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Autore: FairyCleo    18/10/2021    1 recensioni
Dal capitolo 1:
"E poi, sorprendendosi ancora una volta per quel gesto che non gli apparteneva, aveva sorriso, seppur con mestizia, alla vista di chi ancora era in grado di fornirgli una ragione per continuare a vivere, per andare avanti in quel mondo che aveva rinnegato chiunque, re, principi, cavalieri e popolani".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L'errore più grande

Trunks era terribilmente stanco e irritato. Non ne poteva più delle continue domande di Goten, così come non tollerava più i suoi continui sguardi da cane bastonato. Il dover continuamente guardarsi le spalle, poi, sia dal quaderno che da chi voleva entrarne in possesso, lo aveva sfinito sia mentalmente che fisicamente. Da quando aveva deciso di portarlo sempre con sé, sembrava che chiunque ne venisse irrimediabilmente attratto.
Si sentiva solo, incompreso e spaventato. Era impossibile non notare come gli altri lo guardassero: ai loro occhi – soprattutto a quelli di suo padre – doveva sembrare un alieno o un pazzo fuggito da un manicomio. Sapeva di aver assunto un comportamento indegno, di essere scontroso, intrattabile, ma non sapeva come altro fare per tenere tutti lontano da quella fonte di guai… Non sapeva come altro fare per tenere tutti al sicuro.
In cuor suo, però, sapeva che avrebbe dovuto dare una spiegazione a chi aveva dimostrato più di tutti di volergli stare accanto. Odiava essere così altalenante nelle scelte, di essere diventato uno di quelli che gli adulti definivano “bipolare”, un tipo da manicomio, ma era cosciente di essere un bambino uguale a tutti gli altri, e di non avere alcun potere, né fisico, né decisionale.
Dopo tutto quel tempo, Trunks aveva cominciato a pensare che se avesse spiegato le cose per come stavano, forse avrebbe davvero potuto fare qualcosa per riportare le cose com’erano una volta. Non tanto per se stesso, ma per suo padre… Ammesso che ci fosse ancora qualcosa di Vegeta nell’uomo che li sfamava e li metteva a letto ogni notte.
Dopo aver riflettuto a lungo, dopo aver ponderato il da farsi come solo un bambino della sua età avrebbe – ahimè – potuto fare, aveva colto Goten di sorpresa, scegliendo di metterlo finalmente al corrente del pericolo che avevano corso e continuavano a correre a causa di una serie di decisioni errate compiute da entrambi.
In un primo momento, il piccolo Son si era rallegrato nel vedere che finalmente suo fratello sembrava averlo accolto di nuovo nella sua vita: aveva deciso di confidarsi con lui, di fare luce sulla faccenda e di metterlo al corrente della pericolosità del quaderno, ma poi… Poi, qualcosa non era andata come aveva sperato o creduto, perché Trunks sembrava continuare a incolparlo della situazione in cui si trovavano, e lui proprio non riusciva a capire per quale assurdo motivo lo stesse facendo e perché diamine dovesse dipendere tutto – ma proprio tutto – da lui.
 
“Trunks, se mi avessi parlato prima del quaderno, io avrei capito tante cose… Avrei potuto aiutarti…”.
“Non ne sono tanto sicuro”.
“Sei ingiusto nel dire queste cose… Sai che farei di tutto per voi… Siete la mia famiglia”.
“Oh, Goten, ma per piacere! Ti avevo detto di non fidarti. Doveva essere sufficiente il mio avvertimento, no?”.
“Sì, ma…”.
“Ma il danno ormai è fatto”.
“Secondo me, qualcosa si può ancora fare”.
“Ovvero?”.
 
Ovviamente, non aveva ricevuto alcuna risposta.
 
*
 
“NON DOVETE USCIRE DA CASA”.
Se avessero chiesto ai bambini di descrivere il proprio padre in un tema, nessuno avrebbe avuto dubbi sul fatto che sarebbe stato paragonato a un povero sventurato scappato chissà come da un istituto di igiene mentale. Aveva gli occhi infossati ma terribilmente vigili e l’aria emaciata… Per farla breve, il suo aspetto era a dir poco spettrale.
 
“Da questo momento in poi, dovete uscire solo per andare a scuola e ritornare a casa, intesi? Non fate obiezioni e non fatemi pentire di non avervi incatenato in cantina, chiaro?”.
“Abbiamo una cantina?”.
“TSK! Goten, non è questo il punto! Per qualche strana ragione, qualcuno di nostra conoscenza sembra essere vicino. Molto, molto vicino, per l’esattezza, e so di per certo che non è qui per una visita di piacere”.
“Papà, mi stai spaventando. Ma si può sapere di chi stai parlando?”.
 
