano. Pochi minuti dopo, e dopo una serie di curve che passavano da una parte all’altra del monte, il sentiero veniva bruscamente interrotto da una frana. Con l’aiuto di Aphrodite riuscirono ad inerpicarsi comunque sopra, convinti di essere quasi in procinto della svolta che li avrebbe condotti direttamente alla tredicesima casa, ma una nuova, malaugurata, sorpresa, bloccò i loro propositi: non c’era proprio più un sentiero, davanti ai loro occhi!

E non c’era, perché qualcosa di completamente innaturale, che sfiorava l’assurdo, vi era al suo posto.

“Ma è...” Stefano fece appena in tempo a dire poche sillabe che, sportosi troppo di dirimpetto, rischiò quasi di venire risucchiato da… da…

“Guah!”

“RAGAZZO!!!”

Fu lesto Aphrodite a bloccarlo sotto di sé, i capelli al vento, il mantello che sbatteva furioso sulle rocce, come una bandiera sferzata dalla tramontana. Stefano non ebbe il tempo di capacitarsi di cosa davvero fosse accaduto, che si trovò il Cavaliere dei Pesci sopra, lui sotto, pancia a terra, una strana pressione sul coccige. Si ritrovò ad arrossire di netto, al limite dell’imbarazzo.

“Ma è...”

“Francesca, stai lì!” le ordinò perentorio Pisces, dandole un’occhiata veloce per poi tornare a fissare l’ostacolo davanti a sé.

Anche la giovane dea si era sporta per capire cosa fosse, rischiando di venire risucchiata a sua volta e rimanendo imbambolata a osservare quello strano fenomeno soprannaturale.

Stefano avvertì il corpo sopra di sé irrigidirsi e tremare di rabbia, prima di alzarsi -gli si era infatti quasi seduto sopra!- e tenerlo comunque giù con una mano. Si ritrovò la gola secca, ingoiò a vuoto, a disagio, sforzandosi di rimanere concentrato e di pensare ad un ipotetico risolvimento.

“La via… è interrotta, dannazione!” maledisse Aphrodite, cercando una maniera alternativa per passare.

Ma non potevano andare avanti, non da lì, perché una enorme fenditura a forma di falce non lasciava ulteriori chance di proseguire, risucchiando, con un vento maligno, tutto ciò che osasse avvicinarsi, essere animato o non animato che fosse. Era… era come un buco nero, come se lo spazio, in quella zona, venisse fagocitato e non esistesse più nulla al di là di quel foro. Un’opera di certo di inumana fattura, un potere fuori dal tempo e dallo spazio, in grado di travalicare tutto il concetto di fisico; un nuovo, ennesimo, ostacolo.

“Dalle indiscrezioni di Milo e Mu deve essere stato Ermete a causare ciò, la sua alabarda...” ne dedusse Aphrodite, sempre più nervoso nel rendersi conto che per tornare indietro sarebbe richiesto troppo tempo e che il prezioso Ergon dei loro amici sarebbe rimasto nelle mani di Clio per sempre.

“Ma… come è possibile? Come ha potuto ciò e, soprattutto, come sapeva di questa via?! Non è forse segreta?!” domandò Francesca, cercando di ancorarsi alla ben meglio alla roccia sotto di sé, perché la sua costituzione affatto robusta rischiava di farla sbalzare via come un fuscello.

“E’ segreta, sì, la conosciamo solo noi Dorati Custodi, non mi spiego infatti come sia possibile...” confermò Aphrodite, non riuscendo più a nascondere la propria rabbia.

“Eppure, se è come dici, questo Ermete ha interrotto questo passaggio proprio per impedirci di arrivare prima da Clio… - biascicò Francesca, esterrefatta, prima di sussultare pesantemente – Aphro, questo significa che… che… sapeva?!”

“Non c’è un’altra strada? - chiese Stefano, osservando prima lei e poi l’altro – Una via che ci permetta di arrivare al luogo prima del nemico? E se tornassimo indietro?”

“No, è fuori discussione! – esclamò Aphrodite, gli occhi lampeggianti – Impiegheremmo troppo e quella… quella sgualdrina...” sibilò sinistramente, spaventando quasi i due ragazzi.

Francesca avrebbe voluto fargli notare che definire una come puttana solo perché vagino-munita e nemico insidioso, non era né bello né delicato, che Albafica non lo avrebbe mai, mai, fatto, ma si rese altresì conto che era come gettare benzina sul fuoco, oltre che essere privo di una qualche utilità strategica.

“Un’altra strada comunque ci sarebbe… - si sforzò di calmarsi Pisces, osservando le rupi scoscese intorno a lui – Ma mi dovreste dire se ve la sentite!”

Dalla direzione del suo sguardo capirono a cosa si stesse riferendo. Effettivamente le Dodici Case erano disseminate lungo le pendici di un monte pietroso che, nonostante la presenza di stradine o sentierini poco conosciuti e di non facile accesso, era già di suo erto e impervio. Solo un camoscio, uno stambecco, o un uomo fuori dal comune sarebbe riuscito ad accedervi per la via più difficile.

“Io… per quanto sia abituato fin da piccolo a percorrere in lungo e in largo mulattiere praticamente abbandonate e poco agevoli, non ho esperienza con le scalate, non credo di… farcela!” sospirò Stefano, sentendosi più inutile di prima.

“I-io… - Francesca esitò, un poco corrucciata – Ho le gambe troppo corte per… balzare in simili altezze!” ammise, punta nell’orgoglio.

“Oh, ma io non sto dicendo di seguirmi, anche se ci riusciste mi rallentereste di certo...” disse cristallino Aphrodite, mentre visivamente si studiava la strada meno impervia.

“Grazieeeee...” si lagnarono entrambi, sebbene sapessero che aveva ragione.

“Io vi sto proponendo che, previa vostra fiducia in me, posso trasportarvi io!”

“Cos…?! E come pensi di fare?!” esclamò Stefano, incredulo, mentre Francesca rimaneva sbalordita a fissarlo.

“Sono Cavaliere d’Oro… posso essere capace di grandi balzi anche se la mia armatura non ha ali”

Francesca e Stefano rimasero un poco a guardarsi. Sapevano entrambi che non c’era più tempo da perdere, che Clio, molto probabilmente, era già in prossimità dell’ultima casa dello zodiaco, per non dire dalla statua di Atena, e che se non avessero ripreso l’energia vitale degli altri sarebbero rimasti per sempre così. Annuirono simultaneamente, recuperando quell’antica complicità che li aveva visti uniti nella selvaggia Valbrevenna.

“V-va bene Aphro, s-se...” fece per dire Francesca, prima di essere agguantata senza riuscire a terminare neanche la frase. Stefano seguì la stessa sorte.

“E-ehi!” si lamentò lui, ancora imbarazzato, avvertendo il braccio sinistro del Cavaliere circondargli il busto all’altezza del costato ed essere così sollevato neanche fosse stato un cucciolo di cane.

Eppure erano giovani uomini entrambi, e Aphrodite non sembrava molto più robusto di lui, come diavolo ci riusciva?! Stefano, osservandolo sbalordito, si accorse che una densa aura dorata stava circondando il suo corpo… cosmo?! Era… era incredibile il largo utilizzo che se ne potesse fare!

“Perdonate la grossolanità di questo mio gesto, ma non abbiamo tempo ulteriore da perdere e… tenetevi forte!”

“A… a cos… AAAAAAAAAAAAA!!!” fece in tempo a chiedere Francesca, che invece era stata presa da sotto l’ascella e stretta contro il Cavaliere, prima di appigliarsi con forza a lui, al suo collo, nell’avvertire il vento sferzarle i capelli.

Aphrodite era davvero agile. Sembrava a metà strada tra un delfino e un tonno mentre, senza esitazione alcuna, con piglio deciso, balzava da una parte all’altra della parete rocciosa con grazia e compostezza, quasi come se intono a lui ci fosse stata l’acqua e non il vuoto.

Stefano dalla sua posizione a cagnolino, le braccia e le gambe inerti, vide più volte il duro agglomerato roccioso avvicinarsi sinistramente a lui, mentre l’altezza e il movimento gli davano le vertigini. Chiuse istintivamente gli occhi nella paura di cadere o che la presa su di lui scemasse, ma non permise neanche al più lieve mormorio di uscire dalla sua bocca. Anche lui era tremendamente orgoglioso.

Tra la percezione di trovarsi sui trapezi e le montagne russe, tra un salto, una piroetta e un triplo balzo -al Cavaliere dei Pesci, vanesio, sembrava piacere molto far vedere tutta la sua bravura e l’eleganza di cui era capace!- si ritrovarono ben presto ad atterrare su delle scale di marmo ben conosciute. Vennero posati a terra ancora storditi, cercando di raccapezzarsi su quanta strada avessero fatto, prima di rendersi conto di trovarsi davanti proprio all’ultimo tempio.

“S-se c’era questa eventualità, per-perché abbiamo fatto il sentiero, prima?” chiese Francesca, non capendo l’utilità di correre come dei disperati su una stradina coperta di vegetazione se Pisces era così bravo a saltare come un salmone.

“Perché quello, il sentiero, ci avrebbe fatto sbucare esattamente dietro la statua di Atena. Dovete sapere che, nel suo ultimo pezzo, un tunnel è stato scavato nella roccia e porta direttamente all’altare della dea. Avremmo così fermato Clio esattamente nel punto di confluenza dei due mondi, invece così… - si fermò, affinando il cosmo per capire dove fosse il nemico e sgranando gli occhi nel rendersi conto che era appena davanti a loro, e che procedeva spedito – Svelti, è poco oltre, a dopo le chiacchiere, dobbiamo fermarla!” enfatizzò, prima di scattare in quella direzione.

