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Autore: BeingHuman    20/10/2021    2 recensioni
Due amici, uno dei quali cieco, si ritrovano ad una mostra d'arte. Il resto è scritto.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La persistenza della memoria
La persistenza della memoria
Salvador Dalì







E' una verità universalmente riconosciuta che il tempo sia galantuomo. Ma, io vi chiedo, cari lettori, quante verità universalmente riconosciute sono realmente tali?
Né Michael né Sebastian credevano a quest'assurdità: il tempo non era stato per niente galantuomo con loro.
Il primo si era ritrovato cieco, solo, isolato dal mondo; il secondo versava nel medesimo stato di solitudine, con la differenza che almeno lui aveva assaggiato un po' di gioia prima. E chi dice che questo fosse un bene? Toccare il cielo con un dito e poi ritrovarvi senza, con il tempo che scorre inesorabile e voi lì, che ancora non realizzate di stare per assistere alla vostra disfatta.

Il tempo non era galantuomo, no. Non quella mattina.
Sebastian non riusciva proprio ad alzarsi: avrebbe voluto chiamare l'amico per annullare la solita visita alla mostra d'arte, ma non poteva. Non poteva deluderlo, ci sarebbe rimasto male. Avrebbe fatto affidamento sul suo vecchio amico bastone per camminare.
Le mattine di Settembre erano le più brutte per i suoi acciacchi alle ginocchia: stava invecchiando.
Per un attimo gli passò un ricordo per la mente, risultato del preciso istante in cui aveva posato gli occhi sulla foto della sua famiglia, sul comodino.
La teneva lì, e la guardava prima di andare a dormire. E in questo modo ingannava il tempo, che per un po' si congelava, a partire da quel ricordo.
C'erano sua moglie e sua figlia in quel ritratto formato 10x15, che risaliva a giusto vent' anni prima. Erano in vacanza in Italia, in una località chiamata Roccaraso. Si stringevano forte, per entrare nell'obbiettivo della fotocamera, e sui loro volti faceva da protagonista un acceso color rosso dovuto al freddo, per il particolare periodo dell'anno in cui avevano deciso di partire.
Sua figlia, Judith, gli aveva parlato di quel posto almeno un migliaio di volte prima che lui ce la portasse per davvero.
E magicamente, con uno schiocco di dita, erano passati quei vent'anni: Judith si era laureata, sposata e trasferita a Boston; sua moglie Roxanne aveva seguito un lungo percorso di guarigione dal cancro, ma alla fine aveva ceduto anche lei. E allora Sebastian si era ritrovato da solo.

"Ah, come sei patetico, vecchio mio. Rassegnati: tutti stanno bene, tranne te."


*****

Michael aspettava, seduto su quella vecchia panchina davanti casa sua: l'unico punto di riferimento che avesse veramente memorizzato, a parte la casa della vicina.
Sebastian era un po' in ritardo, cosa alquanto strana per uno come lui: così attento all'orario.
E già, non si poteva dire che Sebastian non ci tenesse al suo tempo. A detta sua, il tempo che trascorrevano alle mostre d'arte era tempo di qualità, arricchito ancora di più dalla compagnia di un amico cieco.
Ci aveva tenuto a specificare che il suo amico fosse cieco, chi sa per quale motivo. Michael aveva provato a immaginarseli tutti i motivi, ma proprio non giungeva a conclusioni. Ed era indeciso sull'aprire o no la questione: magari Sebastian avrebbe potuto offendersi in qualche modo. O era lui che avrebbe potuto offendersi?
Sarebbero andati a vedere la mostra di Dalì, un pittore moderno rispetto a quelli che avevano analizzato fin lì. E, a dirla tutta, un po' di modernità non gli dispiaceva per niente: tutto sapeva di vecchio, ormai; anche se lui cercava di mantenersi in forma, non riusciva a non avvertire sul suo corpo l'avanzata frenetica della vecchiaia.
Come ci era arrivato lì? A quel punto, cieco, stanco e senza speranza: come ci era arrivato così in fretta?
La sua mente gli ricordava tutti i giorni quel maledetto momento in cui aveva perso tutto quanto: la vista, la sua famiglia e la felicità. Aveva solo cinque anni, per cui fu affidato ai suoi zii fin quando non divenne autonomo e decise di andare via di casa.
Quel giorno di certo non si aspettava di sopravvivere all'incidente, eppure era sopravvissuto. O meglio, il suo corpo era sopravvissuto. Diventando grande aveva realizzato che ormai era soltanto un involucro con un piccolo nucleo all'interno.
Poi si ridestò dai suoi pensieri, accorgendosi della presenza di Sebastian che si era seduto accanto a lui.

