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Autore: ValePeach_    18/10/2021    2 recensioni
Inghilterra, 1826
Quando la sorella maggiore ed il marito decidono di partire per una stravagante quanto inaspettata luna di miele in Italia e di mandare la giovane Camille al nord per tenere compagnia ad un suocero che odia qualsiasi tipo di contatto con la società ed una zia bisbetica molto più affezionata ai suoi amati gatti che alle persone, con grande sconforto inizierà a pensare che la sua vita sia finita.
Stare lontana da Londra e dal ton è quanto di peggio le potesse capitare e tutto ciò che spera è di tornare presto alla normalità. Ancora non sa, però, che anche la tranquilla e monotona vita di campagna può riservare svolte inaspettate… e fra l’arrivo dell’insopportabile quanto affascinante John Mortain e l’accadimento di un omicidio che la vedrà inaspettatamente coinvolta, inizierà a pensare che, forse, una vita anonima non era poi tanto male.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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PROLOGO

 


 
Inghilterra, Cumbria – 1825
 


 
La primavera era finalmente arrivata.
La si poteva sentire nell’aria piena di profumi, vedere nelle giornate che lentamente si allungavano e nella tenue brezza che arrivava a scaldare le mattine dopo le rigide temperature invernali.
Da che Camille ricordasse, aveva sempre amato la primavera. E non solo perché i suoi occhi si riempivano di colori tenui e tinte pastello, ma perché marzo significava il ritorno alla vita mondana di Londra. Madri e figlie, nubili, debuttanti e persino le vedove facevano il loro rientro in città per prepararsi al meglio alla nuova stagione, che sarebbe ufficialmente iniziata ad aprile con l’apertura dei teatri.
Un mese.
Sicuramente infinito per le zitelle e le fanciulle meno abbienti, per lei invece sarebbero stati giorni intensi passati nei salotti delle signore a prendere il tè, pomeriggi sfrenati di acquisti nelle boutique di Oxford Street e mattine fatte di succulenti pettegolezzi sugli scapoli più ambiti di Londra. E poi le serate a teatro, le feste, i balli… quell’anno aveva addirittura ricevuto l’invito per presenziare ad ogni soirée organizzata da Almack’s! E poco le importava se era stato possibile solo grazie al matrimonio di sua sorella Heather con Jamie Mortain, secondogenito di un visconte e proprietario della prospera tenuta di Hollybrook, nel Devonshire. Finalmente nessuno l’avrebbe più vista come una banale ereditiera priva di titoli, ma un’ereditiera con il figlio di un visconte e appartenente ad una delle casate più antiche e rispettabili d’Inghilterra pronto ad intercedere per lei. Sarebbe stato uno scherzo trovare pretendenti adeguati e arrivare ad avere un matrimonio pari a quello della sorella.
Santo cielo, e lei? Lei costretta a rifiutare il gentile invito delle patronesse e soprattutto della duchessa di Stirling a presenziare al ballo che avrebbe sancito l’inizio della stagione e che l’avrebbe messa in vista di fronte al fior fiore della nobiltà ed alta borghesia.
Le venne da piangere al solo pensiero. E mentre cercava di trattenersi dal fare un’altra scenata, poteva quasi udire sua sorella, quell’amabile cospiratrice, che l’ammoniva sul fatto che ormai era una giovane donna e che fare lacrime di coccodrillo non l’avrebbe di sicuro aiutata.
Non poteva che darle ragione. Non era infatti delle lacrime che aveva bisogno, ma di qualcuno che le dicesse che quello era un incubo e che bastava darsi un pizzicotto per svegliarsi. Camille in quelle settimane di pizzicotti se ne era dati parecchi, si era fatta venire persino due lividi sulle braccia, eppure era sempre sveglia.
Quella, purtroppo, era la realtà.
Dopo il periodo passato in campagna nella tenuta di Jamie e i mesi invernali a Bath, di fatto lei la nuova stagione londinese non l’avrebbe vista nemmeno col binocolo.
Nervosa sospirò, non potendo fare a meno di chiedersi cosa il futuro le avrebbe riservato.
Cosa avrebbe trovato una volta arrivata a Lodgewood?
