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Autore: Lisaralin    18/10/2021    4 recensioni
[Hades]
Orfeo non riesce più a cantare, sopraffatto dai ricordi della sua musa perduta. Per fortuna c'è un amico come Zagreus con cui condividere un buon calice di nettare e una chiacchierata sui rimpianti del passato.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Don’t look back in anger

 

Qualsiasi abitante dell’oltretomba è a conoscenza del divieto, valido in tutte le regioni dell’Ade, di consumare e scambiare nettare o ambrosia. Si tratta di un decreto emanato dal Signore dei Defunti in persona.
Qualsiasi abitante dell’Ade sa anche che litri di nettare e ambrosia vengono consumati e scambiati ogni giorno in ogni angolo del regno, dagli abissi senza fondo del Tartaro fino ai prati verdi dell’Elisio, in modo assolutamente non ufficiale.
Al centro di tali scambi clandestini, nove volte su dieci, c’è lo zampino del principe Zagreus.
È stato proprio il principe a versargli nel calice quelle gocce della dorata refurtiva, procurata chissà dove in uno dei suoi infiniti tentativi di fuga verso la superficie. Come al solito, Zagreus non appare affatto turbato dalla presenza dell’augusto padre ad appena una stanza e un corridoio di distanza. Con deliberata lentezza solleva il proprio calice e lo porta alle labbra senza curarsi di nasconderne il contenuto, sotto gli occhi stupefatti dello chef, del broker, della piccola gorgone Dusa e di tutte le anime smarrite di passaggio in quel momento nella lounge.
Seduto di fronte al principe, Orfeo non si sente altrettanto spavaldo. Al tavolo accanto, Megara ostenta uno sconfinato interesse per la parete con il manifesto del dipendente del mese (Thanatos, tanto per cambiare), ma il cantore percepisce la sua disapprovazione anche solo dalle occhiate di sbieco che la furia scocca loro di tanto in tanto. Preferirebbe sentirsi bruciare sulla fronte il mirino di Hexagryph.
Zagreus coglie la causa della sua inquietudine e gli sorride incoraggiante.
“Tranquillo, amico. Pensi che lei non abbia mai accettato nettari dal sottoscritto? Non ci denuncerà.”
Orfeo si riscuote da un incubo ad occhi aperti in cui Lord Ade lo scagliava nell’Erebo a fare da fantoccio di allenamento per il remo di Caronte e tenta di ricambiare il sorriso. Non qualcosa che gli riesca facile, ultimamente.
“Perdonami, ho perso il filo. Dove ero rimasto?”
“Hai chiesto udienza a mio padre” ricapitola Zagreus, e una scintilla di genuina ammirazione affiora nella sua voce. “Ti sei offerto di cantare per lui e per tutta la corte in cambio della libertà di Euridice. Ci vuole un coraggio fuori dal comune.”
Il musico si stringe nelle spalle, poi si decide finalmente a sfiorare il proprio calice. Lo soppesa per qualche secondo.
“Non così tanto. Ne sarebbe servito molto di più…”
Le parole successive incespicano tra le labbra, perciò un sorso di nettare può essere d’aiuto. Il liquido dorato è denso e zuccherino, piacevolmente tiepido. Abbraccia voluttuosamente il palato e la gola e si lascia indietro un retrogusto dolce come la carezza di un ricordo nostalgico.
“… per continuare a vivere senza di lei.”
Non a caso il nettare è considerato una bevanda prodigiosa, una delle prelibatezze più ricercate dagli dei olimpici: il sangue nelle vene di Orfeo ha cessato da tempo di scorrere, ma il liquido d’oro sembra infondere nuovo calore nel simulacro freddo che è tutto ciò che resta del suo corpo. Adesso persino pronunciare il nome Euridice, raccontare la sua storia, sembra un pochino più facile.
