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Autore: Nereisi    08/10/2021    1 recensioni
“Smokey.” Disse l’altro, improvvisamente serio, il tono della voce quasi uno schiaffo in viso. Smoker sentì qualcosa di pesante annidarsi in fondo allo stomaco mentre guardava negli occhi placidi di Cappello di paglia. Improvvisamente, non voleva sapere cos’aveva da dirgli.
“Sono venuto a consegnarmi.”
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Mastica e sputa, da una parte il miele.
Mastica e sputa, dall'altra la cera.
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Partecipante alla challenge indetta da Fanwriter.it per il #writober
Day 3 - Cera
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Smoker
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Writober 2021'
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Mastica e sputa

 

 

 

Smoker rallentò il respiro, mantenendo la calma e concentrandosi sulla pietra liscia che aveva in mano, gli occhi fissi sul punto di contatto tra questa e la sottostante torre di sassi dalle forme più disparate. Con cautela, lasciò la presa.

Come se per fargli uno sberleffo, la pila di sassi rimase in apparente equilibrio per un paio di secondi; prima di rovinare irrimediabilmente a terra. Le pietre rotolarono, sparpagliandosi e andando a sbattere contro il mobilio e altre colleghe, resti di precedenti tentativi fallimentari. Smoker serrò la mascella per la frustrazione, quasi tranciando di netto i sigari che aveva in bocca. Dannazione.

Non sapeva nemmeno perché stesse cercando di ritrovare la calma. Era palese che non ci sarebbe riuscito. Non quel giorno, e non per molti altri a venire.

Lanciò un’occhiata all’orologio. Aveva ancora tempo. Era in anticipo. Erano due stramaledette notti che non dormiva, certo che era in anticipo. Smoker sbuffò con malagrazia una boccata di fumo, passandosi una mano sulla fronte madida di sudore. Internamente fece una smorfia. Si alzò. Aveva abbastanza tempo per farsi una doccia e-

Si bloccò. “E” cosa? Conoscendolo, gliene sarebbe poi fregato qualcosa se si fosse presentato tirato a lucido o meno? Esitò, maledicendo se stesso e soprattutto la spina nel fianco della sua esistenza per spingerlo ad avere quei pensieri. ‘Fanculo, pensò agguantando la sua giacca e marciando fuori dal suo ufficio. Era ancora la giacca da viceammiraglio. Molto presto, avrebbe dovuto cambiarla. Ma, anche se gli fosse già arrivata, non avrebbe comunque indossato la giacca da ammiraglio. Per rispetto.

Rispetto, rifletté mentre si strofinava con movimenti precisi, quasi rabbiosi. Alla fine, era sempre stata tutta una questione di rispetto.

Mai nella vita avrebbe pensato che si sarebbe pentito così tanto di rispettare qualcuno e, soprattutto, di essere rispettato di rimando.

Si vestì quasi in automatico, il suo corpo era solo un contenitore di carne per il suo animo tormentato. Si agganciò il suo fido jitte alla schiena e rimase in piedi al centro della stanza, fissando il nulla. Sapeva già che ora era. Ed era ancora in anticipo. Fu così che Tashigi lo trovò, molto più tardi: solo, in silenzio, in piedi a fissare il vuoto. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma dovette ripensarci dopo averlo guardato in faccia. Abbassò lo sguardo e si fece da parte. Smoker la superò e insieme iniziarono ad avviarsi verso le celle del quartier generale.

Niente permeava più nei suoi occhi, tutto gli scorreva addosso come sabbia. Riprese di nuovo coscienza di sé solo davanti a un muro di sbarre spesse come le sue braccia, che incorniciavano un paio di occhi neri come il carbone ma brillanti e vivi, com’erano sempre stati (e come avrebbero dovuto essere sempre) gli occhi di Luffy Cappello di paglia.

 

“Ciao Smokey!” Trillò una voce giovane di fianco a lui. Smoker sussultò sulla sedia, girando di scatto la testa e puntando gli occhi sconvolti sul pirata che stava inseguendo da più di tre anni. Il giovane uomo era seduto al suo stesso tavolo, apparso dal nulla come un fantasma e sedendosi di fianco a lui come se fossero vecchi compagni di bevute, la postura rilassata e aperta e un sorriso giocoso sul viso.

Il nuovo Re dei Pirati, stando alle voci di corridoio.