Sia Francesca che Stefano non se lo fecero ripetere di nuovo, lo seguirono, per quanto il Cavaliere andasse il triplo più veloce e loro gli arrancavano dietro alla ben meglio.

Aphrodite si era reso conto che Clio era molto vicina al suo obiettivo, pochi secondi soltanto e di lei non ci sarebbe stata più alcuna traccia in quella dimensione. Avevano perso tempo e in battaglia quello era un fattore di prim’ordine. Tremò consistentemente, mentre attraversava in fretta e furia il salone del Grande Sacerdote, poi ancora le scale, rendendosi altresì conto che, per quanto si fosse spremuto, sarebbe stato comunque troppo tardi per fermarla… avrebbe attraversato la breccia spazio-temporale, lasciando loro con un pugno di mosche!

“Maledizione, non riuscirò mai a...”

“Fermati, non andrai oltre, non finché ci sarò io!

Avvertì una voce adolescenziale poco distante da lui, non la riconobbe, ma sentì con distinzione un suono frinire nell’aria, seguito da una imprecazione e un tintinnio.

“Dannato moccioso!”

Quella invece era di sicuro Clio. Con il cuore in tumulto, il Cavaliere dei Pesci accelerò i suoi passi, oltrepassando così gli ultimi scalini e riuscendo finalmente a vedere con i propri occhi la scena.

La Musa decaduta infatti era bloccata per terra da una forza psichica e telecinetica che si manifestava con ampi cerchi che le pressavano sul corpo. Tra le mani teneva ancora il libro, ben aperto, dove probabilmente era conservato l’Ergon sottratto. Aveva il furore della rabbia negli occhi, guardava con spregio una figura a poca distanza da lei, non capacitandosi di come avesse potuto cadere in una simile trappola da poppanti.

Lo sguardo di Aphrodite seguì la scia dei cerchi, arrivando così a scorgerne l’esecutore. Sussultò istantaneamente nel riconoscerlo, mentre, per lo sbigottimento, arrestava il suo moto.

Anche Stefano e Francesca arrivarono sul limitare delle scalinate, chiedendosi cosa fosse successo. Quando la giovane dea distinse il proprietario di quelle onde concentriche, quasi le venne un colpo.

“KIKY! Ma… ma sei davvero tu?!”

Il bambino… no, anzi, il ragazzo, perché era cresciuto nell’arco di pochissimo, nel riconoscere la sua voce si voltò verso di lei, verso loro, regalandogli un sorriso carico di speranza, sebbene si stesse operando per continuare a imprigionare Clio e non farla procedere ulteriormente.

“Aphrodite! Francesca! E’ così bello vedervi! STATE BENE!”

“Che… che ti è successo? Sei… sei così diverso da… - balbettò Aphrodite, sinceramente sbalordito, riuscendo poi a trovare una spiegazione – Non è che… che lei...” e indicò il nemico che, fremendo, continuava a tentare di opporsi, non riuscendoci.

“Lei… ero con gli altri apprendisti... – illustrò il non più tanto piccolo Kiky, tornando a concentrarsi sull’avversario, una strana luce rancorosa negli occhi – quando ho cominciato a percepire un intenso, fin troppo, odore di lavanda. Mi sono sentito male, e così gli altri. Il mio corpo era come paralizzato, credo di essere anche svenuto ma… ma ho sentito la voce del Grande Mu dentro di me, anche se sembrava un poco diversa, mi ha detto di reagire e quindi ho fatto fluire il cosmo dentro di me, l’ho portato alla luce, nelle tenebre che mi circondavano e, quando ho aperto gli occhi le mie mani erano più grosse, così come i miei piedi, mi sentivo strano ma… meglio di prima, mentre gli altri...” tacque, mordendosi il labbro inferiore, gli occhi un poco lucidi, scoccando una nuova occhiata furente al suo obiettivo che si dibatteva come un pesce nella rete.

“Erano invecchiati o… ringiovani, vero?” concluse per lui Francesca, una mano premuta sul petto, immaginandosi cosa avesse potuto provare il piccolo in quel frangente.

“Tutti… morti! Le rughe sul loro volto, ad eccezione di Pablo e Dimitri, che sono retrocessi allo stadio embrionale, come se… come se… - Kiky scrollò il capo, era chiaro che ricordare quello che aveva vissuto fosse ancora inconcepibile per lui – So che è stata lei, ho seguito il suo odore, gliela farò pagare!” ringhiò, sicuro di sé.

Era diverso dal Kiky che conoscevano. Più grande di una decina d’anni, più formato, più alto e dai capelli più lunghi che gli ricadevano lisci dietro, un po’ come quelli di Mu, dal quale aveva ereditato le tecniche. Fu subito chiaro a loro cosa fosse successo, e che, a differenza degli altri, forse proprio grazie al fatto di essere stato addestrato da un Cavaliere d’Oro, fosse riuscito a risvegliarsi dal torpore, contrastandolo, sebbene l’influsso di Clio gli avesse comunque strappato a forza parte dell’Ergon.

Si chiesero tuttavia se si fosse reso conto di quanto successo anche al suo corpo. A giudicare dal peplo assemblato intorno alla vita, tenuto fermo dai lacci, corto, che gli ricadeva appena sotto la zona inguinale, doveva aver avuto giusto il tempo per coprire un minimo le nudità, prima di dare selvaggiamente la caccia all’origine di tutto quel male. Degno di un futuro Cavaliere d’Oro, non c’era che dire!

“Sapete chi sia costei? Come ha fatto a…?”

“Sì, lo sappiamo...” gli disse tranquillo Aphrodite, accennando qualche passo nella sua direzione.

“Ad altri ha fatto… questo genere di male?!”

“Sì...”

Kiky sbiancò, prima di fremere sempre più consistentemente: “Il Grande Mu sta..?”

“Ha subito su di sé il processo, non siamo riusciti ad impedirlo...”

“N-no...” se possibile il ragazzo divenne ancora più pallido in volto mentre, dalla rabbia, il suo potere venne quasi meno a giudicare dai movimenti che riusciva a compiere Clio, che consistevano nel trascinarsi sempre più vicino alla statua di Atena, come gli era stato ordinato da Ermete.

“Ma sta bene al momento, anche se ha le sembianze di un neonato – lo provò a tranquillizzare Pisces, facendosi serio – Lo vedi il libro che Clio tiene tra le mani? Se riuscissimo a sottrarlo, i nostri amici tornerebbero come prima, è infatti lì che è conservata la loro energia vitale!”

“C-chi altri oltre al Grande Mu, chi…?!” il ragazzino sembrò ancor più spaventato di prima. Aphrodite prese un profondo respiro, aumentando di un poco l’andatura.

“Ora ascoltami attentamente, Kiky… - finalmente lo raggiunse e, sorprendendo non poco sia Stefano che Francesca, che non lo reputavano capace di un simile gesto, gli poggiò una mano tra i capelli – Sei stato bravo a contrastare il cosmo di questa… questa megera, posso quindi contare su di te?”

Anche Kiky si meravigliò dell’espressione seria che aveva assunto il bel volto perennemente truccato del Cavaliere dei Pesci, e della dolcezza con cui cercava di calmarlo, che non sembrava neanche poter appartenere del tutto a lui.

“S-sì...” rispose pronto, sempre fremendo.

“Bene… allora intanto calmati, perché così stai indebolendo la tua psicocinesi, vedi?” gli indicò Clio, che, non più immobilizzata, si trascinava a stento verso l’obiettivo.

Kiky prese un profondo respiro, riportandosi alla calma, riducendo gli occhi a due fessure, mentre alcune goccioline di sudore gli colavano dalla fronte. Non era facile mantenere quel potere, non era il Grande Mu, sebbene si fosse ritrovato più grande di corpo e di spirito, ma sapeva che per esercitare coercizione, lui avrebbe dovuto rimanere calmo e placido esattamente come faceva lui. Prese un secondo profondo respiro, tornando alla carica. Clio venne istantaneamente schiantata a terra, non riuscendo più a compiere il minimo movimento.

“Va bene così… ciò che ha strappato costei è l’Ergon, l’impulso vitale degli esseri viventi, lo custodisce nel libro che ti ho mostrato poc’anzi. – gli illustrò, pratico, prima di continuare - Per coloro che sono rimasti vivi, noi possiamo ancora fare qualcosa: aiutami a sconfiggerla, liberando così ciò che non le appartiene!” lo motivò, estraendo una rosa nera con garbo, affiancando il più piccolo, come se lo considerasse suo pari.

“Non è… tardi?” chiese conferma Kiky, gli occhi ancora grandi con pochi, arcani, tratti che racchiudevano la fanciullezza appena strappata.

“Basta liberare l’Ergon e tutto tornerà alla propria fonte primaria. Pensi di riuscire a tenerla bloccata? Il procedimento non sarà affatto semplice...” volle sapere ancora Aphrodite, scrutando la determinazione negli occhi dell’allievo di Mu.

“Conta… conta su di me, farò il possibile!” annuì Kiky, rincarando la dose e schiantando ancora una volta la donna sul marmo, prima di voltarla a forza, con il solo potere della sua mente, in direzione opposta.

