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Autore: Jeremymarsh    17/10/2021    4 recensioni
[AU ambientata nel Sengoku Jidai]
Durante una semplice operazione di perlustrazione, Inuyasha, generale in una guerra tra demoni e umani che va ormai avanti da due anni, si spinge fino oltre il territorio nemico per raggiungere il villaggio in cui la sua promessa sposa viveva prima che il conflitto scoppiasse. Qui viene scoperto dalla sorella minore di lei che gli rivela intenzionalmente una cosa che non avrebbe dovuto.
Scioccato, Inuyasha decide di imbarcarsi in una nuova e pericolosa missione che potrebbe costargli la vita o peggio.
[Inukag con piccola parentesi Inukik]
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inu no Taisho, Inuyasha, Kaede, Kagome | Coppie: Inuyasha/Kagome, Inuyasha/Kikyo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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N/A:  Chi non muore si rivede, quindi eccomi qui. 

Questo lunghissimo capitolo ho cominciato a scriverlo a fine luglio e ha visto le sue battute finali una decina di giorni fa o poco più. Sono seguite riletture su riletture, da parte mia, di chi ha seguito la storia e di chi non conosce nemmeno il fandom 
– facciamo santa quell'amica che è disposta a subirsi quasi 12000 parole senza conoscere il fandom di base 💞 – e infine arriva la pubblicazione. 
Ebbene avete letto correttamente: 12000 parole. 
Le cose da dire erano tante, così come i punti irrisolti quindi alla fine tra una paragrafo e mille dubbi il capitolo è diventato qualcosa di mostruoso. E dire che inizialmente avevo progettato di scrivere a stento 4 capitoli 😅 (Abbiamo capito che non sono brava a calcolare queste cose lol). 
Proprio perché è venuto lunghissimo ho deciso di dividerlo. Ce ne ho messo di tempo a decidermi, sul serio, perché non volevo assolutamente inserire una "Parte III", ma come mi hanno giustamente fatto notare le cose che andrete a leggere sono tante quindi forse è meglio così. Vorrei evitare di scocciare, confondere o farvi venire il mal di testa. 

Nel capitolo precedente ci eravamo fermati che Inuyasha, convinto dal padre, raggiunge Kagome nel villaggio. Questo invece fa un passo indietro e comincia dal punto di vista della giovane sacerdotessa che ricorda cosa è successo in questi sei mesi da che è finita la guerra. 

Detto questo, buona lettura e ci risentiamo nelle note finali. 






Capitolo Dieci: Sei mesi dopo – Parte II
 
 
“Tieni conto di cosa ho fatto per amore e usami indulgenza per cosa ho fatto per forza.”
– Beppe Fenoglio, La Malora 
 
 
Kagome si coprì il viso dai raggi del sole mentre andava a chiamare la sorella minore; la bambina aveva lasciato la capanna da un po’ dopo aver dichiarato di voler trascorrere un po’ di tempo nel giardino privato. Nonostante sapesse quanto Rin amasse occuparsi di tutto ciò che riguardava piante, fiori e verdure, a quell’età non poteva passare tutto quel tempo sotto il sole cocente. Aveva ormai perso il conto delle volte in cui l’aveva sgridata.
 
Era anche vero, però, che Kagome non era davvero capace di essere severa. Aveva diciassette anni e fino a due anni prima era stata lei a essere sgridata, per di più certi istinti materni le erano davvero estranei. Figurarsi se sapeva fare la voce grossa con la sorellina.
 
E infatti, Rin le rispondeva sempre con la sua risata cristallina e poi toccava a Kagome beccarsi la ramanzina da Kaede perché era compito suo, come sorella maggiore, badare a Rin.
 
Siccome non era riuscita a trovarla doveva aveva detto di essere, Kagome dovette deviare leggermente e dirigersi verso i campi di riso. Era la stagione della piantagione ed erano dunque più affollati del solito. Salutò mogli e contadini che incontrò per strada, ma non si lasciò rallentare nemmeno una volta; nonostante la guerra fosse finita e l’atmosfera che si respirava fosse nettamente migliore, non era comunque ancora sicuro per una bambina restare così tanto tempo da sola chissà dove. Accelerò dunque il passo, sperando di trovare Rin nel suo solito posto segreto o, altrimenti, si sarebbe arrabbiata sul serio – sorella o non sorella.
 
Mentre attraversava il villaggio, pensò a quanto fosse cambiato negli ultimi sei mesi e quanto fosse ora pieno di vita. Di certo non aveva più modo di sentirsi sola, semmai il contrario. Ora faceva fatica a ricavare del tempo per se stessa.

 


 
Incontri da organizzare con la comunità spirituale, le lezioni con Kaede – visto che era stato dichiarato che sarebbe stata la prossima capo sacerdotessa in seguito alla scomparsa di sua sorella Kikyo – gente da guarire e una casa da governare, in quegli ultimi sei mesi Kagome non aveva avuto un attimo per respirare. Inoltre, in quanto sacerdotesse, spettava a lei e Kaede accogliere i nuovi abitanti del villaggio insieme al capo e ancora non ne avevano incontrato nemmeno la metà.
 
Siccome molte persone, di ritorno dalla battaglia, avevano ritrovato le proprie abitazioni rase al suolo, durante uno dei primi consigli post-guerra era stato deciso di ricollocare le famiglie nei villaggi che avevano perso molti abitanti – e quello di Kagome era stato tra i più colpiti.
 
Per fortuna, a loro non era stato chiesto di ospitare persone nella loro capanna come era capitato a molti altri mentre nuove case venivano costruite. La loro era piccola e, inoltre, senza una figura maschile, era stato definito inadeguato accogliere uomini nella dimora di tre donne nubili. L’unica eccezione era stata Sango.
 
La ragazza era giunta da loro solo un paio di giorni dopo l’ultimo scontro, insieme a tante altre donne che avevano perso i mariti ed erano venute a chiedere asilo. Era stata la stessa Sango a guidarle nel loro villaggio, in quanto la presenza del tempio lo rendeva più sacro agli occhi di chi aveva cominciato un’opera di devastazione prima che i Generali firmassero nuovi patti per stabilire l’ordine e controlli più serrati.
 