“Che cazzo-“ Istintivamente, la mano corse al jitte, ma poi esitò. Chi voleva prendere in giro? Sapevano entrambi che Monkey D. Luffy non era una minaccia – perlomeno, non nel senso più comune del termine – ma che, se lo avesse voluto stendere, non avrebbe avuto il tempo di reagire.

L’altro sorrise alla sua reazione, incrociando le gambe sulla sedia come un marmocchio. Il famoso cappello era a riposo tra le scapole, tenuto su solo da uno spago. Tutto di lui e del suo linguaggio del corpo trasmetteva fiducia, tranquillità, affetto. Smoker si rese improvvisamente conto di dove fossero – in un bar frequentato prevalentemente da soldati, in un’isola fin troppo vicina al nuovo quartier generale della marina – e senza neanche pensare alle conseguenze, fece la sua scelta.

Ringraziando il cielo di aver scelto un tavolo seminascosto in un angolo buio – ci teneva alla sua pace, grazie tante – Smoker rilasciò una sottile cortina di fumo, che avvolse entrambi e li celò alla vista dei presenti. Quanto bastava per proteggerli dagli occhi indiscreti dei passanti, ma inutile contro un utilizzatore di haki. Come non lo avessero già beccato, era un mistero. O forse, solo uno dei tanti miracoli da lui operati.

“Che cazzo ci fai qui?” Ringhiò sottovoce, voltandosi di nuovo verso la causa delle sue emicranie e trovandola a sfilargli il piatto da sotto il naso. “Tu, brutto-!” Perse immediatamente la pazienza, afferrando il giovane per la giacca e portandoselo ad altezza occhi, pronto a fargli inghiottire i denti.

Cappello di paglia rise, con il suo classico tono leggero e scanzonato, accettando la sua rabbia. Continuò a ridere con la sua voce incrinata anche quando Smoker lo scosse come uno straccio per la frustrazione, come se fossero due amici che giocavano alla lotta e non due nemici mortali. Cappello di paglia si aggrappò alla sua mano per avere un appiglio e Smoker pensò che forse avrebbe dovuto offendersi visto quanto poco l’altro lo percepiva come una minaccia. Un tic al sopracciglio lo colse. Lo sottovalutava troppo, come se fossero amiconi. Perché si stava prendendo la briga di nasconderlo? L’avrebbe sbattuto in cella con le sue mani, altro che.

“Smokey.” Disse l’altro, improvvisamente serio, il tono della voce quasi uno schiaffo in viso. Smoker sentì qualcosa di pesante annidarsi in fondo allo stomaco mentre guardava negli occhi placidi di Cappello di paglia. Improvvisamente, non voleva sapere cos’aveva da dirgli.

“Sono venuto a consegnarmi.”

 

Dopo quel breve scambio, l’altro non aveva risposto a nessuna sua domanda. Fu una questione di un paio di minuti prima che qualcuno si accorgesse di chi, esattamente, stava condividendo il tavolo con il viceammiraglio Smoker. Fu solo una questione di ore prima che il nuovo Re dei Pirati fosse sbattuto in prigione senza la minima resistenza. Una data d’esecuzione venne fissata prima ancora che finisse la giornata. Prima della fine della settimana, Smoker aveva ricevuto una promozione – l’ennesimo pagamento per chiudergli la bocca – e un messaggio, recapitatogli in una lettera chiusa da un sigillo di ceralacca.

Il condannato vuole vedere una faccia amica prima di morire. Vuole che sia tu ad accompagnarlo al patibolo.

Poi, un’altra riga. Quella che gli fece stringere la gola e perdere il sonno per molti giorni.

L’unico, a detta sua, a meritarselo.

Nemmeno si soffermò con il pensiero sull’inevitabile interrogatorio che avrebbe dovuto subire dai piani alti– era impossibile, dopotutto, che non gli facessero domande dopo un messaggio del genere.

Erano passati giorni. Poi settimane. Tutto tacque.

Infine, era arrivato il momento.

Non appena incrociarono lo sguardo attraverso le sbarre, Smoker si sentì come colpito da un fulmine. Stava davvero per portare Monkey D. Luffy alla sua morte. E ancora non sapeva perché. Forse lo stavano minacciando? Qualunque fosse la ragione, nonostante stesse contraddicendo quello a cui si era votato, non poteva fare a meno di pensare che qualcosa fosse orribilmente sbagliato.