Parlarne con amiche e conoscenti non era servito. Tutti l’avevano compatita e le avevano ripetuto che il nord non era altro che un posto pieno di campagnoli maleducati, fanciulle nubili decadute in disgrazia, commercianti senza un briciolo di cultura e nobiluomini tirchi e poco avvezzi ai divertimenti… non certo le parole che sperava di sentire per avere un minimo di incoraggiamento.
Jamie Mortain, nonostante le sue continue domande, non aveva sprecato troppe parole per descrivere i luoghi in cui era nato e cresciuto. Le aveva solo detto che, indipendentemente dalle chiacchiere da salotto, il viscontado di Lodgewood era un posto magico, dove la collina e la brughiera si univano per dare vita a scenari paesaggistici mozzafiato. Nulla sfortunatamente menzionava riguardo le persone e quello, tenendo conto delle informazioni ricevute, non la faceva sperare in meglio. Insomma… se Jamie aveva trovato una moglie lontana miglia e miglia dalla Cumbria un motivo ci sarà pur stato.
Inutile dire che anche a lei sarebbe piaciuto innamorarsi come era successo a Jamie ed Heather; sentire il famoso sfarfallio allo stomaco di cui parlavano i libri ed essere baciata esattamente come Lancillotto aveva baciato Ginevra, sei pagine di romanzo se ben ricordava, ma ogni sua speranza di incontrare l’uomo perfetto era volata all’aria nel momento in cui i due novelli sposi avevano deciso di partire per una stravagante e alquanto insolita luna di miele in Italia e le avevano imposto di passare quel tempo in cui loro sarebbero stati impegnati a viaggiare e a divertirsi nel viscontado al nord. Lasciarla sola a Londra sarebbe stato disdicevole e siccome gli unici parenti che avrebbero potuto prendersi adeguatamente cura di lei erano il visconte di Lodgewood Vincent Mortain, padre di Jamie, e zia Olivia Shaw, contessa di Claystone e sorella di Vincent, che da anni non andavano in città e che mai ci sarebbero tornati solo per permetterle di partecipare alla stagione, era stato deciso che Camille sarebbe andata da loro.
Quando le era stata riferita la tragica notizia era rimasta in collera con Heather per due intere settimane. Si era chiesta di continuo perché di punto in bianco non la volessero più, ma scervellarsi non era servito. Il motivo infatti era molto semplice: il matrimonio. Heather e Jamie erano convolati a nozze da più di sette mesi, ma essendo loro orfane sin da bambine e non avendo Camille alcuna intenzione di stare in compagnia del cugino ereditario e tutore, sir Anthony Kensington, e della di lui moglie e figlie, stava sempre in mezzo ai due sposini, impedendo loro di stare soli e di scoprire ogni sfaccettatura della vita matrimoniale. Era normale che volessero i loro spazi e lei nel loro grande viaggio sarebbe stata di troppo. I due avevano tentato di dirglielo usando mille e più scuse, ma la verità non la si poteva cambiare e quindi aveva dovuto accettare il suo destino senza fiatare.
«Camille, posso permettermi di darvi un consiglio?» domandò Jamie dall’altro lato della carrozza.
Siccome Heather era troppo impegnata ad organizzare le tappe del viaggio aveva preferito rimanere in città, così il genero era l’unica compagnia che aveva avuto a disposizione negli ultimi quindici giorni. Quanto alla chaperonne che avrebbe dovuto seguirla, la povera signora Carson si era presa l’influenza a metà strada e non era stato possibile per lei ripartire o per loro fermarsi troppo a lungo. Con lei era rimasto il valletto di Jamie, che l’avrebbe prontamente riportata a casa una volta guarita.
«Dite.»
«Dovreste cercare di sorridere almeno un pochino, non è da voi fare quei musi lunghi» disse gentilmente. «So che non siete contenta di essere qui, ma non sarà una tortura come credete… vi piacerà Lodgewood e sono sicuro che non rimpiangerete né Londra né il Devonshire» concluse, ma quelle parole non la rincuorarono affatto.
In realtà non era triste come poteva sembrare, quanto più arrabbiata e delusa.
