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Autore: shaaaWn_    05/10/2021    1 recensioni
In seimila anni di permanenza sulla terra, Aziraphale si era ritrovato a mentire solamente due volte.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In seimila anni di permanenza sulla terra, Aziraphale si era ritrovato a mentire solamente due volte: per mascherare la sua vera natura e per impedire che un cliente mettesse mano su uno dei suoi preziosi libri.

In entrambi i casi, si trattava di bugie durature nel tempo e soprattutto strettamente necessarie affinché filasse tutto per il meglio.
Di certo non poteva permettersi di dar via come se nulla fosse la prima edizione della Divina Commedia, specialmente ad un umano qualsiasi.
Aveva imparato quanto maldestri e sbadati fossero e teneva troppo ai suoi polverosi tomi.

Ovviamente non poteva neanche permettersi di far saltare la sua copertura da affabile libraio quale era.
Il pensiero di Gabriel infuriato lo faceva rabbrividire ogni volta.

Essendo quindi bugie fondamentali, non aveva mai riscontrato difficoltà nello sfoggiare un sorriso cordiale per celare le proprie menzogne ma se si trattava di altro allora l'impresa diventava più ardua.

Interagiva raramente con gli umani, quindi il problema principale era ed era sempre stato Crowley.
Amava passare del tempo assieme a lui proprio perché non doveva sforzarsi nel raccontare fandonie; sebbene quand'erano stati prossimi alla fine del mondo un paio se le era fatte scappare.
Sentendosi terribilmente in colpa subito dopo.

Mentire andava contro ogni suo principio, ogni sua morale e non era affatto abile.
Per l'appunto, si trattavano di occasioni più uniche che rare ma da quando lui e Crowley avevano sventato l'Apocalisse, tenendo testa al Paradiso e all'Inferno, la paura che la sua fazione lo stesse ancora tenendo d'occhio non l'aveva abbandonato per un solo secondo.

Un'innocua preoccupazione, che con il passare dei giorni era diventata puro terrore, logorandolo dall'interno.
Non si scollava di dosso neanche fosse una camicia di flanella in piena estate, opprimente e insopportabile.

Sempre in campana, gli occhi che guizzavano in tutte le direzioni, la sensazione continua di essere seguito e osservato.
Era come avere delle manette fin troppo strette ai polsi che limitavano ogni suo movimento e ogni sua possibilità di godersi la libertà che si erano guadagnati.

Tenere Crowley all'oscuro di ciò che lo tormentava, non faceva altro che aggravare ulteriormente il suo stato.
Si trattava di un peso che non poteva reggere da solo con le sue spalle.
E per quanto cercasse di non lasciare trapelare nulla, con l'andare avanti delle settimane la barriera da lui costruita cominciava a creparsi, lasciando fuoriuscire qualche spiraglio.
Di fatto, i primi segnali allarmanti si verificarono in una tiepida giornata estiva, durante l'inventario mensile.

Il sole era prossimo al tramonto, il cielo cominciava ad assumere sfumature color arancio, le strade pullulavano di gente e la sua amata libreria si era finalmente svuotata.

Un pomeriggio fruttuoso a detta sua, non aveva intrapreso nessuna discussione con nessun cliente che si era mostrato propenso a comperare qualche tomo di valore.

Motivo per cui canticchiando a suon di musica, si diresse verso uno dei polverosi scaffali, in procinto di iniziare l'inventario.
Un'attività che svolgeva a distanza di due o tre mesi, anche uno se come in quel caso era di buon umore.
Evento assai strano, viste le complicazioni nelle ultime settimane a causa della sua angoscia eppure per un po'quella sera parve rilassarsi.

Giuseppe Verdi lo accompagnò per un tempo a lui infinito, mentre si destreggiava tra le varie mensole, spostando, spolverando e catalogando pile e pile di libri.
Passò dai libri profetici, ai classici e alla poesia, categoria assai più vasta e un tantino più stimolante, entrambi validi motivi per dedicarvi più tempo.
Era solito rileggere qualche verso preso casualmente dalla prima pagina che si ritrovava davanti agli occhi.

Sospirando, lesse con predilezione la commovente poesia di Walt Whitman, "A uno sconosciuto", per poi posare con delicatezza il libro al suo posto.
Non poteva fare a meno di trovarla affascinante, ogniqualvolta che sfogliava la raccolta puntualmente finiva su quella pagina.

