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Autore: Enchalott    18/10/2021    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Senso di colpa
 
Rhenn balzò dalla schiena di Delzhar, gettando un’occhiata alla sparuta delegazione proveniente da Deluun. Jandali era stata sottomessa decenni prima e l’unico membro della famiglia reale era Yelu, pronipote del sovrano sconfitto. Questi lo attendeva con vivo disagio sull’altipiano che si estendeva poco distante dal prasma. Il vento soffiava dal mare, sollevando la tela del padiglione innalzato per accogliere l’ospite inatteso e risparmiargli il viaggio alla capitale.
I reikan di stanza s’inchinarono con ossequio, onorati dalla sua visita.
«Avete quanto richiesto?»
Yelu si affrettò a mostrare uno scrigno argentato e sbloccò la serratura con mano incerta. Le carte ingiallite frusciarono instabili alle folate impetuose.
Rhenn le impugnò prima che si disperdessero, sforzandosi di non ordinare al vradak di banchettare con il tremebondo jandalino. Le stese sul tavolo, confrontandole con quelle che aveva recato da Mardan: il sigillo dei vinti, un’onda che inghiottiva il sole, non corrispondeva a quello impresso sui documenti siglati dal vecchio re. Anche quella dichiarazione di guerra non era originale. Imprecò tra le zanne e le catenelle intrecciate tra le corna tintinnarono.
«C’è qualche problema, mio signore?» balbettò Yelu terrorizzato.
L’Ojikumaar lo ignorò. Raggiunse Delzhar e gli impartì un secco comando di volo, abbandonando Jandali e i convenuti. Persino i guerrieri Khai fissarono straniti la sagoma dell’uccello che si allontanava.
 
Nessun ragionamento produsse il minimo indizio sul come e sul chi. Il perché era invece palese. Rhenn si arrovellò sulle falsificazioni, chiedendosi se Kaniša ne fosse al corrente.
Viviamo per combattere, la guerra è motivo d’onore, non è necessario tessere un inganno per provocarla! Sarebbe un affronto al credo!
Gli sovvennero le parole di Yozora: “mio padre avrebbe concesso l’acqua”. Non le aveva dato credito accusandola di idealismo, quando era stata più attenta di lui.
Attraversò la consistenza cangiante del varco e sfrecciò nel cielo zafferano della sua terra, ma non guidò la cavalcatura alata a Mardan: compì un arco e imboccò un altro prasma. La manovra gli sarebbe costata energie e stanchezza, ma l’impellenza di verificare se lo scontro con Minkar fosse frutto di una mistificazione conferì la spinta.
Giunse al tramonto, una pioggerella molesta bagnava le mura annerite della città assediata. Gli abiti di pelle gli si appiccicarono addosso, la stoffa del mantello si appesantì cessando di volteggiare alle sue spalle. Delzhar diede un grido stizzito.
Rhenn lo portò al centro dell’accampamento, attese che stendessero le passatoie e smontò. Andò dritto da Mahati senza farsi annunciare.
Il Šarkumaar sollevò lo sguardo dalla cartina spiegata. Se l’improvvisata aveva destato sorpresa non la diede a vedere. Congedò i generali e versò da bere.
«Ha finalmente reso l’anima a Reshkigal?»
Il maggiore impiegò un attimo a connettere, poi sogghignò.
«Aspetta a gongolare. Kaniša è vivo, non sono qui per annunciare il lutto.»
Il secondo inarcò un sopracciglio, privo di ipotesi atte a motivare l’arrivo inaspettato. Il successivo pensiero fu quello che fosse successo qualcosa a Yozora.
«La principessa salki?» domandò con impassibilità forzata.
Rhenn smise di strizzarsi la chioma fradicia, colto alla sprovvista.
«Avresti voluto che la portassi? La notte ti senti solo?»
Pur tranquillizzato dalla risposta beffarda, Mahati perse la pazienza.
«Ti hanno cacciato da corte e mendichi un lavoro? Prima di arruolarti, dimmi se rammenti come si impugna la spada!»
L’offesa andò a segno. Il primogenito perse l’espressione canzonatoria.
