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Autore: Crybaby    13/10/2021    2 recensioni
Il giorno dell'assalto di Isshiki al villaggio è stato duro per tutti.
Ma la notte, il momento in cui bisogna affrontare le conseguenze, è forse ancora peggiore.
Per Shikamaru, più di chiunque altro. Può ancora considerarsi degno di ricoprire il ruolo di consigliere dell'Hokage?
Può ancora considerarsi un genio di guerra?
Può ancora considerarsi un buon amico, un buon marito, un buon padre?
Genere: Angst, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Choji Akimichi, Shikadai Nara, Shikamaru Nara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Quando a notte fonda lasciò finalmente il quartier generale, Shikamaru si poté dir certo di una cosa.

Quello, senza ombra di dubbio, era stato il giorno peggiore della sua carriera come consigliere e secondo al comando. Quante cose aveva dovuto passare e sentire in così poche ore?

Un vecchio pazzo gli aveva fatto credere di aver legato suo figlio a una bomba.

Il figlio di Naruto al contrario si sarebbe trasformato col tempo in un demonio.

Un altro demonio si era presentato di colpo al villaggio, e Shikamaru non era riuscito a escogitare nulla per garantire la sicurezza dei civili e la sopravvivenza dei suoi uomini.

Sasuke aveva perso il Rinnegan.

Kurama, la bestia che aveva vissuto sin dal primo giorno di vita dentro Naruto, e che si era rivelata fondamentale per sopravvivere nell’ultima guerra mondiale, se n’era andata per sempre.

Altri nemici, ancora più forti di quello contro il quale Sasuke e Naruto avevano rischiato la morte, si sarebbero fatti vivi in futuro.

 

Troppo, veramente troppo.

 

Sarebbe stato bello poter sospirare di sollievo al pensiero che quella giornataccia stava finalmente per giungere al termine, ma Shikamaru non aveva nemmeno la forza per quello. Troppo stanco per rilassarsi, troppo stanco persino per sentirsi stanco. Ma almeno poteva contare su una minima quanto insostituibile consolazione: quella di essere accolto a braccia aperte dall’amore confortante della sua dolce compagna…

 

“TU!”

 

...i cui occhi inferociti furono la prima cosa di cui Shikamaru si avvide appena svoltato l’angolo.

Sua moglie era in piedi sull’uscio, e non era sola. Appena fuori dalla casa riconobbe anche due terzi del Team Ino-Shika-Cho di diciassettesima generazione, Chocho Akimichi e Inojin Yamanaka, e il padre di quest’ultimo, Sai Yamanaka.

Shikamaru li raggiunse di corsa. Fece appena in tempo a scorgere la figura di suo figlio Shikadai appena dietro Temari, che questa gliene occluse la vista ponendosi di fronte come uno scudo umano.

“Era ora che ti mostrassi” ringhiò la donna “Avanti, sentiamo che giustificazione hai preparato per questo.”

Shikamaru strabuzzò gli occhi. Non aveva la più pallida idea del motivo per cui sua moglie fosse tanto arrabbiata. Tentò comunque di rispondere, appellandosi al primo motivo che gli venne in mente.

“Mi dispiace non essermi fatto sentire per tutto il giorno. Ma credimi, se avessi trovato anche solo un minuto di pausa fra tutte le cose successe oggi, ti avrei chiamata di sicu…”

“Sai quanto me ne importa se tu non hai avuto tempo per me! È un’altra la persona di cui ti dovevi ricordare!”

Shikamaru si morse la lingua appena prima di farsi sfuggire la domanda “Chi?”. Temari lo avrebbe sicuramente ucciso se solo l’avesse pronunciata.

Quel moto di terrore, unito all’ancora inspiegata presenza di Sai e dei due giovani, lo aiutò a giungere da solo alla risposta esatta.

 

Shikadai, suo figlio.

 

Però, la risposta che Shikamaru aveva fornito prima a Temari valeva anche per lui… o no?