Fu mentre rimurginava se dedicarsi a Manzoni o a Byron, che udì la porta da lui rigorosamente chiusa, aprirsi con un cigolio, susseguita dalla sua chiusura e da dei passi lenti.
Congeló sul posto, la mano a mezz'aria a pochi centimetri dalla sezione dei poeti italiani; il sudore freddo colò lungo il collo, infiltrandosi nella camicia azzurra che già sentiva fosse troppo pesante.

Chi mai poteva essere?

L'orario di chiusura era ormai lontano e le tendine abbassate parlavano chiaro, nessuno era autorizzato a metter piede la dentro nel bel mezzo della sera, o notte, oramai aveva perso totalmente la cognizione del tempo.

I clienti erano fuori discussione.
Riguardo Crowley, lo aveva visto quella stessa mattina e nonostante avesse notato un atteggiamento un po' fuori dall'ordinario, avevano chiacchierato allegramente come di consueto, quindi non c'era ragione che lui fosse lì.

Ebbe finalmente il coraggio di spostare il braccio ancora sospeso, e portandosi le mani nervosamente all'altezza del petto, tentò con scarsi risultati di chiedere gentilmente allo sconosciuto di rendere nota la sua identità.
Per quanto si sforzasse, non un singolo mormorio trapelò dalla sua bocca, quasi avesse perso la lingua.
Un enorme groppo bloccava le sue corde vocali, facendole pizzicare, seccando del tutto le sue labbra sottili che provò inutilmente ad umettare con la saliva.

Neanche i suoi piedi sembravano collaborativi quella sera e in parte li capiva, d'altronde il terrore che fosse Gabriel o un qualsiasi altro angelo ad aver messo piede nella libreria, faceva passare in lui anche la voglia di respirare pur di non farsi trovare.

L'aria parve diventare rarefatta, impedendogli di inalare la quantità necessaria per mettere i nervi apposto, cominciò quindi a boccheggiare con fatica, il che non fece altro che allarmarlo ulteriormente.
I suoi continui ansiti avrebbero di sicuro tradito la sua posizione, sebbene prima o poi sarebbe stato scoperto lo stesso, incollato al pavimento com'era, ma ciò non gli impedì di tapparsi la bocca con entrambi le mani.
Non fu molto furbo da parte sua.

Erano loro, non c'era alcun dubbio.
Generalmente non annunciavano mai il loro arrivo né tantomeno la loro presenza, si divertivano a sbucare quando gli pareva e piaceva, quasi come fosse tutto uno stupido giochetto per intrattenersi nelle giornate noiose.

Non aveva mai tollerato quel loro atteggiamento, in realtà non aveva mai tollerato un loro singolo atteggiamento, si trattava di angeli sciocchi, impuri e infedeli e nonostante li trovasse ripugnanti, nulla gli impediva di esserne così terrorizzato.
Se il Paradiso lo stava cercando, stava a significare che anche l'Inferno era sulle tracce di Crowley e quella volta niente scartoffie, niente trucchetti.

Avevano tenuto loro testa, giocando con il fuoco e con l'acqua, minacciandoli e imbrogliandoli con coraggio e astuzia, eppure era sembrato fin troppo semplice e del tutto irreale.
Quelle settimane di pace erano state solo la calma prima della tempesta e grossi nuvoloni si erano ormai stagliati sopra di lui, pronti a dar inizio alla sua disfatta totale.

Riusciva già a percepire le iridi violette di Gabriel, cariche di rancore e ricolme di vendetta, che lo scrutavano dalla testa ai piedi, accompagnate da un sorriso beffardo.
Magari avrebbe potuto implorare pietà, quantomeno per Crowley, il pensiero di perderlo era ancora più logorante di perdere se stesso.

Le mani accennarono un leggero tremolio e con la forza che non seppe dire con certezza da dove provenne, fece qualche passo furtivo in avanti, il giusto per sbirciare oltre la libreria che fino ad allora aveva funto da riparo.
Terrorizzato, grondante di sudore, leggermente tremante, per nulla pronto ad affrontare la sua sorte, osò affacciarsi con metà del volto e fu allora che si ritrovò faccia a faccia con un paio di occhiali dalle lenti scure.