Nessuno degli sterminatori era tornato dalla guerra, le aveva detto l’amica tra una lacrima e l’altra; lei era stata fortunata, il giorno in cui gli spiritualisti erano venuti a reclutarli, ad essere rimasta alla base a causa di un malanno. Tutti, zii, padre, fratello… erano morti tutti.
 
C’era voluto un po’ per farla riprendere, molti giorni a letto e un sacco di tisane per farle scendere la febbre, ma alla fine era stato solo l’arrivo miracoloso di Kohaku e altri giovani sterminatori e farla rialzare.
 
Kagome si era tenuta in disparte durante quella piccola riunione, cercando di ignorare la sensazione di pesantezza al petto e quei pensieri poco puri che le facevano invidiare l’amica; lei suo fratello non l’avrebbe più riabbracciato.
 
Solo dopo che il ragazzo ebbe mangiato, riposato e si fu lavato – e in seguito a un numero esorbitante di abbracci e lacrime da parte di un po’ tutti – Kaede era riuscita a far sì che Sango lo lasciasse respirare e Kohaku aveva cominciato il suo racconto.
 
Fu così che erano venute a sapere che il Grande Generale Cane tanto odiato dagli umani, era stato colui che aveva salvato quella ventina di ragazzi così giovani da avere ancora i denti da latte – e a detta di Kohaku, non erano nemmeno gli unici, ma le loro strade si erano separate sulla via del ritorno.
 
L’unico motivo per il quale avevano tardato tanto era che erano stati trattenuti al castello: siccome erano parte dell’esercito sconfitto, avrebbero dovuto pagare un debito di guerra. Sango aveva sussultato a sentirlo parlare così, aveva creduto che il Generale avesse salvato i ragazzi solo per un proprio tornaconto, per avere degli schiavi, ma era stata subito smentita dal fratello. Questo aveva continuato affermando che anche il debito richiesto era irrisorio. Infatti, avrebbero dovuto contribuire alla ricostruzione dei territori demoniaci danneggiati durante l’ultima battaglia, ma sarebbe stato offerto loro una stuoia dove dormire e delle guardie che li avrebbero protetti da eventuali demoni mal intenzionati. Al tempo stesso questi si sarebbero anche assicurate che svolgessero il lavoro.
 
Non era rimasto molto tempo. Intenzionato com’era a rispettare i patti, dopo un paio di giorni Kohaku si era rimesso in marcia verso il castello; tornava al villaggio solo ogni tanto per bene della sorella.  Tuttavia era rimasto abbastanza per dare un’altra notizia scioccante che aveva rigettato la sorella sul baratro. Aveva rivelato alle donne il motivo per il quale l’ultima battaglia era stata così affrettata e come mai molti erano venuti a saperlo solo a cosa compiuta.
 
Il tutto era stato inizialmente organizzato come operazione di salvataggio di Miroku. Siccome gli spiritualisti veramente dotati scarseggiavano, i maggiori capi avevano ritenuto necessario recuperarlo ma alla fine l’intero attacco si era rivelato la loro disfatta.
 
Oltre a perdere la guerra, ora la comunità spirituale era decisamente esigua a causa delle forti perdite subite. Questo era anche il motivo per cui Kagome, nonostante la giovane età e nonostante non fosse mai stata presa in considerazione dai grandi capi essendo cresciuta nell’ombra della sorella maggiore, era stata ora nominata prossima capo sacerdotessa – incarico che la ragazza non aveva proprio preso nel migliore dei modi, tra l’altro.
 
Quando gli era stato dunque chiesto dove fosse Miroku, Kohaku aveva chinato il capo e si era stropicciato le mani in grembo, incapace di trovare le parole per comunicare la notizia alla sorella. La battaglia era stata una sconfitta da ogni punto di vista, aveva infine mormorato, sperando che le donne cogliessero il significato dietro quella frase. Lo avevano colto, infatti; non era stato così difficile. Un urlo disperato di Sango e il suo successivo accasciarsi ne era stata la prova.
 
Una volta messa a dormire la sterminatrice – Kaede aveva affermato che riposare le sarebbe stato d’aiuto per digerire tutte quelle informazioni e sensazioni negative – Kohaku aveva continuato raccontando che Miroku era già stato ucciso prima ancora che l’esercito arrivasse al confine con le terre demoniache quel fatidico giorno.
 
Voci di corridoio, alle quali il ragazzo non sapeva se credere o meno, mormoravano che l’ordine per ucciderlo era venuto dal figlio maggiore del Generale; si diceva che questo fosse un demone spietato e senza alcun riguardo verso gli umani. Anche il suo stesso padre era stato furibondo a riguardo. Kaede aveva risposto che, se questo Generale era quello che aveva risparmiato la vita a gente venuto ad ammazzarlo, allora si poteva credere che non avrebbe mai ordinato la morte di un monaco di buon cuore senza un vero motivo.
 
E mentre Kohaku parlava, i pensieri di Kagome erano volati inevitabilmente verso il secondo figlio del Generale. Non che Inuyasha le avesse rivelato chi fosse e quanto fosse importante in termini di nobiltà demoniaca, ma i suoi capelli erano stato un chiaro segno; tutti sapevano che l’Inu-no-Taisho aveva capelli argentati, occhi dorati e due figli, di quale uno mezzo demone.
 
Non era la prima volta che pensava a Inuyasha, in realtà. Non passava giorno, da che Kagome gli aveva salvato la vita, che la giovane sacerdotessa non tornasse con la mente a lui.
 
Le notizie che Kohaku aveva portato era tutte fuorché positive, eppure, sapere che monaci spietati e senza cuore come Kiyoshi non erano più in vita e non potevano più far male a persone come Inuyasha le riempiva il cuore di sollievo. Era convinta che, ora che la guerra era finita in favore dei demoni, anche il mezzo demone era al sicuro, qualsiasi cosa stesse facendo.
 
Non poteva nemmeno ingannarsi affermando che non le importava se non lo avesse più rivisto; era inevitabilmente e inspiegabilmente attratta dal suo ricordo e sentiva il bisogno di curare quelle ferite che gli aveva letto così facilmente negli occhi. Se lei, che non aveva nessuna esperienza, aveva fatto così poca fatica a vedergli nel cuore, era così per tutti gli altri?
 