Vegeta aveva scostato la tendina dalla finestra e guardava fuori con evidente agitazione. Cosa avrebbe mai potuto scorgere nel buio, proprio non erano riusciti a capirlo, ma la sua agitazione era palpabile e soprattutto era contagiosa.
 
“Pap…”.
“Si tratta di tuo padre” – aveva detto, lapidario, interrompendo un Goten diventato bianco come un cencio – “Goku è tornato dopo tutto questo tempo. E, a questo punto, proprio non capisco perché”.
 
*
 
Prendere sonno era stato impossibile, non dopo ciò che aveva confessato loro Vegeta, non dopo ciò che avevano dovuto, loro malgrado, metabolizzare.
Goten era sconvolto: continuava a rigirarsi nel letto in preda all’ansia, ai sensi di colpa, al timore che tutto potesse precipitare da un momento all’altro. Suo padre, il suo vero padre, era tornato.
Ma perché? E perché proprio adesso? Porre quelle domande a Vegeta non aveva fatto altro se non farlo innervosire e, di rimando, far innervosire anche Trunks che, però, sembrava meno sorpreso di quanto avesse voluto far intendere.
Le sue mani sudavano e il cuore batteva all’impazzata. Il ricordo della perdita di sua madre aveva ricominciato a tormentarlo, e il terrore di rimanere da solo lo aveva definitivamente annientato. Se li avesse trovati, se Goku fosse arrivato fino a lì, che cosa sarebbe accaduto? Non poteva saperlo, ma un’idea malsana aveva cominciato a prendere piede nella sua mente di bambino, quella di interrogare l’unico capace di dare una risposta a quel quesito. Trunks, però, gli aveva fatto giurare di non fare più sciocchezze: gli aveva spiegato che di quell’essere non ci si potesse fidare, che lo aveva ingannato, che era un pericolo, però… Però, se ci pensava bene, alla fine aveva salvato Vegeta. Sì, se non fosse stato per lui, come avrebbero fatto a tirarlo fuori dalla prigione? Aveva esaudito un suo desiderio… E non aveva chiesto nulla in cambio, al contrario di ciò che aveva detto Trunks. Che il suo amico gli avesse mentito? Che lo avesse fatto per essere l’unico a poter usare quel tesoro così prezioso? Ma no, non poteva essere.
Non poteva essere e basta.
 
*
 
Accettare ciò che gli stavano mostrano i suoi occhi era stato più doloroso di cento pugnalate in pieno petto. Lo aveva avvisato il giorno prima, gli aveva chiesto di non mettere mai più neanche gli occhi su quell’affare di cui si era ritrovato unico custode al modo, e lui cosa aveva fatto? Non solo non gli aveva dato ascolto, ma gli aveva spezzato il cuore.
Trunks era impazzito nel vederlo seduto sul pavimento, con in mano una penna, che vergava a grandi lettere parole dal significato inequivocabile. Come aveva potuto farlo? Come aveva potuto venire fede a quel tacito patto in meno di un giorno?
La rabbia e la frustrazione avevano preso il sopravvento e lui, a quel punto, non aveva più avuto alcuna remora e lo aveva aggredito come una furia, neanche avesse recuperato i poteri che gli erano stati sottratti.
Così grande era stata la rabbia provata, però, che non aveva dato a Trunks il tempo di rendersi conto che Goten non fosse veramente in sé, che il suo sguardo fosse vacuo, che i suoi movimenti fossero simili a quelli di un burattino mosso da fili invisibili, fili spezzati nello stesso istante in cui lo aveva atterrato, allontanandolo dall’oggetto dei quel contezioso.
 
“Perché devi sempre comportarti in questo modo? Mi fai male! LASCIAMI!”.
“TI HO DETTO CHE NON DEVI TOCCARE LE MIE COSE! LO VUOI CAPIRE O NO?”.
“Ma io non ho fatto niente! Mi stai facendo male! Ahia! LASCIAMI HO DETTO!”.
“GIURO CHE STAVOLTA TI FACCIO MALE SUL SERIO! SMETTILA DI PRENDERE CIÓ CHE È MIO! SMETTILA!”.
“CHE DIAMINE STA SUCCENDO QUI DENTRO?!”.
 