Vista la distanza ravvicinata, per nulla prevista, indietreggiò rapidamente finendo contro un'altra libreria, non senza aver prima emesso un urlo disperato per via dello spavento.
Due o tre tomi abbastanza spessi rischiarono di finirgli sulla testa ma Crowley intervenne repentino, con un rumoroso schiocco di dita.

"Angelo? Stai bene?"

Il tono preoccupato usato dal demone lo riportò bruscamente alla realtà, facendo scemare la sua angoscia che ben presto divenne collera.

"Buon Dio sei forse impazzito? Non puoi introdurti qui dentro in maniera furtiva per poi sbucare all'improvviso! Se fossi un umano a questo punto sarei già morto di infarto!" sbraitò a pieni polmoni, lasciando il suo amico completamente di stucco.

Non era avvezzo agli strepiti, tantomeno rivolti a Crowley ma doveva ammettere che ciò che aveva fatto era stato del tutto inappropriato.

"Esageri come al tuo solito! Mi spieghi chi altro dovrebbe entrare qui dentro a quest'ora?"

Già, chi?

Eloquente, Crowley portò le braccia conserte al petto, saldamente strette, poggiandosi con la spalla sinistra alla libreria dalla quale era sbucato poco prima.
La sua figura allampanata come d'abitudine era fasciata alla perfezione da abiti stretti e scuri, i capelli rossi ricadevano ribelli lungo il suo viso e la spessa montatura degli occhiali neri venne abbassata dal demone stesso, rivelando le sue iridi dorate.

Quella domanda lo colpì in pieno e parve ridurre la sua collera, come un'onda pestifera che cancella le impronte sulla sabbia.
Rimase in silenzio, la bocca asciutta, inerte con in mano un libro di Pirandello.

Già, chi altro avrebbe dovuto mettere piede la dentro?

Gabriel.
Uriel.
Sandalphon.
Michael.

Insomma, qualcuno sarebbe sceso dal Paradiso apposta per strapparlo dalla vita sulla Terra che tanto amava.
Magari questione di pochi mesi, o settimane, giorni, ore minuti o addirittura secondi.
Chi poteva dirlo.

Crebbe nuovamente la paura.
Aveva un sapore talmente acre e fu come sentire un leggiadro mantello di neve avvolgerlo in una morsa ghiacciata.
Un leggero tremolio lo assalì, tant'è che il libro che teneva tra le mani cadde a terra con un tonfo sonoro, stappandogli le orecchie e facendo scattare un campanello d'allarme in Crowley.

"Aziraphale? Sicuro di star bene?"

Lo raggiunse in poche falcate, non che la distanza fra loro fosse poi molta, posando con delicatezza una mano sulla sua spalla e la sua unica reazione consistette nel trasalire e scostarsi di colpo, quasi come fosse stato folgorato.

"Benissimo! Mai stato meglio in vita mia!"

Nervosamente Aziraphale gli rivolse un sorriso per nulla convincente, scontrandosi con i suoi occhi dubbiosi, prima di schiarirsi la gola e portare la sua attenzione altrove.

Non poteva permettersi certe sceneggiate davanti a Crowley, la situazione andava gestita con tutta la calma possibile.
Inoltre, mettere a rischio la sua incolumità non era ammissibile, perciò tanto valeva non renderlo partecipe dei suoi crucci.

Prese un bel respiro, sperando di incanalare coraggio e determinazione, ripose il libro nel suo apposito scaffale e con un sorriso affabile stampato sul volto, si voltò verso il demone.

Notò con nervosismo la sua aria di disappunto ma non si fece intimorire, e nonostante apprezzasse l'interesse a lui rivolto, attinse alle sue carenti doti attoriali e represse la sua angoscia.

"Dovrei essere io a fare le domande qui," fece presente, sperando di cambiare definitivamente discorso.

"Mi spieghi di grazia, qual buon vento ti ha portato nella mia libreria a quest'ora della sera?"

Fu il turno di Crowley a comportarsi in maniera strana e sospetta, anche se ripensandoci andava avanti da tutta la giornata.
Vide sparire la sua mano destra sotto la chioma ribelle, che smaniosamente grattò la nuca e il suo sguardo divenne rapido, sfuggente.