L’espressione di Clio si trasformò in una smorfia di dolore, mentre, apprensivi, Stefano e Francesca, ancora vicino alle scalinate e non molto distanti tra loro, rimasero ad assistere allo sviluppo degli eventi.

“Che cosa possiamo fare noi, Fra?” chiese Stefano, non sapendo bene come essere d’aiuto

Ma la ragazza non gli rispose, la sua concentrazione era tutta per la scena davanti ai loro occhi. Appariva tesa a causa di qualcosa, ma… che cosa?! La situazione sembrava volgere finalmente a loro favore, il nemico era completamente bloccato a terra, no?

“Bene così, Kiky… - Aphrodite si mise la rosa tra le labbra mentre, implacabile, avanzava – Clio, sfortunata Clio… è dunque questo il capolinea delle tue scelleratezze...”

La perculava pure, sicuro di sé, del resto, la sorte sembrava PER DAVVERO sorridergli, proprio grazie all’intervento insperato di Kiky, di quell’incognita impazzita che era il promettente allievo di Mu.

Eppure… c’era qualcosa nell’aria che non piaceva a Francesca, un incombere latente che tuttavia si faceva sempre più forte. Rabbrividì un poco, i muscoli rigidi.

“F-Fra?” chiese ancora Stefano, percependo a sua volta che qualcosa non andava.

Cosa sta succedendo?! Perché questa sensazione?! Si sta rivelando troppo semplice… lei è pur sempre una delle Muse figlie di Zeus, piena di risorse e arguzie come tutte le nove sorelle. Non può avere un unico potere per quanto così terribile, non può! Ma cos’altro mai potrebbe fare in quelle condizioni?! E’ chiaramente all’angolo...

Intanto i fatti accadevano davanti a loro senza poterne prendere parte...

“Mi riprenderò ciò che hai strappato senza permesso, Clio! - sancì Aphrodite, agguerrito, desiderando risolvere in fretta quella situazione – Prendi questo, DAGGER ROSE!!!”

Francesca ebbe appena il tempo di accorgersi del nuovo colpo che veniva lanciato, del conseguente lampeggiare delle iridi di Clio, che si ritrovò di colpo ad urlare, spaventata: “N-no, aspetta, Aphr...”

Per un solo istante le rose viola, lanciate in massa, sembrarono attraversare il corpo del nemico senza arrecargli il benché minimo danno. L’istante dopo sparirono, come nel nulla, come in un buco nero, come inconsistenti, e quello dopo ancora riapparvero attraverso le pagine del tomo antico che Clio teneva tra le mani e che simboleggiava il suo potere. Vennero così scagliate con il doppio della velocità in una direzione ben precisa, verso un obiettivo già ampiamente prefissato...

“N-no!” sussurrò terrorizzata Francesca, comprendendo finalmente il piano della maligna, prima di voltarsi a sua volta e gettarsi nel bel mezzo dell’attacco.

“Muori, Stevin...” sogghignò Clio, trionfante, scoccando un’ultima occhiata all’odiato figlioccio di Nero Priest.

Stefano non era assolutamente in grado di percepire tale movimento. Non ebbe quindi il tempo di capacitarsi, non distinse nulla, a livello sensoriale, solo… dolore, già, una fitta improvvisa e bruciante alla spalla, qualcosa di bollente lungo il braccio sinistro che scivolava giù. Cadde indietro, ritrovandosi con il sedere a sbattere sul freddo marmo. Il respiro gli si troncò sul nascere, prima di riprendere, più frenetico di prima. Chiuse dolorosamente gli occhi, trattenendosi la spalla con l’altra mano e ritrovandosi a premere su questo fluido scivoloso, su questo qualcosa di caldo che continuava a scivolare giù, rintontendolo. Che cosa stava…?

Si fece forza e riaprì gli occhi, sebbene la testa cominciasse a pulsare selvaggiamente a avesse preso a girare nello stesso momento.

“S-sangue, anf?!” si ritrovò a chiedersi, annaspando, notando con sgomento il palmo della mano lordato dalla sua stessa linfa vitale.

Ebbe un fremito, seguito da una serie di sussulti. Era rimasto ferito in qualche modo e il sangue, quello, colava giù, irrefrenabile, senza il minimo cenno di volersi arrestare. Realizzò che, a quel ritmo, senza interventi, sarebbe morto entro pochi minuti, e tuttavia… e tuttavia solo una rosa nera era conficcata nella sua spalla! Clio doveva avergliele rivoltate contro, ma erano molte di più, lui ne era sicuro… e allora perché solo una, che pure gli aveva causato quell’emorragia, era arrivata a danneggiare il suo corpo?! Perché…

La risposta non tardò a palesarsi. Udì un urlo viscerale in lontananza, ciò lo spinse ad alzare lo sguardo smarrito, ma non arrivò alla fonte sonora, si fermò prima. Qualcos’altro gli si mozzò nel petto, ingoiò a vuoto, prima di provare ad alzarsi, invano, perché non aveva energia per rimettersi in piedi.

“N-no, anf… - gli uscì un suono gutturale per la mancanza di ossigeno – F-Fra!” gracchiò, rendendosi conto di quanto fosse avvenuto.

Perché, se l’attacco di Aphrodite non gli era arrivato nella sua interezza, uccidendolo sul colpo, era solo perché altro si era frapposto nel tragitto e, quell’altro, era…

“Fr-Fra!” ripeté quasi sibilando, cercando di protendere la mano nella sua direzione, non riuscendo comunque a raggiungerla.

“Ahahaha! - rise Clio, beffarda, nonostante fosse ancora bloccata dalla telecinesi di Kiky, rimasto attonito ad osservare la scena – Tu eri il mio secondo obiettivo… nipote!” la irrise, mentre i suoi occhi saettavano verso di lei, rimanendo a contemplare la sua sofferenza quasi con godimento

Di quell’occhiata di sbieco Francesca ne percepì a stento la violenza intrinseca, perché, accasciata così a terra, con il corpo trafitto in più punti, riusciva a stento a respirare, mentre il veleno delle rose di Aphrodite si miscelava al suo sangue e i muscoli si contraevano a forza. Avrebbe voluto dire qualcosa, alzarsi, tornare a combattere, mormorò parole incomprensibili prima di tossire e vomitare sangue, la gola che bruciava, le vene sul punto di esplodere da quanto si stessero surriscaldando.

Quelle tossine… erano troppo potenti persino per lei, che era una divinità, ma arrendersi senza aver opposto un minimo di resistenza era fuori discussione. Intorno a lei voci diffuse la chiamavano angosciosamente, mentre la risata di Clio le riecheggiava spietatamente nelle orecchie. Non si sarebbe arresa, maledizione, le avrebbe strappato la voglia di irriderla in quella maniera!

Lentamente, con un titanico sforzo, dato le sue condizioni in peggioramento, non vista, cominciò a tracciare un primo simbolo sotto di sé con la punta del dito lordato dal suo stesso sangue. Fu un primo abbozzo, ciò che avrebbe portato il nemico a capitolare. Sorrise tra sé e sé, prima di cedere al nero dell’incoscienza che inesorabilmente la bramava per sé.

 

 

* * *

 

 

I passi di Camus echeggiavano nella cattedrale sinistramente, calmi, ma calzanti, senza fretta alcuna, verso la meta designata, come un lento ticchettio di un orologio al muro che tracciava il tempo certo della sua ineluttabilità. Continuamente, fatalmente. Nulla lo avrebbe fermato, nulla si sarebbe posto a sbarrare la sua strada. Non più.

Era passato di fianco a Michela senza degnarla di uno sguardo, nonostante la ragazza, ancora in lacrime, avesse provato ad afferrargli la mano che però era scivolata via. Perseguiva il suo cammino, gli occhi pervasi da quella luce del tutto innaturale, grandiosa, che il Cigno non riusciva tuttavia a riconoscergli. Era Camus davanti a lui, ma non lo era. La consapevolezza di ciò lo gettò nel più nero sconforto, mentre, dando fondo a tutte le sue energie, cercava di mantenersi in piedi, incurante dell’emorragia continua.

Non aveva parole da pronunciare, persino i suoi pensieri erano sempre più vacui, gli sfuggivano, come sangue, come sudore, come…

“Utopo...”

Fu la voce di Camus a palesarsi per prima. Come per il discorso della presenza, erano le sue corde vocali a vibrare per produrre il suono, l’accento che ne usciva era infatti il suo ma… frammisto a qualcos’altro di ineffabile, di assolutamente incomparabile con qualsiasi altra cosa presente in natura.

Era la voce del maestro a schiarire le parole, la distingueva nitidamente… ma essa riecheggiava all’infinito, rimbalzando ovunque. Di più, sembrava quasi che, in qualche modo, qualcun altro parlasse insieme a lui, con la stessa tonalità, intessendosi come se risultassero un’unica entità.

I passi si arrestarono. Il braccio sinistro di Camus si levò lentamente sopra la testa, con movenza solenne; l’altra mano si posò sulla spalla opposta, mentre un vento nuovo, caldo ma che intirizziva, anche quello imparagonabile con qualunque altra cosa mai creata, si levava nell’aria, facendogli ondeggiare i lunghi capelli sulla schiena che, nella lieve ondulazione, gli carezzavano i fianchi nudi, sui quali si stava espandendo la luce misteriosa del suo addome.

Hyoga ebbe la spiacevole sensazione che quella emanazione così apparentemente meravigliosa potesse erodergli l’intero corpo da quanto lucente fosse, al punto da risultargli intollerabile. Sussultò distintamente quando distinse dei fasci di luce dorata comparire sui suoi polsi, ripercorrendo il tragitto delle vene, per poi diradarsi all’intero braccio.

