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Autore: Kameyo    14/10/2021    2 recensioni
"Un posto immerso nel buio, lontano dagli altri, questa era l’unica cosa a cui aveva pensato. Vomitare tutto e poi magari ricominciare fino a stordirsi e dimenticare. Sarebbe stato più semplice stargli vicino se non fosse riuscito a mettere a fuoco il suo viso.
Così non li aveva visti.
Petali.
Petali del colore del sole"
Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gaius, Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prompt: Unrequired love - PumpFIC
N° parole: 1449


14.

 
Hanahaki
Morire d’Amore
 
 
 
La prima volta non se ne accorse.
In quell’oscurità, con la testa confusa e il passo ciondolante Merlin aveva solo cercato un posto appartato in cui poter rigettare l’anima in pace. Il vino aveva strabordato dal suo calice con prepotenza, il dolore gli aveva accartocciato lo stomaco fino a sentire la nausea risalire su per la gola e poi c’era stata la tosse. Violenta, a mozzargli il respiro. Un posto immerso nel buio, lontano dagli altri, questa era l’unica cosa a cui aveva pensato. Vomitare tutto e poi magari ricominciare fino a stordirsi e dimenticare. Sarebbe stato più semplice stargli vicino se non fosse riuscito a mettere a fuoco il suo viso.
Così non li aveva visti.
Petali.
Petali del colore del sole.
La seconda volta andò quasi alla stessa maniera, non c’era stato il vino, ma il dolore sì, quello non mancava mai, e l’oscurità a nasconderlo agli occhi del mondo.
La nausea e la tosse insieme per farlo a pezzi, per ridurre il suo corpo a uno straccio.
Successe anche una terza e poi una quarta volta. Sapeva il perché. Come mai quella nausea lo investisse fino a svuotarlo di tutto. E capiva perfettamente il motivo per cui accadesse di notte, poco prima di rintanarsi nella sua stanza angusta.
Di giorno era così indaffarato che pensare, riflettere, rimuginare era quasi impossibile. La notte era diverso. Quando lasciava in camera la cena calda e poi spariva lungo il corridoio perché lei sarebbe andata a trovalo e non c’era motivo che tornasse più tardi per aiutarlo a svestirsi. A quel punto il pensiero di loro appariva nella sua testa nitido e chiaro, il suo stomaco diventava un foglio di pergamena stracciato e qualsiasi cosa avesse anche solo assaggiato durante la giornata tornava su con una violenza disarmante.
Alla tosse però non pensava più di tanto. Era l’ansia che la provocava, quel sentirsi oppresso, con le spalle al muro. Senza fiato.
Nausea e tosse. Tosse e nausea.
Sarebbe passata, si diceva. Doveva solo volerlo, costringersi a rendersi conto che era un sentimento impossibile, che non avrebbe mai avuto nulla in cambio.
Arthur non l’avrebbe mai amato.
Forse a modo suo lo faceva, ma non come Merlin desiderava.
 