Aziraphale stette ad osservare quello strano meccanismo che aveva messo innescato semplicemente grazie alla sua curiosità; sembrava di guardare una fila di tessere del domino che pian piano ricadevano all'indietro su se stesse.
Udì anche qualche bizzarro balbettio, che fece nascere in lui un piccolo sorriso, prima che ebbe finalmente successo nel rispondere.

"Volevo...volevo sapere se ti andasse di andare al Ritz domani sera, è passato del tempo dall'ultima volta."

Ciondolando, il demone lo guardò di sfuggita negli occhi e non seppe dire il perché ma il suo cuore fece una capriola all'udire quel invito.
O meglio, era conscio del motivo.

La sua terza bugia.
La più ardua e dolorosa.

Le sue guance si imporporarono appena.

"Ne sarei lieto mio caro," rispose giulivo, con il cuore palpitante.

Mascherare la sua vera natura era una bazzecola in confronto al continuo reprimere i suoi sentimenti per Crowley.

Il demone sorrise raggiante scrutandolo attraverso le lenti scure, per poi schiarirsi la gola visibilmente imbarazzato, portando lo sguardo altrove e le mani in tasca.
Le vecchie abitudini non muoiono mai, Aziraphale per poco non rise.

"Non avresti potuto semplicemente telefonarmi?"

Ed ecco che il muretto che Crowley aveva miserabilmente innalzato, crollò in mille pezzi, mandandolo nuovamente nel pallone.

"Non sapevo se avresti risposto, essendo tardi magari avresti potuto pensare che fossi un cliente maleducato o addirittura qualche ragazzino che si diverte a fare gli scherzi telefonici oppure-."

"Hai reso l'idea mio caro," lo interruppe, lasciandosi finalmente andare ad una risata cristallina che non fece altro che mettere il demone a disagio.

"Si, insomma...- bofonchiò subito dopo, dondolandosi sulle gambe - passo qui davanti per la solita ora, fatti trovare pronto."

In un batter d'occhio, lasciò la libreria con le mani rigorosamente infilate nelle tasche dei jeans e le spalle strette.
L'unica compagnia che gli rimase fu il giradischi che placido emanava le opere di Chopin e la scia del profumo inebriante di Crowley.
Gli si scaldò il cuore nel respirare quell'odore a lui tanto caro, e sentendosi più leggero riprese l'attività che aveva interrotto prima del suo arrivo.

Chissà, magari le cose sarebbero andate per il verso giusto, pensò tra se afferrando un libro di Edgar Allan Poe.
Sciocco da parte sua crederlo.
Solamente perché la presenza di Crowley l'aveva momentaneamente distolto dalla sua angoscia, ciò non stava a significare che essa fosse sparita.

Ebbe l'opportunità di distrarsi per qualche ora, ma la giornata successiva non fu una passeggiata, specie sull'avvicinarsi dell'uscita con il demone.

Un altro giorno fruttuoso, nessun cliente impertinente o fastidiosamente curioso, solo persone annoiate che preferivano ciondolare tra gli scaffali che aveva accuratamente spolverato.

L'orario di chiusura arrivò in un battito di ciglia e così anche la cara vecchia Bentley tirata a lucido.
Si affrettò a salire, rivolgendo al demone un sorriso mellifluo che ricambiò con quello che a lui parve un grugnito.
Naturalmente ne colse l'imbarazzo.

Chiacchierarono durante il viaggio, fatti di poco conto eppure fu una delle conversazioni più tranquille e piacevoli degli ultimi giorni.
Non che effettivamente avesse parlato con qualcuno, i libri erano stati la sua unica compagnia.
Giunsero finalmente alla loro meta e Aziraphale aveva sperato, dio se aveva sperato, che andasse tutto per il meglio e anzi ci era pure cascato.

Presero posto, il loro tavolo era lì dov'era sempre, ben apparecchiato e pronto ad accoglierli.
Passò con delicatezza i polpastrelli sulla tovaglia, rivivendo i numerosi pasti che aveva consumato lì, assieme a Crowley, tutti quei discorsi senza senso, le risate genuine, i racconti più avvincenti.
Ne avevano fatta di strada.