Ma Kagome era ancora una bambina, si diceva, e soprattutto non poteva pensare certe cose, ora che era destinata ad essere sacerdotessa del villaggio. I capi spirituali avevano messo in chiaro cosa si aspettavano da lei: ora che erano in pochi non potevano perdere membri per cose triviali come l’amore o il matrimonio. Capiva più che mai, oggi, perché sua sorella aveva sempre nascosto agli occhi della gente il suo affetto per Suikotsu. Si chiedeva se lei fosse destinata a morire senza sapere cosa fosse l’amore e a veder sfiorire l’unica possibilità di conoscere quel sentimento insieme alla sua stessa vita.
 
Kohaku lasciò il villaggio due giorni dopo insieme agli altri sterminatori giunti con lui. Le ricostruzioni ricominciarono e Kagome e le altre donne erano occupate più che mai, essendo la presenza maschile ormai ridotta al minimo. Almeno in quel modo non aveva la forza di soffermarsi su certi pensieri e logorarsi l’anima.
 
Dopo un altro paio di giorni, fu organizzata una processione in memoria di Miroku; era riuscita ad imporsi quando gli abitanti avevano proposto di fare una funzione comune per tutti i membri della comunità spirituale che erano morti in battaglia. Non voleva mischiare il nome dell’amico – amico, a chiamarlo così ora si stupiva considerando quanto l’avesse scandalizzata quella prima volta in cui lo aveva incontrato – a quello di anime poco pure.
 
Aveva stretto Sango a sé e preso parte al funerale versando lacrime silenziose. Una volta concluso, si era asciugata il viso e aveva ripreso le attività quotidiane senza dire una parola; dietro di lei Kaede l’aveva guardata scuotendo il capo. Avrebbe mai avuto pace? Per lo meno non dovevano avere più paura di monaci pazzi che venivano a trovarle per mantenere dubbie promesse.
 
L’anziana sacerdotessa sperava che la nipote potesse presto trovare anche un po’ di calma nel cuore.
 
 


 
Come volevasi dimostrare, Kagome trovò Rin nella radura ai margini della foresta, le mani piene di piante e i vestiti macchiati d’erba e di terriccio, intenta a fare nuove coroncine. Alzò il viso non più infantile nonostante la giovane età e le offrì un sorriso smagliante mentre cercava di infilarle dei fiori dietro l’orecchio.
 
Kagome avrebbe voluto arrabbiarsi – davvero – ma qualsiasi rimprovero le morì sulle labbra; meglio preservare quella gioia innocente, nonostante tutto.
 
Il pomeriggio, dopo averla costretta a restare con l’anziana Kaede, si recò a sud dei campi di riso, verso il Goshinboku. Nelle vicinanze dell’albero secolare cresceva una pianta ottima per gli unguenti e come antibiotico; ne serviva parecchio ora che c’era sempre qualcuno che tornava ferito dai campi.
 
Aveva appena finito di riempire il proprio cesto, quando, mentre si puliva i pantaloni rossi, notò una figura altrettanto rossa invadere la sua visione. Il cuore cominciò a batterle ancora prima di alzare il viso e verificare che la sua mente non gli stesse giocando uno scherzo.
 
Il cesto le cadde a terra con un tonfo sordo, le erbe appena raccolte si sparpagliarono ai suoi piedi, mentre entrambe le mani andavano a coprirle la bocca e gli occhi si riempivano di lacrime.
 
Inuyasha era di fronte a lei, vivo e vegeto, con un sorriso più caloroso e smagliante di quel che gli aveva mai visto sulle labbra. Le volte in cui era venuto a trovare Kikyo non gliene aveva mai visto uno così bello.
 
Lacrime di gioia e di sollievo le stavano già macchiando il viso quando lui, in una muta richiesta, allargò le braccia. Non ci pensò, non si fece domande, non si chiese se era consono… corse e basta. Corse e si lasciò avvolgere da quelle forti braccia che la strinsero a sé come se lei fosse la risposta a ogni dubbio, come se volesse fondersi con lei. Pianse ancora, bagnandogli senza vergogna il tessuto dell’haori e aggrappandosi a lui.
 
Inuyasha era vivo ed era tornato al villaggio; Inuyasha la stava abbracciando; Inuyasha stava affondando il volto nei suoi capelli stringendola ancora più forte a sé.
 
Lui non disse nulla, né lo fece lei. Non ce n’era bisogno.
 
Per un momento, il mondo attorno a loro si dissolse.
 
Presto, però, troppo presto per Inuyasha, Kagome cominciò a muoversi per sciogliere l’abbraccio e obbedendo alla sua muta richiesta, il mezzo demone la lasciò andare, osservandone il viso, cercando di capire il motivo dell’improvvisa ritrosia. A lui era sembrata contenta, anche troppo se il profumo che emanava gli diceva qualcosa, cosa era cambiato?
 
Kagome distolse lo sguardo improvvisamente imbarazzata, le gote rosso fuoco e le mani che si agitavano. Inuyasha contemplò l’idea di prenderle il mento con due dita e cercare nei suoi occhi una risposta, costringerla a guardarlo, ma vi rinunciò pensando che avrebbe peggiorato le cose.
 
Nel frattempo, nella mente di Kagome era in corso una guerra simile. Si era improvvisamente ricordata il motivo per cui Inuyasha era venuto quella prima volta al villaggio, lo sguardo perso quando lei gli aveva ingenuamente mostrato la lettera di Kikyo e parlato di Suikotsu, tutte le volte in cui era venuta a trovarla prima della guerra…
 
Le apparve tutto chiaro e si diede della stupida per non averlo capito prima; tutto indicava che lei era ancora una bambina, troppo piccola per imparare ad amare. Più imbarazzata che mai, pronunciò le prime parole che le vennero in mente per togliersi dall’impiccio. D’altronde, cosa mai avrebbe voluto un uomo come lui da una come lei? Si disse certa che quell’innocente bacio che si erano scambiati prima di separarsi, mesi fa, l’aveva fatta sembrare una sciocca.
 
“Io… Inuyasha, scusami – scusami tanto,” cominciò prendendo le distanze e agitando le mani davanti a sé. “Mi dispiace, io non volevo, davvero; non ci ho pensato. Oddio, non volevo metterti in imbarazzo.”
 
Inuyasha la guardò confuso, inarcando un sopracciglio. “Ti dispiace? Uh? E per cosa? Kagome, fermati, non sto capendo nulla.” Cercò di avvicinarla e afferrarle il polso, ma lei scappò alla sua presa facilmente. Un nuovo peso lo colpì come un macigno a quel chiaro rifiuto, ma non si fece abbattere. Non aveva fatto tutta quella strada per andarsene senza nemmeno una spiegazione.
 