Non pensava di recare un sì forte disturbo alla giovane coppia tanto da spingerli a mandarla via. Era stata Heather stessa a volerla con sé: diceva che avevano passato abbastanza tempo insieme a quell’arpia di Margareth Kensington e che mai più l’avrebbe mandata a casa dal cugino Anthony, quindi perché ora non andava più bene? D’accordo, forse qualche volta i suoi comportamenti erano un po’ esagerati e al ballo di Natale di Bath aveva rischiato di far scoppiare uno scandalo quando si era appartata con l’avvenente e giovane Malcolm Bennett desiderosa di ricevere il suo tanto agognato bacio, ma alla fine non dava fastidio a nessuno.
Forse però Jamie aveva ragione: Lodgewood era una tenuta di campagna proprio come Hollybrook ed era abbastanza vicina alla città di Windermere da permetterle di non perdere l’abitudine a partecipare ad incontri e balli serali. Certo non sarebbe stato Almack’s, ma avrebbe dovuto accontentarsi.
«Cercherò di non buttarmi troppo giù» disse, rinvigorita da quei pensieri. «Ora che ne pensate di una partita a lotto reale?»
Jamie si mise a ridere. «Cara Camille, una giovane donna di buona famiglia non dovrebbe giocare d’azzardo.»
«Se è per questo, una giovane donna di buona famiglia e per di più nubile non dovrebbe nemmeno viaggiare con un uomo sposato… specialmente se non accompagnata.»
«Touché» esclamò il cognato. «Povera signora Carson, spero si rimetta presto. Era evidente che non aveva l’età per affrontare un simile viaggio e scomodità.»
«Io mi preoccuperei piuttosto delle sorti del vostro valletto. Lo avete lasciato da solo in balia di una signora Carson febbricitante e in preda all’ira per aver abbandonato la sua pupilla proprio ora che aveva più bisogno di lei… temo che al vostro ritorno dovrete trovarvi un nuovo servitore.»
«Ora siete cattiva» sorrise, pensando che quell’atteggiamento civettuolo e fatto di risposte pronte di Camille erano la prima cosa che aveva notato dopo averla conosciuta.
Se la sua Heather era riservata e non molto incline a mostrare le proprie emozioni, la più piccola non aveva troppi peli sulla lingua e forse era stato per quello che aveva suscitato tanto interesse a Londra e nei salotti. A lui però era bastato un giorno per capire che se anche in Camille prevaleva un carattere avventuroso e vivace, in realtà era ancora molto ingenua… oltre che testarda e viziata. Per la giovane età o per la vita protettiva che le avevano fatto fare non lo sapeva, ma non poteva negare di essere contento di non sentire più i suoi infiniti capricci. Un po’ gli era dispiaciuto dover ricorrere a quella soluzione, ma dopo averla trovata intenta ad amoreggiare apertamente con quel libertino, lui ed Heather non avevano visto altra maniera. Lasciarla a Londra da sola dopo quanto accaduto con Bennett era impensabile e portarla con loro sarebbe stato straziante, così avevano trovato l’espediente della tenuta al nord. Inoltre nessuno l’aveva mai punita abbastanza ed era arrivato per lei il momento di temprare il proprio carattere. Stare lontana da Heather e da qualsiasi altra distrazione le avrebbe fatto sol che bene.
«Ad ogni modo di giocare ora non ce n’è il tempo» continuò, vedendo che la giovane stava già tirando fuori le carte. «Abbiamo appena superato il lago, il che vuol dire che fra poco meno di un’ora saremo arrivati.»
«Allora, giacché non volete perdere ulteriore denaro, raccontatemi di Windermere» disse, sbirciando fuori dal finestrino della carrozza. «Non avete spiccicato parola sull’argomento da quando avete deciso di mandarmici, per cui ditemi: potrò contare sulla compagnia di qualche coetanea o devo aspettarmi solo pompose signore?»
«Non sono più stato nei salotti mondani di Windermere da quando avevo vent’anni, quindi non saprei dire… i nostri vicini però, i Ridder, hanno un figlio la cui moglie dovrebbe avere circa venticinque anni. Elisabeth, mi pare si chiami.»
«E zia Shaw? È veramente così antipatica come in molti a Londra la descrivono?»
«Sicuramente è una donna singolare, ma non è né antipatica né tantomeno cattiva. È sempre stata gentile con me e John, ci vuole molto bene. In più, dopo che i miei cugini si sono sposati è rimasta sola in quell’enorme palazzo… penso abbia solo bisogno di qualcuno con cui parlare, non sarà difficile andare d’accordo.»
