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Autore: AleeraRedwoods    20/10/2021    3 recensioni
Dal testo:
“Tu sei nata per una ragione e il tuo cammino non può cambiare.
Ma un destino scritto è anche una maledizione.
Il tuo compito è salvare la Terra di Mezzo,
riunirai i Popoli Liberi e scenderai in battaglia.
Una prova ti attende e dovrai affrontarla per vincere il Male.
Perché la Stella dei Valar si è svegliata.
La Stella dei Valar porterà la pace.
A caro prezzo.”
(Revisionata e corretta)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Aragorn, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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-Namárië-



    I frammenti che giacevano sul suolo devastato brillavano appena, tremanti in quell’innaturale solitudine e smaniosi di ricongiungersi tra loro. Una tensione lieve, infatti, li attirava gli uni agli altri, facendo vibrare l’aria di energia. Tuttavia, abbandonati senza preavviso dai loro portatori umani, gli inoffensivi pezzetti di pietra finirono presto schiacciati dall’inarrestabile avanzata dell’esercito oscuro.
    I non morti si muovevano velocemente, dritti verso i cittadini di Gondor che, ormai liberi dalla magia del Palantir, incespicavano a fatica contro le mura, troppo deboli per correre in salvo.
    Intuendo la gravità della situazione, Éomer guidò i suoi in una folle cavalcata, pronto a coprire la ritirata dei civili. -Serrate le fila, suonate i corni!- Sollevò la lancia, furioso, spronando il destriero argenteo a non cedere terreno: -Scontro frontale!-
    Elessar e le guardie di Minas Tirith fecero appena in tempo a trascinare via gli ultimi ostaggi, poi la cavalleria invase i campi come un’onda scalpitante.
    All’istante, il familiare e sinistro clangore del ferro assordò i presenti: la battaglia era di nuovo cominciata.
    Pallando, incurante della scena, strinse nel pugno i frammenti del Palantir ancora in suo possesso, infondendovi più potere:
-Distruggete tutto, uccidete chiunque vi si trovi d’innanzi! Questa guerra non richiede più sopravvissuti.- Sibilò, adirato.
    Il suo ordine animò con maggior fervore i non morti, costringendoli ad avanzare più velocemente.
    Sillen puntò l’Alfiere del Cielo davanti a sé, ergendosi in tutta la sua altezza: -Arrenditi Pallando! I tuoi non morti non sono sufficienti, verranno soppressi.-
    Lo stregone non indietreggiò, nonostante la tensione gli inasprisse i tratti rugosi del volto. -Credi di conoscere tutti i miei assi nella manica, stupida ragazzina?- Il suo sguardo corse ai cittadini, che si accalcavano intorno alle mura come formiche attorno ad un buco: le guardie faticavano a mantenere l’ordine presso le porte, ormai bloccate da un ingorgo di corpi spaventati.
    In quel momento, l’alabarda divina tremò nelle mani della stella: -Sillen, qualcosa di molto grosso si avvicina.- Lei si guardò attorno, tesa. -Dove?- La voce dell’Alfiere si fece più cupa, mentre rispondeva: -Sotto terra.-
    Sillen sentì il sangue gelarsi nelle vene. I Mangiatori di Terra.
    Lo stregone voleva uccidere i cittadini prima che questi riuscissero a mettersi in salvo e aveva affidato il compito ai Mangia Terra. -Quel bastardo già sapeva che saremmo stati più numerosi dei suoi non morti, in caso di scontro.- Nonostante la sua inutile farsa, egli voleva ancora uccidere tutto.
    La stella ringhiò la sua frustrazione verso Pallando, cercando un modo per fronteggiare quell’incombente pericolo. L’Alfiere aveva bisogno di più tempo per ricaricarsi, dunque lei non poteva ancora sfruttare la sua piena energia. Tuttavia…
    Sillen serrò la mascella, concentrata: tuttavia, l’alabarda non era l’unico potere di cui lei disponeva.
    Lo Stregone Blu avanzò verso di lei con il bastone nero saldo tra le mani, frenando i suoi pensieri: -Lo ammetto, non mi aspettavo che i miei ostaggi mi sarebbero stati tolti con tanta facilità... Ma adesso tu non puoi fare niente senza la tua grossa arma, non è vero? Non riuscirai comunque a salvarli.- Ghignò: -E anche se fosse, io ti ucciderei prima!- Si lanciò verso di lei, caricando un affondo senza pietà.
    Il suo bastone oscuro cozzò con un violento boato contro l’Alfiere del Cielo e Sillen piantò i piedi a terra, per evitare di essere sbalzata via. Lasciò scivolare le lame dell’alabarda verso il basso, sottraendosi al peso di quell’attacco solo per mirare al fianco scoperto dell’avversario.
    Inaspettatamente, quando il filo della lama lucente raggiunse Pallando, una forza estranea lo respinse di colpo, facendo barcollare la stella all’indietro. Lo stregone sorrise, un ghigno sinistro: -Giusto, dovevo avvertirti. Non puoi toccarmi.-
    L’Alfiere del Cielo risuonò metallico e infastidito: -Utilizza il Palantir per proteggersi. Posso attraversare la sua barriera solo al massimo della mia forza, è un artefatto troppo potente, soprattutto se sarà completo. Prendi tempo.- Sillen rinsaldò la presa, senza scoraggiarsi, mentre la battaglia le infuriava attorno: -Quanto tempo ti serve?- Schivò un nuovo affondo di Pallando, senza permettergli di colpire l’Alfiere. -A destra.- Le fece l’alabarda, e Sillen schivò un nuovo attacco con prontezza:
    -Concedimi più tempo possibile, saprai quando sarò pronto.-
    La stella annuì: -Bene!-
    Quando Pallando si avvicinò nuovamente in un attacco frontale, Sillen piantò l’Alfiere a terra, decisa. Anziché parare il colpo, si abbassò velocemente, calciando il ventre dello Stregone Blu con tutta la forza di cui disponeva.
    I suoi occhi brillarono intensamente e, contro ogni aspettativa, Pallando fu sbalzato violentemente indietro. Non era riuscita a toccarlo ma la barriera del Palantir, respingendo l’attacco della stella, aveva subito un forte contraccolpo. Pallando atterrò malamente, tirandosi a sedere con una smorfia tra il dolorante e il rabbioso.
    Sillen approfittò all’istante di quel momento, proprio mentre il suolo cominciava a tremare a causa dell’incessante scavare dei Mangia Terra: con decisione, premette le mani nell’erba secca, affondando le dita nel terreno.
    Sotto gli occhi costernati degli alleati, i Campi del Pelennor presero a brillare in modo del tutto innaturale, prima lievemente, poi sempre più intensamente, fino a colorarsi di un bianco vibrante, al pari di un lago di luce.
    Solo allora, i giganteschi corpi grigi dei tre Mangia Terra emersero violentemente, urlando il loro sconcerto in sibili assordanti: la stella li aveva cacciati fuori dalle loro gallerie, bruciandoli con il suo potere.
    Furiosi, i Vermi strisciarono in avanti ma non fecero in tempo a crollare con le loro bocche circolari sui cittadini che l’energia pura della stella avvolse anche loro.
    Sillen brillò con un’intensità tale da far lacrimare gli occhi, inarrestabile. La collana in mithril, sollevata sul suo petto, canalizzò la sua immensa forza alla perfezione: ella non solo si era impadronita nuovamente del proprio potere, si era rafforzata. L’immagine di quell’altra, terribile e implacabile, si sovrappose per un secondo a quella fulgida della stella: in tutti i modi possibili, loro due erano oramai un’unica cosa.
    Con un grido nato dal tremendo sforzo, Sillen rivolse tutte le sue forze sui tre Mangia Terra avvolti dalla luce e, in un lunghissimo attimo, essi esplosero, cadendo a brandelli sul suolo caldo.
    Pallando ansimò, incredulo: -Maledizione, è impossibile!- Una potenza simile era inaspettata. E loro non erano pronti ad affrontarla.
    Storse la bocca, osservando con odio la stella che, ancora inginocchiata a terra e ansimante, ricambiò lo sguardo, gli occhi d’ametista duri e freddi come gemme. -Non importa, non importa... Questo non cambia niente!- Le abbaiò contro lui, mentre le sue mani nodose si stringevano convulsamente al bastone scuro. -Tu sei sola, non puoi fermare la nostra ascesa!-
    Lei si tirò in piedi, espirando a fondo e svuotandosi di ogni tensione superflua. Non aveva bisogno di rispondere a quelle futili provocazioni: lei non era mai stata sola, nemmeno per un istante. Brandì l’alabarda nuovamente, decisa a mettere fine a quella guerra: -Pensa ciò che vuoi, non sono qui per metterti ragione, Pallando.- Esordì, seria e limpida. -Il mio solo e unico dovere è fermarti. E stanne certo, è quello che farò.-
    Prima che Pallando potesse rendersene conto, la Stella dei Valar si era mossa verso di lui, in un attacco fulmineo. Lui serrò i denti appuntiti, consapevole di non essere abbastanza rapido da schivarla. Poco male, quella stupida ancora non aveva compreso quanto impenetrabile fosse l’armatura del suo Palantir.
    Sollevò entrambe le braccia, pronto a ricevere un altro colpo a vuoto del temibile Alfiere: un boato assordante si propagò nei campi e molta polvere si sollevò da terra, nascondendo gli sfidanti alla vista.
    Solo nel momento in cui la nube polverosa cominciò a diradarsi, Pallando si rese conto che il colpo dell’Alfiere non lo aveva mai raggiunto.
    Sillen strinse gli occhi a due fessure, fissando le iridi grigie di colui che aveva parato il suo affondo mortale con il proprio bastone ricurvo: Alatar. Le braccia dell’uomo tremarono per lo sforzo ma lui era forte, abbastanza da trattenerla: -Sillen, aspetta.- Ansimò, con voce arrochita. Lei non diede segno di voler diminuire la potenza del suo attacco. -Ti prego di ascoltarmi, non è come credi.- Tentò lui, il tono e il volto insolitamente stanchi.
    Pareva sfinito oltre ogni precedente mentre le rivolgeva quelle parole vuote, forse senza sentirne davvero il peso; forse senza che per lui avessero più alcun valore.
    Pallando fissò il fratello con sdegno: -Alatar! Non perdere tempo in inutili discorsi, finiscila adesso!- L’altro scosse appena la testa: -Avevi promesso che mi avresti lasciato parlare con lei.-
    -Le cose sono cambiate, non lo capisci?! È più forte ora, è un pericolo.- Alatar, con la mascella contratta, si districò da quello stallo fatto di membra tese e ferro e Sillen balzò indietro, svelta.
    Guardò i due fratelli, senza lasciarsi distrarre da quell’inutile teatrino: non poteva esitare, nemmeno un istante, o ne avrebbero approfittato. Traditori, bugiardi, infidi, falsi.
    Non le importava di ciò che stavano dicendo, voleva solo porre fine a tutto. Anche a costo di dover affrontare Alatar. Anche a costo di dover affrontare sé stessa.
    L’Alfiere le riverberò nella mente, inaspettatamente gentile e comprensivo: -Se lo desideri, verrò con te.- Lei osservò il più giovane degli Stregoni Blu, mentre questi stringeva il suo familiare bastone ricurvo tra le mani ruvide e forti. -Tu e pensa ai frammenti. Raduna quelli caduti e aiuta gli alleati.- Rassicurò l’arma, lei, con un mezzo sorriso.
    La piantò nel terreno senza ulteriori preamboli: -Avvertimi quando il Palantir sarà ricomposto. Allora, metteremo fine a questa battaglia.- Poi, i suoi occhi si fecero luminosi come il sole.
    Estratta la spada elfica dal fodero, Sillen cominciò a correre verso gli Stregoni, lasciando l’alabarda dietro di sé.
    Alatar ebbe appena il tempo di sollevare nuovamente il bastone che la stella calò su di lui con tutta la sua forza, provocando tremende esplosioni di energia.

