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Autore: ChiiCat92    18/10/2021    1 recensioni
[...] "Alla fine ce l’aveva fatta, quell’uomo l’aveva picchiato a tal punto che non sarebbe riuscito ad alzarsi, ma almeno sarebbe morto nel suo posto preferito.
Sotto le fondamenta della casa, in una nicchia scavata nella terra, riempita con le cose a lui più familiari. I giocattoli, quelli che era riuscito a salvare dalla furia omicida del (mostro) padre, una coperta di lana morbida come il manto di una pecora, un cuscino, un orsacchiotto con un occhio solo: i suoi tesori più grandi." [...]
Questa storia partecipa al Writober indetto da Fanwriter, pumpWORD list, prompt #10 "Latibulum"
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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12/10/2021



 

Il corpo urlava, le ferite tiravano, sangue si incrostava sulla pelle arrossata.

Ma era calmo, tiepido, soffice. 

Niente aveva importanza se non la sensazione della testa sul cuscino, il calore e l’odore di umidità intorno a lui. 

Tra i fasci di luce che trapassavano le assi del pavimento sopra di lui poteva vedere granelli di polvere ondeggiare in una danza sincopata, affascinante ai suoi occhi.

Di tanto in tanto, marziali, i passi dell’uomo che aveva chiamato papà risuonavano come tamburi, e lui si irrigidiva per la paura. Poi, però, passava oltre, cercandolo con spasmodico bisogno senza sapere che si trovava sotto i suoi piedi, nel posto più sicuro del mondo. 

Avrebbe voluto avere la forza di urlarglielo, far sentire la propria voce fuoriuscire dal pavimento, disincarnata come uno spirito: non puoi più farmi del male. 

Questa volta, lo sapeva, non sarebbe riuscito ad alzarsi da lì.

Era troppo stanco, c’era troppo dolore, e soprattutto non aveva senso.

Perché lasciare che le ferite guarissero se quell’uomo, poi, le avrebbe riaperte? 

Perché lasciarsi colpire fino a perdere il respiro per poi rannicchiarsi nel suo nido se poi doveva abbandonarlo? 

Era stanco.

Non aveva lacrime da piangere, dal suo corpo fluiva solo sangue e sudore, i pantaloni erano bagnati di urina.

Alla fine ce l’aveva fatta, quell’uomo l’aveva picchiato a tal punto che non sarebbe riuscito ad alzarsi, ma almeno sarebbe morto nel suo posto preferito.

Sotto le fondamenta della casa, in una nicchia scavata nella terra, riempita con le cose a lui più familiari. I giocattoli, quelli che era riuscito a salvare dalla furia omicida del (mostro) padre, una coperta di lana morbida come il manto di una pecora, un cuscino, un orsacchiotto con un occhio solo: i suoi tesori più grandi.

Non aveva abbastanza consapevolezza di se stesso e del mondo intorno a lui per capire che quello non era il modo giusto di morire per chi aveva vissuto così poco, che a sette anni non si doveva temere per la propria vita, che non si doveva aver paura del proprio padre. Ma non conosceva altro, non aveva mai visto altro, e da che ricordava c’era solo stato dolore. 

Il giorno si accendeva di colori sgargianti quando lui lo picchiava, e la notte si riempiva di singhiozzi e lamenti. 

All’inizio qualcuno aveva chiesto come mai fosse sempre coperto di lividi, addirittura era venuta della gente a casa sua per controllarlo, lui ricordava le sirene, la concitazione del padre, e le botte che erano seguite.

Poi le visite erano diminuite, insieme con l’interesse per la sua esistenza.

Alla fine era rimasto da solo con il (mostro) padre.

Ma quantomeno aveva scoperto il rifugio sotto la casa, le cose erano migliorate da quando aveva cominciato a rannicchiarsi lì sotto. Aveva trovato il tempo per guarire, e per rimettere insieme i pezzi di se stesso.

Solo che, stavolta, non ce l’avrebbe fatta.

Non gli dispiaceva, non gli dispiaceva perché non riusciva a provare niente. Anche il dolore era diventata una sensazione lontana, pulsante, vaga, come il lampeggiare delle stelle nel cielo in una notte tersa. 

Ah, a proposito di stelle, gli sarebbe piaciuto se il nero dietro le palpebre fosse stato trapunto di stelle, avrebbe avuto qualcosa da guardare mentre si addormentava.

I passi di suo padre (del mostro) passarono ancora una volta sopra la sua testa. Lui si rannicchiò un po’ di più, ignorando l’urlo mostruosamente cigolante del proprio corpo. 

Ma così com’erano venuti se ne andarono, lasciandolo di nuovo al caldo e al sicuro.

Non avrebbe scoperto quel posto segreto, era troppo grosso e goffo per infilarsi nelle fondamenta della casa, probabilmente non sapeva neanche che c’era spazio sufficiente per qualcosa che non fossero topi o procioni lì sotto. Non aveva idea di tante cose. 

Chiuse gli occhi, per non riaprirli, ne aveva abbastanza.

Immaginò lucciole colorate e fuochi d’artificio, immaginò caramelle, giocattoli, immaginò di essere un posto magico, di sprofondare nel terreno per attraversare un portale per un altro mondo.

A piccoli granelli, come sabbia in una clessidra, la coscienza lo abbandonò. Sospirò di sollievo e la vita abbandonò il suo corpo. 

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The Corner

Scusate, sto veramente provando a rimanere in pari con il Writober ma ormai sono cronicamente indietro. Sto pubblicando il prompt del decimo giorno ma oggi è 18...
Perdonatemi.
E perdonate anche l'assenza di fanfiction in questo Writober, ma per qualche ragione sono più ispirata a scrivere cose "original", se così si possono chiamare.
Oh, sì...perdonate anche la sofferenza. 

Chii
   
 
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