«Non provocarmi, sono già di pessimo umore.»
«Che vuoi da me, Rhenn? Se sei in vena di alternative alla noia cortigiana, dirigiti altrove. Io sono impegnato a espugnare Minkar.»
L’Ojikumaar ingoiò l’irritazione e trasse i documenti incriminati. Li srotolò, sbattendo la mano sul tavolo.
«Allora questo potrebbe interessarti!»
Mahati seguì l’indice puntato. All’inizio non distinse nulla di insolito e fu tentato di sbatterlo fuori a calci. Poi le differenze tra i sigilli gli saltarono all’occhio.
«Che roba è?»
«Non ci arrivi?»
«Esistono mille spiegazioni a una lieve variazione in uno stemma, senza scomodare l’ipotesi del complotto. Per esempio un orefice incapace.»
«Se fosse un caso isolato, ti darei ragione. Invece è la stessa storia per i Salki. Mi sono confrontato con un testimone inconfutabile.»
Il Kharnot aggrottò la fronte, posando lo sguardo sulle carte di Seera.
«È stata Yozora a notarlo. Ne è certa» precisò Rhenn.
Mahati si limitò ad ascoltare l’accaduto senza scomporsi.
«Interessante.»
«Che qualcuno ci abbia menati per il naso?» sbottò l’altro irritato.
«Interessante che tu ti sia precipitato per informarmi e non mi abbia ritenuto ideatore della macchinazione. Non essere incolpato di qualcosa mi mette a disagio.»
«Quando nostro padre ha sconfitto Jandali eri un moccioso, ovvio non sia stato tu!»
«Per un attimo ho pensato si trattasse di fiducia, sono sollevato!» ironizzò Mahati «Suppongo tu sia venuto ad appurare se il gioco vale anche per Minkar.»
«Perspicace. Mi serve un atto regio firmato da Namta.»
«Lo cerchi da me? Assomiglio al suo cancelliere?»
Rhenn abbandonò la calma.
«Davvero non t’importa niente!? Se temi di dover ritirare le armate, tranquillizzati! Continuerai a esibire l’eccellenza in battaglia, non intendo scusarmi con Amshula per l’equivoco! Ma detesto essere usato, mi sorprendo che per te non sia così!»
Il Kharnot gettò un’altra occhiata agli scritti e ripensò al duro confronto con Yozora. Si domandò cosa pensasse dell’inganno che aveva scatenato la guerra, del fatto che sua madre era morta per una ragione peggiore dell’assedio.
Peggiore persino di me.
«È tutta la vita che veniamo usati» ribatté amaro.
L’Ojikumaar inarcò un sopracciglio alla risposta inattesa.
«Ma ciò che accade tra i Khai riguarda i Khai soli» continuò Mahati «Non ho problemi ad appoggiarti, risolvi i legittimi dubbi.»
«Grazie, ma non possiamo farci lanciare dalle mura un incartamento originale.»
«Siamo d’accordo. Cosa suggerisci?»
«Prestami il tuo Eskandar. Entrerà in un attimo, l’archivio non sarà sorvegliato.»
«No.»
Rhenn rimase basito.
Alla faccia del supporto!
Non diede in escandescenze poiché constatò di non aver incontrato il braccio destro del fratello, che di solito lo seguiva come un cagnolino. Allargò le braccia contrariato.
«Un reikan è spirato ieri» precisò il Šarkumaar «Eskandar si sente responsabile, non è il momento.»
«Responsabile?! È un onore perire in battaglia! Siete delle bambinaie o fieri demoni guerrieri? Non vi sarete rammolliti a furia di stagionare quaggiù!?»
Mahati lo afferrò con impeto per la casacca.
«Quell’uomo si è spento tra atroci sofferenze! Non siamo riusciti a capire cosa l’abbia ucciso! Ha iniziato a stare male dopo aver seguito Eskandar nel fossato, non c’è stato nulla da fare. Non ho mai visto nessuno morire così. Risparmia il fiato per impartire la tua morale altrove!»
Rhenn si liberò dalla presa rabbiosa.
«Spiegati!»