Non passò.
Non ci fu modo di smettere di pensare a loro, di sentirsi così male. Dovette desistere dallo sfiorarlo persino durante il suo lavoro, doveva esserci sempre della stoffa fra di loro, perché il solo sentire il calore della sua pelle lo distruggeva in modi che non credeva fossero possibili.
Arthur non lo avrebbe mai ferito, non intenzionalmente almeno. Ma lo faceva. E il dolore che un tempo era stato solo nel suo cuore, adesso era diventato fisico. La nausea aveva quasi smesso di perseguitarlo, riusciva a controllarla, pasti piccoli, leggeri, ma gli mancava il respiro, sempre, di continuo, come se i polmoni avessero smesso di funzionare correttamente.
Era il dolore, si diceva, il panico di non riuscire a uscirne integro, di non poter tornare a essere quello di un tempo.
E poi, un giorno, all’alba, mentre tutto intorno si svegliava lento, Merlin tossì e la nausea non c’era. Non c’era neanche il pensiero di Gwen, solo Arthur. Arthur ovunque.
Si mise una mano davanti alla bocca, tentò di soffocare il rumore. Gaius nell’altra stanza lo avrebbe sentito e l’unica cosa che voleva era tenersi quella sofferenza per sé.
Ma fallì, come del resto aveva fatto per tutto quel tempo nel cercare di andare avanti. La tosse divenne forte, convulsa, i polmoni gli bruciarono. Si sentì soffocare e il panico s’impossessò del suo corpo. C’era qualcosa incastrato nella sua gola, strisciava verso l’alto nel tentativo di uscire. Tossì e tossì, annaspò alla ricerca d’aria, e proprio quando Gaius aprì la porta, un’espressione corrucciata in volto, i petali vennero fuori in un grumo di saliva.
Petali del colore del sole.
Merlin li guardò con orrore, gli occhi sbarrati, la bocca spalancata alla ricerca d’aria. Li guardò e li guardò senza riuscire a capire.
Gaius emise un verso strozzato e fu allora che piano alzò lo sguardo su di lui. L’anziano era pallido, sconvolto, e Merlin si sentì sprofondare ancora di più.
Rimasero in silenzio per quello che parve un tempo lunghissimo, finché Gaius non si arrischiò ad avvicinarsi al suo letto, ad accarezzargli i capelli.
«Merlin» disse.
E non c’era niente di buono nel suo tono di voce, nel modo in cui la sua mano stanca si muoveva fra i suoi capelli.
«Che cos’è?» gli chiese, perché era ovvio che lo sapesse, lo aveva scritto in viso insieme a qualcos’altro che Merlin in quel momento non volle indagare. «Una maledizione? Un incantesimo finito male? C’è uno stregone in giro?»
Gaius fece ricadere la mano sul fianco e gli si sedette vicino. I suoi occhi erano fissi sul grumo di petali appallottolati sul pavimento. Non l’aveva mai visto così abbattuto, così incredulo, ma al tempo stesso anche così rassegnato. Erano giorni che lo tartassava con le sue domande: Cos’hai, Merlin? Dormi, Merlin? Perché mangi poco?
«Una malattia» sussurrò. «Una malattia dell’oriente, non capisco come tu possa…»
Si bloccò. Rilasciò un respiro tremante. Il come, si disse, non era poi così importante, non quando si trattava di una creatura come Merlin. Non quando tutto si sgretolava in quel modo.
«Da quanto tempo?» chiese invece. «Da quanto tempo hai questa tosse?»
Merlin ci rifletté per molto. Non ne aveva idea. Quella era la prima volta che vedeva quei petali. La tosse c’era già stata, non così forte, ma c’era stata, insieme alla nausea. Ripensò alle volte in cui aveva rigettato l’anima tra i cespugli, al buio, quando nessuno poteva né vederlo né sentirlo. Ripensò al banchetto in onore del compleanno di Arthur. Il vino, il cibo, la vista, gli sguardi rubati.
Quella notte Gwen gli aveva sussurrato all’orecchio di voler regalare qualcosa di speciale al principe. Se fosse stato così gentile da non passare dalla sua camera una volta finita la cena.
«Quasi un mese» disse.
Sentì Gaius trattenere il respiro, lo vide chiudere gli occhi, poi riaprirli. Passò un minuto infinito prima che si decidesse a parlargli.
«Ragazzo» disse, e lo vide tentennare. «La tua condizione è… particolare. Nelle nostre terre non c’è molto a riguardo e io stesso ho visto i sintomi di questa malattia una sola volta nella mia vita e… e non è finita bene.»
Merlin non gli rispose, ad un tratto si sentì come svuotato. Era stanco, così stanco. Di Arthur, di se stesso, del destino.
Prese un paio di petali dal pavimento. A guardarli erano belli, di un bel giallo tendente all’arancione. Sembravano petali di margherita.
«A quale fiore appartengono?»
Gaius li guardò senza sfiorarli, come se il solo toccarli avrebbe potuto causare chissà quali devastazioni.
«Sembrano petali di calendula.»
Merlin per poco non scoppiò a ridere. Lo trovò surreale.
Il fiore del dolore, del rammarico, della gelosia, del dispiacere.
Li lasciò ricadere sul pavimento.
«Cosa mi accadrà?» chiese in un sussurro. Perché qualcosa gli sarebbe accaduto.
Gaius strinse le mani in grembo, gli tremarono, ma finse di non vedere.
«I petali sono il primo sintomo» spiegò. «Poi arriveranno i boccioli, che inizieranno a mettere radici nei tuoi polmoni. Alle volte ti sarà difficile respirare, la tosse sarà… ti farà male.»
Non lo guardava, si accorse Merlin. Gaius parlava fissando il pavimento, cercando chissà quali risposte tra quei petali.
«Quando le radici saranno ben piantate, i boccioli cominceranno a schiudersi. Avrai la sensazione di soffocare, e quando tossirai potresti trovarti con i fiori fra le mani. Vedrai il sangue e sarà normale perché… perché le radici si staranno espandendo.»
«Avrò un giardino dentro i miei polmoni» disse tentando di sembrare sarcastico; non ci riuscì. «E cosa succederà alla fine?»
L’anziano a quel punto lo fissò. Merlin non avrebbe dimenticato la sua espressione.
«È una malattia d’amore, Merlin. Se la persona che ami non ti ricambierà, i fiori cresceranno fino a soffocarti.»
Sarebbe morto. Sarebbe morto e niente più destino. Niente più facce della stessa medaglia. Niente più Re in eterno. Niente più Arthur. Niente più Arthur e Gwen.
Si sentì quasi sollevato.
«Esiste una cura?»
«Cercherò» e parve una promessa.
Merlin gli sorrise.
«So che lo farete, ma se non doveste trovare niente, non crucciatevi troppo.»
Gaius si alzò senza guardarlo, gli occhi umidi, e si diresse verso la porta. Sulla soglia si fermò.
«Non vuoi neanche prendere in considerazione il fatto di poter essere ricambiato?»
Il sorriso di Merlin si fece tremulo. Non aveva mai raccontato a nessuno del suo amore per il principe, lo teneva nascosto come un segreto sporco. Era suo amico, come aveva potuto innamorarsi?
Gaius forse lo avrebbe capito, ma con che cuore avrebbe potuto fargli carico di quel fardello?
«Non credo accadrà mai.»
 
  
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