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Autore: alinxx    19/10/2021    0 recensioni
"Harry la conosci la leggenda del filo rosso?"
"No Lou di che parla?"
"E' una leggenda giapponese secondo la quale ognuno di noi nasce con un filo rosso legato al mignolo della mano sinistra. Questo filo ci lega indissolubilmente alla persona a cui siamo destinati. Il nostro grande amore, la nostra anima gemella.
Tu sei il mio filo rosso."
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sento un tonfo sordo provenire dal piano di sopra, come se qualcosa di pesante si fosse appena schiantato contro il pavimento e allarmato lascio cadere sul divano il libro che stavo leggendo-Il ritratto di Dorian Gray, uno dei miei libri preferiti-e salgo velocemente le scale a due a due per andare a vedere che cosa fosse successo.

"Ash? Abby? Tutto bene? Ho sentito un rumore. Cosa state facendo?"

Non faccio in tempo a salire l'ultimo gradino che mi ritrovo travolto da due bambine di sette anni tutte ricci e fossette che mi vengono incontro per abbracciarmi e riesco a fare giusto un passo in avanti prima di perdere l'equilibrio e farci cadere tutti rovinosamente al suolo.

"Papà guarda che cosa abbiamo trovato in soffitta."

"Lo sapete che non dovete andare lassù da sole, e se cadevate e vi facevate male? E poi cos'era quel rumore che ho sentito?"

"Oh niente solo Abby che è inciampata in un vecchio tappeto. Però guarda che cos'abbiamo trovato. Che cos'è? E' tua?"

Guardo la scatola che Ashley mi sta indicando e sento il cuore iniziare a battere sempre più veloce e a un ritmo decisamente irregolare.

Hanno trovato una scatola, la scatola.

La scatola contenente i ricordi di una vita che ormai mi sembrava troppo lontana, di una vita che aveva smesso di appartenermi, una vita che nonostante avessi lasciato solo nove anni prima mi sembrava che fosse passato il doppio del tempo, una vita che cercavo con tutto me stesso di dimenticare perché il ricordo era ancora troppo vivido nella mia mente, perché quella ferita non si era ancora rimarginata del tutto, perché continuava ad aprirsi e anche una volta che si richiusa ero sicuro che avrebbe lasciato un segno indelebile.

"Ti senti bene papà? Cos'è successo? Dobbiamo chiamare la nonna? Abby vai di sotto a prendere il telefono."

Mi ci vuole ancora un minuto per realizzare dove sono, per capire cos'hanno detto, per riuscire a trovare una scusa plausibile al perché fossi così sconvolto dal vedere una scatola di cartone piena di francobolli ormai ingiallita e rovinata dal tempo, per trovare una scusa plausibile da dare a me stesso sul perché dopo tutto quel tempo, dopo tutto quello che era successo, riusciva ancora a farmi provare le stesse sensazioni di dieci anni fa.

"No Abby non chiamare la nonna, sto bene, ho avuto solo un leggero capogiro. Andiamo di sotto così bevo un bicchiere d'acqua e vi preparo anche qualcosa da mangiare per merenda, d'accordo?"

"Però papà puoi dirci cosa c'è dentro quella scatola? Ti prego ti prego ti prego."

"No Ashley è una cosa che riguarda il passato, una cosa che non voglio ricordare."

"Ma papà ti prego vogliamo saperlo, vogliamo solo sapere che cosa c'è dentro. Dai, solo una sbirciatina piccola piccola e poi la rimettiamo a posto."

Volevo dirle di no, lo volevo davvero con ogni fibra del mio corpo. Volevo dirle di no perché sapevo che avrebbe fatto male rivivere tutti quei ricordi, rivivere tutti quei momenti in cui per la prima volta nella mia vita non mi sono sentito fuori posto, non mi sono sentito di troppo o un peso per chiunque mi circondasse.

In cui per la prima volta ho capito di aver trovato il mio posto sicuro, il mio faro in mezzo alla tempesta, il mio rifugio, delle persone che mi hanno fatto sentire amato e che mi hanno fatto capire che il termine casa non indica solo quattro mura ma ovunque si stia insieme.

Ma come potevo dirle di no? Come potevo dire di no a quegli occhi verdi grandi quasi quanto i miei, quegli occhi verdi dove mi sembrava di rivedermi, dove mi sembrava di specchiarmi per quanto fossero identici ai miei.

Come potevo negarle qualcosa per colpa del peso che avevano avuto i miei errori, per colpa delle volte in cui non ero stato abbastanza coraggioso per ammettere a me stesso e al mondo intero chi ero, che cosa volevo veramente?

Gli sbagli dei genitori non dovrebbero ricadere sui figli.

Le scelte sbagliate che ho preso nel corso della mia vita non devono condizionare quella delle persone che amo di più al mondo e se per farle felice devo soffrire io va bene, perché per vederle sorridere sarei disposto a rinunciare alla mia stessa vita.

Così per la prima volta dopo tanto tempo ho fatto finalmente la scelta giusta, ho fatto un passo nella la giusta direzione e anche se sapevo che mi avrebbe fatto male, ho acconsentito.

"Ok va bene, ragazze voi iniziate ad andare in cucina che io prendo la scatola e vi raggiungo."

Era arrivata l'ora di parlare di quel passato che avevo cercato di seppellire in tutti i modi e che non ero mai riuscito a lasciarmi completamente alle spalle perché troppo ingombrante, e non potevo avere più paura di così.

"Quindi ci fai vedere cosa c'è dentro?"