Si era detto che ci avrebbe provato e, siccome non era mai stato molto coraggioso in fatto di sentimenti, che fosse deciso a parlare significava molto. Prima lo accoglieva come una moglie accoglie un marito di ritorno dalla guerra e poi lo rifiutava? Il suo sguardò si indurì. Sì, avrebbe avuto una risposta, bella o brutta, la meritava.
 
Si passò una mano tra i capelli, tra il nervoso e lo scocciato, ma vedendo in che modo lei si stava torturando, si intenerì. “Kagome, ehi, sono io. Non voglio farti mica del male, vorrei solo capire perché… cacchio… perché all’improvviso sembra che tu abbia paura di me? Io… diamine, Kagome, non voglio che tu abbia paura di me! Ho fatto qualcosa di sbagliato? Non dovevo abbracciarti?” Oh cacchio, ecco cos’era. Lei era ancora una ragazzina innocente che probabilmente non era mai stata da sola con un uomo in una stanza – lui probabilmente era stato l’unico – e si stava prendendo troppe libertà.
 
Che doveva fare? Lui non ne sapeva nulla. Con Kikyo era sempre stata lei a prendere l’iniziativa, lui sempre quello goffo e inesperto – e ripensandoci, capiva anche perché lei avesse tutta quella esperienza.
 
Kagome agitò ancora una volta le mani davanti a sé in risposta al suo farfugliare. “Oh, no, no, Inuyasha!” si coprì il volto con le mani e il resto del suo discorso raggiunse le sue orecchie un po’ attutito. “Chissà che avrai pensato di me, oddio. Ti prego, perdonami, non farti un’idea sbagliata. Mi dispiace,” ripeté.
 
Il corpo del mezzo demone si irrigidì. “Cosa ho pensato di te? Quando? Oggi, sei mesi fa? Quando? Ho pensato che avessi il sorriso più bello che avessi mai visto, che non era possibile che tu lo stessi rivolgendo proprio a me – nemmeno Kikyo nei suoi giorni migliori me ne ha mai regalato uno così spettacolare!” sbottò alzando le mani in aria. “Ho pensato che non riuscivo a capire perché continuavo a ripetere il tuo nome come un mantra nella mente; ho pensato di impazzire perché non avevo il coraggio di tornare a farti visita e c’è voluto mio padre a spingermi! Ho pensato…” continuò mentre piano si avvicinava a lei e le prendeva il volto ancora un po’ spaurito a coppa, sfiorandole le guance con una delicatezza che non avrebbe mai creduto di avere, “quando ti ho visto qui, ora, entrare nella radura… ho pensato che fossi una visione e che tutto aveva finalmente un senso.” Le asciugò una lacrima che scendeva sul viso, solitaria. “Oh, cacchio, Kagome. Io non sono un tipo che dice queste cose, non credo nemmeno di aver parlato così tanto in vita mia, ma diamine, ho pensato che volevo giocarmi il tutto e per tutto!”
 
Un attimo dopo le labbra di lui incontrarono quelle di lei delicatamente, assaporandole; gli sembrò di morire. Kagome, dal canto suo, si immobilizzò, non credendo né alle sue orecchie, né agli altri sensi. Inuyasha le aveva detto che aveva pensato a lei – a lei, non Kikyo – tutto questo tempo; Inuyasha la stava baciando.
 
Oddio, Inuyasha la stava baciando! Lui la stava baciando e lei era lì immobile come uno stoccafisso! Doveva muoversi, fare qualcosa, ricambiare, cacchio… ma che faceva?! E infatti lui, il cuore già in frantumi per l’ennesimo rifiuto, cercò di allontanarsi, ma Kagome, non volendo che il suo primo bacio finisse in quell’orrendo modo, né che lui fraintendesse, gli afferrò le ciocche di capelli ai lati per tirarlo a sé – forse un pochetto troppo forte – e ricambiò il gesto. Inuyasha spalancò gli occhi per la sorpresa, per poi richiuderli immediatamente, e le cinse la vita con un braccio per stringerla ancora più a sé.
 
Fu un bacio casto, ma dolce, e non pensò nemmeno di approfondirlo, ci sarebbe stato tempo in futuro per scambi più appassionati e per esplorarsi a vicenda – o almeno, lui sperava fosse così. Le guance rosse e il respiro affannato nonostante le azioni abbastanza innocenti, provarono a Inuyasha che decisamente non era ancora il momento per baciare Kagome come un uomo avrebbe fatto, ma a lui andava bene così.
 
Quando si separarono, le appoggiò il mento sul capo, e la strinse al petto, di più; lei allacciò le mani dietro la sua schiena e appoggiò la guancia al livello del cuore.
 
Fu Kagome la prima a rompere il silenzio. “Ma, Inuyasha, io non capisco…”
 
Inuyasha si bloccò. E meno male che suo padre diceva che era lui quello un po’ tardo! Gli aveva fatto la migliore dichiarazione che avrebbe mai sentito uscire dalle sue labbra, l’aveva baciata nonostante tutte le paure e le ritrosie – un monaco probabilmente era anche in agguato pronto a riempirlo di sutra per l’affronto – e lei ancora non capiva. Represse l’istinto di roteare gli occhi.
 
“Cosa c’è da capire?” le chiese di rimando, il tono più brusco di quel che avrebbe voluto; lei infatti sussultò e nascose ancora di più il viso. Le parole che seguirono il gesto gli arrivarono incomprensibili. “Come? Puoi ripetere?”
 
Lei sospirò e alzò lo sguardo verso di lui, ancora rossa, forse anche di più di prima. “Ho detto: che ne è di Kikyo? Non eri innamorata di lei?”
 
“Oh,” all’improvviso tutto ebbe un senso. “E così, alla fine lo avevi capito, eh?”
 
Lei fece spallucce. “Beh, magari non subito. Però, ecco, ho avuto tempo per pensare a te e a quel giorno,” mormorò. “In realtà ci sei arrivata solo due minuti fa, scema!” le urlò la sua coscienza, ma lei la ignorò.
 