Per un folle secondo si sentì pervaso da un’energia frenetica. Per un solo istante, si sentì pronto a fare qualsiasi cosa. Fanculo quel mondo marcio e quel governo ripieno di merda liquefatta. Poteva farlo evadere da lì, poteva liberarlo. Diavolo, avrebbe scommesso la vita che i suoi compagni erano lì fuori da qualche parte. Forse qualcuno si era già infiltrato, magari Nico Robin o quel loro elusivo cuoco. Se avesse fatto abbastanza casino, se gli avesse dato il minimo appiglio, sarebbero sicuramente corsi a portarlo via da lì. Ne era sicuro. Non gliene fregava un cazzo di cosa gli sarebbe capitato. Magari sarebbe diventato un fuorilegge pure lui. Magari lo avrebbe accompagnato, e così facendo si sarebbe fatto raccontare la verità. Cos’avevano trovato alla fine della Rotta Maggiore? Cos’era veramente lo One Piece? Cos’era successo nei cento anni di vuoto?

Sì. Lo avrebbe fatto. Vaffanculo a tutto. Era stanco di fare il cane da guardia per un governo corrotto, per un’organizzazione tirannica e omertosa. Era tutto sbagliato e chi contava lo sapeva benissimo, ma non gliene fregava nulla. Quelle sbarre non erano niente per lui. Le avrebbe ridotte in polvere-

“Ammiraglio Smoker.”

Il Marine inspirò bruscamente, i nervi tesi all’inverosimile. Tashigi si palesò al limitare del suo campo visivo, la sua ritrovata voce della ragione. “Si contenga.”

Smoker lasciò cadere lo sguardo sui propri pugni, stretti e ricoperti da uno spesso strato di haki. Ora che ci faceva caso, le decine di reclute che li circondavano sembravano agitate, mormorando tra di loro e occhieggiando la sua figura. Smoker cercò di rilassare le spalle.

No. Non poteva farlo. Per quanto fosse ingiusto, se avesse lasciato il posto avrebbe condannato la marina militare alla degenerazione senza freni. Ora che Issho era morto, c’erano ormai solo una manciata di colleghi della vecchia guardia e ancora meno nuove leve che mettevano in discussione gli ordini che gli venivano impartiti. Se non fosse rimasto nessuno a cercare di cambiare le cose dall’interno, quei cinque sacchi d’ossa al vertice avrebbero fatto come gli pareva senza alcuna resistenza. Sarebbe stata una condanna.

E poi, se quello fosse stato un qualche tipo di piano? Se stessero cercando di emulare quello che Roger aveva fatto all’inizio della grande era dei pirati? Forse era tutto calcolato e i suoi compagni sarebbero intervenuti al momento più propizio per portarlo via di lì. Se era così, improvvisare un’evasione avrebbe scombussolato i loro piani, se ne avevano.

Smoker sperava fortemente che ne avessero.

Monkey D. Luffy venne fatto emergere dalla cella, ogni arma nella sala puntata su di lui. Idioti. Come se, anche se incatenato, fosse stato una minaccia soggiogabile da semplici pistole o spade. No, pensò Smoker che guardava il giovane mentre gli si avvicinava: l’unico motivo per cui erano ancora tutti coscienti era perché non l’altro non voleva opporre resistenza.

Una delle sentinelle cerimoniali tentò di allungare la mano per togliergli il cappello – forse per mandare un messaggio, per spogliarlo della sua identità e fama; o forse per evitare che rotolasse via o si sporcasse di sangue. Qualsiasi fosse il motivo, Smoker sentì una reazione fisica e primordiale scuotergli il corpo e afferrò a mezz’aria la mano del cadetto, ringhiandogli contro e stringendolo fino a fargli scricchiolare le ossa. L’altro emise un verso di dolore. Smoker lo lasciò andare, lanciandogli una feroce occhiata d’avvertimento.

Cappello di paglia si girò verso di lui, rivolgendogli un sorriso tutto denti, ovviamente conscio dell’intero scambio nonostante fosse girato e indebolito dalle catene di agalmatolite. Il Marine fece un istintivo grugnito, per redarguirlo come aveva fatto molte volte in passato; ma non appena il verso gli lasciò la gola fu come se gli avessero rovesciato addosso un secchio d’acqua gelata.