Prendo un lungo sospiro. Sento l'aria iniziare a mancarmi e la testa girarmi per davvero questa volta.

Mi aggrappo al corrimano per evitare di cadere.

"Si e vi racconterò anche una storia visto che vi lamentate sempre che non ve ne racconto mai abbastanza."

"Che storia papà?"

"La storia di un ragazzino che per realizzare il suo sogno ha dovuto rinunciare alle cose che amava di più."

-

Scendiamo le scale in silenzio e dopo due o tre volte in cui ho rischiato di inciampare nei miei stessi passi riusciamo ad arrivare finalmente in cucina.

Questa casa non mi è mai sembrata tanto grande quanto piccola allo stesso momento come adesso.

Appoggio la scatola sul bancone della cucina-l'ultima volta che l'ho presa non me la ricordavo così pesante-e raggiungo il lavandino per versarmi finalmente un bicchiere d'acqua fredda.

La bevo tutta d'un sorso immaginando che fosse vodka, l'unica cosa che in questo momento potrebbe darmi un po' del coraggio che mi serve per aprire quella dannata scatola.

"Ragazze voi sedetevi al tavolo che io intanto vi preparo i pancakes."

Mi dirigo verso il frigorifero per prendere tutto l'occorrente: uova, latte, poi apro l'armadietto in alto e prendo la farina e il lievito in bustina.

Apro il rubinetto e lavo la ciotola che avevo usato poche ore prima per andare nell'orto a raccogliere l'insalata in modo da perdere tempo e tenermi occupato mentre cerco di pensare a un modo per poter iniziare il discorso.

"Abby prendi le forbici che ci sono sul ripiano vicino al lavandino e apri la scatola."

Non faccio in tempo a finire la frase che Abby scende dalla sedia e si dirige come un fulmine verso il ripiano aiutata da sua sorella.

Era incredibile quanto quella bambina incredibilmente intelligente per la sua giovane età mi ricordasse così tanto me da piccolo.

Sempre con quella voglia di conoscere cose nuove, di esplorare, di fare domande, di scoprire il mondo.

Sempre con la riposta pronta, con quello sguardo che sembra leggerti anche l'anima per quanto è profondo e reale, senza filtri.

Sempre pronta ad aiutare gli altri, a battersi per il prossimo, ad aiutare sua sorella ogni volta che la vede in difficoltà senza che fosse lei a chiederglielo, a capire come una persona sta anche senza aver bisogno di parlare, solo guardandola negli occhi.

Però forse è una caratteristica di tutti i bambini no?

Sono così pieni di gioia e di voglia di vivere ed entusiasti della vita finché poi un giorno non ti rendi conto che stanno iniziando a diventare grandi e i genitori non possono più fare niente per impedirlo, non possono più proteggerli, non possono più tenerli rinchiusi in quel nido d'amore che è la loro casa, non possono più tenerli al sicuro dal mondo, non possono impedirli di spiccare il volo.

Crescono e sono da soli a fare i conti col mondo, un mondo che non guarda in faccia nessuno, un mondo a cui non frega nulla chi sei, da dove vieni, come ti chiami, se la tua famiglia è ricca o no, se sei pronto o no, ti schiaccia senza lasciarti via d'uscita e tu sei lì a sperare che le loro ali reggeranno e che siano abbastanza forti da riuscire a volare il più in alto possibile senza schiantarsi al suolo, anche senza di te al loro fianco.

-

Abby e Ashley aprono con cura la scatola, stando attente a non rovinarla più di quanto non abbiano già fatto il tempo e le varie infiltrazioni d'acqua che ci sono state in soffitta negli ultimi anni.

È così strano vedere come il passato si scontri con il presente, vedere che le mie figlie stanno aprendo una scatola che avevo messo da parte quando ero ancora un ragazzino, quando ero solo poco più grande di loro.

Una scatola che racconta chi sono, che parla di Harry e non di Harry Stiles, il cantante di fama mondiale.

È così strano pensare che all'epoca non avrei mai pensato di vivere la vita che ho adesso, la vita per cui oggi sono grato ogni giorno.

È così strano pensare che da piccolo quando pensavo al me del futuro mi immaginavo a cantare negli stadi pieni di persone che urlavano il mio nome, centinaia centinaia di persone venute lì da ogni parte del mondo solo per sentirmi cantare.

È così strano pensare che non avrei saputo immaginarmi con nessun altro se non con Louis, Zayn, Niall e Liam al mio fianco come erano sempre stati fin dalla prima volta che ci siamo conosciuti in quell'audizione a x-factor.

È così strano pensare che se pensavo al futuro mi immaginavo a invecchiare con Louis davanti a un camino, su una spiaggia davanti all'oceano, a dividere una coperta troppo piccola per due persone, a bere the caldo in quello stesso thermos che usavamo anni prima nei camerini durante il tour del nostro primo album.

È così strano pensare che quando pensavo al futuro mi immaginavo con lui e con nessun altro mentre invece adesso viviamo in due continenti diversi e non so più neanche come sta.

-

"Papà cos'è questo?"

Ashley ha appena tirato fuori dalla scatola il mio diario nero, quello con incise sopra le mie iniziali, quello su cui scrivevo tutte le idee e le frasi per le nuove canzoni quando ero in viaggio.

Quante nottate insonni passate su quel quaderno, trascorse a scrivere di amori impossibili, di giorni che ormai sembravano lontani decenni, di serate passate a parlare tra amici, di falò in spiaggia e bagni al mare nel cuore della notte al chiaro di luna.