Inuyasha sgranò gli occhi. “Tu… tu hai pensato a me? Me?” Ancora tutto quello che stava accadendo gli appariva in qualche modo irreale. Dopo il tradimento di Kikyo che andava ad aggiungersi ai soprusi che aveva ricevuto sin da piccolo a causa della sua stessa natura, non gli sembrava vero che lei potesse ricambiare in qualche modo i suoi sentimenti.
 
“Uh-uh,” era così tenera quando si imbarazzava, pensò ancora lui. Kagome annuì e cercò di nascondere il volto nel suo petto, ma Inuyasha glielo impedì; la consapevolezza lo rendeva più sicuro di sé. Le prese il mento tra due dita e le offrì un sorriso smagliante, poi la baciò una seconda volta, premendo più forte le labbra sulle sue.
 
“Non importa Kikyo, ora. Ci ho messo un po’ a capirlo, ma ce l’ho fatta.” Lei sembrò voler controbattere ma Inuyasha glielo impedì di nuovo. “Prometto che ti spiegherò tutto, giuro. Ora ti basta sapere che non la amo, non più almeno; non mi importa nemmeno che rapporto ci fosse tra di voi. Ho fatto tutta questa strada e ho avuto modo di riflettere ancora e ancora. Voglio solo che tu mi dica che ho una possibilità,” le disse schiettamente. Poi parve ripensarci e aggiunse non credendo alle sue stesse orecchie, “e che potrò baciarti ancora,” avvicinò i loro visi, “e ancora…”
 
Ruppe definitamente la distanza rubandole un terzo bacio che lo scaldò dentro e gli confermò che era lì il suo posto, accanto a lei.
 
Forse, tolto il dolore e l’inganno, imbattersi in Kikyo quella notte di alcuni anni fa, era stato davvero destino. Tuttavia, il suo destino si era scontrato con quello di Kikyo solo per permettergli di incontrare Kagome.
 


Rimasero ancora un po’ nella radura, dimentichi dei loro doveri. Infine, Kagome notò l’urna poggiata a terra e Inuyasha le spiegò l’altro motivo della sua visita; omise per il momento che suo padre volesse personalmente venire a porgerle i suoi sentiti ringraziamenti.
 
Come aveva previsto, Kagome pianse, ma fu anche molto felice di quello che lui e suo padre avevano fatto – Inuyasha aveva cercato di dirle che era in realtà solo merito del padre, ma lei lo zittì affermando che era stato lui a fare la strada per portargliele personalmente. Aggiunse, inoltre, che Sango gliene sarebbe stata eternamente grata; lei e Miroku erano stati promessi sposi.
 
Poco dopo, decisero di raggiungere la capanna di lei e dare la notizia alle altre, ma Kagome lo avvertì anche che avrebbe potuto ricevere occhiate poco gradevoli da parte degli abitanti, alcuni dei quali erano particolarmente in collera con i demoni. Lui scrollò le spalle ma mentre attraversavano il villaggio ebbe cura di mantenersi a distanza da lei per evitare che l’odio si trasferisse.
 
Quando infine raggiunsero casa di Kagome, Inuyasha ebbe bisogno di un attimo per riprendersi da quel benvenuto. Pensò che forse, essendo Rin ancora una bambina, era normale per lei lasciarsi andare a certe dimostrazioni d’affetto – magari non le era ancora stato insegnato che non si abbracciava un mezzo demone così sfacciatamente – ma quando anche la vecchia Kaede lo salutò e gli porse, senza problemi, una tazza di tè e una bella zuppa fumante, decise che era proprio la famiglia a essere pazza.
 
O speciale, si inserì il suo demone interiore.
 
O speciale, concordò Inuyasha nonostante si fosse ripromesso di non intavolare conversazioni con la bestia.
 
Kagome non volle aspettare la fine del pasto per annunciare il motivo della visita di Inuyasha – quello ufficiale, almeno – anche se quest’ultimo pensava che parlare di morti non era proprio un argomento di conversazione per la cena.
 
La ciotola gli cadde quasi da mano quando fu Sango a placcarlo in un abbraccio. Sebbene soffrisse ancora al pensiero dell’amato morto in guerra, la sterminatrice gli fu molto grata per averlo riportato a casa; durante la serata ebbe anche modo di ringraziarlo per ciò che il padre aveva fatto per il fratellino e altri giovani sterminatori. Inuyasha si lasciò sfuggire che nei prossimi giorni avrebbe potuto dirglielo personalmente e a quel punto dovette anche aggiungere che il padre voleva a sua volta esprime la sua gratitudine alla famiglia che aveva salvato suo figlio nel momento del bisogno.
 
Nel complesso, nonostante fossero stati toccati argomenti tutt’altro che felici, Inuyasha decise che in quell’ambiente piccolo ma accogliente, si respirava un’aria familiare e piena d’amore come non l’aveva mai sperimentata.
 
Durante la notte, Inuyasha decise di restare di guardia sul tetto dell’abitazione. Era ancora sprovveduto riguardo certe cose, nonostante l’esperienza con Kikyo, tuttavia anche lui sapeva che era meglio non restare a dormire in una casa piena di donne, non importa se invitato. Il clima non era un problema e la posizione gli dava anche la possibilità di controllare che nulla arrivasse a disturbare la quiete delle ragazze; l’istinto a proteggere ciò che era suo era troppo forte in lui.
 
Il fatto che avesse riposato, sotto gli occhi dell’intero villaggio, sul tetto della capanna, non impedì alle prime donne, all’alba, di venire a chiedere informazioni alla vecchia Kaede sul perché uno di quelli fosse loro ospite. Almeno, rifletté Inuyasha, con quello intendevano il genere demoniaco nella sua totalità e non lui in quanto mezzo demone.
 
Kaede non aveva fatto in tempo ad aprire la bocca che era spuntata Sango, vestita di tutto punto con la divisa degli sterminatori e un gigantesco boomerang sulle spalle – per fare cosa poi? Non voleva mica usarlo sulle donne del villaggio? – e aveva detto che quello era il figlio dell’uomo che aveva salvato i loro ragazzi da morte certa. Bastò lo sguardo furioso della giovane e zittirle tutte.
 
Peccato solo che, una volta giunto anche l’Inu-no-Taisho i mormorii sarebbero ricominciati.
 