«Non è contagioso, altrimenti saresti atterrato in un campo di cadaveri. È partita come una febbre e si è aggravata. La sua pelle è diventata gelida, livida. Ha perso conoscenza in un delirio di spasmi, per il tormento si è strappato la pelle con gli artigli, i guaritori si sono dichiarati impotenti. Quando ha esalato l’ultimo respiro era freddo come il ghiaccio.»
«Stai dicendo che nel fossato dimora un pericolo letale?»
«Non sono certo che dipenda dall’acqua stagnante.»
«Ordina agli shitai di svuotarlo!»
«Ho già provveduto. Nessuno ha manifestato i sintomi che ti ho elencato.»
«Non può trattarsi di veleno! Siamo immuni!»
«E non contraiamo febbri.»
«Allora né l’uno né l’altro, la biologia non mente. Possibile che il cadavere non presenti anomalie? Non sarebbe il primo fiasco di un guaritore!»
«Vuoi esaminarlo di persona?»
«Ottima idea. Andiamo.»
Mahati sbuffò all’ostinazione del fratello, che superava soltanto la circospezione e la totale assenza di fiducia nel resto dell’universo. Lo scortò attraverso le tende fino a quella dove la salma attendeva il cessare della pioggia per essere cremata.
I guaritori sollevarono il telo: il volto impassibile del primogenito ebbe una lieve variazione dovuta allo stupore. Nessun ribrezzo, nessuna compassione.
«Sembra modellato nella neve. Ripetete l’esame, voglio assistere.»
Il Kharnot annuì agli sguardi incerti dei medici, passati dalla muta efficienza al timore di essere tacciati di imperizia.
L’analisi si ripeté identica finché il corpo non fu rivoltato: sulla schiena campeggiava una minuscola macchia bluastra.
«E quello che sarebbe!?» tuonò l’Ojikumaar.
«N-non c’era!» balbettò uno dei guaritori «Posso giurarlo, mio signore! Eravamo in tre, non possiamo aver trascurato tutti il medesimo particolare!»
Rhenn masticò un paio di imprecazioni.
«È tondeggiante, pare una scheggia. I guerrieri hanno ricevuto un lancio di frecce quella notte» ipotizzò un altro «Non è una lesione fatale.»
«A me pare un’ustione» constatò un terzo «I bordi sono regolari, è quasi un cerchio perfetto. È l’unica singolarità.»
Il principe della corona serrò le braccia sul petto e si girò verso Mahati per condividere la frustrazione: questi fissava la traccia sconvolto.
«Approfondite!» ordinò secco «Non avrete un’altra occasione!»
Rimorchiò fuori dalla tenda il fratello, che non oppose resistenza, trascinandolo sotto una quercia secolare. La pioggia gelata contribuì all’immediata ripresa di questo, che reagì con un fiotto di rabbia.
«Ti ha dato di volta il cervello!?»
«Dovrei porti la medesima domanda!»
Il Šarkumaar si appoggiò al tronco. Le iridi nocciola erano cariche di furia e di consapevolezza. Strinse i pugni, placando gli ansiti.
«Esiste qualcosa in grado di ucciderci. Prendiamone atto.»
«Il tuo contegno è disdicevole, Mahati. Non te lo permetto, specie in pubblico. E poi non mi fascerei la testa per un morto. Non esistono armi incorporee, qualcosa salterà fuori quando capiremo dove guardare.»
Il secondogenito lo fissò con estrema collera. Le gocce che filtravano tra le fronde rade dell’autunno gli imperlavano il volto e la chioma corvina.
«Adoro confutare le tue teorie, ma in questo caso preferirei che avessi ragione tu.»
Non aggiunse che gli era stata inferta una ferita identica e che non capiva perché, al contrario del reikan, fosse ancora vivo. Che aveva evitato la fine per la prontezza di Eskandar o per un caso. Che non provava paura, ma aborriva la possibile caduta.
Rhenn scrutò nei suoi occhi, ma non lesse che insofferenza. Impossibile credere che avvertisse timore o dispiacere.
«Aspetta bruciare il corpo. Ti manderò un paio di esperti da Mardan.»