 
**
 
    Thorin ruotò l’ascia, piantandola ad un soffio dalle gambe dell’elfo oscuro. Quel tizio era veloce, troppo veloce. E la sua frusta schioccava in tutte le direzioni, imprevedibile.
    Thranduil, prontamente, attaccò ancora, senza lasciare al Maestro dei Veleni la possibilità di riprendere fiato. Come se questi ne risentisse. Il Sindar non era nemmeno riuscito a sfioralo e la cosa, suo malgrado, lo innervosiva. Inoltre, non riusciva a rimanere concentrato. Ci provava, fallendo pochi istanti dopo, quando il suo sguardo scattava rapido laddove la stella stava affrontando gli stregoni. Due contro uno, una mossa da codardi.
    Ringhiò tutta la sua tensione, parando un altro attacco incredibilmente potente dell’elfo bendato. Il suo udito fine tornò a sondare la situazione più a est, senza che lui potesse impedirlo.
    Sillen
    Scorgeva i lampi di energia, sentiva il sibilo della lama elfica e i tonfi dei corpi che cozzavano sul terreno e, cosa peggiore, non poteva comunque vedere chiaramente cosa stava accadendo. Era frustrante.
    Saedor seguì per un istante il suo sguardo adamantino, serrando i pugni: -Ho capito chi sei.- Sibilò, rauco. Fece schioccare la sua frusta velenosa, l’occhio nero come le tenebre spalancato sul Re degli Elfi: -Sei l’elfo amante della stella.- Thranduil storse la bocca in un’espressione rabbiosa: -Stai zitto.-
    Ma il solo sentirla nominare lo deconcentrò ulteriormente. Nemmeno si accorse della traiettoria mortale dell’arma dell’elfo oscuro. Prima che il Maestro dei Veleni riuscisse a colpirlo, Thorin si frappose velocemente tra i due, mozzando la punta della frusta avvelenata con la sua ascia: -Non distrarti, folletto! Sillen se la caverà meglio di noi, credimi!- Lo riprese, tonante.
    Il Re balzò all’indietro, respirando a fondo. La situazione non gli permetteva di ragionare chiaramente, troppo simile alle circostanze che, secoli prima, lo avevano privato della sua amata Regina.
    Saedor ignorò il nano e inclinò la testa, studiando Thranduil con inquietante insistenza: -Sai chi sono io, invece?-
    -Non mi interessa.-
    -Sono colui che ridusse la stella ad un’ombra martoriata, colui che avrebbe potuto ucciderla senza alcuno sforzo.- A quelle parole sibilate, Thorin Elminpietra puntò immediatamente gli occhi sul Re: -Non starlo a sentire, vuole solo provocarci!- E deglutì dinanzi all’espressione dell’elfo argenteo.
    Thranduil strinse la spada in un moto d’ira, consumato dalla preoccupazione e dal sentimento d’impotenza che lo inseguivano da ben prima dell’inizio della battaglia.
    Solo imponendosi un ferreo autocontrollo, riuscì a trattenersi dal rispondere. Non voleva stare a quel meschino gioco, ora Sillen stava bene, era più forte.
    Si concentrò nuovamente sull’attacco, sperando di porre fine a quello stallo per accorrere in aiuto della stella, quando la voce gracchiante dell’elfo lo raggiunse ancora una volta: -Perché vuoi impedirmi di farle del male? Ho provato un grande sollievo nello stringere la mia frusta attorno al suo fragile collo. Sentire il profumo della sua carne che si scioglie… è mio desiderio torturarla e ucciderla. Vorrei farla soffrire.- Spalancò ancora di più quell’infernale occhio nero, gli angoli delle labbra tirati verso il basso: -Dovrebbe soffrire. Solo chi soffre può capire.-
    Thranduil espirò, perdendo in un attimo ogni briciolo di concentrazione che gli era rimasto. Colpì senza esitazione, ripetutamente, nonostante non riuscisse a comprendere le reali intenzioni di quell’elfo degenerato.
    Thorin cercò di stargli dietro, tagliando la fuga del loro avversario: -Così non va bene, non va affatto bene.- Ansimò, tentando di colpire le gambe del veloce Maestro.
    Saedor saltellò di lato, evitando ogni preciso attacco senza battere ciglio. Era quasi innaturale. -Sono stanco di voi misere, inutili creature. Solo chi è come me è forte. Solo chi ha sofferto è degno di battermi.- Guaì, pronto ad attaccare un’ultima volta.
    Qualche secondo dopo, Thranduil sentì la frusta dell’elfo oscuro avvolgersi sfrigolando attorno alla lama della sua spada. In un istante, piantò istintivamente i piedi a terra. Sorrise, in un ghigno saputo: quel sadico aguzzino si era appena rovinato da solo. Poteva anche essere veloce e instancabile ma non aveva ancora imparato a misurare la forza del suo avversario. Il Re era due volte più grosso di lui, come poteva anche solo pensare di trattenerlo con la forza bruta?
    Con un gesto secco, Thranduil strinse la spada con entrambe le mani, tirando violentemente verso di sé. Saedor, come previsto, perse l’equilibrio, finendo dritto contro il corpo solido del Re degli Elfi. Thranduil lo sostenne, in vero: con un pugnale piantato dritto nel suo cuore. -Mi hai stancato.- Sibilò.
    Thorin esultò, sollevando la pesante ascia al cielo: -Fuori uno, ottimo lavoro!- Ma Saedor, contro ogni logica razionale, semplicemente afferrò la mano dell’elfo e indietreggiò, sfilandosi il pugnale dal petto con naturalezza. Sotto lo sguardo sconvolto dei due, riprese la posizione d’attacco: -Idioti. Vi sventrerò.-
    A quella scena, Thranduil sentì il sangue gelarsi nelle vene e strinse più forte il pugnale impregnato di sangue, deglutendo.
    Quando Sillen aveva accennato all’incredibile resistenza di quell’elfo, forse non aveva esagerato.
    Forse, la situazione era peggiore di quanto lui si fosse aspettato.
    E, forse, non si sarebbe riunito alla stella tanto velocemente.

 
**
 
    Legolas raggiunse in fretta il Re degli Uomini, ancora profondamente scosso da quanto accaduto poco prima. Sapeva di avere il viso stravolto, gli occhi gonfi di pianto e la gola riarsa dal tanto urlare, ma non aveva alcuna intenzione di fermarsi a riprendersi: -Aragorn!- Questi si voltò verso di lui, sorridendo.
    Alla vista dell’amico in piedi e in forze, il peso sul petto del Principe si dissipò all’istante, come un cumulo di ghiaccio finalmente sciolto dal sole. Lui era vivo, stava bene. Anche Miniel e la Regina erano salve, al sicuro dentro le mura. Contro ogni aspettativa, tutti loro avevano evitato il peggio.
    Strinse il proprio arco, sollevato, concentrandosi sulla situazione: -I cittadini sono entrati?- Elessar calciò via un non morto con poca grazia, scostando indietro i capelli disordinati:
    -Sì, sono tutti al riparo, finalmente. Ci penseranno Barbalbero e i suoi a difendere la città, adesso.- Fece poi segno ai generali, posizionati sulle mura sopra di loro e pronti a ricevere ordini:
    -Conducete i cittadini nei livelli più alti e difendete le porte! Chi non è strettamente indispensabile raggiunga i rohirrim in battaglia!- Esclamò, risoluto.
    Gimli ruzzolò al loro fianco poco dopo, trafelato. Si tirò su tra borbottii sollevati, guardando Elessar: -Ragazzo, te la sei vista brutta! Mi sono venuti i capelli bianchi per lo spavento.- L’altro rise di gusto, roteando la spada per accogliere altri due non morti in avvicinamento: -Poco male. Di capelli bianchi già ne avevi in abbondanza, vecchio mio. Ora buttiamoci nella mischia, ai convenevoli penseremo dopo!-
    Messe in sicurezza le porte della città, Elessar spostò lo sguardo su entrambi i suoi amici: -Sillen tenterà di uccidere Pallando appena le sarà possibile e gli altri stanno affrontando gli elfi oscuri. Noi dovremo occuparci dei non morti, per dare loro più tempo.-
    Legolas scosse la testa, sollevando una mano per frenare il Re: -Aspetta, Aragorn. La freccia che ho scoccato non è riuscita a penetrare le difese dello Stregone Blu, ricordi? La mia idea è che lui stia usando il Palantir per difendersi. Se la mia supposizione fosse corretta, la prima cosa da fare sarebbe radunare tutti i frammenti e rendere inoffensivo il Palantir, mentre la stella impegna gli stregoni nello scontro. In questo modo, Pallando perderà il suo scudo protettivo e Sillen potrà finalmente ucciderlo.-
    Elessar e Gimli si scambiarono uno sguardo preoccupato ma, in quell’istante, una voce indefinita e innaturale proruppe nella loro mente: -Ebbene, sei cento volte più sveglio di tuo padre, giovane Principe.-
    I tre sobbalzarono, guardandosi attorno con sconcerto. -Che cos’è stato?!- Esclamò Gimli, mentre gli altri due afferravano in fretta le spade.
    -State calmi gente, sono solo l’arma della vostra cara Sillen.- Credette di tranquillizzarli, l’Alfiere, riecheggiando nella loro mente. Come se comunicare con un’arma parlante fosse del tutto normale. -Alle domande risponderò più tardi, ora statemi a sentire. Non abbiamo molto tempo.-
    Elessar individuò l’alabarda, piantata nel bel mezzo del campo di battaglia: un’aura bianca come la neve la circondava, impedendo a chiunque di avvicinarsi o di toccarla.
    -Straordinario!- Esultò Legolas: -L’Alfiere del Cielo!-
    Questi sospirò: -Come il Principino diceva, Sillen non sta tentando di uccidere Pallando, in questo momento. Piuttosto, il suo piano è fare in modo che il Palantir venga reso inutilizzabile attraverso la sua morte.- Elessar sgranò gli occhi: -Giusto! La Pietra Veggente deve ricordare una morte violenta per perdere il suo potere. Se la facessimo avere a Pallando prima di ucciderlo, ricorderebbe proprio la sua morte!-
    -Per questo ho bisogno che tutti voi seguiate le mie istruzioni. In questo momento, sto attirando a me tutti i frammenti caduti ai cittadini.- L’Alfiere brillò brevemente, mentre i pezzi di vetro scuro rotolavano placidamente verso di lui, attirati dalla sua energia. Attorno alle sue lame, già a decine si erano accalcati gli uni agli altri, in un bagliore bluastro.
    I tre amici sorrisero, speranzosi.
    -Io mi occuperò di radunarli. Il vostro compito, invece, è estrarre i rimanenti frammenti dalla carne dei non morti.-
    E i sorrisi si spensero: -Cosa?! Ma sono troppi! Per muovere cinquantamila non morti, Pallando avrà usato almeno trecento frammenti! Hai idea di quanto tempo ci vorrà? Senza contare che prima dovremo individuare tutti i non morti che ne possiedono uno! E questi hanno l’ordine di scappare, una volta allo scoperto! Come credi che-
    Ma l’Alfiere zittì Elessar con voce seria: -Ce ne sono quattrocentosessantanove in possesso dei non morti, al momento.- I tre s’irrigidirono, scossi dalla potenza sotterranea che il tono incolore dell’Alfiere aveva trasmesso loro. Si fecero piccoli, sotto il peso della sua essenza divina. -Mi credi stupido? Lo so benissimo, simpatico Re degli Uomini. Infatti, sarò io a indicarvi i cadaveri ambulanti portatori dei frammenti. Cercate la mia luce.- Le espressioni degli alleati si fecero perplesse ma non per questo osarono obbiettare.
    L’Alfiere del Cielo abbandonò lentamente le loro menti, con l’eco di un ultimo ordine: -Passate la parola e sbrigatevi. Vi dò tre ore.- E sparì, lasciandoli a loro stessi.
    -Non perdiamo tempo, raggiungiamo Éomer, Faramir e gli elfi, e passiamo la parola. Sono certo che presto capiremo cosa cercava di dirci l’arma con “cercate la mia luce”.- Sospirò, Elessar.
    Gli altri annuirono e, insieme, presero a correre verso il campo di battaglia.