 


 
Due giorni dopo, Toga giunse al villaggio in una sfera di luce e salutò gli abitanti della capanna ai piedi del tempio con un sorriso smagliante che replicava alla perfezione quello del figlio minore. La sua aura emanava calore e affetto, oltre a molta confidenza e potere; Kagome non poté evitare alle sue labbra di piegarsi all’insù, nonostante l’imbarazzo di trovarsi di fronte a una figura del suo calibro.
 
Poi, davanti agli occhi scettici di quasi tutto il villaggio e alle bocche spalancate di alcuni di loro, Toga si inchinò davanti a quella donna giovane e minuta. Kagome, dopo un attimo di stordimento, tentò di fargli capire che non doveva assolutamente lasciarsi andare a certi atteggiamenti per lei, ma il demone cane non ne volle sapere.
 
“Ti devo tutto, miko-sama,” esordì lui. “Se tu non avessi salvato Inuyasha, la mia stessa vita sarebbe stata persa (forfeit); lascia che io esprimi la mia immensa gratitudine.
 
Se così tante persone non fossero state presenti, Kagome avrebbe fatto fatica, anni dopo, a credere che la mente non gli avesse giocato un brutto tiro, ma era tutto vero… un dai-youkai del suo calibro e della sua stazza si era inchinato a lei e le aveva detto di avere un debito incommensurabile nei suoi confronti.
 
Subito dopo, Toga era a un centimetro da lei e le stava prendendo le piccole mani nelle sue, stringendogliele gentilmente e guardandola fissa negli occhi. “Grazie di tutto… Kagome-sama.” Quegli occhi dorati le parvero improvvisamente limpidi, due specchi all’interno dei quali lesse amore, tanto da farle scoppiare il cuore, ma anche dolore e rimpianto. In quell’attimo fu consapevole del fatto che l’Inu-no-Taisho non la stava ringraziando solo per aver salvato suo figlio quella notte di sei mesi fa.
 
La giovane sacerdotessa annuì, incapace di proferire parola e poi il silenzio – durato in realtà molto meno di quel che avrebbe creduto – venne interrotto dai mormorii e dalle insinuazioni degli abitanti dei villaggi, sia di quelli nuovi che dei vecchi.
 
E mentre Kagome faceva un passo indietro e Inuyasha compariva affianco a lei per sincerarsi che fosse tutto a posto – conosceva bene l’effetto che talvolta la presenza imponente del padre aveva sugli umani – Toga si guardò attorno, sempre con quel largo sorriso fermo sulle labbra, e annunciò che avrebbe volentieri preso parte alla seconda cerimonia in onore di Miroku. Era stato infatti deciso che poche persone prescelte avrebbero detto un’altra preghiera mentre le sue ceneri venivano lanciate al vento; lo sguardo dorato del demone maggiore incontrò quello scuro di Sango per chiederle il permesso e la giovane annuì.
 

 
 
Quella sera, quando nel villaggio dominava il silenzio rotto solo ogni tanto dal rumore dei pochi animali ancora svegli, Inuyasha e Kagome si recarono nella radura del Goshinboku; non era stato difficile, grazie alle abilità del mezzo demone, arrivarci senza farsi cogliere da occhi indiscreti.
 
Durante quei due giorni, Inuyasha e Kagome non si erano solo ritrovati, ma avevano anche scoperto che era più facile di quel che sembrava lasciare andare ogni perplessità, imbarazzo e ritrosia. Certo, Kagome era ancora molto più inesperta di Inuyasha, ma accoglieva molto volentieri le carezze lievi e caute del mezzo demone, le strette di mano durante le loro passeggiate all’ombra della foresta e i baci di mezzanotte.
 
Così, ora si trovavano l’uno accanto all’altra, mentre le braccia di Inuyasha l’avvolgevano in modo protettivo – e possessivo, notò. Si bearono ancora un po’ del calore che i rispettivi corpi donavano all’altro e del silenzio confortevole della notte, prima che il mezzo demone rompesse il ghiaccio.
 
“Ti vorrei fare una proposta, ma prima credo di doverti una spiegazione.” Kagome alzò lo sguardo e incontrò i suoi occhi dorati e annuì quasi impercettibilmente; il battito del cuore accelerato tradiva lo stato d’animo agitato. Inuyasha prese un profondo respiro e continuò, “Non posso negare che l’attrazione e i sentimenti che ho sviluppato nei tuoi confronti mi siano piombati addosso a ciel sereno; non mi sarei mai aspettato di provare qualcosa del genere così facilmente, come se fosse la cosa più naturale del mondo.” Era un po’ troppo presto per usare la parola ‘amore’, giusto? Non voleva spaventarla. Notò, però, il corpo di lei irrigidirsi e subito cercò di rimediare. “No, aspetta… non saltare a conclusioni affrettata, lasciami finire.” Questa volta non incrociò i suoi occhi per paura che qualsiasi cosa vi avesse letto avrebbe annullato tutti i suoi sforzi.
 
“Sono contento di come siano andate le cose. Per la prima volta io… io mi sento completo, mi sento a casa. Non avevo mai sentito nulla di simile quindi mi sono lasciato anche prendere in contropiede e all’inizio non sapevo come reagire.” Piano, Inuyasha, non usare troppi paroloni, non è comunque da te.È vero che provavo qualcosa di forte per tua sorella, o almeno pensavo. Prima di raccontarti come siano andate le cose, vorrei metterne in chiaro un’altra…” Abbassò lo sguardo verso di lei che stava studiando attentamente il suo volto mentre parlava con un mezzo cipiglio tra le sopracciglia. Le prese una mano tra le sue e abbassò ancora di più il tono di voce mentre non lasciava che lei potesse distogliere lo sguardo. “Mai… mai dovrai pensare che quello che sta nascendo tra noi sia un’eco di quello che c’è stato fra me e tua sorella. Ora devo pensarvi come due entità diverse perché ho capito che non sarebbe stato corretto macchiare il tuo nome con il ricordo di lei.”
 
Kagome sussultò sia per le parole scelte che per il velo di astio che poté sentire nella sua voce mentre parlava di Kikyo. Inuyasha ridacchiò e liberò una mano per passarsela tra i capelli, nervoso. “Beh… ecco, non ho proprio un bel ricordo di tua sorella, ma adesso, quello che ti deve interessare è che… Cavolo! Mi ero preparato un discorso così pulito e invece sto divagando e scommetto che non ti sto facendo capire niente.”
 