Quanti viaggi aveva fatto quel quaderno, quante città aveva visto, quante mani l'avevano sfiorato, aperto, letto e riletto con cura.

Quante lacrime che ci avevano versato sopra, quante pagine erano ancora macchiate dall'inchiostro dalla penna che si era sbavato.

Quanti sorrisi ha visto, di quelli veri, di quelli sinceri, di quelli così luminosi che potrebbero illuminare anche una città intera.

Quel quaderno aveva visto Harry crescere e diventare la persona che era.

L'aveva accompagnato in tutti i momenti della sua vita, in quelli belli e in quelli brutti e gli era stato accanto molto più di certe persone.

Poi arrivò la domanda di cui avevo paura, quella che diede inizio a tutto.

"Che cosa c'è scritto qui dentro?"

"Tesoro, in questo quaderno il vostro papà quando era giovane ci scriveva delle canzoni."

"Ma papà quindi tu sai cantare? E sai anche suonare il pianoforte come faceva mamma?"

"Si Abby, il papà sa cantare e all'epoca era anche abbastanza bravo. Si so suonare il pianoforte come la mamma e anche la chitarra, proprio come quella che la nonna ti aveva regalato al tuo compleanno l'anno scorso."

"E come mai hai smesso di cantare se eri bravo? Perché non hai continuato a farlo?"

Perché avevo smesso di cantare? Avevo perso il conto di tutte le volte che nel corso degli anni mi era stata fatta questa domanda, sia dalla mia famiglia sia da gente che non sapeva nulla di me se non il mio nome, gente a cui non importava assolutamente niente della mia vita e che sperava solo di ricevere un'esclusiva per un'intervista che non avevo nessuna intenzione di registrare.

Perché avevo smesso di cantare? Se mi avessero dato un euro per ogni volta che qualcuno mi aveva detto questa frase probabilmente adesso sarei diventato milionario e sarei riuscito a comprarmi almeno due macchine di lusso o due appartamenti con vista sull'oceano nelle spiagge soleggiate della California.

Ero davvero pronto a rispondere finalmente a quella domanda? Ad ammettere a me stesso, agli altri, il vero motivo per cui avevo lasciato la musica, il vero motivo per cui avevo smesso di inseguire il mio sogno?

Il vero motivo per cui avevo smesso di fare concerti, per cui avevo smesso salire sul palco, l'unico posto dove mi sentivo a casa, l'unico motivo per cui avevo smesso di fare quello che più amavo, quello che mi teneva in vita.

Ero pronto a farlo se questo significava mettere in guardia le mie piccole su quanto l'industria musicale il più delle volte si rivelasse essere un posto orribile che non faceva altro che sfruttarti in ogni modo possibile come se fossi un bancomat, che non contava più il valore della persona ma quello dei soldi che riusciva a guadagnare con i suoi pezzi.

Ero pronto a farlo se questo significava fargli capire che purtroppo il mondo non è sempre rose e fiori come nelle favole, che certe volte pensi che sia arrivata l'occasione della tua vita, quella a cui non puoi dire di no e poi invece ti rendi conto che non era così, che quella era un'occasione si, ma che quella era solo una fermata e non l'arrivo, la destinazione.

Ero pronto a farlo se questo significava metterle in guardia sulle persone che avrebbero incontrato nel corso della vita, che anche le persone che si presentano a te con le migliori intenzioni stanno aspettando solo di scovare il tuo punto debole e non esiteranno nemmeno un secondo ad usarlo contro di te.
Ero pronto a farlo se questo significava metterle in guardia sullo sbaglio che avevo fatto io quasi quindici anni prima, sullo sbagliavano che avevano fatto quei cinque ragazzini con le tasche piene di sogni e la testa tra le nuvole che mai avrebbero pensato che la persona a cui stavano affidando se stessi sarebbe stata la stessa che di lì a poco gli avrebbe distrutti completamente, uno per uno.

Ero pronto a farlo se questo significava che un giorno avrei salvato le mie figlie dal fare il nostro stesso errore.

"Vedete bambine, il papà era bravo a cantare ma ha smesso di farlo perché il mondo della musica non è come sembra in televisione. Attraverso lo schermo percepisci la luce, la serenità, la felicità, sembra tutto bello, mentre quando ci entri dentro capisci che non è veramente così, che è quello che gli altri vogliono farti credere. Capisci che è pieno di ombre, di gente cattiva che aspetta solo che tu faccia anche il più minimo passo falso, che aspetta solo che tu cada al suolo per riderti in faccia. Solo che questo io non lo sapevo. Non lo sapevo io come non lo sapevo quei quattro ragazzi che erano con me quel giorno a fare il provino per un talent show che adesso ormai non esiste più ma che era molto famoso quando il papà aveva la vostra età. Eravamo stati scartati dai giudici e ci avevano offerto la possibilità di rientra in squadra però come una band. Eravamo tutti sorpresi, perplessi, indecisi se accettare o no, indecisi se entrare in quella cosa che sembra più grossa di noi, una cosa decisamente troppo grossa per dei ragazzi di meno vent'anni."

"E avete accettato alla fine?"

"Si alla fine abbiamo detto di sì Ashley, perché pensavano che quello sarebbe stato l'unico modo in cui avremmo potuto cantare, l'unico modo in cui avremmo potuto farci conoscere e purtroppo abbiamo scoperto troppo tardi che non era così. Abbiamo iniziato a fare prove su prove, ad allenarci tutti i giorni, settimana dopo settimana, puntata dopo puntata. Abbiamo iniziato a migliore sempre di più, a diventare sempre più uniti, sempre più una cosa sola. Sapete, in quel periodo passavo molto più tempo con quei ragazzi che con la nonna e dopo solo un mese mi si è sembrato come se gli conoscessi da una vita, erano diventati talmente tanto parte della mia quotidianità che quando il programma è finito mi sono sentito perso senza di loro, vuoto."