Era appena rientrato dopo una giornata di lavoro. Era stanco, spossato, aveva anche dovuto fare la spesa al mercato, e quello che l’aveva accolto una volta varcata la soglia di casa era stato uno spettacolo a dir poco penoso. Aveva percorso gli ultimi metri che lo separavano dalla porta della sua casa correndo, prospettandosi il peggio.
Che li avessero trovati? Che avessero provato a fare del male al bambini per sapere dove fosse lui? Per la miseria, quante volte avrebbe dovuto urlare a squarciagola di non sapere dove fosse?
 “CHE COSA STA SUCCEDENDO QUI DENTRO?”.
Lo aveva urlato senza pensare, tanto grandi erano i suoi timori. Aveva pensato che, una volta varcata la soglia di casa, si sarebbe trovato davanti a una scena inenarrabile, che sarebbe stato aggredito a sua volta proprio come era accaduto ai suoi bambini. Si era preparato al peggio, insomma, per poi rendersi conto solo in seguito di quello che si era effettivamente presentato davanti ai suoi occhi stanchi.
Trunks aveva atterrato Goten, e lo stava schiacciando con il proprio peso, tenendolo stretto per i capelli. Era livido di rabbia, sembrava avere gli occhi iniettati di sangue, e aveva tirato fuori un vigore che non mostrava da tempo. Goten, al contrario, giaceva sotto di lui, in lacrime, con il principio di un livido sotto l’occhio destro e il segno di un morso sulla guancia sinistra. Accanto a loro, sul pavimento, c’era un quaderno, aperto, sgualcito e scarabocchiato in più punti. Non c’era voluto molto affinché Vegeta capisse quale fosse il reale motivo di quegli schiamazzi.
“Snif!” – Goten aveva tirato su col naso, cercando di non mostrare le lacrime a un Vegeta apparentemente impassibile ma visibilmente scosso per l’accaduto. Trunks, orgoglioso e caparbio, aveva continuato a sottomettere Goten, guardandolo con odio.
“Lascia andare Goten. Adesso”.
Non aveva obbedito immediatamente, mostrando apertamente l’animo ribelle che aveva tirato fuori con tutti, nell’ultimo periodo, tranne che con suo padre.
“Trunks: ubbidisci”.
Il tono imperativo di Vegeta, però, non gli aveva lasciato molta scelta, obbligandolo a mollare la presa sul mezzo-saiyan più piccolo che, dolorante e scosso, si era rimesso in piedi a fatica, massaggiandosi la guancia con delicatezza e abbassando lo sguardo per non lasciar trasparire la vergogna che provava in quel momento.
 “Ve-Vege…”.
Goten non aveva osato proseguire. Il saiyan era scosso da tremiti incontrollabili, e solo quando aveva gettato il capo all’indietro per prendere aria si erano effettivamente resi conto che stesse trattenendo a fatica lacrime bollenti di rabbia, delusione, ma anche di sollievo.
“Pensavo che vi stessero facendo del male” – aveva detto, con voce tremante – “Pensavo che fossero venuti qui a prendervi”.
Trunks aveva abbassato la testa e aveva infilato le mani in tasca, continuando a mantenere un’aria sprezzante. Non era colpa sua se Goten lo aveva fatto andare su tutte le furie, no?
Goten aveva nascosto il viso tra le mani, scoppiando a piangere dalla vergogna e dal dispiacere.
“Mi-mi dispiace… Tanto… Ti chiedo scusa” – glielo aveva detto tra un singhiozzo e un altro, accasciandosi sul pavimento e rifiutandosi di mostrargli il viso. Era tutto così imbarazzante, così umiliante, così assurdo. Non sapeva perché Trunks lo avesse aggredito. O meglio, lo sapeva, ma non riusciva a spiegarsi il perché delle sue azioni, il perché avesse preso il quaderno e lo avesse usato nonostante le centinaia di raccomandazioni, non capiva perché avesse tradito il suo amato fratellino. Voleva solo tornare indietro, Goten, voleva solo che tutto quello finisse. Ma le cose stavano solo andando avanti, e lo stavano facendo nel peggiore dei modi, perché aveva come il sentore di aver fatto qualcosa di tremendamente sbagliato e stupido, di aver solo accelerato l’inizio della fine.
Trunks lo odiava, e forse, forse anche Vegeta aveva iniziato a provare sentimenti di repulsione nei suoi riguardi. La cosa peggiore, però, era che ne aveva tutto il diritto, perché era colpa sua. ERA SOLO COLPA SUA.
 
*
 
Erano trascorsi giorni da quella lite inspiegabile, e la situazione non aveva fatto altro se non peggiorare. Goten scoppiava a piangere senza un motivo apparente, era sempre triste, solo, depresso, e si rifiutava di mangiare. Trunsk, al contrario, era diventato irascibile e sprezzante, era intrattabile, e solo a quel punto Vegeta aveva compreso quanto fosse difficile rapportarsi con una persona che sfoggiava il suo stesso carattere da grandissimo spocchioso pezzo di cretino intergalattico.
Era troppo stanco per pensare alle sciocchezze dei ragazzi, troppo spossato per accollarsi altri problemi, ma proprio non riusciva a farsi andare bene il fatto che non ci fossero l’uno per l’altro.
 