“Dal guizzo nei tuoi occhi, deduco che tu abbia capito di chi sto parlando” continuò la moglie, anticipandolo “Ma ti sfugge ancora il motivo, giusto? Be’, lascia che ti dia un piccolo aiutino. Sai ha appena finito di raccontarmi tutto ciò che è successo.”

D’istinto, Shikamaru si voltò verso il collega.

“Ti ringrazio, Sai. Ti sei scomodato nonostante io non ti avessi dato nessun ordin... Oh.”

E improvvisamente fu tutto chiaro. Anche Temari si accorse che il marito aveva capito, ma non volle perdere la soddisfazione di rinfacciarglielo.

“Alla buon’ora. Hai idea di quanto tempo nostro figlio e i suoi amici sono rimasti immobili, in un angolo sperduto al di fuori delle mura, ad aspettare con ansia che qualcuno gli dicesse “Shikadai è fuori pericolo, non avete più nulla da temere”? Ci ha pensato Sai, solo pochi minuti fa! Te ne rendi conto?”

“Ma… La bomba non…”

“Non era reale, e quindi? Nel momento in cui quell’infame ti ha confessato di non aver mai voluto uccidere nostro figlio, tu avresti dovuto mandare qualcuno a controllare che i ragazzi fossero davvero fuori pericolo! Tu ti sei dimenticato di Shikadai, ecco la verità!”

Shikamaru cercò di trovare qualche giustificazione, anche la più assurda, per scusare la sua mancanza. Ma non ne trovò. Poté solo lanciare una debole occhiata a Sai, il quale la interpretò come una richiesta di soccorso.

“Temari, che dici? Shikamaru non potrebbe mai dimenticarsi di suo figlio!” esordì il compagno di Ino, sfoggiando il più solare dei sorrisi “Avresti dovuto vedere il modo in cui ha preso Amado per il collo e lo ha inchiodato al muro ogni volta che quello minacciava di far esplodere Shikadai! Anche dopo aver rivelato che era tutta una finta, Shikamaru a stento si tratteneva dal volerlo strangolare! D’altronde, non capita tutti i giorni che qualcuno lo imbrogli e la faccia franca! Vero, Shikama…”

Il suono dello schiaffo che Shikamaru si diede in fronte riecheggiò per tutto il villaggio. Ora sì che sua moglie lo avrebbe odiato sul serio.

“Ah. Bene. E così, anziché provare sollievo nel sapere che nostro figlio fosse salvo, hai preferito indignarti perché qualcuno si è dimostrato più furbo di te. Quanto puoi fare schifo come padre?”

“Temari, non puoi…”

Ma Shikamaru non ebbe modo di finire la frase. Sua moglie si era già rinchiusa dentro casa, assicurandosi di sbattere bene la porta.

“Fin quando non avrai rimesso nel giusto ordine le idee” disse la donna da dentro “ti proibisco di farti rivedere.”

“E dove dovrei dormire?”

“Arrangiati! Trovati un albergo! Oppure chiedi a Chocho, che ne so! ADDIO!”

 

Nessun suono uscì più dall’edificio. Sconsolato, il presunto padrone di casa si girò mestamente verso il resto del gruppo.

“Mi dispiace, Shikamaru” si scusò Sai “non dovevo raccontare proprio tutto…”

“Non scusarti, sono io quello che ha sbagliato tutto quel che c’era da sbagliare. Vai a casa, salutami Ino.”

“Lo farò. Andiamo a casa, Inojin. Ci meritiamo tutti un po’ di riposo.”

Shikamaru restò immobile a fissare padre e figlio andarsene mano nella mano.

 

Sarebbe stato capace di rimanere in quella posizione per tutta la notte, se solo il poderoso colpo di tosse da parte di Chocho non lo avesse fatto trasalire.

“Zio Shikamaru, hai davvero intenzione di dormire in un albergo?”

“N-no… Per caso, hai qualche idea migliore?”

“Mmh…”

La diciassettesima erede alla guida del clan Akimichi chiuse gli occhi in riflessione, per non più di tre secondi e mezzo.

“Ci sono! Stanotte papà dorme fuori, quindi a casa mia c’è un letto libero per te! Sono certa che mamma non avrà problemi a ospitarti!”