«Se lo dite voi…» disse distratta, osservando la distesa di prati verdi che circondavano la tenuta dei Mortain. Ad Heather sarebbe senz’altro piaciuto, visto il suo amore smisurato per l’equitazione.
Quegli spazi sconfinati sembravano essere stati creati apposta per fare lunghe cavalcate. Peccato che lei, dei cavalli, avesse una paura folle. Tutta colpa della brutta caduta che aveva fatto a sei anni, quando il suo pony non si sa come si era imbizzarrito e lei era volata via rischiando di rompersi l’osso del collo. Il polso sinistro e il braccio destro se li era rotti lo stesso ed era stata costretta a letto per un mese a causa del grave trauma riportato. Era stato un inferno e lei aveva giurato che mai e poi mai sarebbe risalita su una di quelle bestie.
«Scommetto che il palazzo di Lodgewood è stato costruito su di un’antica fortezza» disse poi, cercando di togliere dalla mente le immagini di quello spiacevole episodio. «Ricorda tanto un paesaggio medievale.»
Jamie sorrise. «Sono sconcertato dal fatto che mettiate la parola scommettere in molte delle vostre frasi, ma avreste fatto bene: Lodgewood Abbey la chiamano i popolani. Un nome che incute un po’ di timore, non credete?»
«Certo» disse ironicamente. «E magari è infestata da spiriti maligni come ne “I misteri di Udolpho”.»
«Perché no? Ora avrete la possibilità di constatarlo voi stessa» disse Jamie, scostando la tendina e facendole segno di avvicinarsi. «Benvenuta a Lodgewood, signorina Grey.»
In un lampo tutti i pensieri di Camille scomparvero, troppo curiosa di vedere come fosse la sua futura casa. Si avvicinò quindi al finestrino e senza troppe cerimonie lo aprì, mettendo il capo fuori e assaporando l’aria fresca che sapeva di faggi e castagni, oltre che di un vago sentore di fumo proveniente dai camini del palazzo.
Ed eccolo là infatti. Appena superato l’ultimo tratto di bosco in salita, il paesaggio si aprì sull’antica abbazia. La giovane rimase a bocca aperta. Poco prima aveva detto che l’ambiente le ricordava l’epoca medievale che tanto spesso veniva descritta nei libri, ma mai avrebbe pensato di ritrovarcisi dentro.
La struttura era molto simile al castello di Tintagel, tutta costruita in pietra e composta da cinque piani. Aveva poi un’antica forma quadrangolare, compresa di quattro grandi torri e altrettante torrette lungo i camminamenti. Il palazzo seicentesco di North Hams non era nulla in confronto a quello.
«È magnifica» disse entusiasta, osservando affascinata ogni più piccolo dettaglio: dalle sfumature rosse che il sole creava sulle pietre, alle torri che dà così breve distanza sembravano tanto alte da toccare le nuvole, fino ai resti di quello che era stato il fossato.
«Sono contento che vi piaccia.»
«È tutto così romanzesco! E non oso immaginare come sarà dentro…»
«Bè, ora non aspettatevi di trovare arazzi, paglia sul pavimento e cavalieri in armatura. Certo all’esterno è rimasto come secoli fa, ma all’interno è tutt’altra cosa. Mio padre e mio nonno prima di lui si sono dati un gran daffare per renderla un’abitazione moderna e confortevole e sebbene la parte ovest conti ancora del mobilio più vecchio, l’ala est e sud godono di tutte le comodità… abbiamo anche una sala da ballo due volte più grande di quella della contessa di Delaford.»
«Dite sul serio?»
«Assolutamente… può ospitare quasi cento persone, che possono smistarsi nel salone e nella grande sala da pranzo. Ricordo che mia madre organizzava sempre il ballo di fine anno… era un grande avvenimento, atteso da tutta la buona società della zona.»
«Posso crederlo senza problemi» disse, mentre Jamie apriva lo sportello e scendeva dalla carrozza. Poi le tese una mano sorridendo.