Camus teneva gli occhi chiusi per concentrarsi, ma quando quelle particolari radici luminose gli arrivarono alla spalla sollevata, le sue palpebre si aprirono di scatto, furiose. Nello stesso momento, dal palmo della stessa mano, si sviluppò una sorta di lampo azzurro che aprì una fenditura spazio-temporale a forma di mezzaluna tramite la quale si palesò un oggetto appuntito interamente cosparso di ghiaccio…

...No, non cosparso di ghiaccio -capì Hyoga, leggermente in ritardo, perché le sue condizioni sempre più critiche appannavano anche i suoi pensieri- è fatto di ghiaccio! E’ una… una creazione vera e propria. Il Maestro Camus può… maneggiare… qualsiasi oggetto, qualsiasi essere, qualsiasi ente, basta sia stato concepito dalla sua mente. L-lui lo può manifestare nel mondo fisico, c-con atomi propri formati dalle sue stesse facoltà intellettive. E’ oltre… oltre ogni aspettativa, è un potere che neppure le divinità conosciute possiedono, poiché arriva a violare la Legge per eccellenza del mondo fisico, quella della conservazione della massa, postulata da Lavoisier...

Ebbe appena il tempo di pensare febbrilmente, prima di essere sbalzato via da un vento caldo, che tuttavia faceva accapponare la pelle, persino a lui, che era abituato al gelo.

“Hyogaaaaaaaaaaaaaa!!!”

Avvertì l’urlo angosciato di Michela, sbatté violentemente a terra, mentre, con la coda dell’occhio, distinse la figura del maestro che, pur evitandolo, non aveva neanche fatto nulla per impedirgli di essere colpito dal pauroso spostamento d’aria che aveva causato il suo rapido, rapidissimo -invisibile all’occhio umano, persino superiore alla velocità luminare!- movimento per infierire ancora una volta su Utopo.

Un altro comportamento non da Camus…

“Ora… pagherai… ogni… singolo… dolore… che ci… hai… inferto!” sibilò nel vento, spietato.

Un’altra frase non da Camus…

Hyoga si girò a stento, trattenendo dentro di sé il dolore per le ferite subite, riuscì appena a percepire il movimento della spada ghiacciata che sferzava l’aria prima che calasse sul braccio umano di Utopo, tranciandoglielo di netto all’altezza del gomito.

“UUUUUUAAAAAARRRGGGHH!!!” un altro urlo agonizzante, intollerabile per le orecchie dei due ragazzi che assistevano impotenti alla scena.

Dopo di quello Camus, sempre impugnando con fermezza l’elsa ammantata di cristalli, colpì, ancora, e ancora…

Conficcò la punta della spada nell’intestino -ormai gli strati dell’epidermide erano già ampiamente stati fagocitati dagli atomi impazziti delle frecce scoccate, gli si potevano vedere le viscere!- di quell’essere, estraendola subito dopo per poi affondarla nuovamente più su, sulla spalla sinistra, e ancora… ancora… ripetendo il procedimento varie volte.

Ad ogni affondo inferto, gli occhi di Utopo si giravano sempre più, la bocca digrignata sporca di sangue e bava; il corpo (quel che ne rimaneva) sempre più preda delle contorsioni.

Ad ogni affondo inferto… Camus rideva, compiaciuto, trovando godimento in quel che stava facendo. Era oramai del tutto irriconoscibile.

“Piangi, Utopo?! - lo irrise l’entità che aveva le sembianze del fiero, indomito, Cavaliere di Aquarius, notando che stava supplicando pietà e che le guance incavate erano percorse da due rivoli di lacrime che scendevano giù – Non hai pianto quando hai torturato il ragazzo, sperando di farmi uscire allo scoperto! Ebbene… sono qui! Ma forse per te sarebbe stato meglio che non mi fossi mai manifestata!”

Parlava al femminile… e quella volta era la voce dietro Camus a palesarsi maggiormente, come se quella del legittimo proprietario, pur ancora presente, fosse annacquata, o peggio, si stesse sgretolando, perdendosi sempre più.

“Uuuuuuunrgh… urg… anf, anf… p-pietà… p-p-p”

“Ha scelto Camus di evocarmi, sai, lui era… disperato… per quello che stavi facendo ai suoi allievi. Ha scelto quindi di assecondare il mio impulso che tu stesso hai risvegliato, ha scelto di cedere il passo a me, ed io… ora la pagherai, mostro!”

“N-no, anf!” languì quasi Hyoga nell’udire quelle parole, che pur confermando i suoi sentori sul fatto che fosse stato proprio il maestro a decidere di accettare che qualcun altro prendesse le redini del suo corpo in sua vece -la sua più grande paura- per loro, per proteggerli, rafforzava anche la sua tesi sul fatto che, sul lungo andare, il cuore di Camus, il suo stesso animo, avrebbe rischiato di scomparire per sempre. Rabbrividì a quel pensiero.

Nel frattempo Tiamat si era concessa un breve attimo di pausa. Osservava con occhi carichi di ribrezzo la figura sotto di lui, la gamba sinistra sopra il suo sterno, quel che ne rimaneva, a contemplare il frutto del suo potere. Si osservò brevemente la mano libera, poi ancora sotto di sé, la gamba destra di quel mostro, che si era mosso appena, anche se non sapeva definire se era uno spasmo o altro. Non aveva importanza, sogghignò, mentre, con gesto secco, gli tranciava metà piede.

Altro urlo agonizzante, il sangue schizzò ovunque, unendosi a quello già presente nei dintorni che rendeva la scena ancora più disgustosa e raccapricciante: sembrava di essere in un vero e proprio mattatoio!

“Quanta violenza… per arrivare a me!” disse lei, mozzandogli interamente il piede fino all’altezza delle caviglie.

“UUUUAAAAAARGHHH!!!”

“A lui… ma anche ai suoi allievi… hai ereditato la stessa meschinità dal Mago, che a sua volta l’ha ereditata da Marduk!” un fremito di paura la avvolse nel pronunciare il nome del dio tanto odiato che le aveva lacerato il corpo dopo la battaglia mitologica. La rabbia aumentò di riflesso.

“Ma hai sbagliato le tue previsioni, verme, non bramo più tornare alla vita… non a scapito di quella di Camus!”

Un altro fendente gli tranciò metà polpaccio. Il sangue ancora una volta si sparse dappertutto, la puzza di putrefazione, già presente nell’aria, si unì a quella ferrosa della linfa vitale. Tiamat fermò momentaneamente il suo operato, sorridendo per la prima volta teneramente.

“Mi sono rifugiata qua dentro… - e si accarezzò l’addome, che era quello di Camus, che emanava quella luce sfavillante, divina – per una ragione. Se tu non mi avessi ferita, con i tuoi stupidi prelievi, io non mi sarei neanche mai manifestata, razza di idiota!”

Riprese, più selvaggia di prima, infliggendogli un altro fendente all’altezza del ginocchio. Ormai Utopo non era più neanche in grado di gridare da quanto fosse disastrato.

“Ma tu mi hai fraintesa, Utopo! Pensavi di sapere e invece non sai un bel niente, hai peccato di presunzione e superbia – sibilò, sempre più implacabile - Siete tutti così voi seguaci di Marduk!”

Anche la coscia fu tranciata… di netto!

No… non era più tollerabile tutto quello, quel continuare a farlo agonizzare senza mai arrivare la colpo di grazia!

Hyoga si fece coraggio. Alzarsi non era più possibile, ma avrebbe strisciato fino a lui, a costo di incrementare la sua emorragia, ma lo avrebbe fermato, avrebbe… recuperato Camus!

“Hyo-Hyoga!”

Udì appena Michela chiamarlo disperatamente, vedendolo muoversi. Non si voltò verso di lei, non ne aveva le forze, non le parlò, il fiato gli sarebbe servito per raggiungere il cuore del suo maestro, ma ampliò il suo cosmo per accarezzare quello della fidanzata e portarle così un messaggio.

Non temere per me, rimani dove sei, è pericoloso qui. Ti prometto che… che te lo riporterò indietro, Michy!

Annaspò per lo sforzo, ma non si diede per vinto. Strisciando, si avvicinava sempre più al al suo obiettivo, girato di spalle, occupato a contemplare il risultato del suo arcano potere. Ogni movimento gli costava fatica, sentiva il sangue fluire, bollente, sotto di lui, ancora una volta come nella battaglia contro Milo, e, proprio come allora, si sarebbe fermato solo quando non avrebbe avuto più fiato.

“Mae-stro... Camus, anf!”

‘Camus’ alzò nuovamente la spada con l’evidente intenzione di conficcarla nell’inguine di Utopo. Nel gesto di sollevarla, utilizzò per la prima volta entrambe le mani.

“Non ti lascerò morire finché non avrai patito tutta la loro sofferenza… no! – si corresse poi, con un sorriso meschino, scrollando il capo – No, non solo la loro, la mia, di tutti questi miliardi di anni! Languirai, Utopo, è Tiamat in persona a richiederlo!!!”

“Fer-fermatiiiiiii!!!”

La voce rauca del Cigno uscì prorompente nonostante le gravissime condizioni. La dea della Creazione fu costretta a fermarsi, mentre, voltandosi a mezzo busto, vide l’allievo biondo dell’Acquario sotto i suoi piedi, occhi che emanavano una luce abbagliante, forse persino più della sua. Esitò, notando che le dita insanguinante del ragazzo trattenevano la caviglia sinistra di Camus con forza, come a fargli percepire la sua presenza.