Per la prima volta dall’inizio di quella giornata, le labbra di Shikamaru si incurvarono verso l’alto.

“Grazie mille, Chocho! Hai avuto una splendida idea! ...a proposito, come mai Choji non è a casa con voi stanotte?”

“A quest’ora sta ancora in ospedale, lo zio Sai mi ha detto che lui e altri se la sono cavata per il rotto della cuffia contro quel tizio che ha invaso il villaggio… Zio Shikamaru?”

Le labbra del consigliere dell’Hokage si erano appena arrese alla forza di gravità.

 

L’abbinamento di parole “Choji” e “ospedale” era stato un vero e proprio colpo di grazia.

 

 

Durante il breve tragitto verso casa Akimichi, Chocho ebbe l’impressione di star camminando a fianco di un morto vivente. Non riuscendo più a sopportare quella presenza, la ragazzina fece ciò che le riusciva meglio in questi casi: aprire l’ennesimo sacchetto di patatine.

“Ne vuoi una, Zio Shikamaru? Non è la marca più buona sul mercato, ma magari a te piaceranno.”

Senza dire mezza parola, l’uomo affondò la mano nel sacchetto e si riempì la bocca di una manciata di croccanti. Soltanto per poi sputare tutto fuori un secondo più tardi, colpito da un attacco di tosse.

“Fanno schifo, vero? Mi dispiace…”

“No, non è colpa tua…” rispose Shikamaru con voce strozzata “ho un groppo in gola… Non riesco proprio a digerire nulla…”

“Uh, è grave allora. Forse con una tisana bella calda ti rimetterai in sesto!…”

 

“Chocho! Chocho, stai bene, grazie al cielo!”

 

Incurante delle proteste del vicinato, Karui Akimichi, madre di Chocho, gridando tutto il suo sollievo si era precipitata fuori di casa per correre incontro alla figlia e stritolarla in un abbraccio.

“Non sei ferita, vero? Sono stata così in pensiero, non ti ho vista da nessuna parte quando ci hanno dato l’ordine di evacuare il villaggio, temevo che ti fosse successo qualcosa…”

“Su su” le fece eco Chocho, dandole qualche leggera pacca sulla schiena con il braccio libero “Calmati, mamma! Tutto è finito bene, più o meno… Ascolta, devo chiederti un favore. Ci sarebbe Zio Shikamaru che…”

“Oh, Shikamaru! Meno male che sei qui!”

Ricomponendosi di colpo, Karui rivolse tutte le sue attenzioni al consigliere. Dal canto suo, Shikamaru provò un misto di sollievo e confusione nel vedere che la donna proveniente dal Villaggio della Nuvola non gli mostrasse ostilità come aveva fatto Temari.

“Ho un favore da chiederti. Poco fa mi ha chiamata Choji dall’ospedale, ha un disperato bisogno di assumere calorie per riprendere le forze. Ho giusto qui con me un po’ di provviste…”

Dicendo questo, Karui indicò un enorme cesto pieno delle più disparate delizie salate che si era trascinata dietro.

“…purtroppo l’orario delle visite è terminato e io non posso andare, ma forse con te potrebbero fare uno strappo alla regola. Insomma, sei il consigliere dell’Hokage, qualche privilegio dovresti pure averlo, no?”

“Eh, già… d’accordo…”

Come un pupazzo guidato da qualcun altro, Shikamaru prese in consegna il cesto e girò su sé stesso per imboccare la direzione dell’ospedale.

“Ma, mamma!” provò a inserirsi Chocho “avevo appena promesso allo Zio Shikamaru che lo avremmo ospitato per la notte!”

“Lo so, ma quando lo stomaco di tuo padre comincia a gorgogliare è bene metterlo a tacere il prima possibile. Su, andiamo a dormire adesso. È stata una giornata infinita per tutti. Oh, e grazie ancora, Shikamaru! Sei gentilissimo!”