Istintivamente voltò il capo verso il demone, un ampio sorriso nacque sul suo volto, le guance si tinsero appena e il suo battito cardiaco aumentò di intensità prima di arrestarsi completamente.
Per un folle attimo intravide un guizzo viola.
Poi dei capelli brizzolati e un completo grigio.

Davanti a sé passarono tutti i diverbi, le minacce e i soprusi che aveva sopportato, senza tener conto di quello sciocco inquietante sorrisetto che più e più volte gli era stato rivolto.

Gabriel.
Era lì, per lui.
E sicuramente aveva già avvisato Beelzebub o chissà quale altro demone.
Magari erano proprio dietro di loro.

Di scatto voltò la testa, la fronte imperlata di sudore, gli occhi sgranati.
Lanciò occhiate fugaci e disperate ad ogni cliente presente nel ristorante, nessuno parve farci caso, nessuno se non Crowley.

"Ti senti bene?"

Quella domanda giunse ovattata alle sue orecchie, concentrato com'era nella ricerca di una qualche presenza demonica.
Non credeva fossero così bravi a nascondersi, Crowley avrebbe già dovuto avvertirli e così lui.
Cominciò a respirare affannosamente, le mani strette attorno alla posate lucenti, le pupille guizzavano da un angolo all'altro tremanti, spaventate.

Dov'erano?
Quand'è che li avrebbero presi?
Durante la cena? O non appena avessero messo piede fuori dal Ritz?
Che fossero quella coppia anziana che gli aveva sorriso precedentemente?
O addirittura il cameriere?
E se avessero messo qualcosa nel cibo o nei bicchieri?

Cercò con lo sguardo il bicchiere del demone e con orrore lo trovò a pochi centimetri dalle sue labbra, il liquido scarlatto che già andava inclinandosi.
Repentino, tolse il calice dalle sue mani, sporcando la tovaglia e attirando l'attenzione di qualche cliente.

"Che diamine ti prende?" acido, Crowley ruotò il capo nella sua direzione visibilmente seccato dal suo gesto.

"Andiamo via," mormorò flebile, stringendo tremante il calice al petto come fosse una creatura indifesa.

"Come?"

"Voglio andare via," ribadì secco, gli occhi incollati alla tovaglia ben ricamata.

Il cuore palpitava, sentiva gli sguardi di ogni singolo cliente puntato su di sé, la testa pulsava, vorticava, ormai sentiva e vedeva a malapena.
Doveva uscire, respirare aria fresca, lasciare quel luogo asfissiante, fuggire, allontanarsi.
Eppure sembrava incollato alla sedia, a malapena muoveva i piedi.

Non si rese conto di quanto tempo passò, ma non appena Crowley sfiorò delicatamente la sua spalla, parve risvegliarsi, sobbalzando come fosse stato fulminato.
Con le orecchie finalmente stappate, ebbe il coraggio di alzarsi e ripetere con tono elevato ciò che la sua mente non aveva fatto altro che pensare in quegli ultimi istanti.

"Andiamocene."

Ovviamente Crowley non scattò sull'attenti, pronto ad esaudire ogni suo desiderio, specie assurdo come poteva sembrare.
Anzi, stette comodamente sbracato sulla sedia a fissarlo come fosse pazzo, neanche avesse detto che la Terra fosse piatta.

"Siamo arrivati praticamente ora..." frastornato tentò di controbattere ma Aziraphale non demorse.

"Potresti riportarmi alla libreria?"

Le folte sopracciglia rosse si aggrottarono.

"Cosa? Certo che no, siediti."

Fu il turno dell'angelo ad essere piuttosto disorientato.

"Non puoi esaudire questa mia richiesta, caro?"

"E tu non puoi sederti e smetterla con quest'assurdità?" soffiò acido Crowley, le dita che tamburellavano nervosamente sul tavolo.

Aziraphale notò ulteriori sguardi indiscreti dei clienti e il suo livello di sopportazione parve scendere ancora di più.
Non poteva rimanere un altro minuto in quel locale.

"Andrò da solo, allora," annunciò solenne, allontanandosi rapidamente in direzione dell'uscita, senza neanche voltarsi.

Forse era la cosa migliore.
Crowley non doveva immischiarsi né essere coinvolto, o ne avrebbe subito le conseguenze.
D'altronde non sembrava minimamente preoccupato, l'Inferno aveva modi bizzarri di gestire quel tipo di situazioni.
Ma lui sapeva come le gestiva il Paradiso e per quanto sperasse, non comprendeva di certo tè e biscottini.