“Perché?” chiese solo, sinceramente sorpresa, abbassando di un poco l’arma.

“Perché lui, anf, non lo vorrebbe, Tiamat, non… non fargli questo!”

“Fargli questo… - ripeté lei, girandosi completamente verso l’allievo – E’ stato Camus a volerlo, ragazzo, altrimenti non sarei riemersa. Il suo potere non bastava per proteggervi, quando se ne è reso conto mi ha chiamato a gran voce, solo lui può farlo, e adesso…”

Lo sguardo di Hyoga si rabbuiò nel constatare che i suoi sentori erano veri. Si costrinse a mettersi ginocchioni per terra, il respiro sempre più aritmico, mentre, con un enorme sforzo di volontà, fissava i suoi occhi in quelli blu di Camus, pur tremendamente diversi da quelli che aveva imparato ad amare e che erano sempre stati per lui fonte di ispirazione.

“Il Maestro non lo vorrebbe… l-la sua più grande paura è quella di non essere in sé, di perdere il controllo, e tu… tu lo stai controllando, Tiamat!”

“No, ragazzo… - la dea primigenia scosse la testa, sospirando, fissando un punto non ben precisato della cattedrale – La sua più grande paura è quella di perdervi, ancora non l’hai capito dopo tutti questi anni? Nel terrore di questo, ha accettato di cedere il suo corpo alle mie intenzioni...”

“Il suo corpo… tu lo stai danneggiando, Tiamat! Siete una cosa sola, come puoi non percepirlo?!?” l’accusò Hyoga con disperazione crescente, cominciando a temere che il suo intervento potesse rivelarsi inutile.

In quell’istante, alcune gocce rubino caddero tra i piedi di Camus e la mano di Hyoga, che teneva stretta ancora la sua caviglia, come se non lo volesse lasciar andare. Tiamat si passò una mano sul volto, tra la bocca e il naso, accorgendosi di star perdendo fiotti di sangue proprio da lì per lo sforzo insito nel potere medesimo. Esitò.

“L-la tua foga, l-la tua rabbia, n-nonché la vendetta... – tentò Hyoga, sempre più affaticato ma altresì desideroso di non mollare, di non… lasciarlo, non più – Ti sta facendo perdere di vista le conseguenze: sei in un corpo di u-un essere umano, per quanto straordinario sia il Maestro Camus, n-non reggerà ancora a lungo quei ritmi, s-sta già dando cenni di cedimento e sofferenza, non lo percepisci? N-non fargli questo, Tiamat! Ho percepito qualcosa di caldo nei suoi confronti da parte tua, come un desiderio innato di protezione, n-non sei una dea malvagia, s-sei… ti senti solo dannatamente fragile, vero? Esattamente come lui, è anche per questo che lo hai… scelto? C-che hai scelto il suo grembo come rifugio?”

“C-come lo sai? Non mi conosci...”

“Ma percepisco la tua sofferenza, la tua… solitudine, perché… anche io l’ho provata!”

Tiamat esitò ancora. Guardò prima la spada che aveva ancora in mano, poi l’allievo dell’Acquario, e ancora il retaggio di Utopo, la sua agonia. Subito una foga inaudita la invase di nuovo, quel verme schifoso stava ancora respirando, e lei… lei voleva solo che tacesse, che morisse, tra ulteriori, atroci, sofferenze. Non poteva più tornare indietro, ormai, dopo miliardi di anni, era stata costretta a manifestarsi, interrompendo un sonno tranquillo che credeva ormai eterno.

Si voltò a mezzo busto verso il nemico, la mano libera levata in procinto di maneggiare un’altra creazione, fremette vistosamente, avvertì nitidamente il suo corpo tremare, quasi al limite.

“Io sono… la vostra unica speranza in questa situazione! Camus resisterà, sarà breve, vedrete, solo...”

“NO, TIAMAT!!!”

Hyoga balzò in piedi, permettendosi di stringere da dietro quel corpo a lui tanto famigliare ma non più riconoscibile, fermò il suo braccio, trattenendo a sé il maestro come meglio gli concedessero le sue forze ormai in esaurimento.

Camus non avrebbe potuto reggere un altro colpo, ormai era così evidente…

“Ragazzo, tu non capisci… - era ancora la voce di Tiamat a sovrastare, sebbene l’accento del maestro si percepisse comunque, anche se fievolmente – Non avete altre vie che me, voi da soli non siete in grado di...”

“NON HA IMPORTANZA!” si aggiunse anche Michela, buttandosi a capofitto su di loro, con una disperazione estremamente tangibile, bloccando il maestro dall’altro lato rispetto a Hyoga.

“M-Michy...”

Hyoga avrebbe voluto rimproverarle la troppa avventatezza, sebbene lui avesse fatto uguale, esponendosi ai rischi per lui, per Camus, ma si accorse, con un sorriso amaro, che lui, alle raccomandazioni del proprio mentore, aveva sempre risposto uguale, così come Isaac, reagendo di testa sua. Erano davvero così simili a lui, forgiati dalla stessa essenza, cresciuti… proprio grazie a lui, ad un uomo troppo giovane per essere padre ma che li aveva tirati su, senza lamentarsi mai.

Una famiglia, la sua. Il pensiero lo confortò.

“Non c’è un’altra via! O intervengo io, oppure voi...”

“NON HA IMPORTANZA! - ribadì Michela, completamente in lacrime, nascondendo il volto tra le scapole del mentore – In qualche modo faremo, come abbiamo sempre fatto, MA RIDACCI CAMUS, TI PREGO!”

Tiamat tentennò di nuovo. La stavano trattando come una nemica quando lei avrebbe solo voluto distruggere Utopo e, dopo di lui, l’odiato Fei Oz Reed, che teneva il potere di Marduk tra le sue mani, eppure...

Se li scrollò di dosso. I due ragazzi erano talmente stremati che caddero nuovamente a terra, mentre lei -lui!- compiva qualche passo in avanti, passando di lato rispetto ad Utopo. Si sentiva stordita, confusa, mentre il sangue continuava a fuoriuscire dalle narici e dalla bocca, portandola alla comprensione che il fisico di Camus era davvero al limite e che lei, per vendetta, non se ne era curata, portandolo ad un passo dalla morte. La creazione a forma di spada sparì tra le dita, com’era sparito l’arco, ma non le due frecce nel corpo martoriato di Utopo che continuavano spietatamente a fagocitare i suoi atomi, in una agonia che sembrava dover durare ancora un po’ nonostante non fosse rimasto più molto di lui.

“N-non avrei dovuto… danneggiarlo… così!” si ripeteva, massaggiandosi la testa, riuscendo a percepire finalmente la sofferenza di Camus.

“Tiamat!”

Si voltò. Era di nuovo l’allievo biondo dell’Acquario che si era issato faticosamente in piedi -con quale forza, si chiese, era ormai ai minimi termini, vittima di una emorragia interna ed esterna che lo stava prosciugando della vita, eppure continuava ad alzarsi, forse nella paura di perdere ciò che più amava- amore… già, non poteva che essere quello a dargli così tanta forza!

“Non so bene perché tu ti sia incarnata in Camus, ma… è il tuo rifugio, vero? Lo capisco, è… è anche il mio! - ammise candidamente, sorridendo appena, gli occhi luminosi, sebbene già offuscati dall’ombra – E’ un uomo straordinario, n-non ne ho mai conosciuti di lontanamente simili a lui, è… magnifico, meraviglioso, forte e… anche delicato, però… può essere neve, o fiore, montagna, fiume che scorre, o goccia di rugiada su una foglia, un poco cristallizzata, destinata però ad evaporare con l’avanzare del giorno. E’… è un sacco di cose, Tiamat, io… anche se fossi bravo con le parole non sarei comunque in grado di definirlo; di definire ciò che lui è interamente per me, un maestro, ma soprattutto un...”

Tiamat ascoltava sorpresa come non mai, le labbra gli tremarono più volte, cercando di pronunciare parole che Camus sentiva forti dentro di sé, ma che non era in grado di esprimere. Il suo cuore batté più velocemente, e seppe che per Camus era lo stesso, che quel ragazzo per lui era tutto, che…

...E’ mio figlio… l’ho cresciuto io, quel bambino biondo dagli occhi grandi e lucenti, un poco corrucciato e sofferente, ma forte e testardo come pochi. E’ il mio… Hyoga!

“...E’ mio padre, Tiamat! Lo è anche se non ci sono legami sanguigni tra noi, lo è anche se non riusciamo a capirci, se non facciamo che ferirci reciprocamente; lo è persino quando ci inseguiamo, senza raggiungerci. E’ mio padre! E tu, che sei una dea-madre, penso tu possa capirlo. Per favore, anf, lasciamelo… ti supplico! Non ho che lui e non voglio… perderlo!”

Michela li fissava entrambi in lacrime, rotta dall’emozione, cercando di mettersi in piedi a sua volta, non sapendo bene cosa fare. Camus sembrava sempre non essere lui, anche se qualcosa, lo percepiva, stava cambiando. L’immensa luce sul suo addome stava prendendo una forma propria, anche se non ancora ben definita; una forma spigolosa…

Aveva l’istinto di correre ad abbracciarlo, di sorreggere il suo fidanzato, che sembrava reggersi a stento in piedi, di aiutarli entrambi, ma capì altresì, con una consapevolezza fulminea, che sarebbe stata un intralcio, che dovevano toccarsi loro, solo loro, e che a lei non restava che confidare in entrambi.