"E l'avete vinto alla fine quel programma?"

"No nonostante tutti gli sforzi e tutte le prove che avevamo fatto siamo arrivati terzi, anche se come vi ho insegnato non si può sempre vincere e se ci hai provato con tutto te stesso e ce l'hai messa tutta va bene così, hai già vinto. Poi contro ogni aspettativa la gente ha iniziato a supportarci, ha iniziato ad ascoltare le nostre canzoni. Ha iniziato a sentire quello che avevamo da dire, ha iniziato a comprare i nostri cd, a venire ai nostri concerti, a cantare a squarciagola insieme a noi. E noi intanto siamo cresciuti. Siamo dovuti diventare adulti in fretta, costretti a maturare in un'industria dove valeva la legge del più forte, dove dovevi sottostare a tutte le stupide regole che ti venivano imposte sennò ti buttavano fuori, e non importava quanto famoso fossi, perché c'erano almeno centinaia di persone brave quanto te che aspettavano solo di prendere il tuo posto."

"E quindi poi che cos'è successo?"

"È successo che dopo anni a fare quella vita ci siamo ritrovati distrutti. Ci siamo guardati allo specchio e a stento riuscivamo a riconoscere la persona che vedevamo riflessa, a stento riuscivamo a riconoscere noi stessi dal personaggio che ci avevano creato, dal personaggio che eravamo costretti a interpretare. Ci siamo ritrovati distrutti e alla fine uno di noi, Zayn, ha deciso di andarsene perché ormai continuare gli era diventando impossibile, perché stava scomparendo davanti ai nostri occhi e noi non potevamo fare nulla per impedirlo. Sapete bambine, il nostro gruppo si chiamava one direction, quindi senza uno di noi dove pensate che saremmo potuti andare? Da nessuna parte, esattamente. Infatti dopo poco annunciammo che volevamo prenderci una pausa di sedici mesi, per staccare un po' da tutto e lavorare a nuova musica. Fecimo la promessa di tornare di nuovo insieme come una volta finiti quei sedici mesi, di tornare insieme più forti che mai. Poi col tempo i giorni si sono trasformati in settimane, le settimane in mesi, i mesi in anni e noi non tornammo."

"Come mai non siete tornati insieme?"

"Papà ma tu hai sempre detto che le promesse si mantengono, perché voi invece non l'avete fatto?"

"Hai ragione Ashley, vi ho sempre insegnato che le promesse si mantengono perché è così che bisogna fare, per questo bisogna stare attenti a quello che si promette. Noi all'inizio avevamo davvero intenzione di tornare insieme, solo che per rimettere insieme i pezzi di quello che eravamo ci è voluto più tempo di quanto pensassimo e in quel tempo ognuno di noi aveva iniziato a lavorare e a scrivere canzoni per conto suo perché in fondo quello era sempre stato il nostro modo per affrontare i problemi, per sfogarci. E una volta che i sedici mesi erano passati e che ci siamo accorti che ormai avevamo una casa discografica e che avremmo potuto cantare lo stesso anche senza essere una band abbiamo deciso di continuare ognuno per conto suo." "E con i tuoi compagni siete rimasti amici lo stesso? E i vostri fan come l'hanno presa, non si sono arrabbiati?"

"Con i ragazzi all'inizio siamo rimasti in contatto, ci sentivamo tutti i giorni sul gruppo whatsapp della band, facevano un sacco di videochiamate perché non eravamo abituati a stare così tanto tempo senza vederci. Poi però eravamo impegnati con la nostra musica, eravamo impegnati a costruirci una nuova routine, a conoscere gente nuova, a rifarci una vita e le videochiamate invece che tutti i giorni abbiamo iniziato a farle una volta ogni due, poi solo nel weekend, poi una volta alla settimana e alla fine siamo arrivati a scriverci gli auguri durante le feste o le congratulazioni quando qualcuno di noi faceva un tour oppure un nuovo album. E penso che questa sia la cosa che mi dispiace di più, vedere come la nostra amicizia si sia rovinata per colpa di tutto quello che abbiamo dovuto passare, perché non sempre il dolore unisce le persone, certe volte le divide e basta. Fortunatamente però, avevamo i migliori fan del mondo, i migliori fan che si potessero desiderare. Nonostante ci fossero rimasti male per la nostra pausa più lunga del previsto ci sono sempre stati accanto dal primo all'ultimo giorno e non hanno mai smesso un secondo di sostenerci e di dimostrare tutto il loro amore ad ognuno di noi, a comprare i nostri album, ad ascoltare le nostre canzoni, a scriverci messaggi dove ci ringraziavano per avergli salvato la vita." "Ma quindi eravate degli eroi se avete salvato delle persone."

Le mie labbra non possono che alzarsi all'insù e piegarsi in un sorriso luminoso, perché si, probabilmente molte persone pensavano questo di noi, ma non avevano idea di quante volte loro con il loro affetto avevano salvato noi e il minimo che potevano fare era contraccambiare sperando capissero il bene che provavamo per loro.

"Una specie tesoro."

"E papà perché allora tu hai smesso di cantare?"

"Vedi Abby, hai presente delle regole che dovevamo seguire per non rischiare di venire buttati fuori dalla band?"