Monkey D. Luffy lo guardò con occhi limpidi e pieni di simpatia e spensieratezza, quasi chiamandolo con lo sguardo. Come se avesse udito il richiamo di una sirena, Smoker lo raggiunse. Insieme, iniziarono a camminare verso la fine della loro storia.

Cappello di paglia si adattò subito al ritmo e alla cadenza dei suoi passi, camminando al suo fianco con il fantasma di un sorriso che gli aleggiava sulle labbra; e non come se non fossero diretti verso il patibolo.

I loro passi risuonarono sul pavimento, ritmici come i battiti di un cuore, solenni come un tamburo. Smoker si stava ancora arrovellando il cervello. Perché adesso? Perché lui? Perché?

Rimase in completa tensione fino a quando non emersero sul piazzale adibito all’esecuzione, pronto a carpire il più sussurrato dei segreti se ce ne fosse stato bisogno. Luffy, tuttavia, si limitò a camminargli fin troppo vicino, senza mai toccarlo, in completo silenzio. Il sorriso non gli abbandonò mai le labbra.

Smoker continuava a non capire. E continuava a non voler capire perché fosse così turbato da quella situazione. Un pirata era sempre un pirata. Il mondo si divideva in buoni e cattivi. In pirati e marines.

Mastica e sputa. Da una parte, il miele.

Mastica e sputa. Dall’altra, la cera.

Dentro di sé rise amaramente. Quella forma mentis infantile e facilona l’aveva abbandonata da tempo. Ora, quello che aveva davanti agli occhi, non era nemmeno più un pirata.

Era Monkey D. Luffy, il giovane portatore di miracoli. E lo aveva appena portato al patibolo.

L’altro gli rivolse ancora un sorriso tutto denti prima di lasciare il suo fianco e salire la scalinata, presidiata da centinaia e centinaia di soldati. Lui ebbe uno spasmo, come se volesse allungare la mano e bloccarlo, bloccare tutto; ma l’altro sgusciò via con eleganza, come se non l’avesse nemmeno notato.

Con il cuore in gola, Smoker passò lo sguardo sulla folla infinita sotto di loro e quasi gli si mozzò il fiato quando vide delle figure fin troppo familiari e bizzarre nella bolgia; ma li perse immediatamente di vista. Forse si era autosuggestionato.

Si guardò di nuovo intorno. La figura distorta di Akainu incombeva dalla cima delle scale, guardando verso il basso con l’unico occhio che gli rimaneva e riuscendo comunque a trasmettere odio e arroganza. Gli sembrava quasi che il mondo fosse avvolto nella melassa.

Come in un miraggio, il suo sguardo fu attratto dal corpo esile del Re dei Pirati mentre scalava ii gradini che lo avrebbero portato alla sua morte; e gli sembrò profondamente sbagliato.

Fu al suo fianco prima che potesse ripensarci, di riflettere sulle potenziali conseguenze che un gesto come quello avrebbe comportato. Akainu lo fissò con uno sguardo che avrebbe fatto sciogliere il più temerario dei combattenti, ma Smoker sostenne i suoi occhi con sprezzo, non dando peso ai soldati che gli avevano improvvisamente puntato le armi addosso.

Di fianco a lui, Luffy trattenne una risata e lo guardò con gratitudine, gli occhi di nuovo vivi. Non disse niente, eppure a Smoker sembrò comunque di sentire quello stupido nomignolo che gli aveva affibbiato.

Non aveva ancora capito cosa stesse succedendo, ma qualsiasi fosse la situazione non poteva permettere che marciasse verso la morte da solo.

Akainu digrignò i denti. Smoker arricciò le labbra di rimando, arrivando finalmente in cima alla pedana.

Luffy alzò la testa, e la folla si mosse, irrequieta.

“Io sono Monkey D. Luffy,” urlò a gran voce, cogliendo alla sprovvista tutti i presenti, “il Re dei Pirati!”

E fu il caos.

 

Note autrice: l’idea per questa fic la avevo da un po’, ma il writober mi ha dato la spinta giusta per scriverlo. Il prompt mi ha fatto subito pensare a “Ho visto Nina Volare” e al concetto di separare cera e miele masticandoli e sputandoli. Molti elementi sono lasciati all’interpretazione del lettore, così come il finale aperto. Che Smoker avesse visto bene nella folla? Comunque sia, mi ha fatto davvero piacere mettere per iscritto quest’idea che mi frullava in testa da molto tempo!

Writober Day 3 - Cera

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