«Te ne vai così presto?»
«Dolente. Darei volentieri una lezione a Danyal, ma vedo che non hai intenzione di attaccare. Sarà per la prossima.»
Mahati non raccolse l’ennesima provocazione.
«Hai parlato della campagna jandalina con nostro padre?»
«È il prossimo in lista. Dammi dei vestiti asciutti e qualcosa di commestibile, toglierò il disturbo quanto prima.»
Il secondo principe lo seguì all’interno del padiglione, confortato dalla notizia.
«Ah, dimenticavo!» fece Rhenn «La tua fidanzata vorrebbe assistere alle nozze della sorella. Ho negato il consenso e ha ardito rispondere che avrebbe domandato a te.»
«Può scordarselo.»
«Beata ingenuità» sogghignò l’erede al trono, già sicuro della risposta.
 
Eskandar aveva raccolto i capelli con uno spillone per evitare che ricadessero sulle spalle, ostacolando la meticolosa procedura cui si stava sottoponendo.
Privo dell’uniforme di generale, sedeva sul tappeto a torso nudo: le lampade pendevano dal soffitto di tela, illuminandogli la pelle dorata e il volto teso. Le palpebre allungate, ricoperte di pigmento nero, celavano gli occhi ciclamino, gli orecchini di rubellite scintillavano lungo la linea del collo, le mani erano rilassate sulle ginocchia.
I guaritori gli stavano imprimendo nuovi tatuaggi.
Quando Mahati riconobbe gli aghi sottili e arcuati, che non venivano utilizzati per i fregi di guerra, i dubbi sulle sue intenzioni scemarono.
«Sei proprio deciso a cacciarti in un’impresa del genere?»
«Saputo quale ferita ha ucciso Kerulen, la risoluzione si è fortificata.»
Il principe gli sedette difronte. L’inchiostro fresco luccicava sulle braccia e sul petto dell’amico in arabeschi neri. Essere perforato con quel sistema era doloroso.
«Se lo fai per me o per rappresaglia, non mi trovi d’accordo.»
«Non lo saresti in nessun caso.»
«Perché è un suicidio!»
«I Minkari macineranno parecchia strada prima di cogliermi impreparato» ribatté caparbio Eskandar «Non vedo alternativa, Amshula ha collaudato un’arma mortale e l’ha perfezionata. Non attenderò che i Khai vengano decimati. Pensare che potresti essere tu quello steso sull’ara con un lenzuolo in faccia, mi spinge il sangue al cervello! Evitare che si sparga la voce per non creare incertezze tra i nostri è un incentivo ad accelerare i tempi. Oltre a ciò, i miei sottoposti sono una precisa incombenza. Kerulen non è stato ucciso in battaglia, qualcosa di infido ha preso la sua vita, ha diritto alla vendetta.»
«Tutto giusto, tranne andare allo sbaraglio da solo senza aver elaborato un piano. Ti chiedo di attendere, non di rinunciare.»
«Il piano c’è: catturare Shaeta. Per la medesima strada raggiungerò un obiettivo diverso, non è detto che non riesca a portarti anche il ragazzino.»
«Dell’erede minkari se ne sta occupando Sheratan. Ho bisogno di te sul campo, la pioggia è cessata. Porrò fine all’assedio in pochi giorni, ne ho abbastanza.»
«Andiamo, Mahati, non è da te accampare scuse. Sai che ho ragione, se lo scopo è assestare l’attacco decisivo, la mia iniziativa non potrà che favorirti. Lascia l’amicizia fuori dalla guerra. Onora Belker.»
Il Šarkumaar tenne per sé le imprecazioni, compresa quella sulla devozione al dio della Battaglia: aveva voglia di provocarlo, disobbedendo alle sue leggi, e non era la prima volta. Però Eskandar aveva colto nel segno: ordinargli di non agire per non perderlo sarebbe stato offensivo. Al pari del dimostrare che si era ammorbidito come insinuato da Rhenn. Fu il pensiero che lo persuase.
«Spero di non pentirmene.»