O forse è più facile perché Zagreus è un ascoltatore nato. Rispetta i tuoi tempi e i tuoi silenzi, annuisce quando necessario, sa incoraggiarti con il più genuino dei sorrisi ed è sempre pronto a versare altro nettare al momento giusto. Nato e cresciuto nella dimora di Ade, il giovane principe non ha mai visto il mondo della superficie ed è avido di tutte le storie che lo riguardano. Quando si sono conosciuti Orfeo è rimasto sinceramente stupito che il ragazzo non avesse mai sentito menzionare la guerra di Troia o le fatiche di Eracle. Sapeva che le divinità ctonie non partecipano delle vicende dei mortali con la stessa passione degli abitanti dell’Olimpo, ma non immaginava fino a quel punto. In Zagreus, tuttavia, non c’è nemmeno una goccia dell’imperturbabilità di Lord Ade o della Signora Nyx. Sarebbe il pubblico perfetto per un musico: beve i racconti come fossero divina ambrosia, si accalora per ogni impresa o ingiustizia, soffre insieme ai loro eroi.
Gli fa sempre tantissime domande.
“Tutto il percorso senza guardarsi indietro nemmeno una volta? Assurdo.” Il palmo aperto sbatte sul tavolo. “Questa regola se l’è inventata. Mai sentito niente di simile!”
Una lama fredda si insinua nella voce del principe ogni volta che il discorso cade sul Signore dei Morti, e in quei momenti il suo occhio destro, rosso come le braci dell’Asfodelo, sembra brillare con maggiore intensità.
Orfeo si affretta a mitigare i toni. Non vuole che il suo amico inasprisca ulteriormente il conflitto con il genitore per causa sua.
“Lord Ade è stato generoso. Mi ha offerto una possibilità. È molto più di quanto possa sperare un qualsiasi abitante di questo regno. Lo sciocco che ha sprecato l’occasione sono io. Nel modo più stupido possibile. Eravamo quasi ai cancelli dello Stige… pensavo di aver udito un rumore, che le fosse successo qualcosa. Non sentivo più i suoi passi alle mie spalle. E allora io… stupido, debole, patetico, mi sono voltato. Ho guardato indietro.”
Il calice sbatte sul tavolo con un clangore metallico e Orfeo fissa le proprie mani, stupefatto da quella violenza che non gli appartiene. In vita era noto per la gentilezza, per il canto in grado di ammansire anche la più feroce delle bestie. Ma nessun canto sarebbe adeguato a descrivere l’orrore sul viso di Euridice un attimo prima che gli artigli delle Furie la ghermissero per portarla via.
È l’ultimo ricordo che ha di lei. Un grido senza voce, un battito d’ali, il vento che gli sferza la faccia. Tagliente, ma mai come lo sguardo che Euridice gli ha rivolto prima che la risata di Alecto svanisse insieme a lei, lasciandolo solo nel gelo dello Stige.
Da allora non è più riuscito a cantare. Altri hanno continuato a farlo in sua vece, nel mondo dei vivi. Quel pettegolo di Hypnos gli ha confidato che quasi tutte le nuove anime dell’Ade conoscono la tragica storia di Orfeo ed Euridice. Amanti separati da forze superiori, divinità irate e un finale lacrimevole: la ricetta perfetta per un racconto di successo. Nessuno meglio di un musico capisce come funzionano certe cose.
“Non mi stupisce affatto che non voglia più sentir parlare di me.”
“Io non ne sarei così sicuro, amico mio.”
Zagreus l’ha incontrata varie volte. Gli ha raccontato del piccolo rifugio che si è costruita tra i fiumi di lava dell’Asfodelo, un’isoletta confortevole dove trascorre le giornate a cantare e perfezionare le ricette dei suoi decotti. Un’esistenza tutto sommato serena per i canoni dell’Ade. Tipico di Euridice, portare ristoro e bellezza anche nel luogo più ostile. Ma Orfeo ormai conosce il pericolo di cullarsi in illusioni impossibili.
“Sei gentile, amico, ma non c’è bisogno di indorare la realtà. Euridice ha scelto di guardare avanti e dimenticare il passato. Devo rispettare la sua decisione. E… cercare di seguire il suo esempio. Smettere di ripensare a ciò che non può essere cambiato.”
“L’ultima volta mi ha chiesto come stavi” ribatte Zagreus, per nulla demoralizzato dal tono triste del cantore. “Ha cercato di farla sembrare una domanda casuale, certo. Ma intanto voleva saperlo.”
La voce di Orfeo ha un tremito. “Una semplice gentilezza.”
Il musico sente le proprie spalle incurvarsi e abbassa lo sguardo, evitando di proposito quello del principe. Non sa di preciso cosa le anime dei morti abbiano al posto del cuore, ma quel misterioso qualcosa ha iniziato ad agitarsi senza sosta dentro il suo petto. 