Vide Tiamat chiudere gli occhi. Sembrava soffrire per qualcosa, ma era impossibile comprendere se fosse dolore fisico o altro. Si posò ancora una volta la mano sull’addome, che era quello di Camus, che brillava come non mai; anche Hyoga fu sul punto di gettarsi ad abbracciarlo, di urlargli che loro erano lì, che sarebbero usciti a modo loro, che non occorreva chiedere aiuto a lei, sottoporsi ad un’altra, ulteriore, possessione, anche se a fin di bene, il loro, ma in quell’istante le palpebre del maestro si riaprirono, e quelle iridi, quelle, ora così riconoscibili, gli fecero battere il cuore più forte dalla consapevolezza: era tornato!

“Hyo-ga!”

La voce di Camus era tornata ad essere ferma e composta, di nuovo sua, sebbene si percepisse il riecheggio di quello di Tiamat in sottofondo, come se la dea avesse finalmente trovato la tanto sospirata stabilità con il corpo che la ospitava.

Le gambe di Hyoga cedettero del tutto, il Cavaliere di Bronzo non seppe se per la fatica, la spossatezza o il sollievo; cedettero le sue gambe come cedono le ali di un cigno colpito a morte. Camus non gli permise di cadere, lo afferrò, stringendoselo poi a sé, mentre, accarezzandogli dolcemente il fianco ferito, premeva un punto di pressione, arrestando l’ingente emorragia. Tornò, tornarono, a respirare con più calma, insieme quella volta, lo strinse forte al petto, tremando, mentre l’allievo, cercando di non piangere, gli cingeva le spalle larghe, quasi aggrappandosi a lui, tentando di controllare il respiro frenetico.

“Maestro… Camus, anf!”

“Va tutto bene… ora va tutto bene, Hyoga, sono qui, sono di nuovo in me!” lo rassicurò, affondando il viso tra i suoi capelli del color del grano, tenendo gli occhi chiusi per la paura di perderlo, di perdersi. L’aroma inconfondibile del suo allievo lo avvolse, lo cullò, tranquillizzandone i battiti, che correvano convulsi come dopo un lungo forzo fisico.

Cosa hai rischiato per me, per giungere fino a qui e proteggerci, pensando erroneamente di non essere alla mia altezza e nel desiderio di non deludermi più. Non l’hai mai realmente fatto, Hyoga, neanche questa volta! Riuscirò mai a fartelo capire? Riuscirò mai… a dimostrartelo?! Sei ferito gravemente, piccolo… eppure ancora ti ergi sulle tue gambe, hai combattuto per salvarmi e risvegliarmi, ed io… come ricambierò tutto quello che mi hai dato e continui a darmi?! Oh, Hyoga…

“Maestro… io lo sapevo, anf, sapevo che non vi sareste smarrito, sapevo che avreste trovato il modo per imbrigliare quel potere!”

“Hy… Hyoga, io...”

“Lo sapevo, s-sì, anf...” ripeté ancora, accasciandosi quasi su di lui, allo stremo delle forze, tanto che Camus dovette puntellare le gambe per non cadere. Aveva perso molto sangue ed era molto debole, necessitava di cure urgenti… se ne accorse con un brivido.

“Hyo-Hyoga, resisti, ora sono qui, c-con te, non mollare, coraggio! S-sei...”

C’erano così tante cose da dire, da esprimere, ma… era così difficile parlargli, fargli capire quanto fosse importante per lui, quanto lo amasse, quanto...

“CAMUUUUUUUS!!!”

Anche Michela, rompendo le riserve e i tentennamenti, corse più che poté, a perdifiato, per colmare la distanza tra sé e loro. Li raggiunse, abbracciandoli a sua volta. Hyoga, posizionato com’era, esausto com’era, non riuscì nemmeno a girarsi, ma Camus, sempre sorreggendolo, mosse il braccio destro per cingere anche il corpo di Michela, che nel frattempo li aveva raggiunti.

“Michy...” le sorrise, sebbene il nome gli uscì in tono rauco, quasi stentato, per l’affanno.

“Come stai?” gli chiese apprensiva, cercando di guardarlo in faccia per sincerarsi delle sue condizioni. Gli aveva toccato l'addome, su cui aveva appoggiato la mano e… scottava, in maniera terribile! Sembrava quasi che quel calore arcano, dopo il ricongiungimento con la sua psiche, fosse destinato ad aumentare, anziché diminuire.

“Ora… bene… e lo devo a voi. La vostra voce ha… ha toccato il mio cuore!” rispose, sospingendo entrambi dietro alla nuca per averceli ancora più vicini, dove potesse percepire meglio il loro respiro.

“Ma sei ancora bollente e...”

“Passerà, birba… passerà. Non… cough! Cough!”

Voleva tranquillizzarli, perché li percepiva molto agitati, ma uno sciame di colpi di tosse lo scosse, portandolo a stendere di più il collo per evitare di sporcarli ulteriormente di sangue. Il suo.

“Maestro!!!”

Camus aveva preso a vomitare sangue più intensamente di prima, fu costretto ad allontanarsi bruscamente, cercando di trattenere gli spasmi irregolari del suo torace. Riuscì a calmarsi solo qualche secondo dopo, quando già una pozzetta color rubino si era formata ai suoi piedi; gli allievi che provavano a sorreggerlo da sotto le ascelle, perché faticava non poco a stare in piedi anche se tentava di nasconderlo.

Le gambe gli tremarono nell’atto di raddrizzarsi, il respiro, dopo quell’attimo di controllo, era tornato ad essere ancora più dispnoico di prima. Dovevano essere le conseguenze di aver utilizzato il Potere della Creazione per un tempo così prolungato e più volte.

“Cosa ti succede, Camus? - volle sapere Michela, apprensiva, abbassando di riflesso lo sguardo sull’addome del maestro. Sussultò – L-la tua… pancia!”

Anche Hyoga si ritrovò a sobbalzare nel distinguere un preciso disegno in quella zona. Sul ventre di Camus infatti, si era formato un fascio luminoso che aveva le sembianze di un triangolo, anzi di due, erano due… due triangoli equilateri!

Uno di essi aveva il vertice in direzione dello sterno, l’altro, contrario al primo, lo aveva invece verso il basso, probabilmente verso l’inguine, rimanendo tuttavia nascosto dai pantaloni. La base delle due figure geometriche contrapposte era comune, segnava metà ombelico, come se si fosse trattata di un unione spirituale tra lui e l’entità che viveva dentro di lui. Il reale significato però era nascosto. Si percepiva solo, di quel disegno, un qualcosa di estremamente solenne.

“Maestro… è questo che ti fa così male?!” insistette ancora Michela, indicandogli la zona in questione, ingoiando a vuoto per la paura.

Era stato tutto così ingiusto! Sembrava quasi di poter veramente tirare un sospiro di sollievo, e invece… la ragazza si trattenne a stento, aveva voglia di urlare.

Camus, capendolo, si permise di stringerli ancora a sé, nonostante il dolore. Loro erano lì con lui, si sarebbe risolto tutto in un modo o nell’altro, a qualunque costo.

Al di là di quello, il simbolo effettivamente gli bruciava, ma non era stato quello a causare quella tosse sporca di sangue, bensì le conseguenze della Creazione sul suo corpo da essere umano. Era una sensazione così strana… si sentiva gremito qualcosa di invincibile, di mai provato prima, ma allo stesso tempo era come se non potesse raggiungerlo pienamente, come se le sue facoltà fossero ancora sigillate. Del resto, aveva rigettato quel potere criptico, immenso, che pur percepiva dentro di sé dalla nascita, per anni e anni… come poteva pensare, adesso, di potersene servirsene liberamente?! Tiamat era con lui, faceva eco con la sua voce, come se fossero stati davvero una cosa sola, non sembrava malvagia, non con lui almeno, eppure, le sue azioni precedenti…

“Papà...” Michela si rannicchiò contro di lui, Hyoga esitò ancora un attimo, non sapendo se permettersi lo stesso, ma fu Camus a precederlo, portandolo nuovamente contro di sé, infondendogli quel calore che lui percepiva solo quando erano insieme… a casa!

“V-vi proteggerò, anf, qualsiasi cosa accada!” affermò, solenne, cercando di guardarsi intorno per ritrovare la via già precedentemente tracciata per tornare al Santuario.

Fu in quel momento che lo percepì nitidamente… dietro di lui… incombere. In un istante la saliva si azzerò nella sua bocca, la gola si fece secca, mentre il cuore prese a tamburellare selvaggiamente.

Né Hyoga né Michela percepirono subito il pericolo che si stava per abbattere su di loro. Il fatto di averli lì, con quel mostro nei paraggi, lo terrorizzò ancora di più, perché erano sguarniti al suo fianco e quell’essere abominevole non avrebbe esitato ad attaccare anche loro per arrivare a lui.

No, maledizione, non glielo permetterò, non finché avrò un alito di vita per combattere!

Penso tra sé e sé frenetico, mentre un brivido freddo gli percorse la schiena e la pelle si fece d’oca. Possibile che… avesse aspettato proprio quel momento per palesarsi?! Era tutto… prestabilito?!

“Mae-stro!”

Lo chiamò Hyoga, accorgendosi finalmente della sua reazione fisica e del conseguente pericolo. Troppo tardi per scamparlo, però!