Vedo Abby annuire e capisco che quello è il segnale per andare avanti a raccontare la storia, la nostra storia.

"Ecco vedi piccola, io e un altro mio compagno quando ci siamo conosciuti durante il programma ci siamo innamorati perdutamente l'uno dell'altro e non abbiamo smesso di farlo nemmeno per un secondo per gli anni successivi, solo che proprio una di quelle regole era che non potevano stare insieme. Non potevamo baciarci davanti a tutti, non potevamo tenerci la mano quando eravamo in giro in mezzo ad altre persone, durante le interviste e i concerti non potevamo abbracciarci, non potevamo interagire sui social, per un certo periodo non potevamo nemmeno parlarci e ci hanno fatto uscire con delle ragazze in modo che i giornalisti ci vedessero e facessero degli articoli su di noi. Ma nonostante questo non abbiamo smesso di amarci e di stare insieme di nascosto, lontano dalle luci delle fotocamere dove potevamo essere finalmente noi stessi. Solo che avevamo iniziato a stancarci di non poterci vivere alla luce del sole, di non poter fare tutte quelle cose che fanno le coppie normali. Così quando abbiamo intrapreso le carriere da solista ho pensato che quella fosse finalmente la volta buona, che avrei finalmente potuto gridare al mondo chi fossi davvero. Però le cose non andarono così. È vero, avevo cambiato manager, avevo cambiato etichetta discografica, però le cose erano rimaste uguali e non era cambiato niente. E quindi sono arrivato a un punto in cui non ce la facevo più, in cui non ce la facevo più a mentire a tutti, a mentire a me stesso. Non ce la facevo più a tenermi tutto dentro, come se fosse una cosa di cui vergognarsi, una cosa da nascondere. Così ho capito che non ne valeva più la pena e ho lasciato tutto."

"E non ti manca neanche un po' cantare?"

"Mi manca sempre, alcuni giorni più di altri, ma ho capito che la mia libertà vale di più di un contratto discografico o di centomila dischi venduti."

"Lo sai papà, sono tanto fiera di te! Sei stato coraggioso come i principi delle storie che ci leggi."

"Grazie mille amore, ora lo so."

Non riesco nemmeno a spiegare a parole quanto io sia grato per averle nella mia vita, per avere il loro amore incondizionato, per spiegare quanto amore e affetto provo per loro, per averle al mio fianco pronte a strapparmi un sorriso anche nelle giornate più buie, che sono come stelle che non si accorgono di brillare e di illuminare anche tutte le persone che gli stanno attorno.

-

Intanto che le bambine continuano a frugare nella scatola, a frugare tra i miei ricordi, prendo in mano quel quaderno tutto rovinato e inizio a sfogliarlo.

Ci sono ancora scritti i testi delle canzoni con i ragazzi: little things, through in the dark, little black dress, drag me down, quando ormai tutto era già distrutto, quando Zayn oltre che a lasciare la band aveva lasciato anche noi.

Quando ci aveva lascito a fare i conti con la sua assenza, con il fantasma di lui che vagava nelle stanze, nelle nostre vite.

Quando ci aveva lasciato per cercare di salvarsi, per non cadere più a fondo di quanto era, e nonostante tutto mi era sempre stato impossibile avercela con lui, perché sarebbe stato come per avercela con una parte di me.

E poi iniziano i miei testi da solista, tra le pagine intrise di lacrime e sogni infranti.

E poi quella canzone, Sweet Creature.

Quella che ha dato inizio a tutto, la prima canzone in cui ho messo a nudo me stesso per la prima volta, la prima canzone in cui ho raccontato la storia di un amore forse troppo grande per due ragazzini così piccoli.

La canzone che avevo scritto per lui, per lui che era la mia piccola creatura.

Leggo il testo e con la mente ritorno a quella sera di dodici anni fa, quella sera in cui l'amore che provavo per lui era diventato troppo grande che avevo dovuto per forza scriverlo, metterlo nero su bianco.

Quella sera in cui pensavo che per noi ci fosse ancora una speranza, che avremmo potuto avere finalmente la possibilità di funzionare.

Solo adesso mi rendo conto di quanto mi sbagliassi.

"Sweet creature
Had another talk about where it's going wrong
But we're still young
We don't know where we're going
But we know where we belong."


Quante volte abbiamo litigato? Quante volte siamo arrivati ad urlarci addosso cose che non pensavo, parole intrise di veleno dettate dalla rabbia del mondo, dettate dal fatto che il mondo sembrava starci crollando addosso come un castello di carte al primo soffio di vento, parole che abbiamo usato col solo scopo di ferirci a vicenda, di farci male?

Eravamo così giovani. Avevamo ancora tutta la vita davanti.

Infiniti attimi, infiniti momenti che potevamo vivere insieme.

Infinite cose che potevamo ancora fare, infiniti posti che potevamo vedere insieme, infiniti posti dove potevo portarti, infiniti tramonti in riva al mare passati a guardare te invece che il cielo, perché lo spettacolo più bello ce l'avevo di fronte.

Infinite albe da vedere insieme sdraiati nel letto della nostra camera, coperti solo da un lenzuolo perché avevamo appena finito di baciarci, di toccarci, di respirare insieme come se fossimo un'unica cosa, di fondere insieme non solo il nostro corpo ma anche le nostre anime.

Infiniti attimi che ci hanno strappato via troppo presto, infiniti momenti che non abbiamo più potuto vivere.