 

 

Il gentilissimo Shikamaru, ormai a corto di pensieri, si trascinò inesorabilmente verso la sua destinazione. Non poteva essere di umore peggiore, d’altra parte il pensiero di Choji, ma anche Kiba, Rock Lee e Tenten ricoverati in ospedale, gli riportava alla mente un altro dei più grandi fallimenti della sua vita: la missione fallita di riportare Sasuke al villaggio. Non solo l’Uchiha era riuscito a fuggire, ma tutti i componenti della sua squadra avevano riportato ferite potenzialmente mortali.

 

Tutti, eccetto lo stesso Shikamaru, il quale invece se l’era cavata con un dito rotto e un’autostima sbriciolata.

 

Più o meno, la situazione odierna rispecchiava quell’occasione. Tutti ricoverati con ferite più o meno gravi, eccetto lui, consigliere e stratega ufficiale, impotente di fronte all’emergenza e capace soltanto di chinare il capo e scusarsi per la sua inadeguatezza.

 

Senza quasi accorgersene, Shikamaru aveva già raggiunto l’edifico ospedaliero, e stava dirigendosi spedito verso il reparto emergenze, quando una voce lo risvegliò dal suo stato semi catatonico.

“Ah, Shikamaru! Sei qui!”

Il consigliere alzò la testa, trovandosi la strada sbarrata dal miglior ninja medico del suo tempo, la rosea Sakura Haruno-Uchiha.

“Ciao… Buonanotte… No, aspetta… Buonasera, Sakura. Scusami, ho la testa altrove.”

“Non ti scusare, è stata una giornata impossibile per chiunque. Per fortuna, non abbiamo avuto bisogno di scomodare le sale operatorie.”

 

“Capisco. ...puoi ripetere, Sakura?”

 

Un guizzo. Uno sparuto lampo di energia, che Shikamaru sfruttò per raddrizzare la schiena e aprire un po’ di più gli occhi.

 

“Hai sentito bene, l’invasione di quell’Isshiki non ha provocato gravi feriti. Qualche ossa rotte al massimo, ma per me non è stato un problema riaggiustarle. Adesso si stanno riposando nella stanza Uno Uno Quattro, al terzo piano. Ti accompagno?”

“No… No, non c’è bisogno. Grazie, Sakura. Per tutto il lavoro che fai. E per avermi dato queste informazioni. Arrivederci!”

“Di niente, faccio solo il mio dovere.”

Gli occhi di Shikamaru intravidero appena il sorriso solare di Sakura, poiché l’uomo si era già voltato di scatto per seguire le indicazioni scritte sulle pareti e salire fino alla sua nuova destinazione.

Arrivato al terzo piano e di fronte alla stanza numero Uno Uno Quattro, però, Shikamaru si ricompose da quell’improvviso momento di vitalità con cinque o sei respiri profondissimi. Anche se non avevano avuto bisogno di cure estreme, i suoi amici erano pur sempre reduci da uno scontro con il mostro che aveva massacrato Naruto e Sasuke. Non poteva che aspettarseli confinati a letto, ingessati dalla testa ai piedi, incapaci di emettere un suono che non fosse un gemito di dolore.

 

...e invece, quando aprì la porta, si ritrovò davanti tutt’altro spettacolo.

Coperti al massimo da un paio di fasciature cadauno, i quattro ricoverati erano riuniti al centro della stanza. Rock Lee, giammai stanco, era dedito all’infrangere il record di mille flessioni portando un peso notevole sulla schiena. Choji Akimichi, seduto a gambe incrociate, si era prestato a fare da suddetto peso notevole. Kiba, chinato al loro fianco, stava scandendo il conto delle flessioni. Tenten, in disparte, continuava a implorare il compagno di team di andarci piano, ovviamente senza successo.

“Ragazzi…” disse Shikamaru, in un sussurro. Che comunque fu captato. Non appena si accorsero della sua presenza, tutti e quattro i bendati interruppero le loro faccende per salutarlo.

“Ehilà, Shikamaru!” esordì Kiba a nome di tutti “Perché fai quella faccia? Credevi di trovarci tutti attaccati a qualche macchinario?”

“Io… Ecco… Sì. Lo ammetto.”