«Così mi sottovaluti! Piuttosto, non ordinare il rogo funerario. So che è spiacevole, ma la regina non deve intuire che c’è stata una vittima.»
«C’è altro che posso fare per te?»
Il viso affascinante del generale dei cieli si distese in un sorriso furbesco.
«Portati a letto la principessa salki.»
«Chi ti dice che non abbia provveduto!?»
«La tua attuale espressione. Oltre al fatto che sei partito in fretta e furia dopo l’asheat. Un caratterino niente male, se ti ha rifiutato.»
Il Kharnot scosse la testa tra il divertimento e l’impiccio.
«A suo modo lo è. Ma sono io che ho deciso di aspettare.»
«Lascia che ti metta in guardia, Mahati. Ci sono due tipi d’indiscrezione da troncare: quelle dei guerrieri, che interpreterebbero la tua astensione come insicurezza, e quelle dei clan, che vorrebbero al tuo fianco una delle loro eredi ed entrerebbero in competizione. Ambedue negative e destabilizzanti.»
«Tsk! Mi sembra di sentire mio fratello! Non iniziare anche tu!»
«L’Ojikumaar vorrebbe che tu la sposassi. Io ti consiglio di regalarle una o più notti indimenticabili, è diverso. Niente macchie sulla tua reputazione e sulla tua linea di sangue. Non ho dimenticato il compito che mi hai assegnato, me ne occuperò al ritorno. Il trono spetta a te per integrità morale, la data di nascita non è un merito.»
«Grazie per le aspettative. In ragione della mia rettitudine, non suggerirmi di abusare della ragazza.»
«Lungi da me! Da quando hai bisogno di pregare? Se non è una sciocca, ti vorrà.»
«Mai vagliato che non mi attiri e basta? Conterà qualcosa la mia opinione!»
«Etarmah, lei ti piace. Piace anche a me che non la conosco…»
Il principe alzò gli occhi al cielo, ma il desiderio di rientrare a Mardan incrementò.
Il reikan tornò serio e prese a rivestirsi. Sollevò lo sguardo sull’amico quando questi gli strinse le spalle con partecipazione.
«Prudenza e cervello, Eskandar. Se il rischio diventasse eccessivo…»
«Porterò a casa le informazioni e la pelle. Stanne certo.»
 
Shaeta sbuffò: era inciampato nel vestito per l’ennesima volta, c’era mancato poco che rovinasse a terra. Il velo lo infastidiva, le scarpe erano strette, imitare i movimenti femminili era uno strazio. Per non citare il parlare a bassa voce o l’odore stucchevole dell’essenza di rose che si spruzzava ogni mattina e tanti altri dettagli che, oltre a innervosirlo, gli procuravano momenti di profondo imbarazzo.
Era stato presentato come una tirocinante che necessitava di riguardi particolari, come eseguire in disparte le abluzioni a causa di una deformità. Le precauzioni lo mettevano al sicuro, ma nascondere di essere un maschio si rivelava più difficile del previsto.
Condivideva la camera con giovani donne, che si spogliavano ignare della sua identità. Aveva cercato di non sbirciare e, dopo aver ceduto, di non diventare paonazzo. Il palese impaccio gli aveva procurato le occhiate stupite delle altre, che lo consideravano eccentrico, schizzinoso e lo evitavano. Continuando così non avrebbe stretto amicizia con alcuna, invece era importante mimetizzarsi nel gruppo, acqua nell’acqua, come gli avevano suggerito.
La fanno semplice quelli là!
Avvampò, sistemandosi sulla sedia e per non sembrare ancora più goffo.
Quella mattina il suo corpo aveva reagito come quello di un uomo. Le compagne erano rientrate dal bagno mezze nude e la situazione era sfuggita al fragile controllo. Gli era già successo qualcosa di simile, certo non così forte e non così… tanto! Si era allontanato di corsa, impiegando un’infinità per darsi una calmata, non era servito concentrarsi su qualcosa di noioso o di triste.