 
**

    Lhospen si voltò verso il suo implacabile inseguitore, senza rallentare: -Sei troppo lento, vecchio Vanyar.- Lo derise, lasciando che i lunghi capelli neri gli sferzassero il viso. Glorfindel balzò su di lui, mancandolo per un soffio. Ancora.
    -Stai zitto, ragazzino!- Ansimò, infastidito, tornando a corrergli dietro. Come diamine faceva ad essere così veloce?
    Oramai, con quell’infinito inseguimento, avevano percorso tutte le mura del versante Nord della città, giungendo quasi alle pendici della montagna. 
    Il frastuono della battaglia era solo un’eco alle loro spalle e le cicale frinivano senza sosta, sotto un sole impietoso.
    Finalmente, Glorfindel vide l’elfo svoltare di colpo, nascondendosi dietro all’ultima torre difensiva, e sorrise: si era andato a cacciare in un vicolo cieco, era in trappola. Il Vanyar frenò bruscamente dinanzi alle mura, pronto ad attaccare.
    Tuttavia, quando la polvere sollevata dai loro piedi si dissipò per rivelare il retro della torre difensiva, Glorfindel si ritrovò solo.
    Incredulo, perlustrò la zona, fino a tastare le pietre squadrate delle mura: l’elfo oscuro era letteralmente scomparso.
    La voce di Sillen risuonò nella sua memoria, come un monito: “I suoi servi sono esseri potenti e imprevedibili. Uno di loro è padrone delle illusioni…” Doveva essere lui, colui che si faceva chiamare Maestro delle Illusioni.
    Se padroneggiava le illusioni allora…
    Gli acuti sensi dell’elfo dorato si fecero attenti, mentre ripercorreva la torre difensiva: lui doveva essere ancora lì, invisibile ai suoi occhi. -Cerca di non essere troppo ridicolo e vieni fuori. Giuro che se t’inginocchi e preghi per la mia pietà, ti risparmierò.- Lo incalzò, Glorfindel, sorridendo sornione.
    Per tutta risposta, un forte calcio all’addome lo mandò a sbattere contro la parete di pietra: -Chi credi che io sia, per dover cercare la tua pietà?- Il tono canzonatorio del Maestro rimbalzò tra le pietre, senza che Glorfindel potesse rintracciarne la fonte.
    -Allora affrontami lealmente!- Ringhiò questi, rivolto allo spazio dinnanzi a sé. L’altro stette in silenzio per un po’, poi sembrò convincersi: -Va bene, come vuoi tu. Giochiamo, vecchio Vanyar.- Glorfindel aggrottò le sopracciglia, senza capire cosa l’elfo intendesse e si voltò per cercarlo con lo sguardo quando, improvvisamente, il paesaggio intorno a lui cambiò.
    La testa del Vanyar vorticò con violenza e le sue membra tremarono, mentre si ritrovava a fissare gli Arazzi di Vairë, la Tessitrice. -Come, d-dove-
    -Il gioco è semplice.- La voce dell’elfo rimbombò come un'eco infinita tra le volte di marmo delle Aule, stordendo ancora di più Glorfindel: -Devi uscire da queste stanze da solo. È leale, il mio potere contro il tuo. Se uscirai da qui, avrai vinto. Come vedi è molto semplice, tuttavia ti avverto: c’è una difficoltà.-
    Una risatina sfiorò l’orecchio del Vanyar, che si voltò di scatto, senza però vedere nessuno. Lhospen continuò: -Le mie illusioni possono riprodursi all’infinito. Ringrazia la stella per questo… è stato lo scontro con lei che mi ha permesso di perfezionarmi. Un tempo, una volta smascherate, le mie illusioni perdevano di efficacia e il vostro potere divino le avrebbe dissolte in pochi secondi. Ma adesso mi sono… adeguatamente potenziato. Non accadrà di nuovo.- Ridacchiò.
    Glorfindel si portò le mani tra i capelli, terrorizzato: -C-cosa vuoi dire!?- Ma era piuttosto chiaro: non poteva uscire da lì, e forse non ne sarebbe uscito mai più, perché l’unico modo per sconfiggere Lhospen era trovarlo, colpire il suo vero corpo, nascosto oltre la coltre delle sue nuove, potenti e indistruttibili illusioni. Alla faccia del gioco leale.
    Indietreggiò, deglutendo a vuoto. D’un tratto, una figura apparve in fondo alla sala di marmo. Non poteva essere Lhospen, non avrebbe mai rischiato tanto. Bensì, poteva essere un alleato, se la fortuna volgeva a suo favore. Glorfindel prese a correre verso la figura, più veloce che poteva. Tuttavia, per quanto corresse, egli non si spostava affatto dal punto di partenza.
    Ansimò, confuso e angosciato: -Chi sei!?- Per un secondo, la figura si fece più nitida: era Thranduil? No, forse era Legolas. E poi, gli parve fosse il tozzo Thorin Elminpietra. -Chi sei!?- Ripeté, sperando che questi rispondesse. Era… Sillen?
    -Sillen!- Urlò, sentendo il cuore battere impazzito nel petto. Lhospen non poté non notare le sue pupille dilatate, la sua espressione disperata, la mano tesa verso quella figura che lui aveva plasmato in ognuno dei compagni del Vanyar, sperando di trovare il suo punto debole.
    Ed eccolo lì, urlato al vento senza che lui si fosse sforzato poi tanto: Sillen. Girava sempre tutto attorno a lei, eh?
    Glorfindel sentì il proprio potere ribollire nelle vene: -Adesso basta, fammi uscire da qui!- Ringhiò, pronto a bruciare qualsiasi cosa avesse attorno.
    Ma, prima che il suo potere esplodesse, il Maestro delle Illusioni si diede da fare, producendosi in nuovi scenari. Non che avesse paura di alcunché, le illusioni non potevano essere ferite, voleva solo evitare che si rovinassero subito. E poi aveva in mente altri giochetti.
    Sillen corse verso il Vanyar, i passi leggeri che a malapena risuonavano sul freddo pavimento: -Glorfindel, ti ho trovato!-
    La sua voce irrigidì i movimenti dell’elfo, che si voltò verso di lei, sgranando gli occhi: -T-tu… Che cosa fai qui, vattene subito!-
    Lei scosse la testa, mentre i lunghi capelli le piovevano attorno in onde di seta nera: -Non posso andare via senza di te, fuggiamo insieme!-
    L’elfo sgranò ancora di più gli occhi dorati.
    Poi storse le labbra, infastidito: -Questa illusione ti è venuta proprio male. Perché farle dire una cosa simile? Oh, credi che io sia tanto affascinante da non poter essere rifiutato? Lusingatissimo ma caschi male, sai?- Si raddrizzò, ignorando la bella illusione della stella: -Sillen non direbbe mai una cosa simile. Pecchi di arroganza se credi di potermi ingannare senza conoscere la realtà dei fatti.-
    Lhospen, o meglio, la voce effimera di Lhospen, ridacchiò:
    -Scusami, credo tu abbia ragione. Forse ho sbagliato soggetto.-
    L’illusione di Sillen superò il Vanyar per correre tra le braccia di Thranduil, improvvisamente apparso al loro fianco: -Così va meglio, vecchio immortale?- Mormorò, il Maestro. Glorfindel distolse lo sguardo, sbuffando: -Patetico.-
    Si voltò, cercando di allontanarsi dalla parte opposta. Ovviamente, poteva camminare quanto voleva, non si sarebbe allontanato di un passo. -Odio questo tizio.- Masticò, incrociando le braccia al petto.
    Più che una battaglia, quella era una trappola mentale di pessimo, pessimo gusto.
    -Che peccato, avrei scommesso su di te.- Lo canzonò, Lhospen, mentre i due innamorati fittizi si prodigavano in effusioni oscene alle spalle dell’elfo dorato. Questi, nonostante cercasse di ripetersi che quella fosse solo finzione, non resistette a lungo alla deplorevole scena.
    In un moto di stizza, la sua luce violenta spazzò via l’illusione dei due amanti, pur non riuscendo a scalfire quella attorno a lui.
    O forse sì, non era importante. Tanto lui non poteva vederlo.
    Poteva solo vedere ciò che il Maestro voleva fargli vedere.
    Che potere tremendo.
    -Puoi smetterla!? Hai intenzione di andare avanti così? Non riuscirai a tenermi imprigionato qui a lungo, ti troverò!- Urlò, in direzione del nulla. -Oh, non ti piaceva guardare la tua stella? Era così felice! Forse preferisci qualcosa di diverso.- Questa volta, attorno a lui apparvero strumenti di tortura della peggior specie.
    Glorfindel rabbrividì ma strinse i denti: -Sono solo illusioni.-
    -Allora non ti dispiacerà se provo una di queste.- Sillen tornò nella sala, avvicinandosi ad una di quelle macchine infernali.
    I suoi occhi d’ametista fissarono Glorfindel, spaventati, mentre le cinghie si stringevano attorno ai suoi polsi sottili: -Glorfindel, aiutami!- L’elfo serrò la mascella: -Sono solo illusioni.-
    Eppure, quando le urla di dolore si propagarono nella sala, il Vanyar si sentì ribollire. -Smettila con queste stronzate!- Imprecò, investendo lo spazio con la sua luce dorata.
    Tuttavia, questo si ricompose in fretta attorno a lui.
    Le urla continuarono ma Sillen, questa volta, non apparve più legata. Stava in piedi, sanguinante, a fissarlo con odio: -Perché non mi hai aiutata!?- Gli urlò.
    Glorfindel indietreggiò di un passo, instabile, e l’illusione lo attaccò. Il dolore che gli attraversò le membra sembrava così reale che l’elfo pensò di essere finalmente uscito da quel luogo illusorio. Purtroppo, non poteva essere così semplice.
    -Sillen, ferma… Ah, a che serve parlare se è solo un’illusione!- Ringhiò lui, accusando un nuovo calcio della stella. Era forte, era veloce. Ed era solida come roccia. Sapeva che, se voleva rimanere intero, avrebbe dovuto combattere. Saltò indietro ma Sillen lo colpì al ginocchio, facendolo crollare a terra.
    -Guardati, nemmeno riesci a reagire. Nonostante tu sia consapevole che ella è solo un’illusione, ancora non riesci a colpirla?- Glorfindel rotolò sul marmo: -Dannazione…- Soffiò, dolorante, cercando di ignorare la voce beffarda di Lhospen.
    Attorno a lui apparvero altre Sillen, che riempirono la sala come una folla. Alcune subivano torture spaventose, alcune venivano uccise, altre erano prese senza pietà da versioni distorte di lui, di Thranduil, dell’elfo oscuro. Altre lo attaccavano senza esitazione, colpendolo con violenza.
    Era un incubo, una tortura apparentemente senza fine.
    Ogni volta che il suo potere lucente spazzava via tutto, questo si ricomponeva, senza fare una piega. Poteva andare avanti all’infinito… lui, invece, no.
    Presto sarebbe crollato definitivamente.
    E Lhospen aspettava solo quel momento.