“Cazzo, come sei ridotto male…”.
 
Non aveva potuto non pensarlo, purtroppo per lui. Prima di quell’avventura che durava da un anno, e prima ancora, quando aveva accettato di essere padre e di restare sulla Terra a crescere e allenare quel marmocchio accanto alla madre, non avrebbe mai neanche potuto lontanamente immaginare di potersi un giorno preoccupare per i sentimenti che un moccioso provava verso un altro moccioso, e non uno qualsiasi, ma il secondogenito del suo più acerrimo rivale. Bulma avrebbe sorriso, nel vederlo così seriamente preoccupato, ne era sicuro. Il problema era che si sentiva un inetto: era praticamente impossibile per lui provare a farli riavvicinare, considerando che non sapeva da dove partire per instaurare un rapporto, figurarsi provare a ricucirne uno così pericolosamente incrinato.
Ma perché avevano litigato? Certo, per quanto fosse cieco, aveva notato diversi alti e bassi tra i ragazzi, in quel lungo periodo di cambiamenti, ma litigare per un quaderno… Che poi, da dove sbucava quel maledettissimo coso? Era certo di non aver comprato a Trunks un affare del genere – per la miseria, gli aveva solo dato un’occhiata e gli aveva fatto accapponare la pelle – allora come faceva ad averlo? E, soprattutto, perché era così importante?
Aveva spiegato loro i pericoli che correvano, gli aveva detto che con grande probabilità Goku si aggirava lì attorno e che i soldati e Leon continuavano a fargli strane domande e strane allusioni, come se avessero capito che tra loro c’era un qualche collegamento, quindi perché dividersi quando dovevano stare uniti? Certo, non riteneva quei bastardi abbastanza intelligenti da vedergli fare un serio accostamento tra Goten e il decerebrato di cui portava i geni, ma se fossero arrivati alla verità, a quel punto cosa avrebbe potuto fare per metterli in salvo?
 
“Una cosa alla volta, Vegeta. Pensa a una cosa alla volta”.
 
Si chiedeva se avesse mai potuto perdere quella fastidiosa abitudine di rivolgersi a se stesso in terza persona. Evidentemente, era quello che succedeva a chi trascorreva il proprio tempo in isolamento dal resto del mondo. Ma che dovesse pensare a una cosa per volta era più che mai chiaro.
Senza fare rumore, aveva raggiunto il capezzale dei bambini.
Dormivano dandosi la schiena, facendo ben attenzione a non sfiorarsi neanche per sbaglio. Era strano vederli così distanti. Era… Triste.
 
“TSK! Quanto ti sei rammollito… Vergognati”.
 
E forse, un po’ di vergogna avrebbe dovuto provarla, ma non per quel pensiero, bensì per via di qualcosa che aveva fatto poco dopo. Non sapeva neanche come ci fosse riuscito ma, nonostante il buio, aveva visto dove Trunks custodiva l’oggetto causa di quella lite memorabile.
Aveva provato a ignorare ciò che gli si era palesato, ma avrebbe solo dovuto fare piano, molto piano, e lo avrebbe sfilato da sotto il cuscino senza che ne accorgesse. Sì, doveva solo fare attenzione e lo avrebbe preso, scoprendo perché Trunks si rifiutava di condividerlo o mostrarlo. Ma sarebbe stato giusto? Ne aveva il diritto?
Probabilmente no, ma la mano era stata più veloce della testa, il corpo era stato più rapido del cuore e prima che potesse realmente accorgersene, si era ritrovato con il quaderno in mano.
Non poteva sapere che, nascosto nel buio, Leon lo stesse osservando. Non poteva sapere che, presto, quel gesto così innocente avrebbe causato letteralmente la fine del mondo.
 
 
Continua…

 
Ragazze/i,
Eccomi qui! Come avere trascorso il fine settimana? Spero bene!
Dunque, CAPITOLO DI PASSAGGIO.
Non so se lo avete notato, ma questo capitolo si lega a uno dei primi, primissimi che compongono questo scritto, quando facevamo avanti e indietro tra i due periodi temporali, tra “ieri” e “oggi”.
Tralasciando il fatto che la casa “reale” sembra essere ormai diventata quella di una sit-com per nulla divertente (porte che si aprono senza l’ausilio di una chiave, gente che entra senza salutare con tanto di battute a effetto), direi che ORA SONO DOLORI.
PORCA MISERIA, VEGETA, MA DOVEVI PROPRIO PRENDERE IL QUADERNO??
Sì, altrimenti non avremmo avuto il resto della storia, XD
Perdonate la pazzia della vostra autrice: l’età avanza e i suoi neuroni non svolgono più le proprie funzioni bene come un tempo.
A presto!
Un bacino,
Cleo

 
   
 
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