Infatti un’onda nera di liquami, simile a petrolio, miasma, acque purulenti, insomma di tutto ciò che potesse esistere di putrido nel creato, si abbatté improvvisamente su di loro. Ancora, né il Cavaliere del Cigno, né la giovane semi-dea, furono in grado di reagire, ma Camus, lesto, lo fece per loro, afferrandoli entrambi sotto le braccia e saltando verso il piano rialzato di quella stramba cattedrale che racchiudeva lo spazio di singolarità di Utopo.

Il miasma nero pece non ci mise molto a invadere tutti i dintorni sottostanti, lambendo il corpo mezzo decomposto di Utopo senza che lui potesse difendersi. Solo il viso emergeva, il resto del corpo -il poco che ne rimaneva, almeno!- ne fu ricoperto, procurandogli un ulteriore urlo di agonia.

Hyoga, mosso a pietà, seguendo il suo buon cuore, fu quasi sul punto di intervenire, ma quando si affacciò oltre il marmo, un tonfo sordo dietro di lui lo mise in allerta. Voltandosi, vide che Camus, soccorso subito da Michela, era caduto a terra, respirando sempre più a scatti, sputando altro sangue, vibrando come se ogni centimetro del suo corpo fosse in balia del dolore. Lo raggiunse a perdifiato, la mente annebbiata dalla situazione.

“Maestro Camus, non devi affaticarti così adesso, non sei...” provò a dire Michela, in fibrillazione.

“D-dovete andare via d-da qui… - biascicava intanto lui, il mento e le mani sporche di sangue, mentre tentava di alzarsi, cercando disperatamente lo sguardo e il sostegno del suo allievo più maturo – Hyo-ga!”

“Sì, Maestro?”

Una pallida, quanto finta, calma, fu al risposta del Cigno, che cercava di dimostrarsi pronto per ogni richiesta, ma che in verità era sempre più preoccupato per le sue effettive condizioni.

“P-portala via, t-ti prego, l-lontano da qui!”

“No, Camus, io non me ne vado!” tentò di opporsi lei, non calcolata.

“P-per favore, Hyoga, s-sono allo stremo delle forze, urgh… dovete andare via!” insistette lui, cercando ottusamente di alzarsi, ricadendo a terra, sorretto dalle mani dell’allievo.

“C-ce ne andremo, ma con voi!” tentò di dibattersi il biondo, cercando al contempo un modo per aiutarlo.

“T-tu non capisci, Hyoga… s-se mi vuoi aiutare davvero devi, anf...”

“D-devo...?”

“L-lui… è qui! Presto, dovete andare v...”

“Ohoho, non mi vuoi presentare il più veterano dei tuoi discepoli, Camus, l’unico che mi manca? - si palesò una voce sinistra, che aleggiò nei dintorni come frastuono – Potrei offendermi, sai? Pensavo fossimo… intimi!”

Il Cavaliere del Cigno si mise istantaneamente in posizione d’attacco, ma fu immediatamente spazzato via da una tremenda forza telecinetica e lanciato contro una colonna, la quale si tranciò di netto.

“HYOGAAAAAAA!!!”

Urlarono entrambi il suo nome, tumefatto, strozzato, come se provenisse dai recessi più profondi delle loro gole. Al Cigno, quasi spezzato da quel tremendo impeto, un dolore acutissimo all’anca, gli si mozzò il fiato in gola, ma non per sé stesso, bensì per l’espressione irriconoscibile di Camus, il suo venerato maestro, e il suo conseguente grido viscerale in una sfumatura che non gli aveva mai sentito: doveva… doveva essere tremendamente spaventato per le loro sorti!

E capì, Hyoga il Cavaliere Leggendario, prima delle presentazioni ufficiali, di ritrovarsi al cospetto dell’arcinemico numero uno, colui che aveva fatto così tanto male alla persona più importante della sua vita, colui che, a detta di Marta e Milo, aveva tentato di isolarlo da tutti per poi violarlo ed entrare così in possesso del suo corpo. Lui: Fei Oz Reed!

Si sforzò di rimettersi in piedi subito, incurante del dolore, un lampo fulmineo nei suoi occhi, come le bufere di neve che colpivano improvvisamente la steppa siberiana a maggio. Tutta la sua ira, tutta la sua rabbia inespressa, e l’impotenza, baluginarono nelle sue iridi che si incontrarono con quelle nere dell’entità che era comparsa poco sopra di loro e che rimaneva a mezz’aria.

“Mi piace quel tipo di sguardo, Cigno, è lo stesso del tuo maestro!”

“TACI!”

Ma la figura alta e imponente, con i capelli colorati di nero da una parte e di bianco dall’altra, non gli prestava più attenzione, concentrandosi invece su Camus, il quale, pur tramando, teneva Michela dietro di sé, i muscoli tesi oltre l’inverosimile, il bel volto totalmente snaturato, quasi… trasfigurato dal terrore.

Gli occhi del Mago lo ispezionarono da cima a fondo, ancora una volta, da distanza, tuttavia al Cavaliere d’Oro che aveva risvegliato Tiamat, sembrò di essere ancora una volta sotto le sue mani, toccato, e rigirato come era stato negli incubi. Il cuore sembrava impazzito nel petto, ma non indietreggiò nemmeno di un millimetro: doveva proteggere i suoi ragazzi!

Gli occhi del Mago si soffermarono sul suo addome, su quel disegno così luminoso che simboleggiava l’equilibrio ritrovato. Sorrise, inumidendosi le labbra con ingordigia.

“Che essere meraviglioso sei, Camus dell’Acquario! - lo elogiò languidamente, continuando a fissarlo dall’alto al basso, con quella voglia folle che aveva ogni volta che lo vedeva tangibile vicino a lui – Mai un secondo ho dubitato che tu potessi ammansire Tiamat, mai, neanche per un istante, a differenza di quello là sotto, che comunque mi è stato molto utile, anche se le mie direttive non le ha minimamente seguite!”

Indicò con spregio ciò che rimaneva della corporeità di Utopo, ancora vivo, nonostante di lui fosse giusto rimasta la testa e qualche viscera. Poi schioccò le dita della mano destra e il fluido nero si dissolse. Al suo posto una nebbiolina dello stesso colore si diffuse nell’aria, paralizzando di fatto sia Michela che Hyoga che, come vittime di un maleficio, piombarono a terra, privi di coscienza.

“BASTARDO! - urlò Camus, gettandosi vicino a Michela, girandola supinamente per controllarle disperatamente la carotide per vedere se c’era battito – COSA HAI FATTO?!?”

“Al momento nulla di che, acquietati, stanno solo dormendo, PER ORA! - sorrise, con malia – Non voglio interferenze… tra me e te!”

“Lascia loro fuori da questa storia, mostro!”

“Questo dipende da te, ragazzo, e da Tiamat, che hai addomesticato!”

“I-io non ho...”

“Sei confuso, lo so… non sai nulla del Potere della Creazione, tu lo usi senza sapere cosa esso possa comportare, e ti sei trovato, di capocollo, a gestire una dea più potente di te, che può causare cose terribili, come hai visto...” e gli indicò ancora una volta Utopo, per terra, ancora agonizzante.

“I-io non...”

Camus aveva mal di testa, come se qualcosa dentro di lui, una dissonanza, lo investisse in pieno. Chi era realmente Tiamat?! Perché aveva scelto proprio lui?! Poteva realmente fidarsi di lei, dopo quello che, sotto la sua ingerenza, si era ritrovato a compiere, perdendo totalmente il controllo su sé stesso?!

Vide Fei Oz Reed posarsi lentamente sul piano, a poca distanza da lui e avanzare. Si sentiva immobilizzato e, ancora una volta, non era in grado di opporsi, solo di vederlo incalzare nella sua direzione, come un insetto nella tela del ragno. Ormai era già troppo vicino, il suo corpo cedeva al suo influsso venefico. Aveva… paura!

Di altezza, con i suoi oltre due metri, lo sovrastava completamente, e sebbene Camus dell’Acquario non si fosse mai sentito irrisorio nei confronti di qualcuno, con quell’essere accadeva sempre, di continuo. Fece per alzare un braccio e provare a reagire. Forse avrebbe potuto tentare un colpo per loro, per i suoi allievi, ma i suoi muscoli non rispondevano minimamente al disperato richiamo del cervello. Teso come una corda di violino, sguarnito, vulnerabile… senza la presenza di Marta, che riusciva invece a contrapporsi al nemico, che lo aveva salvato nel passato, quando la vita gli stava sfuggendo, riportandolo in superficie, a quel calore che Fei Oz aveva tentato di strappargli.

...Ma era solo lì, sua sorella era lontana, e sia Michela che Hyoga, intossicati dai miasmi, dipendevano interamente da lui.

Tremò con più forza davanti a quella consapevolezza, rendendosi conto che non sarebbe riuscito a proteggerli, di nuovo, come troppo soventemente accadeva.

Michela… Hyoga…

Il braccio di quel mostro, intanto, si protrasse nella sua direzione. Ancora prima di riuscire a darsi una scrollata, avvertì quel suo indice insinuarsi immediatamente nel suo ombelico, al centro di quel simbolo strano che gli era apparso. Lo percepì dentro, in maniera insostenibile, e al contempo percepì Tiamat agitarsi dentro di lui, scalciare forse più di prima, spaventata. Gli mancò immediatamente aria, mentre la cacofonia aumentava nella sua testa.