-Buongiorno amico mio. Come stai oggi?-

*****

La mostra di Dalì era una delle preferite di Sebastian: ci andava ogni volta che poteva acquistare il biglietto ridotto, vale a dire, almeno una volta al mese.
Avrebbe fatto a Michael l'analisi di un dipinto a cui teneva molto.

-Bene, eccoci arrivati. Conosco questo posto come le mie tasche e ti informo che siamo davanti a "La persistenza della memoria".-

Michael lo incitò a continuare, sorridendogli.

-Realizzato nel 1931, è un dipinto molto particolare e devi assolutamente sapere i dettagli di quest'opera. Pensa che fu realizzata in sole due ore, da un Dalì con l'emicrania, solo a casa, che osservava la sua cena e rifletteva sul tempo.-
-La sua cena?-
-Sì, mio caro. Dalì si era fissato sull' "ipermollezza" del formaggio Camembert. Lo aveva osservato fino a farlo scomparire, in modo che rimanesse soltanto il ricordo della sua consistenza.-
-E poi?-
-Poi stava per spegnere la luce, quando ebbe l'illuminazione. Guardando quel formaggio, aveva riflettuto sulla relatività del tempo. Esso non può scorrere ugualmente per tutti gli esseri del pianeta, bensì l'intensità attraverso la quale il tempo si esprimerà, sarà diversa a seconda dei momenti che vivremo. Non si può quantificare un attimo, un'emozione contenuta in esso: possiamo quantificare attraverso i calcoli soltanto la meccanica nascosta dietro un istante. Possiamo calcolare i suoi minuti, le sue ore, i suoi secondi. Ma, sarai d'accordo con me quando dico che spesso un'ora non sembra un'ora, e un minuto non sembra un minuto.-

Non c'era niente su cui riflettere nelle parole di Sebastian: era vero. E, da un po' di tempo, a Michael i giorni sembravano passare lentissimi, al punto che avrebbe detto di star vivendo a furia di anni, ogni mattina.
Forse per Sebastian era la stessa cosa.

-E cosa raffigura questo quadro?-
-Esso ritrae degli oggetti spigolosi, su uno sfondo desertico identificato come Port Lligat: un ramo d'ulivo spoglio, un parallelepipedo e un plinto blu; al di sopra degli oggetti troviamo degli orologi con forme particolari: sembra che si stiano sciogliendo.-
-E scommetto che per questa parte Dalì abbia preso ispirazione dal formaggio.-

Ridevano. Poco, ma ridevano. E quanto avevano bisogno di ridere...

-Vedi, Mike, lo sfondo e gli oggetti rappresentano la vita, ovvero tutto ciò che viene investito e trasformato dal tempo, il quale si appoggia sopra di essi e modifica il suo avanzare tante volte quanti sono i momenti significativi della vita di un essere umano.-
-O di un animale.-
-O di un animale, sì. Vedo che comprendi la visione totale del creato che Dalì aveva. Ma c'è un particolare in più, in quest'opera.- fece una pausa, servendosi di un sospiro -C'è un orologio, uno solo, che è solido. Su di esso delle formiche brulicanti. Sapresti interpretare questo elemento?-

Mike ci rifletté un attimo su, ma parve capire le intenzioni del pittore. (Chi avrebbe potuto dirlo, se fosse stato davvero così?)

-Forse Dalì intendeva rappresentare il tempo che passa diversamente per ognuno di noi. Per le formiche ogni minuto è prezioso, dato che la loro vita dura soltanto pochi mesi.-
-Centro, amico mio, bravo.-

Era così contento quando riusciva a farsi comprendere senza parlare. Quasi come se fosse lui il creatore di quell'opera.