Come già aveva fatto quel pomeriggio, prima dell’attacco di Isshiki, Shikamaru rivolse un inchino ai suoi quattro sottoposti.

 

No, al diavolo la parola “sottoposti”. Erano i suoi amici, che diamine.

 

“Vi ringrazio ancora infinitamente, ragazzi. Per aver difeso il villaggio e i suoi abitanti, per aver affrontato il nemico a testa bassa, e… Per non essere morti…”

“Be’, il nostro piano era proprio quello: sopravvivere” Lo interruppe Tenten, avvicinandosi a Shikamaru per scuoterlo per una spalla “Te l’avevamo detto, no? Visto che non sei riuscito ad escogitare nulla, questa volta, per garantire la nostra sopravvivenza, ci abbiamo pensato noi.”

“Ah… E come?”

“Combattendo come dei perfetti incapaci!” esclamò Rock Lee, con più enfasi di quella che la sua affermazione avrebbe richiesto altrimenti “Anziché prendere le distanze dal nemico, ci siamo gettati tutti addosso a lui come se non avessimo mai affrontato una missione in vita nostra! In questo modo, quell’Isshiki ci ha sicuramente considerati dei poveri inetti e ci ha messi fuori combattimento senza fare veramente sul serio!”

“Be’, un po’ di dolore l’abbiamo sentito lo stesso” aggiunse Choji, toccandosi la schiena “ma ciò che conta è che abbiamo ottenuto quel che volevamo: guadagnare tempo per far evacuare il villaggio e aspettare l’arrivo di Naruto, senza lasciarci le penne!”

Per tutta la durata del discorso, Shikamaru non aveva mai smesso di alternare lo sguardo su ognuno dei loro volti. Non era del tutto convinto che fossero davvero felici di essere stati subito messi al tappeto. Anzi, forse si sentivano anche umiliati per la magra figura che avevano fatto.

Però, guardandoli negli occhi, fu certo di una cosa: erano felici di essere sopravvissuti, e allo stesso modo erano felici di aver tolto un grosso peso dalle sue spalle.

 

Non avendo parole per esprimere di nuovo la sua gratitudine, Shikamaru cercò di deviare il discorso usando la prima scusa che gli venne in mente.

“...ah! Choji, questo è per te” disse mangiandosi qualche sillaba, sollevando il cesto di prelibatezze aromatizzate “da parte di Karui.”

“Non vedevo l’ora, grazie! ...ehi” aggiunse Choji dopo aver preso possesso delle cibarie “Shikamaru, hai qualche minuto? C’è qualcosa che volevo dirti in privato. Andiamo sul terrazzo?”

“Uh? Certo, ho tutta la notte libera.”

Lungo il brevissimo tragitti che i due amici di una vita compirono per raggiungere la portafinestra, Rock Lee e Kiba non riuscirono a trattenersi dall’allungare una mano vero l’invitante spuntino.

“Ehi, possiamo assaggiare qualcosa anche noi?”

“NO!” sentenziò l’Akimichi, stringendo a sé il tesoro “l’ha fatto mia moglie per me! È mio! MIO!”

Con un colpo secco si richiuse la portafinestra alle spalle, uscendo in terrazzo dopo il Nara.

 

“Mio! Mio! Tutto mio! ...Shikamaru, vuoi favorire?”

Il consigliere sorrise, ma declinò l’offerta.

“No, grazie. Ho provato a mangiare qualcosa prima, ma non ho proprio fame. Allora, di che volevi parlare?”

“A dire il vero, nulla. Ho visto che eri molto imbarazzato là dentro, così mi sono inventato una scusa per farti uscire. Tutto qui.”

“Ah. Be’… è vero, non sapevo più che dire. Ancora una volta grazie.”

Detto ciò, Shikamaru andò ad appoggiarsi al parapetto del terrazzo. Per inspirare una bella boccata d’aria notturna, rilassare i muscoli rimasti finora tesi come corde di violino, e scegliere con calma le prossime parole da pronunciare.

 

Perché, sì, Shikamaru voleva parlare.

 

“Choji, rispondimi con sincerità. Che cos’hai pensato, nel momento in cui ho annunciato davanti a tutti di non avere un piano?”