Le gambe gli cedettero, ma quell’essere lo afferrò malamente, costringendolo a compiere una brusca torsione del tutto innaturale. I polsi gli vennero bloccati dietro la schiena per impedirgli ogni reazione, si ritrovò ad inarcare malamente il busto, in modo da mostrare bellamente l’addome a lui, a quell’essere fetido, che lo ripugnava e schifava con tutto sé stesso e a cui tuttavia non era in grado di opporsi. Strinse disperatamente le palpebre, scuotendo la testa con impeto nell’avvertire nuovamente quelle dita ruvide ispezionargli l’addome, l’indice che premeva dentro la fossetta con movimenti circolari, procurandogli un dolore sempre più insostenibile.

“Così mi piaci… ansima, Camus, tra non molto sarai mio!”

“N-no, m-mai, anf…!"

“ANSIMA, HO DETTO!” pretese il Mago, premendogli ulteriormente il centro dell’addome con il solo scopo di fargli più male possibile.

Gli venne strappato un urlo, di forza, dalla bocca, mentre il ventre si muoveva convulsamente, senza che la volontà ne potesse prendere parte, di nuovo ricordando le doglie di un parto.

Quell’essere avvicinò il proprio volto al suo collo, gli scostò i lunghi ciuffi di capelli, fiatandogli perfino addosso, con voracità, mentre compiva quella sorta di sortilegio per piegare il Potere della Creazione alla sua volontà. A Camus sembrò quasi di morire, davanti a tutto quello, ormai non sentiva più nemmeno la propria voce, le corde vocali sembravano vibrare senza emettere alcun suono, le percezioni si affievolivano. Riaprì a stento le palpebre, che tuttavia non riuscivano a distinguere più alcunché.

Si ripeté ancora una volta che non poteva finire così, aveva qualcuno da proteggere e aveva promesso che non avrebbe più abbandonato Marta, né nessun altro dei suoi affetti, ma era tutto così oltre, così superiore rispetto al suo corpo così spossato…

“Sai bene che la tua encomiabile resistenza mi eccita ancora di più, ma… chiudi gli occhi ora, per aprire quelli della mente...”

“U-urgh, anf… anf… n-no!”

“Noooo? - chiese il Mago con voce languida, conficcandogli l’unghia dell’indice proprio all’interno dell’ombelico dove già Utopo gli aveva fatto i prelievi, mentre la sua lingua vogliosa gli percorreva la vena carotidea che sentiva quasi pulsare selvaggiamente dentro orecchio – Non hai chissà quali altre alternative...”

“A-arf...”

“Così, bravo… vedi che non è poi così male!”

Continuava a toccarlo, su e giù, accarezzandolo senza la benché minima delicatezza e premura, piegandone ancora una volta la volontà, la sua fibra di uomo, il suo stesso onore. Ancora… e ancora!

“U-urgh...”

“Ora osserva attentamente, ragazzo… poco prima di diventare una cosa sola, poco prima che la tua coscienza diventi un tutt’uno con la mia, voglio farti un ultimo regalo… te lo devo!”

Camus lo percepiva ormai a stento, era diventato davvero insostenibile mantenere la coscienza. Reclinò il capo all’indietro, vinto, mentre le tenebre e i miasmi si irradiavano nel ventre per poi apprestarsi a lambirlo interamente. Le avvertì proprio salire, strie nere che raschiavano ogni zona che riuscivano a raggiungere; bruciavano come sale sulle ferite sulla pelle già martoriata, arrivando a contaminare l’aorta e così il cuore, stretto nella morsa di quel veleno che non lasciava scampo e, ancora, che sembrava voler proseguire oltre.

P-perdonatemi, i-io… non ce la faccio… più! Contro costui non...

Fu il suo ultimo pensiero, rivolto ai suoi affetti più intimi, prima che la coscienza, ormai slegata dal corpo, si frantumasse in mille frammenti per essere poi proiettata in ogni direzione, tornando al Principio Primo; il principio di ogni cosa, di ogni… esistenza!

“Osserva, Camus dell’Acquario, osserva… questa è la storia delle origini del creato; è la storia della dea Tiamat e del dio Marduk!” sancì Fei Oz, apprestandosi a percorrere, insieme al corpo che gli spettava, le tappe fondamentali della Creazione di tutti i mondi.

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Non ci credevo neanche io, visto che è stato un settembre bello intenso e pieno, ma finalmente sono riuscita a pubblicare anche questo nuovo capitolo dei 5 Pilastri. :)

Oggi, purtroppo per voi, ho alcune cose da dirvi, quindi mettetevi pure comodi! XD

Dunque… intanto non è la prima volta che Camus utilizza il Potere della Creazione per offendere, lo aveva già fatto da bambino, perdendone il controllo, già nel capitolo 6 della Melodia della Neve, “Creazione e Distruzione (seconda parte)”, ma è di certo la prima volta che vedete Tiamat all’opera. Su di lei sono molto curiosa: che impressione ne avete avuto? Buona? Cattiva? Ambigua? Al solito sarà chiarito con i giusti tempi, ma se voleste darmi qualche impressione a caldo ne sarei ben lieta.

Capitolo che si divide in tre parti e che pone l’accento, oltre che sulla gnoccolaggine di Camus (mi sono impegnata molto per rendere bene le descrizioni sue!) anche sul suo rapporto con Hyoga (che stra-adoro) e sui suoi effettivi poteri. Il “mio” Camus ha un potere praticamente assoluto che deve essere ancora svelato pienamente, qui vi è la sua manifestazione più cruda, ma al solito, per capire bene le dinamiche, dovrete aspettare un po’. Resta comunque il fatto che, come si è visto in “Sentimenti che attraversano il tempo”, contro il Mago non può opporsi. Perché?

Riassumendo:

1) Le ferite al torace subite nella prima storia, riaperte per salvare la sorellina, e volute dal Mago stesso, hanno immesso nel suo organismo particelle di miasmi e il cosmo stesso di Fei Oz. Va da sé che, perdonate il termine un po’ brutale, ma che rende bene, è come se Camus avesse un tumore che, da solo, non può minimamente combattere, per questo motivo, quando è al cospetto del nemico, non riesce, non può, opporsi, oltre ad essere evidentemente traumatizzato da lui per quello che gli ha già fatto subire.

2) E’ stato precedentemente seviziato da Utopo nel capitolo 3 di questa storia.

3) Come se non bastasse, qui, ha utilizzato il Potere della Creazione, il Principio Primo, in maniera continuativa e prolungata. Un potere assoluto e illimitato in un corpo che tuttavia è limitante, metà umano e metà divino; questo, come si percepisce, lo ha devastato nel profondo, sebbene ora sia in equilibrio con la dea. Del resto… non ha mai utilizzato simili poteri prima d’ora, dovrà affinarsi e capire bene questa storia di Tiamat custodita nel suo grembo.

4) Ricordo, senza fronzoli, che quanto Camus vive, ha vissuto, davanti al Mago, non è dissimile da uno stupro, per quanto (al momento) al livello psicologico e tramite i sogni, poiché il Mago preferisce utilizzare il suo corpo cosmico, non quello fisico (anche in questa circostanza lo sta utilizzando, lo capirete nel prossimo capitolo). Inoltre, come si è visto più volte, il nemico ha una predilezione per toccargli proprio l’addome, l’ombelico, una zona che Camus sente intrinsecamente così fragile. Ora sapete perché: vi è custodita Tiamat, ma non pensate che ella abbia sempre le sembianze di un feto, o si possa vedere in qualche modo, la faccenda è molto più complessa. Di certo, quando è agitata, è percettibile tramite un leggerissimo battito cardiaco.

Dopo questa pappardella (si vede che tengo a Camus? Aha!), dico qualcosa anche sui nostri che sono rimasti al Santuario.

Dunque, qui ho voluto dare risalto a Shura che, tra i Cavalieri invecchiati, è quello che lo fa in maniera migliore, un po’ come il buon vino. Insomma, Shura per me, insieme ad Aldone (non me ne vogliano le fans) è quello più, non brutto, certo, ma “insulso”, diciamo, tra tutti i Dorati Custodi, almeno esteticamente parlando… vogliamo quindi farlo invecchiare meglio degli altri?! Aha, io sì, assolutamente, ed eccolo quindi qui alla riscossa! Go, Shura! :) :)

L’attacco di Aphrodite non è di mia invenzione, ma di Kurumada medesimo in Episode 0, quando, per intenderci, ferisce a morte Aiolos che sta fuggendo con Atena in fasce.

L’apparizione di Kiky, invece, è un omaggio a Saint Seiya Omega, forse una delle poche cose che apprezzo di quest’opera. E’ proprio il caso di dirlo: il suo intervento ha salvato il deretano a tutti, Mu avrà di che essere orgoglioso del suo allievo; così come Camus delle sue, senza alcun dubbio :)

Dovrei aver finito il solito papiro… credo! Nel prossimo dovrei arzigogolare una prima spiegazione del mito di Tiamat, ma, via anticipo già, le fonti sono incerte e frammentate (l’ho scelto proprio per questo) quindi ci metterò molto di mio, spero di risultare convincente.

Al solito, ringrazio tutti coloro che mi leggono, seguono, commentano e via dicendo, spero di non avervi deluso con questo capitolo. Spero inoltre, questo mese, di riuscire a pubblicare di più. Tra non molto dovrebbe infatti riprendere anche la pubblicazione della Melodia della Neve, ferma da un annetto perché prima dovevo andare un po’ avanti con questa storia che, a questo punto, direi che conterà sui 10 capitoli.

A presto, mi auguro! :)

 

 

  
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