“Non credo sia solo questo, sai? Per quanto tu possa decidere di chiudere con il passato, è difficile dimenticare qualcuno che è sceso fin nelle profondità del Tartaro per te. Non sei riuscito a salvarla, è vero. Ma ci hai provato, non hai esitato. Non l’hai abbandonata. E questo è un gesto che da solo vale più di mille canzoni.”
Il tono di Zagreus è più sommesso ora. A Orfeo sembra di cogliervi una sfumatura malinconica, una punta di amarezza che non riesce a identificare. Invidia?
Solleva lo sguardo e incontra quello rosso e verde del principe assorto sotto le sopracciglia aggrottate, il calice vuoto e inerte tra le mani.
“Io non penso che ce l’abbia con te perché non sei riuscito a salvarla” prosegue il giovane dopo un attimo. SI china in avanti lungo il bordo del tavolo e lo osserva con i suoi singolari occhi di due colori. “Anzi, secondo me è precisamente il contrario: è arrabbiata perché hai messo a rischio la tua vita per lei. Avrebbe preferito saperti sano e salvo sulla superficie, anche a costo di non rivederti più. Sbagli a pensare che non le importi di te, amico mio.”
Il simulacro del suo cuore è decisamente in subbuglio, adesso. Sensazioni che credeva di aver dimenticato con la fine del suo corpo mortale tornano a impossessarsi di lui a tradimento: il sudore sulla fronte, le dita che non trovano pace e giocherellano inutilmente con lo stelo del calice. Un tempo le avrebbe placate lasciandole danzare libere tra le corde della lira.
“Sei… diventato davvero saggio, amico. Non l’avevo mai pensata in questo modo.”
“Saggio è una parola grossa” ridacchia Zagreus, lasciandosi andare contro lo schienale. “Però sto cercando di allargare i miei orizzonti, questo sì. Parlare con persone diverse allena a guardare le cose da prospettive che prima non avevi considerato.”
Quante volte il giovane principe ha tentato di aprirsi la strada verso la superficie dando battaglia alle legioni di suo padre, affrontando furie, satiri e anime di eroi e finendo per morire in mille modi uno più sanguinoso dell’altro? Orfeo ha perso il conto delle volte che lo ha visto riemergere frastornato e coperto di sangue dalla Fonte dello Stige, ma non è più convinto che il suo desiderio di fuga sia soltanto un ingenuo capriccio infantile. 
“Hai ragione, amico. Quanto devono sembrarti patetiche le mie lamentele” sospira il musico. “Io rimango qui a marcire, a rimuginare su un singolo fallimento. Continuo a fare lo stesso errore, mi guardo indietro quando non dovrei. Tu hai fallito decine di volte, eppure… sei diventato più forte.”
“Te l’ho detto” sorride Zagreus. “È più importante provare che riuscire. È ciò che ci fa capire che m qualcosa ci sta davvero a cuore: perché vale sempre la pena provarci. E non c’è dubbio che tu ed Euridice teniate l’uno all’altra.”
Quanta strada ha fatto il giovane principe, quante miglia ha percorso per allontanarsi dal ragazzino arrabbiato che puntava i piedi e alzava la voce sferrando pugni contro le pareti della casa di Ade. La sua rabbia arde ancora sotto le braci, ma adesso ha uno scopo diverso dalla distruzione. Ha una direzione.
È una rabbia che guarda in avanti.
“Sai Zagreus,” ci vogliono un paio di tentativi, ma Orfeo riesce ad evocare un’ombra di sorriso sulle labbra spettrali. “È una vergogna che nessuno abbia ancora composto canti su di te. Di certo meriteresti la fama eterna molto più di quel vanaglorioso di Teseo.”
Il principe si lascia andare a una risata liberatoria: “Servirebbe un cantore davvero esperto per trasformare la mia sfilza di morti obbrobriose in un poema degno di qualche considerazione. Peccato che il migliore si sia ritirato dalle scene, a quanto ne sappia.”
Contrariamente alle aspettative di Orfeo il sorriso non si spegne. Anzi, si allarga. Forse riprendere la lira potrebbe essere davvero il modo per dare pace alle sue mani inquiete. E ai suoi pensieri.
“Chissà. Gli artisti dopotutto sono noti per essere incostanti.”

  
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