“Ho pensato che la faccenda fosse grave, che ci sarebbe toccato affrontare un nemico al di fuori della nostra portata, e che tu eri il primo a soffrire per questo. Non ho mai pensato che tu fossi un incapace, se questo è quello che temevi. E nemmeno gli altri lo hanno pensato, fidati. Nessuno perderà il rispetto nei tuoi confronti per quello che non sei riuscito a fare oggi.”

Shikamari si voltò leggermente. Quelle parole lo consolarono, il fatto che a pronunciarle fosse stato il suo migliore amico, lo consolava.

 

Ma si trattava, purtroppo, della classica magra consolazione.

 

“Ti sbagli. C’è una persona che ha perso il rispetto che aveva nei miei confronti. Sono io quella persona.”

“Come dici?”

“Sai… Dalla fine della Quarta Guerra… Anzi, forse da prima di quel giorno… Mi sono riproposto di diventare grande, forte e saggio come Asuma. Come mio padre. Volevo onorare la loro memoria in tutto e per tutto, far rivivere per sempre ciò che loro sono stati. Volevo… Forse un po’ vanitosamente, volevo superarli, riuscire in ciò che loro avevano fallito… Ma oggi… Oggi ho capito che non valgo e non varrò mai nemmeno la metà di ciò che Asuma e mio padre sono stati. Ero sicuro che, arrivato a questa età, sarei diventato un loro pari… E invece… Invece ho scoperto di non essermi mai evoluto da quel tredicenne che ha pianto di fronte a tutti al fallimento della sua prima missione…

“Adesso basta, Shikamaru.”

L’ordine di Choji era arrivato perentorio, severo, e in grande contrasto con l’amichevole mano che gli aveva posato sulla spalla.

“Se continui a paragonarti ad Asuma e Shikaku, non riuscirai mai ad essere migliore di loro. Tu non sei Asuma, e non sei tuo padre. Tu sei Shikamaru. Tu sei tu, così come io sono io. Non serve a nulla pensare a chi è migliore in cosa. Tu devi solo vivere la tua vita, pensare e agire a modo tuo. Punto.”

Shikamaru fissò Choji a lungo negli occhi. Era rimasto colpito, certo, però qualcosa non quadrava.

 

Sapeva che Choji, quando voleva, sapeva essere saggio. Ma così saggio come in quel modo…

 

“Queste parole non sono farina del tuo sacco, Choji. Ammettilo. Da chi le hai sentite?”

Choji non rispose. Si limitò a ricambiargli lo sguardo. Bastò come risposta.

“Da… Da me? Io ti ho detto una cosa del genere?”

“Certo! Era il giorno in cui sei stato promosso a chunin. Ricordi? Asuma mi aveva rimproverato perché pensavo più a mangiare che ad allenarmi, poi Ino mi aveva deriso come al solito perché non ero un modello come Sasuke o Neji… E poi sei sbucato tu dal nulla per rassicurarmi. Non ti faccio una colpa se non te lo ricordi, è successo quasi vent’anni fa…”

Invece Shikamaru aveva cominciato a ricordare. Era tutto vero, lui aveva detto a Choji di non preoccuparsi delle opinioni degli altri, di vivere al meglio la propria vita senza paragonarsi a gente che lui pensava fossero migliori.

E adesso, quelle stesse parole gli stavano tornando in soccorso.

 

In un certo senso Shikamaru stava aiutando Shikamaru ad essere Shikamaru.

 

Finalmente, quel groppo che gli aveva ostruito la gola si stava sciogliendo.

Ma non ancora del tutto.

 

“Però…”

“Però cosa, Shikamaru?”

“Ti sembrerà strano, ma a tratti mi sembra di non essere degno nemmeno del nome che porto. Degno di essere Shikamaru. È come se qualcosa, o qualcuno, ogni tanto prendesse il controllo su di me e mi facesse fare delle cose che di solito non farei. Anche adesso, ho la sensazione che una forza superiore mi abbia condotto fino a qui, fino a questo terrazzo, fino a te…”

 

 

“Ah, Shikamaru! Sei qui!”