Lei gli passò una mano sul braccio, stringendoglielo leggermente e gli sorrise per incoraggiarlo e lui riprese: “Non voglio che tu possa pensare un giorno che io stia con te, abbia scelto te… perché mi ricordi lei; assolutamente no. Voglio che sia chiaro che io vedo te per quello che sei e che mai la memoria di lei potrà sovrapporsi alla tua immagine, sia in modo positivo che negativo. Lo capisci questo, Kagome, vero?”
 
“Io ti piaccio per quello che sono… e non per quello che una volta deve... deve esserci stato fra voi due.” Kagome incespicò un po’ al pensiero di quel che un tempo Inuyasha, colui per il quale era certa di provare qualcosa, e sua sorella avevano condiviso. “Non sei interessato a me solo a causa di Kikyo e perché in qualche modo le somiglio,” ripeté come una bambina diligente.
 
Inuyasha tentò di sorriderle ancora, ma ne uscì più una smorfia a causa della tensione che ancora tutto il suo corpo radiava; annuì e poi volse lo sguardo verso la foresta. “Non le somigli,” la contraddisse. “Questo mi è stato chiaro da quella prima volta in cui ci siamo incontrati; pensieri e ricordi successivi non hanno fatto altro che avvalorare la mia tesi.”
 
Il silenzio cadde tra di loro per alcuni minuti ed entrambi contemplarono il buio della notte prima che Kagome si azzardasse a parlare di nuovo. “È una bella cosa quella che mi hai detto, Inuyasha…” cominciò. “Per quanto io voglia bene a mia sorella – e che gli Dei possano continuare a proteggerla ovunque adesso sia – non posso negare che vivere costantemente nella sua ombra mi pesava. Il fatto che crescendo io abbia preso ad assomigliarle fisicamente in alcuni tratti non ha aiutato. Poi arrivi tu… che più agitato di quanto dovresti essere in realtà, non sai come dirmi che non ti ricordo lei e che mi apprezzi per quello che sono. È molto più di ciò che chiunque abbia mai fatto per me, non sai quanto significhi per me. Soprattutto perché so che, se non avessimo affrontato l’argomento, prima o poi il dubbio avrebbe cominciato a logorarmi.”
 
Inuyasha la strinse ancora di più fra le braccia, incapace di esprimere a parole ciò che stava provando in quel momento o spiegare perché il cuore sembrava volergli uscire dal petto. Le baciò la sommità del capo e la tenne ancora un momento stretta a sé. “Mi credi?” chiese con voce flebile.
 
“Certo,” rispose immediatamente Kagome, tanto veloce da non fargli dubitare nemmeno per un nanosecondo della sincerità delle sue parole. “So quello che ho visto nei tuoi occhi un momento fa, Inuyasha.”
 
“Bene. Allora ti basti sapere che quello che c’era tra me e Kikyo non è mai stato reale e quello che pensavo di provare per lei non è che una briciola di ciò che sento per te ora. Voglio vedere dove ci porterà e voglio farlo senza che l’ombra del passato incombi su di noi.” Si fermò un secondo per scegliere bene le sue prossime parole. “Ti ho detto che ti dovevo una spiegazione… e non voglio negarti che una volta pensavo che Kikyo fosse la mia anima gemella, ma… non posso raccontarti perché è finita tra di noi; non voglio che il mio ricordo avvelenato possa contaminare quello puro e felice che hai tu di lei. Mi capisci? Per me basta che tu sappia che è tutto passato, che tu ci creda.”
 
Con un po’ di fatica, Kagome si liberò dalla sua presa e Inuyasha temette di aver detto troppo, di aver sbagliato, poi lei alzò lo sguardo verso di lui e protese una mano verso la guancia; lui si beò del contatto e chiuse gli occhi per un secondo, prima che lei rispondesse. “Mi basta… mi basta che tu sia stato sincero con me e che non abbia minimizzato quello che pensavi ci fosse tra di voi o l’enormità del sentimento che provavi per lei. Kikyo è parte del poco che rimane della mia famiglia quindi apprezzo anche il fatto che tu voglia preservare la memoria che ho di lei.” Prese una pausa, poi ricominciò; la sua mano era ancora poggiata alla guancia di lui, i loro occhi erano ancora incollati. “Anch’io voglio provarci, Inuyasha, anch’io voglio avere la possibilità di innamorarmi…” il respiro di lui si bloccò, “di te.”
 
A quel punto Inuyasha non resistette più e, in un attimo, fu su di lei, labbra premute contro quelle rosee e piene; una mano le cinse la vita per premere il suo corpo quanto più possibile contro di sé, un’altra le prese il viso a coppa. Inclinò la testa e approfondì il bacio, pian piano la sua lingua si fece strada nella sua bocca e assaporò il suo profumo potente e fresco, travolgente.
 
Dopo l’iniziale intontimento, Kagome rispose al bacio, prendendovi parte con una passione che stupì anche lei stessa. Si aggrappò con entrambi le mani al tessuto della sua veste – ebbe paura che le forze l’abbandonassero da un momento all’altro – e spinse le labbra contro quelle di Inuyasha, incontrò la sua lingua ugualmente vogliosa, esplorò la sua bocca.
 
Quando si fermarono, entrambi erano senza fiato. Nonostante fossero accaldati, però, Inuyasha non le permise di lasciare il suo abbraccio e continuò a tenerla stretta in vita. Appoggiò la fronte alla sua e tenne gli occhi chiusi mentre tentava di riprendere controllo del suo corpo, dei suoi istinti e delle sanità mentale che era sicuro di aver perso mentre la baciava. “Io… ecco… voglio dire.”
 
Lei ridacchiò di fronte al ritorno dell’imbarazzo, ma visto che non si sforzò di aggiungere nulla, Inuyasha intuì che anche Kagome, come lui, era a corto di parole al momento.
 
“Non sai quanto questo significhi per me. Soprattutto sapere che potremmo cominciare questo…” come avrebbe dovuto definirlo? Relazione? Corteggiamento? Alla fine scelse una parola abbastanza neutra, “… rapporto tra di noi con sincerità.”
 
“Questo ci riporta alla tua proposta,” ricordò lei, ritrovate le parole.
 
“La mia? Ah… uh, la mia proposta, certo.” Si grattò nervosamente la nuca. “Beh, ecco, visto che ora non ci sono più dubbi o incertezze tra di noi, mi chiedevo se ti andava di intraprendere un viaggio… con me?”
 