Quando ci eravamo messi insieme non sapevamo quello che sarebbe successo, non sapevamo dove stavamo andando, quello che stavamo facendo, ma sapevamo che quello era il nostro posto.

Sapevo che il mio posto era lì proprio accanto a te, che le nostre mani quando si intrecciavano si incastravano perfettamente, che la tua testa era fatta apposta per stare sul mio petto, sopra il mio cuore, cuore che da quando ti ho conosciuto ha sempre battuto solo per te, che quando ci baciavamo le nostre bocche coincidevano l'una con l'altra, che eravamo diventati una cosa sola, che ormai era impossibile distinguerci perché che c'era una parte di te dentro di me.

"No, we started
Two hearts in one home
It's hard when we argue
We're both stubborn, I know."


Abbiamo iniziato ad amarci tra le mura di quella casa a Princess Park, quella casa dove abbiamo iniziato a viverci, in silenzio, nascosti da tutto e da tutti.

Quella casa in cui sapevo che ti avrei trovato una volta che la giornata sarebbe finita, seduto sul divano con due pizze fumanti appoggiate sopra il tavolino perché cucinare non era il tuo forte.

Quella casa in cui ci rifugiavamo quanto le cose erano troppo difficili da affrontare, abbracciati e stretti sotto la coperta davanti al camino.

Quella casa dove ci siamo dati il nostro primo bacio, così timido e impacciato, nulla a che vedere con quelli che si vedono nei film.

Quella casa dove abbiamo imparato ad amarci, ad amare anche quei lati del nostro carattere che non riuscivamo ad apprezzare nemmeno noi stessi.

Quella stessa casa che è stata lo scenario di infinite litigate, di piatti rotti a furia di lanciarli contro i muri, di lacrime versate in silenzio, di urla che riempivano tutta la stanza.

Quella stessa casa in cui tornavi dopo essere uscito con Briana, dopo aver finto tutto il giorno, dopo aver detto bugie su bugie solo perché non ci era permesso essere chi eravamo veramente, vivere alla luce del sole come tutti gli altri.

Quella stessa casa in cui ci urlavamo addosso perché non ce la facevamo più, perché ci amavamo però non ci bastava, perché vivevamo dentro a una bolla e all'improvviso era scoppiata, perché quella vita che stavamo vivendo non era come ce l'eravamo immaginata, perché ci stavamo cadendo tutto addosso, perché eravamo costretti a camminare in punta di piedi di piedi tra i cocci dei sogni infranti, stando attenti a non tagliarci.

Siamo sempre stati entrambi dei testardi del cazzo.

Abbiamo sempre messo l'orgoglio al primo posto.

Dopo le litigate nessuno dei due voleva fare il primo passo, nessuno dei due voleva dire qualcosa, portare un segno di pace, scusarsi per tutte le cose brutte dettate dalla rabbia che aveva detto che non pensava veramente.

E poi baciarci, baciarci per ore.

Far scontrare le nostre bocche, intrecciare le nostre lingue, donarti a te e amarti, amarti con tutto me stesso.

Eppure per te l'ho fatto.

Ho sempre messo da parte il mio orgoglio, mi sono sempre scusato con te con te anche quando non ero stato io a sbagliare, anche quando gli errori gli commettevi tu, perché tu eri più importante, perché ti amavo troppo per perderti così.

Perché ti amavo troppo e per te avrei fatto di tutto anche in quei momenti in cui tu non avresti mosso un dito, non avresti fatto nemmeno un passo per venirmi incontro.

Perché ti amavo troppo e andava bene così.

Quella stessa casa in cui siamo sempre tornati.

"Sweet creature, sweet creature
Wherever I go, you bring me home
Sweet creature, sweet creature
When I run out of hope, you bring me home."


Da quando ci siamo conosciuti sei stato il mio posto sicuro, il posto in cui rifugiarmi quando le cose iniziavano ad andare male e diventavano troppo difficili da sopportare.

Sei stato il mio migliore amico, il mio amante, una spalla su cui piangere, una persona con cui poter parlare di tutto quello che mi veniva in mente, una persona con cui poter ridere fino alle lacrime, con cui era bello anche litigare perché poi facevamo la pace e finivamo con l'amarci ancora più di prima.

Sei stato il mio primo amore, il mio primo bacio, la prima persona a cui ho sussurrato ti amo sottovoce con le lacrime agli occhi e le mani tremanti, a cui ho donato tutto me stesso, a cui ho fatto vedere lati del mio carattere che cercavo di nascondere perché avevo paura di essere giudicato, di essere deriso, perché le persone guardano sempre male tutto ciò che è diverso e avevo paura che l'avrebbero fatto anche con me.

Sei stato la prima persona a cui pensavo al mattino quando mi svegliavo e l'ultima la sera quando chiudevo gli occhi, sei stato il mio pensiero costante, quel ritornello di quella canozne che hai sentito una volta in radio e anche se ci provi e riprovi non riesci a togliertelo dalla testa, non riesci a smettere di cantarlo ovuque sei.

Sei stato la persona più importante della vita, l'unica persona che ho amato veramente, per cui avrei fatto di tutto, la persona con cui avrei voluto visitare il mondo, che avrei voluto baciare a Parigi nella città dell'amore sotto la Torre Eiffel, davanti al Colosseo a Roma.

Sei stato la prima persona a cui ho donato il mio cuore, a cui ho presentato la mia famiglia, a cui ho fatto sentire le mie canzoni subito dopo averle scritte, a cui ho raccontato tutti i miei sogni, le mie speranze.