 

“Lo so, ma…”

 

“Trovati un albergo, oppure chiedi a Chocho, che ne so!”

 

“...CI SONO! HO CAPITO!”

Quel grido ben poco caratteristico fece sobbalzare Choji e svegliare gran parte del vicinato, ma a Shikamaru poco importava.

“Ho capito chi c’è dietro tutto questo! La persona che ha manipolato ogni mia mossa per questa sera! Devo scappare, Choji!”

Non volendo sprecare tempo, Shikamaru saltò via dal terrazzo per balzare sui tetti più vicini. Salvo poi tornare indietro per salutare Choji come si deve.

“Ah, e grazie per la chiacchierata. Ne avevo bisogno. Sei un vero amico.”

Nonostante la penombra, era evidente come le guance di Choji fossero arrossite. Lui è fatto così: da bambino come da adulto, gli fai un complimento e lui si accende come un semaforo.

“F-figurati. Anche tu lo sei. ...buonanotte, Shikamaru.”

 

 

Ed eccoci tornati dove tutta questa storia è cominciata: alla residenza Nara.

Il padrone di casa bussò alla porta. Dopo una manciata di secondi, l’altra padrona di casa si fece sentire.

“Ancora qui? Scordati che ti faccio rientrare così presto, non è passata neanche un’ora!…”

“Allora hai sottovalutato il potere rinfrancante di Choji. Nei tuoi piani non era previsto che io mi ripigliassi così in fretta, Temari.”

La bionda di Suna si decise ad aprire la porta, ma non lasciò cadere la sua aria severa.

“I miei piani?”

Shikamaru non resistette oltre alla tentazione di sfoggiare il suo acume in faccia alla moglie. Chiusi gli occhi, iniziò a contare sulle dita.

“Andiamo a ritroso. Quando mi sono recato all’ospedale ho trovato Sakura nel reparto delle emergenze. Come mai, visto che lei stessa mi ha detto che non era stato utilizzato? Qualcuno deve averle chiesto di mettersi lì apposta per indirizzarmi sulla strada giusta, qualcuno che sapeva per certo che io mi sarei diretto in quel corridoio a causa di un brutto ricordo del mio passato. Torniamo poi al motivo per cui mi sono recato all’ospedale. Karui mi aveva dato il compito di portare a Choji delle provviste già pronte e imballate, come se lei si stesse aspettando il mio arrivo. E in effetti lo sapeva, lei stessa aveva risposto “lo so” quando Chocho le aveva detto che voleva ospitarmi per la notte. E infine torniamo ancora più indietro, all’inizio di tutto. A Chocho non è venuta spontaneamente l’idea di ospitarmi, qualcuno le aveva messo la pulce nell’orecchio pochi istanti prima. E quel qualcuno eri t…”

 

Con gli occhi chiusi, Shikamaru non poté anticipare il balzo felino con cui Temari gli saltò addosso, per poi stringerlo fra le braccia e baciarlo con passione sulla bocca.

 

“Te… ma… ri…” balbettò il consigliere senza staccarsi del tutto dal bacio “Ti… senti… bene?”

“Non pensare a me, sei TU quello che si sente bene! Lo sapevo, me lo sentivo che il tuo quoziente intellettivo non si era davvero azzerato!”

“Quoziente… Aspetta, stai dicendo che hai messo a punto questo piano elaboratissimo per farmi incontrare con Choji allo scopo di mettere alla prova la mia intelligenza?”

Temari scosse la testa.

“A dire il vero, l’obiettivo principale era semplicemente quello di farti incontrare con l’unica persona al mondo incapace di arrabbiarsi con te. Ad essere sinceri, avrei voluto essere io, la persona giusta per rassicurarti dopo questa orribile giornata, ma ero allo stesso tempo troppo arrabbiata per farlo. Choji era l’alternativa valida, e mi fa piacere che sia riuscito a farti stare un po’ meglio. Ci speravo proprio.”

“Ci speravo anch’io. ...ehi, se tu eri arrabbiata con me, come potevi allo stesso tempo essere preoccupata per me?”