Camille fece un respiro profondo e non appena mise piede a terra e alzò lo sguardo verso l’entrata del castello, si sentì come una principessa che veniva accolta nel suo nuovo palazzo. Perché a parte lord Vincent Mortain che aveva già conosciuto in occasione del matrimonio di Heather, insieme a lui c’era tutta la servitù: il maggiordomo, la governante, il valletto, tre camerieri, un numero indefinito di cameriere e sicuramente gli altri uomini presenti dovevano essere i giardinieri, i cocchieri e lo stalliere. Tutti si inchinarono a lei e Camille riuscì a stento a trattenersi dal pavoneggiarsi. Se solo ci fossero state la cugina Margareth e figlie a vederla in quel momento… sarebbe stata la più grossa soddisfazione della sua vita vederle diventare viola dall’invidia. Ma naturalmente quell’attimo di gloria durò appunto un attimo, siccome le attenzioni di tutti si focalizzarono su…
«Jamie! Benvenuto!» disse infatti Vincent, abbracciando il figlio battendogli le mani sulla schiena.
La giovane lasciò loro il giusto tempo per salutarsi.
Fu contenta di trovare l’anziano visconte in forze e salute come lo ricordava. Jamie si era detto molto preoccupato per il fatto che si potesse sentire solo e per gli acciacchi dell’età, ma a Camille non sembrava affatto il vecchio bisognoso di attenzioni che le avevano dato a pensare. Perché a parte la calvizie accentuata, la barba bianca e le rughe attorno agli occhi non c’era niente in Vincent Mortain che facesse pensare ad un uomo bisognoso di cure. La schiena era ancora perfettamente diritta, il corpo tonico nonostante i sessantasette anni e gli occhi azzurri erano luminosi e contenti. Probabilmente quella di farlo passare per moribondo era stata l’ennesima scusa per farla andare via da Londra.
«E benvenuta anche a voi, cara signorina Grey» disse poi con un sorriso. «Sono così contento che siate qui… spero che il viaggio non sia stato troppo estenuante.»
«Solo un pochino milord, ma vostro figlio è stato di ottima compagnia… e vi prego, preferisco Camille» rispose gentilmente.
«Molto bene, Camille… allora voi dovete chiamarmi zio Vincent. In fondo si può dire che siamo quasi parenti, se non proprio zio e nipote. Inoltre abiteremo sotto lo stesso tetto, per cui togliere le formalità servirà ad eliminare l’imbarazzo odierno e futuro.»
Camille lo ringraziò, dopodiché furono invitati ad entrare.
A quel punto, con suo enorme sconcerto, lei divenne come un vero e proprio fantasma. Cercò di stare dietro ai discorsi dei due uomini presenti fin tanto che parlarono di Heather e dell’imminente viaggio, ma quando cominciarono a discutere di riforme agrarie, libri contabili e della tenuta, non le restò altro che il silenzio.
Che maleducati. Escluderla da qualsiasi tipo di conversazione non era per niente decoroso. Avrebbe potuto aspettarselo da Vincent, ma non da Jamie. Quando poi la cameriera le porse la tazza di tè mettendole lo zucchero senza chiederle se magari gradisse invece del latte, Camille capì che tutte le chiacchiere sull’ospitalità e le attenzioni degli uomini del nord erano appena state confermate.
Sconsolata osservò il vassoio di pasticcini sul tavolino e ne prese uno. Dopo poco ne prese un altro e poi un altro ancora, mentre i due continuavano a parlare come se lei non esistesse.
Prese un altro pasticcino.
Maledizione… se d’ora in avanti le sue giornate sarebbero state come quella, la sua dieta ne avrebbe sicuramente risentito.
Sperava con tutta sé stessa di sbagliarsi, ma più i minuti passavano e più capiva che quella anziché una vacanza, come l’aveva chiamata Heather, sarebbe stata una lenta, agognante e dolorosa tortura.






NOTE:
Ciao a tutti! Questa è la prima storia che pubblico e spero tanto che vi piaccia! Si tratta di un romance storico, per questo ho deciso di inserirlo in questa sezione... gli eventi storici fanno solo da sfondo, non verranno trattati. Il rating per il momento ho messo arancione, ma potrebbe cambiare.
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate.
Grazie a chiunque troverà qualche minuto per leggere.

Vale
   
 
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