“Un viaggio? Con te?” Kagome sussultò. Come avrebbe potuto pensare che una cosa del genere fosse possibile? Non erano sposati, i capi della comunità spirituale non avrebbero mai acconsentito a lasciarla partire con un uomo, un demone per lo più, da sola e chissà per quanto. Per non parlare del fatto che la comunità spirituale le aveva già fatto capire senza mezzi termini che sarebbe dovuta rimanere vergine per tutta la vita e dedicarsi solo alla sua vocazione.
 
In quel paio di giorni da quando Inuyasha era tornato, aveva ingenuamente sperato che avrebbero potuto chiudere un occhio se lei avesse promesso di continuare a fare il suo dovere. Ora si rendeva conto che era una speranza vana. In nessun modo avrebbero approvato la sua relazione con un mezzo demone – o con qualsiasi umano, per quel che li riguardava – lei era una loro prigioniera ora, e non vi avrebbero rinunciato data la scarsità di persona con una buona dose di potere spirituale. Lasciarla andare? Fuori discussione.
 
Inuyasha percepì la crescente ansia, sentì il cuore batterle furioso nel petto, vide gli occhi dilatarsi e si affrettò a ritrattare. “No, no, aspetta…” la lasciò andare e agitò le mani davanti a sé credendo che lei avesse frainteso i suoi motivi. “Non ti stavo proponendo niente di disdicevole, non mi permetterei mai. Io, ecco... io volevo solo un’opportunità per conoscerci lontano da certi impegni e costrizioni. Avevo già pensato di intraprendere questo viaggio e prendermi una pausa. Ho pensato... ho pensato… niente, diamine!” si coprì il viso, tutta la felicità di prima svanita. “Sono solo uno stupido, ecco cosa sono. È ovvio che non dovevo dire certe cose a una donna nubile, non dovremmo nemmeno stare qui fuori; chissà cosa penserebbero le persone. E ti ho pure baciata! Diamine!” ripeté.
 
Continuò la litania di parole poco consone alle orecchie di una fanciulla innocente che rivolse per lo più a se stesso, fino a quando le dita delicate di Kagome non tentarono di spostargli le mani dal viso. Lo sguardo triste e rassegnato che la ragazza gli porse gli spezzo ancor di più il cuore. Si bloccò incapace di parlare. “Oh, Inuyasha…”
 
Lui fu preso alla sprovvista da quello che lesse nei suoi occhi ora spenti. “Non capisco.”
 
“A me non interessa nulla di quello che potrebbe pensare la gente. Se fosse stato così non ti avrei mai salvato la vita quella notte, non ti avrei portato con me nel villaggio quando sei tornato, non sarei venuta con te questa sera, ma… ho paura che la mia vita non mi appartenga più; non ho più potere decisionale su di essa.”
 
“Che stai dicendo? Ovvio che ce l’hai… chi dovrebbe decidere per te? Non hai un padre, un nonno… un fratello. Kaede? Ma io pensavo di piacerle. Era solo una facciata? Credi che potrebbe darti problemi? Non vuoi darle un dispiacere? Cosa?” La interrogò freneticamente anche con gli occhi, ma continuò a non trovare altro se non rassegnazione.
 
“No. Kaede non si imporrebbe mai così tanto nella mia vita, non è nemmeno una mia parente di sangue. Ma Inuyasha… non capisci? Dopo la guerra la nostra comunità spirituale è stata ridotta al minimo, mi hanno imposto doveri che io non ho mai voluto e che prima erano destinati a Kikyo, anche di più. Mi hanno detto che il mio unico compito d’ora in poi sarà servire gli Dei e prendermi cura del tempio, istruire i futuri spiritualisti; non mi hanno dato altra scelta.”
 
“E tu gliel’hai lasciato fare?” chiese Inuyasha inorridito dal futuro che le si prospettava davanti; dal mondo in cui dei vecchi bislacchi – gli stessi che erano in parte causa di tutte le morti della guerra appena passata – si erano appropriati di un’anima così pura e innocente senza nemmeno chiederle il permesso.
 
“Cosa avrei dovuto fare? Io non ho nessuno, Inuyasha; l’hai detto tu stesso. Non ho un padre che possa imporsi per me, un fratello maggiore. Sono solo una donna nubile e come tale devo rispondere a chi è ai vertici del nostro stato.” Abbassò il volto impotente.
 
“Stronzate!” sbottò allora il mezzo demone, alzandosi e quasi facendola cadere di conseguenza; si affrettò a chinarsi su di lei e aiutarla a rialzarsi. “Stronzate,” ripeté. “Se questi vecchi rimbambiti credono di poter tornare a comandare e fare quello che vogliono loro, si sbagliano di grosso.” Le diede le spalle e poi si accucciò davanti a lei, facendogli segno di salire. “Sali!” le ordinò in modo un po’ brusco, ma lei obbedì comunque. “Si è fatto tardi, devo riportarti a casa. Ne riparleremo domani.”
 
Giunti dietro la sua capanna, Inuyasha le carezzò dolcemente la guancia e poi la sfiorò con le labbra. Le augurò la buonanotte prima di lasciarla, mentre nei loro occhi il tormento ancora dilagava e ogni traccia di quella felicità che li aveva colti davanti alla scoperta del sentimento reciproco sembrava sparita.
 




N/A: Innanzitutto, se siete arrivati fin qui vi ringrazio. Nonostante il capitolo sia stato diviso, c'erano comunque un sacco di cose da leggere. 
La maggior parte di ciò che dovevo dire l'ho detto nelle note iniziali quindi non mi dilungherò molto. 

Spero che quanto raccontato sia stato di vostro gradimento e soprattutto chiaro, in particolar modo nelle dinamiche Inuyasha/Kikyo e Inuyasha/Kagome, ma se qualcosa non vi è chiaro non esitate a dirmelo. 
Il capitolo finisce con una nota non troppo positiva, ma posso assicurarvi che tutto si risolverà nel prossimo capitolo 
– che prometto di pubblicare entro settimana prossima; è già pronto – perché nonostante non sia fan del romanticismo smielato, amo i lieto fine (in caso contrario ho la lacrima facile. Lo so, sono un controsenso, vero? 😆). 

Ogni altro vostro pensiero o commento non può che farmi piacere. 💞
Grazie ancora e a presto!

 
   
 
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