“Devi ringraziare Sai.”

“Sai?”

“Quando gli ho chiesto di raccontarmi tutto, lui mi ha preso in parola. Mi ha riferito ogni cosa che vi siete detti con quell’infame… Amado, è così che si chiama? ...e una frase pronunciata da te mi ha colpito in particolare.”

“Una frase?”

“Amado, spiegaci tutto con parole semplici così possiamo capirti.”

“...ah. È vero. L’ho detto.”

“Un genio come te non avrebbe mai chiesto di semplificare delle informazioni per renderle comprensibili. Questo è stato il segnale che mi ha fatto capire quanto la minaccia a Shikadai ti avesse sconvolto. Non eri più in grado di ragionare. Avevi bisogno di aiuto, stavi faticando duramente in qualcosa che non potevi comprendere. Così, mentre da una parte mi infuriavo con te per esserti scordato di avvisare Shikadai del pericolo scampato…”

“Non smetterai mai di rinfacciarmelo, giusto?”

“...dall’altra parte sentivo che tu avevi bisogno di una chance, un modo per farti capire che sei ancora il genio che tutti conoscono. L’uomo più degno di chiunque altro di stare al fianco dell’Hokage per guidarlo e consigliarlo.”

 

Shikamaru era rimasto senza parole. Di nuovo. Ma stavolta ne era ben felice. Ricambiò il bacio e strinse a sé la donna che amava.

“Grazie… Grazie… Potrei dirlo anche mille volte di fila, Temari. So che è una frase fatta, ma… Io non so proprio cosa farei senza di te.”

“Neanch’io. Fidati. Neanch’io. A tal proposito, non ci crederai, ma c’è una persona che ha bisogno di te questa sera. Sai dove trovarlo.”

 

Non ci fu bisogno di altre spiegazioni.

 

...

 

Shikadai era seduto sul letto della sua camera. Ancora vestito da capo a piedi.

Nelle mani, stringeva il collare con cui Amado aveva minacciato di ucciderlo. La finta carta bomba era stata strappata.

Quando Shikamaru entrò e lo vide, non aspettò un secondo di più.

 

Si chinò su suo figlio, lo strinse tra le proprie braccia, e pianse.


Sapeva cosa Shikadai stesse dire.

“Papà, mi dispiace. È colpa mia se hai sofferto. Se non mi fossi fatto catturare, niente di tutto questo sarebbe successo.”


Però, i se e i ma in quel momento non contavano nulla. Per Shikamaru, contava solo sapere che suo figlio fosse vivo.

 

 

.

 

.

 

.

 

.

 

Ho scritto questa storia di getto, si nota? ^_^

La verità è che gli ultimi episodi dell’anime di Boruto mi hanno lasciato con un amaro in bocca che non vi dico.

Siamo tutti d’accordo che rispetto al manga hanno fatto un miracolo nel trasformare una scena piatta e senza pathos in una valle di lacrime. Ma per il resto?

Shikamaru è stato completamente demolito come personaggio. Si fa prendere costantemente in giro da Amado, non fa alcuna osservazione intelligente, si prostra umilmente di fronte ai suoi uomini dispiacendosi di non avere un piano (che poi… “Cercate di guadagnare tempo mentre il villaggio viene evacuato e Naruto e Sasuke si preparano” è comunque un piano, no?), come conseguenza Tenten, Rock Lee, Kiba e Choji si avventano sul nemico senza una strategia e vengono distrutti in un colpo solo…

E poi la mancanza più grave di tutte: il fatto che Shikadai è stato usato solo come un espediente narrativo per far entrare Amado al villaggio, per poi essere dimenticato da tutti nel momento in cui si scopre che la bomba attaccata al collo fosse finta.

Me ne dovrei fare una ragione, d’altronde l’opera di Naruto non è nuova a dimenticarsi pezzi per strada (come la dichiarazione d’amore di Hinata, o il povero Yamato), ma non mi va.

E così ho pensato a tappare i buchi della trama con questa robetta.

Spero l’abbiate apprezzata :)

  
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