 
**

    Elessar si fermò in mezzo alla ressa, tranciando membra non morte a più non posso: -Qualcuno ha visto una stramaledetta luce?- Gridò, rivolto ai compagni.
    Éomer bloccò un orco prima che si avventasse su Gimli, intento a decapitare un disgustoso Uruk-hai: -Ancora niente, è inutile!-
    Legolas recuperò un’altra freccia dalla faretra: -Abbiate fiducia nell’Alfiere del Cielo, sento che sta per accadere qualcosa.-
    Accanto a lui, Faramir schivò una lancia insanguinata, scostandosi i capelli sudati dalla fronte: -Lo spero! Non abbiamo che tre ore, deve sbrigarsi!- Gimli lo tirò indietro, evitando per un soffio che una mazza chiodata piombasse su di lui: -Se non appare nessuna dannata luce li illumino io con il fuoco, per tutti i martelli di ferro dei nani!- Tuonò.
    Come risposta a quelle veementi parole, un suono orribile irruppe tra il clangore delle armi e le urla degli alleati. Era un sibilo stridulo e penetrante, come ossa che sfregano tra loro o legno che viene stritolato dal metallo.
    Elessar si guardò attorno, tra le espressioni attonite e confuse dei compagni: -Da dove viene?!- Legolas tese le orecchie: -Non da una sola parte… viene da ovunque!- Sopra di loro, come fulmini a ciel sereno, si ersero improvvisamente sottili colonne di pura luce bianca. Erano decine, forse centinaia.
    Gli amici corsero verso quella più vicina, trafelati: -Di certo quella è una luce.- Convenne Gimli, sconvolto, seguendo Legolas tra i soldati. Giunti alla fonte di quell’assurdo evento, Elessar e i suoi rimasero a bocca aperta: un non morto era inchiodato al suolo, trattenuto da una lancia di luce conficcatasi nella sua carne putrida. Come ogni non morto portatore di un frammento, tentava di liberarsi, dimenando braccia e gambe, inutilmente.
    Il rumore sgradevole che riempiva l’aria, non era altro che lo sfrigolare della lancia di luce a contatto con i tendini e le ossa di tutti i cadaveri che, come questo, erano stati catturati.
    La puzza, poi, non era da meno.
    -Ecco cosa intendeva l’Alfiere.- Mormorò Faramir, deglutendo.
    Elessar brandì Andùril, improvvisamente consapevole del rapido avvicinarsi degli altri non morti: -Non abbiamo tempo da perdere, gli altri accorreranno a difendere i frammenti!- Con un balzo fu sul non morto, tranciandogli di netto la testa.
    Il frammento bluastro rimbalzò sul terreno un paio di volte, prima di partire come la punta di una freccia verso l’Alfiere del Cielo. -Perfetto.- Si animò, il Re degli Uomini.
    Anche i suoi compagni si riscossero, nuovamente motivati.
    Éomer fece segno ai suoi: -Io andrò a Sud!- Faramir gli tenne dietro, mentre Legolas cominciava a correre nell’altra direzione, più rapido: -Radunerò gli elfi a Est! Elladan e Elrohir sono già lì, devo avvertirli!-
    Elessar guardò per un istante Gimli, che si lisciò la folta barba rossiccia: -Non preoccuparti, noi nani ci occuperemo del Nord. Vai a Ovest con i tuoi uomini, ci rivedremo dall’Alfiere quando i frammenti saranno radunati.- Il Re annuì, partendo in gran fretta verso i generali di Minas Tirith: avevano tre ore, forse meno, ma si fidava di ognuno dei suoi compagni come di sé stesso.
    E ancora una volta, gli alleati si separarono per adempiere il loro compito.

 
**

    Sillen lanciò uno sguardo distratto alle colonnine di luce che avevano screziato il cielo terso, pulendosi il sangue dal labbro.
    Alatar ansimò per lo sforzo, il sopracciglio spaccato che colava rivoli cremisi sul suo viso segnato: -Capisci Sillen? Tutti smetterebbero di soffrire, non credi sia una buona cosa?- Le fece, mesto.
    La stella afferrò la spada con la mano sinistra, poiché la destra era ormai diventata troppo scivolosa per via delle ferite al braccio, che la sua luce stava già provvedendo a rimarginare. Non avvertiva dolore, però. Niente era paragonabile alla morsa di fuoco che aveva avvolto il suo cuore, nel combattere contro lo stregone. Da tempo aveva smesso di provare a zittirlo: non aveva alcun senso quel suo blaterare di pace, di morte risanatrice. La morte non rendeva liberi, Glorfindel le aveva insegnato anche questo: era solo una triste e vuota via di fuga che non poteva offrire alcuna pace al mondo.
    -A che serve un mondo pacifico se nessuno può viverci?- Lo apostrofò, piccata. Alatar strinse la mascella, senza ribattere. La spada elfica rovinò ancora sul bastone magico dello stregone, senza però scalfirlo. Era inutile continuare a combattere contro l’arma dell’Istar con una semplice spada, ma Sillen aveva bisogno di guadagnare tempo.
    Invece che mettere più forza nella lama, la stella assestò un pugno contro lo zigomo dello stregone, che barcollò all’indietro. Mentre la giovane scartava rapidamente di lato, la sua spada disegnò un arco rosso sull'avambraccio dell’uomo.
    -Alatar devi reagire! Non serve a niente provare a trattenerla, attacca!- Lo incalzò Pallando, rimasto alle spalle del fratello.
    Dopo l’assaggio della potenza di Sillen, e senza le figure protettive di Lhospen e Saedor al suo fianco, il vecchio pareva meno propenso a schierarsi in prima fila. -Codardo.- Soffiò, Sillen.
    Alatar la vide tornare all’attacco e dal suo bastone partì una forte corrente. Sillen fu sbalzata via ancora una volta, finendo a rotolare nell’erba secca.
    Pallando aveva ragione, Alatar si era limitato a fermarla, a impedirle di arrivare a lui, ma non l’aveva mai attaccata di sua iniziativa. Lei tenne una mano sul costato dolorante, osservandolo senza nascondersi al suo sguardo.
    Perché, Alatar? Perché non voleva attaccarla? Perché cercava di renderle le cose ancora più difficili?
    Scosse la testa prima che i suoi occhi si riempissero di lacrime: ancora un po’ di tempo, poi avrebbe attaccato con tutta la sua forza e nemmeno Alatar sarebbe riuscito a fermarla. Per ora, poteva continuare quel teatrino, che le straziava il cuore pezzo dopo pezzo. Si chiese solo, nei recessi della sua mente provata, dove fosse Thranduil.
    Sollevò il viso al cielo striato di luce: -Ti prego Alfiere, sii veloce…-