-Ma c'è anche un'altra cosa che devi sapere: nel dipinto, in modo totalmente estraneo al resto degli elementi, è presente un occhio chiuso, con lunghe ciglia.-
-Un occhio?-
-Sì, un occhio. Esso potrebbe rappresentare il sogno creato dall'inconscio di Dalì, non lo sappiamo con precisione. Ricorda che era pur sempre un surrealista.-
Michael storse il naso.
-Mmh. Potevi anche evitarla quest'ultima parte, le cose lasciate a metà non mi soddisfano.-
-E che cosa volevi? Pretendi davvero di poter leggere tutto dall'animo di una persona?-

Restarono in silenzio per un po'.
Ma stavolta non era il silenzio che riempiva i vuoti, no: era un silenzio che li creava.
Per la prima volta da quando si conoscevano, Mike aveva capito quanto fosse amara la metafora che Sebastian aveva imbastito per spiegare la sua vita. E il compito di analizzare quella figura retorica spettava a lui, che ormai era suo amico.

-Sai, Michael, stamattina non sarei venuto. Ero stanco, triste e acciaccato.-
-E cosa ti ha fatto cambiare idea?-

Sebastian prese un respiro profondo: gli occorreva del coraggio per aprirsi con le persone. E più vicine gli erano, più faticava a fidarsi.

-Gli anni passano per me come per te, vecchio mio. Abbiamo entrambi un'età ormai e sarebbe stato un peccato sprecare questo tempo nel mio letto, a leggere un libro poco interessante, riflettendo magari sul senso di colpa per averti lasciato solo.-

Michael aveva compreso. Ma aveva bisogno di uno sforzo in più da parte dell'uomo di fronte a lui, se voleva analizzare quelle metafore.
Quindi fece il finto tonto.

-Ma io non ho tristezza a star solo, Sebastian, non dovresti portelo come problema.-

Forse aveva tirato troppo la corda. O forse no.
Fatto sta, che per la prima volta ricevette in risposta un abbraccio.
Una stretta sincera, non troppo avvolgente, ma coinvolgente; era riuscito a ricavare qualcosa da tutta quella fatica: Sebastian aveva finalmente abbandonato quel linguaggio criptico fatto di parole, che imprigionavano qualsiasi emozione meritevole di essere espressa.
Sebastian aveva utilizzato un linguaggio comprensibile anche, soprattutto a un uomo cieco. Al suo amico.

-Non rimpiango nulla di questa mattinata insieme a te; ho preso la scelta giusta. Mi ha fatto bene all'animo.-

Si staccarono dall'abbraccio, ma ormai era fatta. Si erano evoluti entrambi: come uomini e come emozioni.







Salve a tutti!
Ci tenevo a pubblicarvi questo estratto dell'opera Vita Segreta, in cui il pittore racconta in pochi dettagli essenziali il perché di questo meraviglioso quadro.
A me ha colpito molto, quindi ve lo riporto.

«E il giorno in cui decisi di dipingere orologi, li dipinsi molli. Accadde una sera che mi sentivo stanco e avevo un leggero mal di testa, il che mi succede alquanto raramente. Volevamo andare al cinema con alcuni amici e invece, all'ultimo momento, io decisi di rimanere a casa. Gala, però, uscì ugualmente mentre io pensavo di andare subito a letto. A completamento della cena avevamo mangiato un camembert molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi a lungo seduto a tavola, a meditare sul problema filosofico dell'ipermollezza posto da quel formaggio. Mi alzai, andai nel mio atelier, com'è mia abitudine, accesi la luce per gettare un ultimo sguardo sul dipinto cui stavo lavorando. Il quadro rappresentava una veduta di Port Lligat; gli scogli giacevano in una luce alborea, trasparente, malinconica e, in primo piano, si vedeva un ulivo dai rami tagliati e privi di foglie. Sapevo che l’atmosfera che mi era riuscito di creare in quel dipinto doveva servire come sfondo a un’idea, ma non sapevo ancora minimamente quale sarebbe stata. Stavo già per spegnere la luce, quando d’un tratto, vidi la soluzione. Vidi due orologi molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo dell’ulivo. Nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi, preparai febbrilmente la tavolozza e mi misi al lavoro. Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei più famosi, era terminato»





 
















  
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