Sei stato la persona con cui ho condiviso la maggior parte della vita, con cui ho condiviso emozioni stupende, i palchi più importanti del mondo, con cui ho condiviso lacrime, delusioni, sorrisi e tanto ma proprio tanto amore.

Perché sei stato tutto e lo sarai per sempre.

"You bring me home."

Mi portavi a casa, perché casa per me eri tu.

-

"Papà ma questo sei tu?"

Mi riscuoto dai miei pensieri e alzo finalmente gli occhi dal testo.

Mi asciugo una lacrima solitaria e stringo gli occhi nella speranza di impedirmi di piangere, di impedire davanti alle mie figlie, di fargli vedere il male che possono fare i ricordi, del male che fa ricordare i tempi in cui si era felici, in cui andava tutto bene.

Loro non devono vedermi così.

Distrutto. Distrutto da un passato che pensavo di aver dimenticato, da un passato che ero convinto di aver lasciato alle spalle.

Sforzo un sorriso e mi giro a guardare quello a cui si sta riferendo Ashley.

"Si tesoro, siamo io e i miei amici."

"Eravate giovanissimi papà. Tu quale sei tra i quattro?"

"Sono quello a destra con i ricci e la bandana blu."

"E chi sono gli altri?"

"Quello di fianco a me con gli occhi azzurri è Louis, quello al centro Zayn, mentre il ragazzo biondo che sorride è Niall e quello che lo sta abbracciando è Liam."

Mi ricordo del giorno in cui scattammo quella foto come se fosse ieri.

Era appena finito il nostro primo concerto.

Eravamo così contenti ed emozionati che abbiamo deciso di scattare una foto per ricordarci di quel momento.

Contenti di essere riusciti a realizzare il nostro sogno, quel sogno che avevamo da bambini e che pensavamo che non si sarebbe mai potuto avverare.

Contenti di essere noi cinque tutti insieme, di poter condividere la nostra felicità con quella che ormai era diventata la nostra quotidianità, che era diventata la nostra famiglia.

Per ricordarci di come ci siamo sentiti vivi, dell'emozione che abbiamo provato a vedere ventimila persone sotto un palco a cantare con noi le nostre canzoni.

Di vedere ventimila persone commuoversi insieme a noi, ringraziarci per quello che avevamo fatto, quando eravamo noi a dover ringraziere loro di aver creduto in noi quando nemmeno noi stessi lo abbiamo fatto.

"Eravate proprio belli papà."

"È vero e poi sembrano tutti simpatici."

"Grazie mille amore. Lo erano davvero tanto e sono sicuro che lo siano anche adesso. Sarebbero davvero contenti di conoscervi, vi amerebbero già dal primo sguardo come ho fatto io."

-

"Papà che te li ha scritti questi bigliettini?"

Prendo in mano i foglietti di carta che mi sta porgendo Abby.

Anche se sono passati anni dall'ultima volta in cui sono stati scritti ricordo cosa c'è su ognuno di loro.

Erano tutti i messaggi che ci scambiavamo lou durante le prove, poco prima dei concerti, durante gli incontri con Simon, gli instore.

"Ce li scrivevamo io e Louis quando non potevamo parlarci."

"E perché non potevate parlare?"

"Perché il nostro produttore ci aveva impedito di farlo, così avevamo trovato un altro modo per comunicare."

"Sei bellissimo con quella maglietta."

"Sei stato bravissimo piccolo."

"Ogni volta che sento la tua voce mi vengono i brividi."

"Non vedo l'ora di tornare a casa per poterti finalmente baciare, è da ore che non desidero di fare altro."

"Ti prometto che un giorno saremo liberi."

"Ti amo."

"Ti amo anche io piccolo."


Ero sicuro che dentro la scatola ce ne fossero altri ma non avevo il coraggio per cercarli.

Chissà se le pensi ancora le cose che hai scritto.

Chissà se ti importa ancora un po' di me.

"Papà ma quindi voi due vi amavate tanto. Ti sei dimenticato di lui adesso?"

"Si Abby, ci siamo amati tanto. Non sono molte le persone che provano un amore del genere nella vita, che hanno avuto la fortuna di avere quello che avevamo noi."

"Harry la conosci la leggenda del filo rosso?"

"No Lou di che parla?"

"E' una leggenda giapponese secondo la quale ognuno di noi nasce con un filo rosso legato al mignolo della mano sinistra. Questo filo ci lega indissolubilmente alla persona a cui siamo destinati. Il nostro grande amore, la nostra anima gemella. Tu sei il mio filo rosso."


Sorrido e per la prima volta da tutta la giornata sono convinto di quello che sto dicendo.

"No non mi sono dimenticato di lui, non potrei mai farlo."

"E la mamma quindi non l'hai mai amata?"

"Tesoro, certo che ho amato vostra madre, mi ha dato voi due, come potrei non farlo? Sono dell'idea che ognuno nella sua vita ami più di una persona, che il cuore riesce a ripararsi sempre anche quando sembra troppo rotto per essere rimesso insieme. Posso dire per certo che l'ho amata, l'ho amata tanto, ma non nello stesso modo in cui ho amato lui. Forse perché eravamo più giovani, forse perché abbiamo vissuto tante di quelle cose che era impossibile non farlo. Forse perché sarei stato lo stesso destinato ad incontrarlo anche se quel giorno non mi fossi presentato a x-factor per fare quel provino, che ci saremmo incontrati anche se avessimo abitato in due continenti differenti, perché so che l'avrei trovato comunque.
Quando crescerete vi renderete conto che quando arrivate ad amare una persona con tutte voi stesse, quando vi fondete talmente tanto insieme da arrivare a diventare una persona sola, capirete che un amore così lo proverete solo una volta nella vostra vita.
Questo non vuol dire che non amerete le persone che verranno dopo, solo che non potrà mai essere la stessa cosa."