 
**

    Saedor sputò un fiotto di sangue, senza scomporsi. Che seccatura. Oramai era da un po’ che il Re degli Elfi si accaniva su di lui, provocato dalle sue parole sinistre. Non rischiava di certo la vita ma, se avesse perso l’utilizzo di qualche arto, avrebbe deluso Pallando e questo non poteva accadere: doveva sbrigarsi ad uccidere quell’elfo, così sarebbe potuto tornare al fianco dello stregone.
    Thranduil premette una mano sulla gamba, dove uno squarcio bruciante si estendeva dal ginocchio sino al fianco, e Saedor annuì soddisfatto. La sua frusta avvelenata lo aveva raggiunto svariate volte, ferendolo ogni volta più in profondità.
    La fine del duello si faceva mano a mano più vicina.
    Purtroppo, la provvidente presenza del nano gli impediva di assestargli il colpo di grazia. Infatti, l’ascia a doppia lama di Thorin III intercettò nuovamente la traiettoria della sua frusta mortale, vanificando il suo successivo attacco.
    Thranduil ne approfittò per cercare di colpire ma il Maestro dei Veleni aveva ancora qualche asso nella manica: dalla cintura che gli cingeva i fianchi ossuti tirò fuori due boccette violacee, che getto con precisione contro il Re degli Elfi.
   Automaticamente, egli sollevò la spada per proteggersi e il vetro si ruppe violentemente contro il ferro. Una nube maleodorante piovve su di lui, come nebbia densa e, al contempo, ustionante.
    Thranduil sibilò dal dolore, chiudendo gli occhi per preservare la vista e portandosi il braccio davanti al naso: -Thorin non avvicinarti alla nube, è tossica!- Tossì, saltando all’indietro.
    Il nano, assicuratosi di accorrere dalla parte opposta, si lanciò sull’elfo bendato, roteando l’arma imponente: -Adesso basta, sono stufo di te!- Quasi lo colpì, ma l’altro fu più rapido.
    La frusta schioccò in aria e, in un lampo, saettò dritta in mezzo al petto del Re dei Nani, che fu sbalzato indietro. Egli cadde con un tonfo, rotolando nell’erba secca. Più furioso di prima, Thorin fece per alzarsi ma, con orrore, sentì una fitta terribile trapassargli il corpo: laddove la frusta lo aveva colpito, la cotta di maglia si era sciolta, andando a corrodere e bruciare la pelle sottostante. Il dolore era lancinante e lo colpì come una scarica elettrica. Si accasciò nuovamente, ansimando: -M-maledetto.-
    Thranduil gli fu accanto, abbassandosi su di lui: -Resta qui, non muoverti.- Gli intimò, serrando la mascella. -Sei ferito anche tu, dobbiamo cercare rinforzi.- Protestò, l’altro.
    Il Sindar sapeva che il nano aveva ragione ma su chi altri potevano contare, in una simile situazione? Glorfindel era sparito da ore, Sillen era impegnata in uno scontro forse più decisivo del loro e, esclusi i presenti, nessun altro poteva sperare di fronteggiare il Maestro dei Veleni e sopravvivere. Anzi, forse nemmeno i presenti potevano vantare una simile fortuna.
    Ciononostante, il Re degli Elfi puntò gli occhi su Saedor: -Io sono il sovrano del Reame Boscoso, il più grande Re tra i Sindar e il più antico tra i guerrieri della Terra di Mezzo.- Proclamò, alzandosi con superba altezzosità e barcollando sulle gambe ferite: -Non puoi battermi.-
    L’altro fece scrocchiare le ossa della spalla, sgranando l’occhio di tenebra: -Non importa chi sei, non sei degno di batterti con noi! Nessuno di voi ha conosciuto la nostra sofferenza.- Sibilò.
    Thranduil storse la bocca con sdegno, sopprimendo il dolore e tornando all’attacco.
    Come se l’avesse previsto, Saedor lo schivò, complice la lentezza dell’elfo ferito, per poi assestargli una frustrata lungo tutta la schiena. Il Re degli Elfi crollò in ginocchio, scosso da spasmi di dolore. Fece per rialzarsi ma l’altro fu sopra di lui.
    E da allora non prese nemmeno più fiato: lo colpì ancora, e ancora, ricoprendo il suo corpo di mezzelune sanguinolente, corrodendo l’armatura e i tessuti.
    Thorin, tentando di strisciare verso di loro, lo pregò di smettere. Non poteva sapere che quello, per Saedor, era il modo di riservare loro la sua pietà.

 
**

    L’ennesimo frammento rotolò spedito verso l’Alfiere del Cielo, mentre le colonne di luce nel cielo svanivano una ad una. Gli alleati erano rapidi, più di quanto si fossero aspettati, nonostante gli implacabili non morti facessero di tutto per bloccare loro la strada. Ben presto, impararono come eludere gli sbarramenti dei non morti, puntando direttamente ai frammenti per non perdere nemmeno un secondo del preziosissimo tempo che l’Alfiere aveva concesso loro.
    Elessar si lanciò contro il successivo manipolo di non morti, schierati a proteggere il portatore del frammento ancora inchiodato dall’energia divina dell’alabarda: -Copritemi le spalle!- Gridò ai suoi uomini, mentre schivava con facilità le tozze membra dei cadaveri. I soldati di Gondor lo seguirono nel marasma, immobilizzando quelli che si mettevano tra il Re e la colonna di luce.
    Ancora una volta, la nobile lama di Andùril penetrò le carni del tozzo orco per estrarne il frammento nero. I non morti intorno a loro caddero a terra come sacchi vuoti, tra le esclamazioni agguerrite degli uomini.
    Oramai il campo di battaglia era stato setacciato per ben più della metà, mentre un mare d’inutili cadaveri ingombrava la strada alle spalle degli alleati.
    Elessar puntò lo sguardo sull’Alfiere, aguzzando la vista: -Puoi sentirmi, arma divina? Quanto manca?- Mormorò, senza essere sicuro che l’alabarda potesse sentirlo. Invece, con tono scherzoso, l’arma rispose: -Concentrati, Re degli Uomini. Non vedi che la mia luce fende ancora il cielo?- Poi, come un sussurro sputato fuori con enorme e forzata generosità, l’Alfiere del Cielo gli concesse ancora una volta il suo favore: -Novantadue.-
    Una parvenza di divertimento illuminò il volto di Elessar e il malmesso soldato accanto a lui, ignaro della conversazione avvenuta tra il Re e l’Alfiere, lo interrogò con voce sofferente:
    -Mio signore, qual è il motivo di tanto entusiasmo?- L’altro roteò la spada, spostando lo sguardo su di lui e allargando il proprio sorriso: -Che ce la facciamo.-

 
**

Lhospen fermò gli incessanti attacchi delle sue illusioni, che si allontanarono velocemente dal Vanyar steso a terra, circondandolo come un macabro pubblico.
    Era una scena incredibilmente soddisfacente e l’elfo oscuro ne rimase compiaciuto: Glorfindel, livido e scomposto, non riusciva a muovere un solo muscolo, arreso alla consapevolezza di aver dato fondo a ogni briciola di energia che gli fosse rimasta.
    -Fine del gioco. A Pallando piacerebbe tanto vederlo!- Si gongolò, il Maestro delle Illusioni. Aspettò ancora, accertandosi che l’antico immortale non osasse tentare di risollevarsi nuovamente. Ciò, ovviamente, non avvenne e l’elfo sospirò, entrando a sua volta nella propria illusione.
    Un leggero senso di vertigine gli attanagliò le viscere e chiuse per un attimo gli occhi: insolito.
    Ad ogni modo, lasciò scivolare via quella sgradevole sensazione: era da molto che non entrava direttamente in una delle sue visioni, doveva essere una normale reazione fisiologica, concluse.
    Superò le Sillen violente e sanguinarie, rompendo il loro perfetto cerchio: -Bene bene, guarda chi ha smesso di fare l’arrogante.- Rise, avvicinandosi al corpo esamine del Vanyar.
    Lo spinse appena con un leggero calcetto: -Non sarai morto, spero.- Lo canzonò. Il respiro di Glorfindel s’incrinò e persino la voce faticò ad abbandonare le sue labbra: -M-maestro delle Illusioni…- Tossì, gemendo dal dolore.
    Lhospen gli girò attorno, come un avvoltoio in attesa dell’ultimo respiro della sua preda: -Non avrei mai pensato di riuscire a batterti così facilmente, devo ammetterlo. Eppure, eccoci qua.- Glorfindel contrasse i muscoli del volto, nel tentativo di mettere a fuoco la figura dell’elfo: -Se vuoi uccidermi… fallo in fretta..- Mugolò, a denti stretti.
    Lhospen sollevò un sopracciglio, allargando il proprio ghigno ferino. Si chinò sul viso del Vanyar, una luce sadica nei magnifici occhi blu cobalto: -Solo se t’inginocchi e preghi per la mia pietà.- Sussurrò, umiliando Glorfindel con le sue stesse parole. Questi gemette, senza nascondere la propria disperazione: -Ti prego…-
    -In ginocchio.- Sibilò Lhospen, deliziato. Glorfindel si girò a fatica, il respiro corto, costringendosi a tirarsi in ginocchio. Lì, ai piedi del nemico, chinò la testa: -Ti prego…- Lhospen batté le mani leziosamente, tra risolini degni di una cortigiana. Stava lacerando ogni brandello di dignità del potente e antico Vanyar, un’impresa di cui pochi potevano vantarsi.
    Addolcì lo sguardo, mentre le sue stelle ridacchiavano alle sue spalle come iene affamate: -E va bene.- Convenne, gentile. Non che Lhospen fosse sensibile alle suppliche di Glorfindel, beninteso, tuttavia non era un elfo avvezzo a rimangiarsi la propria parola. La soddisfazione di vedere il Vanyar costretto in ginocchio dinanzi a lui era una ricompensa più che sufficiente, dopotutto.
    Con un sorriso a incurvargli le labbra seducenti, Lhospen sollevò il mento dell’elfo dorato per incontrare i suoi occhi tremanti: -Lo farò, ti ucciderò velocemente, non temere. Infondo, non era niente di personale.-
    Glorfindel spostò lo sguardo da lui alle false stelle che, una ad una, smisero improvvisamente di ridere.
    Infine, tornò all’elfo oscuro.
    E fu il suo turno di sorridere: -Dunque, mi avresti trattato con tanto riguardo? Pensavo tu fossi il cattivo della situazione.-
    Lhospen aggrottò le sopracciglia, lievemente confuso: -Stai sorridendo?- Glorfindel, fissandolo dal basso, inclinò la testa, un luccichio più vivo che mai ad accendergli le iridi dorate: -Perché, cosa dovrei fare? Piangere?- Con un unico movimento sinuoso, si tirò in piedi, spazzando via la polvere dall’armatura splendente.
    Lhospen fece automaticamente un passo indietro. Non vi era più alcuna traccia di dolore sul viso dell’immortale. -C-cosa?- Si accigliò, stringendo gli occhi a due fessure.
    -Ce ne ho messo di tempo per trascinarti qui.- Lo apostrofò l’altro, sorridente. Il moro, scrollando la testa, strinse i pugni e gli puntò un dito contro, rabbioso: -Questa è la mia illusione e ho torturato la tua mente!- Un ghigno sadico si profilò sul volto dell’elfo dorato davanti a lui, facendolo rabbrividire violentemente: -Hai davvero creduto di poterne essere in grado, piccolo elfo spaventato?-
    -C-come osi!- Indietreggiò, il Maestro delle Illusioni. -Rimarrai per sempre nell’inferno che ho creato e le mie illusioni non ti daranno pace.- Sibilò, aizzando contro di lui le sue stelle illusorie.
    Tuttavia, si ritrovò a fissarle senza capire: esse, infatti, lo fissavano di rimando, serie e immobili, per nulla intenzionate ad ascoltarlo. Nemmeno un fremito turbò le effimere Aule di Mandos. Perché non riusciva a controllarle!?
    Glorfindel fece un passo in avanti, inchiodandolo al suolo con lo sguardo felino: -Credo tu abbia sottovalutato un piccolo dettaglio.- Lhospen fece per indietreggiare ancora ma, con orrore, si accorse di non poter più muovere le gambe. Tentò di liberarsi, boccheggiando per lo spavento, mentre il Vanyar sollevava una mano verso di lui: -Come hai detto, è il mio potere contro il tuo. E io sono un Vanyar. Sono la creatura più simile a un dio che potrai mai incontrare nella tua patetica vita. Credevi di poter ingannare la mia mente eterna? Credevi che le tue deboli illusioni potessero qualcosa contro la mia psiche divina?- Rise, forse più sadico di quanto l’elfo oscuro era stato con lui.
    Con un gesto gentile e quasi affettuoso, gli scostò una ciocca corvina dietro le spalle sottili: -Vedi, giovane Maestro? Dovevo solo tirarti fuori dal tuo nascondiglio.- Dietro di lui, dalle ombre delle volte, cominciarono a staccarsi figure sinistre, senza che l’elfo oscuro riuscisse in alcun modo a controllarle.
    -C-come è possibile!? Sono io il padrone e creatore di questo luogo!- Glorfindel nemmeno si scompose: -Le tue illusioni erano interessanti ma così prevedibili… Tu non conosci molte cose, ragazzino. Non eri ancora nato quando il vero male calcava queste terre.-
    Le ombre sibilarono, scattanti e sinuose come belve. Lhospen sentì i brividi corrergli lungo la schiena e tremò quando il Vanyar avvicinò il viso al suo, chinandosi a sussurrargli all’orecchio con voce profonda: -Ancora non ti è chiaro? Queste non sono più le tue illusioni, Maestro. Sei entrato di tua spontanea volontà nella psiche divina di Glorfindel di Gondolin, Signore della Casa del Fiore d'Oro. In altre parole, il mio territorio.-
    E accostò le labbra morbide contro di lui, in un mormorio voluttuoso: -Come vedi, non sono io ad essere intrappolato qui con te. Tu sei intrappolato qui con me.-
    La sgradevole sensazione di vertigine che lo aveva colto poco prima acquistò senso, nella mente spaventata di Lhospen. Era entrato nelle illusioni di qualcun altro. Glorfindel aveva sostituito le sue illusioni con le proprie senza farsi notare, e senza alcuno sforzo.
    Lhospen non riusciva a elaborare una simile consapevolezza. Si era sempre considerato unico, non aveva mai nemmeno contemplato l’eventualità che altri al di fuori di sé stesso fossero in grado di produrre una tale magia.
    Esatto, il Vanyar si sbagliava: di quell’inganno lui se ne era reso conto all’istante ma era stato troppo arrogante per crederci.
    Un singhiozzo strozzato sfuggì dalla sua gola, simile ad un patetico squittio. Fece per scappare, disperatamente, ma il suo corpo non rispose ai comandi. I suoi piedi rimasero incollati al suolo, le sue braccia rigide lungo il corpo.
    Non riuscì nemmeno a urlare.
    Le ombre attorno a loro affiancarono le stelle illusorie ora ai comandi del Vanyar e presero a ringhiare, fameliche, pronte ad attaccare. Con soddisfazione, l’elfo dorato vide gli occhi blu dell’altro riempirsi di terrore e, in una mossa fulminea e impietosa, gli serrò la gola nella morsa granitica delle sue dita.
    E aprì i propri occhi dorati, respirando a fondo. La prima cosa che lo colpì fu il calore del sole, di nuovo prepotente su di lui.
    Era tornato alla realtà, finalmente. Si beò del cielo terso, della consistenza del vento, dell’odore pungente dell’erba secca.
    Il frastuono della battaglia gli giunse lontano e indistinto mentre, come risalito a galla dopo una lunga apnea, l’immortale si concedeva il tempo di respirare.
    Lanciò uno sguardo stanco al corpo del Maestro delle Illusioni, di nuovo visibile e deliziosamente vulnerabile: se ne stava immobile, riverso a terra, gli occhi spalancati fissi nel vuoto. Di certo non stava vedendo niente di piacevole, laddove si trovava.
    -Quasi mi dispiace. È stato bravo.- Sospirò Glorfindel, flettendo le gambe per chinarsi davanti a lui. Gli scostò i capelli corvini dal viso, guardandolo con più attenzione: -Che spreco, è davvero un bel vedere. E un grande talento.- Le sue dita asciutte seguirono il contorno del colletto della veste del Maestro, giù, fino al petto.
    Glorfindel strinse gli occhi, per niente sorpreso: -Un frammento del Palantir.- Sotto la pelle diafana dell’elfo, in effetti, un lieve bagliore bluastro faceva capolino, come il timido riflesso di un gioiello sul fondo di un lago. Ecco spiegato come l’elfo oscuro si fosse… potenziato. Solo un artefatto così potente avrebbe potuto rendere le sue illusioni tanto complesse e resistenti. Peccato che non fosse sufficiente a proteggerlo, non come invece il grande frammento di Pallando era in grado di fare.
    Estratto il pugnale, Glorfindel incise con delicatezza la carne tenera dell’elfo, estraendo il frammento: -Alfiere…- Mormorò, rivolto a Est. Subito, il frammento schizzò via dalle sue dita, calamitato dalla potenza dell’arma divina.
    Con l’ennesimo, sonoro sospiro, il Vanyar si caricò l’elfo in spalla, tornando a passo spedito verso la battaglia: -Ne vedremo delle belle.-