Messo piede fuori da locale, l'aria estiva gli solleticò il viso scottante, raffreddando appena i suoi bollenti spiriti ma non ebbe neanche il tempo di ispirare una boccata d'aria, che si sentì prendere per il polso.

Si ritrovò faccia a faccia con il demone.

"Angelo, puoi spiegarmi cosa ti prende?"

Quella volta il tono non aveva tracce di malcontento o collera ma semplice e genuina preoccupazione, fatto assai raro, Crowley raramente si tradiva a quel modo.
E per un attimo, quelle attenzione gli diedero un briciolo di conforto, immediatamente spazzato via dal solo pensiero di veder il demone evaporare nell'acqua santa.

Brusco, scansò il braccio dalla sua presa e riuscì a percepire la pugnalata al cuore che aveva appena lanciato a Crowley che con indosso gli occhiali nascondi-espressione, sembrò irrigidirsi su due piedi.
La discreta quantità di interesse che gli era stata rivolta, sparì in un soffio, ingoiata a forza e con amarezza.

È per il suo bene, ripeté a se stesso nella speranza di crederci.

"Non ho nulla caro, vorrei semplicemente fare ritorno alla libreria e come ho già detto, mi recherò lì per conto mio."

Senza nemmeno guardalo in faccia, le mani strette smaniose tra di loro, gli diede le spalle e compì due passi prima di essere bloccato per l'ennesima volta.

"Sali in macchina angelo."

Per quanto adirato sembrasse, Aziraphale accettò di buon grado il passaggio, anche perché ad essere onesti aveva dei dubbi sulla strada di ritorno.
Ovviamente non spiccicarono una singola parola per tutto il viaggio, la tensione in quel piccolo cubicolo era sufficiente a tenerli occupati e silenziosi.
Nonché a soffocarli.
Neanche la radio era stata accesa e ciò stava a significare che la faccenda era piuttosto grave.

È meglio così, si disse una volta giunti a destinazione.

"Sicuro di star bene?"

Aziraphale annuì, per nulla convinto, gli occhi chiari puntati sulla porta della libreria chiusa.
Sentì un sospiro.

"Deduco che tu non voglia neanche compagnia per bere."

Perché Crowley doveva rendere tutto così difficile?
Non poteva avercela con lui e basta?
Sarebbe stato meglio, per entrambi.

Moriva dalla voglia di contraddirlo, di invitarlo nella libreria come di consueto, di bere fino a tarda notte e ridere a crepa pelle, la mente leggera lontana da qualsiasi pensiero, solo loro due nel loro piccolo angolo di mondo.

Eppure non poteva, non poteva permetterselo.
Mai e poi mai avrebbe messo a rischio la sua vita.

Nonostante l'enorme groppo in gola, un gigantesco peso sul petto, riuscì a mormorare una risposta, le corde vocali che dolevano.

"Non credo sia una buona idea al momento."

Non dissero più nulla.
Calò uno dei silenzi più fragorosi della storia, di quelli che entrano nel cervello e lo martellano fino all'esasperazione e al dolore.
E diamine faceva male per davvero.

Scese dall'auto, forse per l'ultima volta, chiuse lo sportello con la giusta quantità di forza, inspirò l'aria estiva di Londra ma non ebbe nessun effetto.
Raggiunse l'entrata e prima di posare la mano sulla maniglia, ebbe il forte impulso di voltarsi, tornare sui suoi passi e spiegare per filo e per segno la sua situazione, sperando che Crowley capisse, perché Crowley lo aveva sempre capito.

Ma in questo caso, non lo avrebbe fatto.
Sapeva in cuor suo che il suo atteggiamento per lui sarebbe stato un qualcosa di assurdamente sciocco, incosciente, esagerato, inutile e chi più ne ha più ne metta.
Perciò abbassò la maniglia e mise piede nella libreria, in sottofondo il rumore di una macchina che si allontanava sfrecciando per le strade deserte.

Sono tornato in tutta fretta con oneshot fin troppo lunga che ho deciso di dividere in due parti.
Il prossimo capitolo arriveà il prima possibile!!

 

   
 
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