-

Tiro fuori la felpa nera con su lo smile e il ventotto di Louis.

Chiudo gli occhi e me la porto al naso per sentire se ha ancora il suo odore.

Come se fosse possibile che dopo tutti questi anni chiusa dentro in una scatola odori di qualcosa che non sia polvere o muffa.

Sento i pezzi di quel cuore un po' malandato che cercavo disperatamente di tenere insieme incrinarsi.

Un'altra spaccatura, un altro pezzo che non è più al suo posto.

Un altro pezzo che mi toccheranno mesi per riuscire a rimetterlo insieme, per riuscire a farlo tornare insieme agli altri e battere di nuovo.

Quella felpa che usava sempre quando veniva a casa mia e che puntualmente finiva per dimenticarsi in qualche armadio o cassetto.

Quella felpa che mi ha detto di tenere il giorno prima che io decidessi di distruggere il mio sogno con le mie stesse mani, di distruggere la nostra storia e tutto quello che avevamo costruito in quegli anni.

Quella felpa con cui l'ho abbracciato per l'ultima volta, quella felpa che ho riempito di lacrime a furia di piangerci sopra.

Quella felpa con cui dormivo la notte, con la faccia immersa dentro il cappuccio per sentire il suo profumo.

Quella felpa che non sono mai risucito a lavare, che ho indossato per più di un mese senza toglierla mai perché era l'unica cosa che mi rimaneva di lui, l'unico modo che avevo per averlo vicino, per sentirlo di nuovo mio.

"Papà posso tenerla per dormire questa felpa? So che mi sta grande però sembra molto comoda."

"Certo principessa che puoi tenerla però poi falla usare anche ad Abby mi raccomando."

Mi viene da piangere a pensare al male che mi farà vederla indossata sulle mie figlie.

Figlie che lui non ha mai conosciuto, di cui forse non sa nemmeno dell'esistenza.

Figlie che avrei voluto crescere insieme a lui.

-

Mentre le bambine vanno in bagno prendo tutte le cose che hanno lasciato sul tavolo e le rimetto dentro alla scatola, pronto a richiuderla e non aprirla più per almeno altri cinque anni.

Prendo in mano il quaderno e senza accorgermene cade per terra un foglio.

Mi chino a raccoglierlo e lo apro per leggerlo.

Non riesco a riconoscere subito la scrittura, ma sono sicuro che non sia la mia.

È il testo di una canzone, Habit.

Mentre leggo la prima riga mi rendo conto di riconoscere la scrittura: è quella di Louis.

Mi rendo conto che sta parlando di me, che sta parlando a me.

Perché non mi hai mai detto di averla scritta? Perché non l'hai mai pubblicata?

Ci avevi ripensato? Avevi deciso di rinunciare a noi? Di rinunciare a me? A quello che saremmo potuti essere?

Se solo l'avessi letta prima forse non sarebbe stato troppo tardi, forse avrei ancora potuto fare qualcosa.

Col cuore in gola e le mani tremanti ripongo con cura dentro alla scatola, stando ben attento a non stropicciarlo, non proprio sicuro se lasciarla lì oppure tenerla e rileggerla tutte le notti prima di andare a dormire, nella speranza di sognarlo, nella speranza di poterlo rivedere.

Chiudo la scatola e mi lascio tutto alle spalle un'altra volta.

E fa male, forse anche più di prima.

"Abby accendi la radio così sentiamo un po' di musica."

"Va bene papà."

Prendo la ciotola e inizio a metterci dentro la farina e il lievito e mi avvicino ai fornelli per iniziare ad accenderli e a scaldare la padella.

"Siamo qui per annunciarvi il nuovo singolo di Louis Tomlinson, cantante di fama mondiale che proprio ieri ha cantato a Roma allo stadio olimpico, prima data del suo nuovo tour mondiale.
Ecco a voi habit, speriamo che vi piaccia."


Faccio cadere per terra le uova che avevo in mano e nonostante l'impatto col suolo non sembrano essersi rotte.

Non ci credo che sta partendo quella canzone, quella che lui aveva scritto per me anni fa.

"Le anime così unite, sono destinate ad incontrarsi, non importa il tempo che dovrà passare, le circostanze o le distanze che le separano: il filo rosso non si spezzerà, non si può sfuggire al destino."

Questa è il continuo della leggenda giapponese che mi aveva raccontato quella sera di quindici anni fa, quando ci siamo incontrati in quel bagno dopo esserci conosciuti quel giorno alla gara delle band.

La stessa sera che mi aveva regalato un braccialetto rosso, uguale al suo, così che anche se fossimo stati lontani ci saremmo ricordati sempre l'uno dell'altro, che anche se fossimo stati lontani prima o poi ci saremmo ritrovati, perché eravamo destinati a stare insieme.

Il braccialetto rosso che ancora oggi porto al polso.

E finalmente, dopo tanto tempo sorrido.

Un sorriso vero, uno di quelli che lui amava e che riusciva a farmi spuntare solo lui.

Neanche lui mi ha dimenticato.

"But it's been ages, different stages
Come so far from Princess Park
I'll always need ya."


Anche io avrò sempre bisogno di te, non dimenticarlo mai.

E tu Louis, hai ancora il tuo braccialetto? Sono ancora io il tuo filo rosso?
   
 
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