 
**

    Sotto gli attacchi di Saedor, Thranduil respirava. Non poteva concedersi di pensare ad altro, solo all’incredibile sforzo che gli costava l’incamerare aria. Quasi non avvertiva più il dolore.
    Thorin era stato rispedito lontano dall’ennesima frustata dell’elfo oscuro ma ancora tentava di raggiungerli. Pazzo sconsiderato, pensò il Re degli Elfi: poteva cercare aiuto, invece che intestardirsi a rimanere lì con lui. Infondo, era un nano ottuso come tutti gli altri. Avrebbe sorriso, a quel pensiero, se solo avesse avuto ancora un briciolo di controllo motorio.
    Saedor non rideva, invece: colpiva e colpiva, con dedizione quasi commovente. Quell’occhio nero era al contempo vuoto e traboccante di emozione, intransigente e premuroso. Dettagli che Thranduil, nella frenesia dello scontro, non aveva notato prima.
    Chissà quale storia portava con sé il Maestro dei Veleni, si chiese; un elfo tanto talentuoso e singolare da parere un membro delle antiche stirpi ormai dimenticate, custodi di magie tanto potenti quanto meravigliose. Probabilmente, non lo avrebbe mai scoperto, se non sugli Arazzi della Tessitrice.
    Lentamente, sentì le forze abbandonarlo, come un velo sottile che scivola via da un corpo indolente con fin troppa facilità. Era tardi per cercare ancora una volta Sillen con lo sguardo? Diede fondo alle sue energie, per voltarsi.
    Fu allora che Saedor smise di colpirlo. L’elfo oscuro fissò il volto del Sindar per interminabili secondi, l’occhio nero spalancato e confuso. Su quel volto perfetto erano apparse cicatrici orribili.
    Saedor le studiò a lungo, senza accennare un altro movimento: -Anche tu…- Gracchiò, contrito. Thranduil si sforzò di ricambiare quello sguardo attonito, mentre il Maestro si chinava appena su di lui: -Anche tu hai sofferto.-
E Thranduil capì, in qualche modo: -Sono stati i draghi.- Soffiò, con un fil di voce. Saedor annuì: -Li cacciavi?- Il Re degli Elfi scosse piano la testa: -Proteggevo il mio popolo e le sue ricchezze dalla loro avidità.-
    Un tremito lieve scosse gli occhi spaiati dell’elfo oscuro, che si incrinò su sé stesso: -Anche io proteggo. Proteggo tutti.- Ammise, come un bambino testardo che tenta di spiegare le proprie ragioni alla maestra più gentile. -Da cosa li proteggi?- Thranduil vide l’altro sollevare il viso per guardare il campo di battaglia: -Li proteggo dalla vita.-
    Innocente. Quella parola attraversò la mente stanca del Re come una cometa: era così innocente.
    Thorin li fissava, interdetto e senza forze, ma Saedor non aveva occhi che per il Re: -Sai anche tu che tutti devono soffrire, per capire. Perché allora non sei dalla nostra parte?- Lo incalzò.
    Thranduil contrasse le sopracciglia, sofferente: -Chi ti ha detto queste cose?- Il Maestro piegò la testa da un lato: -Pallando.-
    Giusto, Pallando. Quell’infida creatura che, in realtà, così malvagia non era mai stata. Capirli era difficile ma, una volta rimessi in ordine i pezzi, non più così impossibile.
    Povere anime confuse.
    -Non è così. Tutti soffrono. Tutti hanno il diritto di soffrire.-
    -Non è vero. La morte ci libererà. Uccisi tutti, moriremo anche noi e rimarrà solo la pace.- Lo fissò attento, Saedor, e Thranduil trovò le forze di ribattere: -E a te sta bene? Ricordi tutte le cose brutte che ti hanno fatto... Ma ricordi anche il bene che hai ricevuto.- L’altro scosse la testa: -Il bene non è mai abbastanza. Le persone tradiscono e fanno male, sempre. Se vivranno questa vita, gli innocenti soffriranno e-
    -Ho perso molto, nella mia lunga vita.- Lo interruppe, il Re, serio e paziente: -Ho pensato molte volte di lasciarmi morire.- Saedor sgranò gli occhi.
    -Ma vuoi sapere cosa mi ha tenuto in vita?- Il Re degli Elfi respirò a fondo, sopprimendo il dolore: -L’egoismo.-
    Thorin espirò, ormai troppo confuso per intromettersi, mentre l’elfo oscuro fissava il Re con il respiro sospeso. -Anche tu ricordi tutto il bene che hai ricevuto e le persone che hai amato. Sono i tuoi ricordi. Ti appartengono e nessuno ha il diritto di portarteli via. Se tu muori, chi custodirà quei ricordi? Tu vuoi che sparisca il male che ti hanno fatto. Ma distruggendo ogni cosa, anche il bene scomparirà. Non resterà niente. Ti porteranno via ciò cui tieni di più, puoi accettarlo?-
    -È così che deve andare.- Mormorò l’altro, sconvolto. Nessuno gli aveva mai detto delle cose simili. Ci aveva pensato, molte volte, ma non credeva che quei pensieri avessero senso. Pallando pensava, solo lui, dunque spettava a lui prendere le decisioni.
    Allora perché si sentiva tanto scosso?
    Rivide i campi in cui era cresciuto, le giornate spese a giocare al sole, la dolcezza del canto di sua madre. No, non era egoista, non lo era mai stato. Quell’elfo poteva dire ciò che voleva, lui non era così. Lui vedeva il disegno, metteva il bene degli altri prima del suo. Ma… perché ora quel disegno gli stava così stretto?
    -Non permettere a nessuno di prendere ciò che ti appartiene.- Thranduil, ora, lo incalzava con più insistenza. Sapeva cosa stava accadendo nella mente di quel giovane elfo: l’avidità nel suo sangue esisteva, era un dato innegabile quanto l’esistenza del terreno su cui giacevano. Esisteva in ogni membro della loro razza, dall’inizio dei tempi: era la stessa fame che li aveva resi potenti, che li aveva spinti a conquistato terre e sapere. Una sete che nemmeno una lunga vita immortale poteva soddisfare.
    Qualsiasi ricordo l’elfo oscuro avesse avuto, d’un tratto aveva acquistato un valore inestimabile. E ne sarebbe diventato geloso.
    Per questo, avrebbe pensato che sarebbe valsa la pena soffrire per cento o mille vite ancora. Per questo, avrebbe abbassato totalmente la guardia.
    -Io-io non- Il Maestro dei Veleni scosse la testa, tentando di riacquistare il controllo e sottrarsi agli occhi ammaliatori del Sindar: -No! Zitto! Non è vero, non è vero!- Sollevò il braccio armato ma, prima che potesse calarlo ancora una volta sul Re, qualcosa lo colpì con violenza.
    Inorridito, Saedor guardò il proprio braccio volare oltre la testa del Re degli Elfi, sino a rotolare sul terreno in una grottesca scia di sangue. Thorin aggiustò la presa sull’ascia e colpì di nuovo l’elfo, piantandolo a terra con tutta la forza che aveva.
    Saedor tentò di estrarre l’ascia, puntò i piedi, si dimenò e quasi si strappò il torace per scalzarla, ma fu tutto inutile.
    Lo avevano catturato.
    Thranduil chiuse gli occhi, sfinito: -Non tagliargli la testa. Non sappiamo se lo ucciderebbe.- Thorin si voltò verso di lui, stizzito:
-Perché mai non dovrei ucciderlo?!- Ma il Re degli Elfi si limitò a scuotere la testa, tirandosi a sedere a fatica. Come poteva spiegare quanto aveva compreso? -Legalo. Dobbiamo raggiungere Sillen.- Thorin annuì, sfilandosi varie cinghie di cuoio dai gambali. Legò i piedi dell’elfo e costrinse il braccio rimasto lungo il fianco, immobilizzandolo.
    Un bagliore leggerissimo catturò la sua attenzione: -Elfo, guarda! Non è un frammento di quella palla maledetta?- Esclamò, sorpreso, tastando sotto le bende candide laddove riluceva un bagliore bluastro. Thranduil zoppicò al suo fianco, mentre la pelle pallida del suo viso tornava liscia e diafana: -Lo è. Ecco perché era così forte.- Con la punta della spada, tagliò le bende dell’elfo e il frammento rotolò rapidamente a terra, diretto verso l’Alfiere.
    I due compagni lo guardarono sparire tra gli ultimi drappelli di soldati rimasti nei campi, sollevati, poi Thranduil fece un cenno con il mento affilato: -Caricatelo in spalla, lo portiamo con noi.-
    Gli occhi spaiati di Saedor fissarono con odio l’indispettito Thorin, che si grattò la nuca: -Ah maledizione, ma perché non lo porti tu?!-