Trasse un lungo sospiro. Conoscere l’anatomia umana e sperimentare gli effetti dell’adolescenza non era come confrontarsi con chi aveva esperienza: gli sarebbe piaciuto domandare consiglio, condividere le inquietudini, non sentirsi isolato. Per la prima volta mancava da casa, la nostalgia del palazzo e di sua madre si aggiungeva alle ansie d’altro genere.
Danyal, come vorrei che ci fossi tu!
Shaeta si stupì di non aver pensato al padre, bensì al comandante minkari. Si sentì in colpa per la scarsa confidenza instaurata con il re. Namta non era mai presente o non lo interpellava. Era distante nei suoi riguardi, non si curava di lui né come figlio né come erede al trono. Il loro rapporto era circoscritto alle occorrenze ufficiali e alle scarse occasioni familiari, nelle quali le parole che gli venivano rivolte erano un rigido pro forma. Aveva rinunciato a conquistare il suo affetto e la sua fiducia: era l’estraneo cui doveva obbedienza e rispetto a prescindere.
Una volta aveva domandato alla madre le ragioni di tale freddezza, attribuendosene la responsabilità.
 
Amshula gli si era seduta accanto e gli aveva arruffato i capelli con affetto.
«Non scambiare la fermezza per indifferenza, Shaeta. Il re è duro perché sa che prenderai il suo posto e ti sprona a dare il massimo.»
«Quando siamo soli potrebbe lasciar perdere il cerimoniale, invece sembra che mi disprezzi. Anche tu desideri che io diventi un ottimo sovrano, ma non fai così.»
La regina aveva abbassato lo sguardo e il gesto lo aveva portato a riflettere. Aveva concluso di non essere in torto, se la madre aveva cercato la risposta diplomatica.
«È questione di carattere. Tuo padre non è espansivo e la guerra si somma alle preoccupazioni tipiche di ogni regnante. Quando sarai cresciuto, capirai.»
Lui aveva appoggiato il mento alle ginocchia, deluso. Era in quel momento che avrebbe voluto sentire suo padre vicino, non più avanti.
«Quando vi siete conosciuti era affabile?»
«Era nobile e magnanimo. Un onore che abbia chiesto la mia mano.»
La regina aveva deviato l’argomento, come sempre quando indagava sul passato dei suoi genitori, del quale non conosceva che pochi dettagli. Sua madre lo aveva messo al mondo quando aveva cieca la sua età e la differenza con il re contava vent’anni. Forse il divario generazionale era una delle ragioni per cui si sentiva a suo agio solo con lei.
 
E con Danyal. Lui avrebbe saputo sollevargli il morale.
Qualcuno gli toccò il braccio, provocandogli un sussulto. La tirocinante alla sua sinistra gli accennò di non distrarsi, indicando la sacerdotessa che li stava istruendo su come versare l’acqua. Se lo avesse sorpreso con la testa tra le nuvole, lo avrebbe rimproverato. Completò l’operazione giusto in tempo, sorprendendosi di non aver prodotto il solito disastro.
«Ti sono riconoscente» la ringraziò una volta fuori.
«Figurati, capita a tutti un momento di sconforto» rispose garbata la ragazza.
«Oh. Si nota tanto?»
«Ho pensato che stessi per piangere. La maestra si sarebbe spazientita, il suo ruolo è insegnare, non farci da balia.»
Shaeta avvampò, rallentando il passo.
«Non lo dirò a nessuno, non preoccuparti» sorrise lei «Vorrà dire che ricambierai la cortesia quando il momento malinconico toccherà a me.»
«È tanto che sei al tempio?»
«Sei mesi. A proposito, mi chiamo Evlare.»
«Aladi» si presentò lui.
Arrossì per l’indispensabile bugia, però gli spiacque mentire alla prima anima che si era mostrata cordiale. Inciampò nella veste e il colorito virò sul rosso-violaceo.
«Spero che diventeremo amiche e che ci sosterremo a vicenda» seguitò Evlare «Innanzitutto penseremo al tuo portamento. Sembra che tu non abbia mai indossato una gonna.»
Shaeta fu tentato di lanciarsi in un attacco solitario contro i Khai, meno gravoso della prospettiva di restare lì a tempo indeterminato.
   
 
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