 
**

    Sillen pulì il sangue che le colava lungo il mento, appena prima che il taglio si rimarginasse in un baluginare bianco come la neve. La stessa cosa non accadde alle ferite dello stregone, che scrollò la testa per scostare i capelli brizzolati dalla fronte insanguinata.
    Non era affatto uno scontro alla pari e questo Alatar lo aveva capito bene: Sillen era molto più forte e resistente di quanto lui non sarebbe mai stato. Tuttavia, ancora gli sfuggiva il motivo che la spingeva a continuare quell’inutile lotta. Avrebbe potuto sbarazzarsi di lui in poche mosse e attaccare Pallando.
    Certo, oramai la stella aveva inteso che il Palantir poteva rivelarsi un problematico ostacolo, ma nulla le impediva di continuare ad attaccare il maggiore degli Stregoni Blu, fino a quando i suoi compagni non avessero radunato tutti i frammenti della Pietra Veggente per portare a termine il loro palese piano.
    In questo modo, ostinandosi a battersi contro di lui, la stella lasciava Pallando libero di agire e questi non aveva perso tempo, concentrato a caricare di energia i pochi, pochissimi frammenti rimasti sul campo di battaglia, anche se oramai si stava rivelando inutile: -Non ci sono più non morti, i tuoi compagni ce l’hanno fatta. Finiscimi. So che non stai facendo sul serio.- Ansimò, fissando gli occhi di luce della Stella dei Valar.
    Lei attaccò ancora, colpendolo alle costole con il dorso della spada. Lo stregone boccheggiò, saltando all’indietro per evitare un altro colpo: -Stai giocando con me? Vuoi vedere per quanto resisterò senza subire il colpo di grazia?- Uno spasmo quasi impercettibile contrasse il viso della giovane, che si fermò a qualche metro da lui.
    In quel momento, Pallando si voltò febbrilmente verso suo fratello: -Non li sento più! Non sento i frammenti!- Allo stesso tempo, la voce dell’Alfiere si fece strada nella mente della stella.
    -Sillen, ci siamo. Oramai il Palantir è prossimo ad essere ricomposto. Però, e con questo non vorrei minare l’entusiasmo, manca ancora qualcosa.- Sillen puntò lo sguardo sulle mani nodose del vecchio stregone: -Manca il pezzo che Pallando custodisce per sé.- Si voltò verso il campo di battaglia, ormai divenuto una distesa di cadaveri, individuando alcuni dei suoi compagni in avvicinamento.
    Legolas fu il primo a raggiungerla ma lei non gli diede il tempo di parlare: -Dortha nan esgal! (Stai indietro, resta al sicuro)-
    Elessar, invece, nemmeno si girò a guardarla, deciso a fare di testa sua. Con l’espressione più spaventosa che la stella gli avesse mai visto, l’uomo caricò Alatar, senza esitazione. Lo stregone, sorpreso, finì per essere sopraffatto, mentre indietreggiava per evitare i colpi frenetici del Re degli Uomini.
    Approfittando della situazione, Sillen si voltò infine verso Pallando: -Consegnami il Palantir.- Ringhiò. L’altro strinse il sacchetto scuro al petto, guardandosi attorno come una preda braccata, visibilmente in difficoltà: -No! Non riuscirete mai a vincere contro il mio potere!- Le sue deboli minacce nemmeno sfiorarono Sillen: -Non te lo chiederò una seconda volta.-
    Lo stregone vide i soldati alleati circondarli, spettatori dell’ultimo scontro tra lui e la Stella dei Valar che, con tanta divina potenza, li aveva condotti alla vittoria.
    Forse Saedor e Lhospen sarebbero arrivati presto, si disse.
    Forse non tutto era perduto.
    Piantò i piedi a terra con strenua resistenza, stringendo il bastone come ultima ancora di salvezza: -Vieni a prendertelo allora.-
    -Non così in fretta.- La voce di Glorfindel fendette l’atmosfera tesa e i due sfidanti si voltarono di scatto: -La tua battaglia giunge al termine, Rómestámo.- Thranduil gli fu accanto e Sillen incontrò per un attimo il suo sguardo adamantino, sospirando impercettibilmente per il sollievo.
    Pallando sbiancò all’istante, fissando i sottili corpi dei due Maestri, abbandonati sul suolo freddo e circondati dalle armi degli alleati. Lhospen si era ridestato e sosteneva il fratello, sconvolto e spaurito, mentre dal braccio mozzato di quest’ultimo sgorgavano copiosi fiotti di sangue.
    -I nostri frammenti! I frammenti!- Singhiozzava il Maestro delle Illusioni: -Il Palantir non ci ha protetti! Pallando, perché non ci ha protetti?- Alatar tentò di raggiungerli ma Elessar lo aveva in pugno e gli torse violentemente il braccio armato. Il suo bastone cadde a terra, tintinnando, e Alatar fu costretto in ginocchio.
    -Pallando non vi ha mai dato quei frammenti per proteggervi. Voleva solo accrescere e usare il vostro potere. Credevo lo sapeste.- Sussurrò, la voce mozzata dal dolore al braccio. Elessar si accostò al suo orecchio, gelido: -Allora è per questo motivo che tu non hai alcun frammento dentro di te, maledetto traditore?- Alatar non rispose, serio e teso come una corda di violino.
    I due elfi oscuri parevano ancora più confusi, fissando prima il giovane stregone, poi Pallando, come se aspettassero una qualche spiegazione sensata. Il vecchio distolse lo sguardo: -Che importa! Dovevate aiutarmi! Alla fine sareste dovuti morire lo stesso, come tutti noi!- Tagliò corto, ansimando.
    Parve afflosciarsi su sé stesso, appeso al bastone scuro come un panno consunto: -A che serve spiegare!? Voi non capite. Siete degli stolti…- Il flebile pianto di Lhospen accompagnò quelle frasi sconclusionate, mentre gli alleati non osavano proferire parola. L’intero campo di battaglia si fece immobile e silenzioso, come uno stremato sopravvissuto ridestatosi dopo l’uragano.
    Elessar, che ancora teneva la lama di Andùril premuta contro la gola del più giovane degli stregoni, fu il primo a rompere quella calma assoluta: -Consegna il frammento, Pallando. Adesso.-
    Questi spostò lo sguardo sull’inutile pezzo di vetro che, ostinatamente, ancora stringeva in mano: -Credevo di poter mettere fine a questa vita priva di significato.- Ringhiò, più a sé stesso che al Re degli Uomini.
    Sillen lasciò cadere la lama elfica, mentre i suoi occhi tornavano del colore delle ametiste: -Basta così, è finita. Non essere la causa di un altro inutile spargimento di sangue. Dammi il Palantir e ti giuro sul mio onore che i tuoi servi sopravvivranno.-
    Alatar fissò intensamente il fratello, quasi speranzoso, sondando la sua reazione. Ma il vecchio stregone, dopo qualche secondo di costernato silenzio, storse la bocca, fissando la stella con sdegno. Il suo corpo parve raddrizzarsi, elettrico, mentre il Palantir nelle sue mani riprendeva a risplendere.
    -Come puoi dire una cosa simile, ragazzina!? Osi insultarmi sino a questo punto!- Puntò il bastone verso i Maestri, che lo guardavano colmi di disperazione: -Uccidili! Non capisci che li avrei comunque uccisi io!? Vi avrei uccisi tutti!- Urlò, furioso: -Vi avrei liberati dal peso di questa vita ingiusta e immorale ma voi, voi stupidi falsi eroi, non mi avete mai dato ascolto!-
    Un vento potente si sollevò dal terreno, avvolgendo i presenti, e i campi tremarono violentemente. -Io porterò a termine il mio compito.- Sibilò l’Istar, allungando la mano per esporre il grosso pezzo di vetro nero. All’istante, il suo bagliore blu s’intensificò, calamitando a sé tutti i frammenti ammucchiati ai piedi dell’Alfiere del Cielo.
    Sillen, d’istinto, si lanciò in avanti ma l’arma divina la bloccò, rapida, rimbombandole nella testa: -Lascialo fare. Deve ricomporre la pietra se vogliamo renderla inoffensiva una volta per tutte, ricordi?- Aveva ragione, rimaneva un’ultima mossa da giocare. La giovane attese, paziente, mentre gli alleati la fissavano senza capire il motivo della sua immobilità.
    I frammenti blu vorticavano attorno allo stregone, incasellandosi perfettamente nella forma sferica del Palantir. La Pietra Veggente di Barad-dûr era più grande del previsto, con un diametro di almeno due piedi,[1] e ben presto Pallando dovette reggerla con entrambe le mani, lasciando cadere il proprio bastone.
    Senza farsi notare, la stella lanciò un breve sguardo attorno a sé e si accorse appena dei gesti di Alatar che, veloce, affondò una mano nella tasca consunta del proprio mantello blu.
    -Aspetta ancora un secondo.- La distrasse, l’Alfiere, concentrato sul Palantir: -Sappi che avrai una sola possibilità. Io posso colpire Pallando solo una volta e spera che non mi scheggi nel provarci perché giuro che in quel caso mi chiamo fuori.- Scherzò, nonostante una nota densa e tremante tradisse tutta la sua agitazione.
    Sillen affondò i piedi nel terreno, pronta a saltare.
    Mancavano ormai pochi frammenti.
    -Fratello, te lo chiederò un’ultima volta! È questo ciò che vuoi davvero!?- Gridò disperato, Alatar, per sovrastare il rumore del vento: -La stella ci ha offerto clemenza! Potremmo ricominciare! Perché portare avanti questa follia? Sei davvero disposto a morire per questo?!-
    Pallando gli lanciò un’occhiata indecifrabile, prima di allargare il proprio ghigno, ormai completamente avvolto dalla vibrante luce del Palantir: -Raderò al suolo questo mondo!-
    Un ultimo frammento si avvicinò alla sfera, delicato e discreto.
    -Adesso!- La voce dell’Alfiere spronò la stella, che scattò prima che Pallando potesse formulare una sola sillaba del suo incantesimo mortale. Premette le mani dorate sopra quelle dello stregone, rilasciando tutta l’energia che aveva in corpo. La luce delle stelle avvolse il Palantir e il tremendo calore che ne scaturì bruciò la carne dell’Istar, che urlò e si contorse come un ossesso.
    Sillen continuò, senza pietà: -Sii felice, ora non lascerai mai più questa dannata pietra!- Le mani dello stregone si fusero, colando e solidificandosi attorno all’energia in fermento del Palantir.
    Era giunto il momento, ciò per cui la Stella dei Valar era venuta al mondo. Sillen allontanò una mano solo per tenderla dietro di sé, perentoria: al suo richiamo, l’Alfiere del Cielo vibrò nel terreno, staccandosi da esso con uno scatto repentino. Come una freccia, esso puntò verso la stella e sfrecciò tra gli alleati, che si scansarono velocemente.
    Il contatto fu tremendo: la punta dell’alabarda penetrò nella barriera del Palantir, sprigionando talmente tanta luce che, per un secondo, l’intero Ovest fu solo un silenzioso lampo accecante.

    Sillen riaprì gli occhi, ansimante. Le lame dell’Alfiere erano immobili e scure, adesso. La sua punta affilata era nascosta nel petto di Pallando, fuoriuscendo dalla sua schiena per più della metà. Tuttavia, il Palantir non aveva cessato di brillare. E non una goccia di sangue sgorgava da quella ferita.
    Lo stregone sollevò lo sguardo allucinato, incredulo quanto la stella davanti a sé; quanto tutti gli alleati attorno a loro.
    Lentamente, tirò vicino al viso la Pietra Veggente, osservando le proprie mani fuse attorno ad essa: la girò e rigirò, studiandone la superfice. E sorrise: lì, proprio accanto alla sua mano destra, un piccolo foro deturpava la liscia superfice della sfera.
    -Un frammento mancante.- Rise, Pallando.
    Sillen lo fissò a sua volta, sconvolta: nemmeno lui se lo aspettava. Nessuno di loro lo aveva previsto. -Alfiere.- Chiamò lei, ma nessuna risposta arrivò dall’arma. -Alfiere!-
    Pallando saltò indietro, sottraendosi alla stretta della stella. L’alabarda rimase impiantata nel suo petto, inoffensiva, senza che lui potesse togliersela di dosso.
    Proruppe in una risata sguaiata, nonostante le mani ancora colassero sulla sfera come cera lungo una candela accesa: -Ho vinto! Ho vinto io! Un frammento non è tornato, si è perso!- I suoi occhi s’illuminarono di energia bluastra, mentre si preparava a terminare la propria battaglia: -Sono invincibile. Sono immortale!- Il suo potere bruciò l’erba attorno a lui, pronto a incenerire chiunque osasse avvicinarsi nuovamente. Sillen strinse i pugni, disperata, tentando di richiamare a sé le ultime forze.
    -Non è perso.- La voce di Alatar calò come un’accetta sui presenti e la stella si voltò di scatto verso di lui. Lo stregone aveva approfittato del caos per sfuggire a Elessar e allontanarsi dai presenti. In piedi su una roccia, guardava suo fratello, ora fermo a fissarlo con espressione rabbiosa: -Cosa stai dicendo!? Scendi e aiutami!-
    Sillen vide il viso del più giovane adombrarsi, gli occhi rossi e gonfi: -Ho detto, non è perso.- Pallando strinse gli occhi a due fessure, rigido come una statua di sale. Lentamente, Alatar tirò fuori la mano che aveva ancora premuta in tasca. Per un secondo, incontrò lo sguardo violetto della stella: -Il frammento mancante, l’ho sempre avuto io.-
    Lo sgomento attanagliò il petto della giovane, che espirò violentemente. Pallando rimase immobile, gli occhi fissi sul pugno del fratello che, adesso, si schiudeva per mostrare il debole baluginare di un unico frammento.
    Al Nido delle Aquile, comprese Sillen, in un lampo di consapevolezza: al Nido delle Aquile, Alatar era stato il primo ad avvicinarsi ai non morti. Alatar aveva visto. E aveva taciuto.
    -Hai mentito.- La voce di Pallando fece eco ai pensieri della stella: -Mi hai tradito ancora.- Il fratello respirò a fondo: -Non sapevo cosa fosse questa scheggia fino a quando, a Mordor, hai riposto alle mie domande di tua spontanea volontà. Così, ho provveduto a sigillarla.- Strinse il frammento, estraendo velocemente un pugnale dalla cintura: -Ero dalla tua parte, Pallando. Volevo proteggerti. Sapevo che avrebbero cercato di ucciderti sfruttando la ricostruzione del Palantir e l'unico modo per tenerti al sicuro era nascondere questo frammento. Ma l'ho fatto perché, in cuor mio, credevo che dinanzi alla sconfitta e al buon cuore di Sillen, ti saresti arreso. Credevo…- Deglutì a fatica, cercando le parole: -Credevo di poterti salvare da te stesso, ci ho creduto sino all’ultimo.-
    Sì, aveva atteso che il Palantir fosse ricomposto. Così doveva andare. Ignorare la sua coscienza, il suo onore, il dolore di coloro che riteneva degni compagni, solo per arrivare dov’era. Solo per dare un’ultima possibilità al suo unico, amato fratello. Un fratello che, a conti fatti, aveva perso molti anni orsono.
    Sollevò il viso al cielo, tremante: -Mi dispiace fratello… Ma la tua follia è cominciata a causa mia.- Ricambiò lo sguardo stanco e sconfitto di Pallando, il volto disteso da una disperata dolcezza:
    -E per causa mia ora deve finire.-
    Sillen sgranò gli occhi, mentre la consapevolezza la schiacciava al suolo: -No.- Fece un passo, fissando la lama di Alatar sollevarsi.
    -NO!- Le braccia di Thranduil la raggiunsero prima che potesse correre verso lo stregone.
    -Addio, fratello.- Sussurrò questi, prima di affondare il pugnale nel proprio cuore. Sillen gridò. Lhospen e Saedor gridarono. E il corpo di Alatar barcollò, sino a crollare sulla roccia.
    Il Palantir si spense improvvisamente, mentre l’Alfiere del Cielo si tingeva del sangue scuro di Pallando, adesso accasciato su sé stesso. Il suo corpo senza vita crollò di lato, freddo quanto la pietra che stringeva.
    Sillen si divincolò, spingendo Thranduil lontano, con la gola riarsa e le lacrime brucianti a bagnarle il viso. Si chinò su Alatar, le mani tremanti: -Alatar! Alatar!- Pianse, tastando febbrilmente il freddo metallo intriso di sangue. Lo stregone non aprì gli occhi, non si mosse, ma dalle sue labbra parve sollevarsi un ultimo respiro, che trasportava dentro di sé il suono caldo e dolce della sua voce: Namárië, stellina. Addio.


    E così, nei Campi del Pelennor, si spensero per sempre le vite dei due Stregoni Blu, Alatar, Il Flagello dell'Oscurità e Pallando, Il Protettore dell'Oriente.   


 
[1] Due piedi corrispondono a circa mezzo metro. Comunque una pietra bella grossa, neeh?



N.D.A

Bentrovati a tutti, amici di lunga data e nuovi arrivati!

Grazie per essere tornati per questo nuovo aggiornamento, eccomi qui super emozionata! E terrorizzata, a dire il verooo!
Sono super in ritardo, di nuovo, ma sono contenta di aver concluso anche questo lungo, difficile capitolo, che spero vi sia piaciuto!

Sono successe tante cose e purtroppo mi avvicino sempre di più alla parola fine. Oggi ho riletto il capitolo è ho pensato: “Ecco, il penultimo gradino. Tra poco vedrò la cima.”
Temevo e desideravo tantissimo questo momento, dall’inizio di questa avventura!
Oramai sono anni che vivo con Sillen e i suoi amici e sono così abituata ad aprire la mia cartella “La Stella dei Valar” che non so cosa farò, quando tutto questo sarà finito. E allo stesso tempo non sto più nella pelle! So che molti di voi sanno cosa vuol dire vedere conclusa la propria storia, e a chi ancora non lo sa auguro tutte queste emozioni <3

Detto questo, voglio ancora ringraziarvi di cuore per essere arrivati sino a qui e spero davvero di avervi fatto compagnia! Grazie a chi ha recensito, seguito, aggiunto la storia alle ricordate o alle preferite e grazie a chi ha seguito silenziosamente il destino di Sillen: mi avete spronata a continuare sino alla fine!

E niente,
Ci vediamo nell’epilogo, amici <3

Con tanto affetto e tanti baci,

la vostra
Aleera



 
   
 
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