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Autore: f_vanessa_arcadipane    21/10/2021    0 recensioni
Londra, età vittoriana, culla della cultura moderna ed epoca delle contraddizioni.
Da una parte il progresso scientifico, economico e industriale che dà il via a un periodo florido e di interesse per l'arcano, dall'altra le malattie, la povertà e l'ignoranza dei ceti bassi, legati ancora alla superstizione e alle credenze che la Chiesa per anni ha loro trasmesso.
In questo contesto Margaret Glanville, orfana ventiseienne, nubile, colta e dotata di poteri soprannaturali, lotta per la sopravvivenza mettendo a disposizione degli altri le sue conoscenze e capacità, ovviamente non sempre apprezzate da tutti. Vista più come una vecchia strega che come una donna indipendente, May sa che la città in cui vive è cosparsa di oscuri pericoli, creature che si nascondono nell'ombra e terrificanti segreti dai quali preferisce sempre tenersi alla larga, più per la paura del giudizio degli altri che per sua volontà.
Riusciranno dei nuovi e pittoreschi incontri a far crollare queste sue incertezze o andrà avanti con la sua solitaria vita?
Genere: Avventura, Dark, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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La mattina arrivò più fredda di quanto chiunque avesse immaginato, fu quella la notizia in prima pagina del giornale di quel giorno; nessun assassinio, nessun cadavere, nessun serial killer di cui inorridirsi durante la colazione.

 

May quella notte dormì sul divano, scaldata da un'unica coperta e con ancora i vestiti del giorno precedente.
Non riuscì a dormire granché, sia per il freddo che penetrò tutta la notte dalla finestra che quel dannato lupo aveva rotto per entrare, sia per il tormento che la bestia potesse liberarsi dalla sua prigionia da un momento all'altro, sia per il dolore al braccio destro.

 

Quando arrivarono i primi raggi del sole a illuminare interamente la stanza, decise che era giunto il tempo di alzarsi e recarsi con curiosità dal suo aggressore.
Piegò la coperta e se la mise sottobraccio e dopo essersi stropicciata più volte gli occhi per mettere a fuoco ciò che la circondava, si diresse con passo sicuro verso i sotterranei. Quando terminò le numerose scale trovò in fondo alla stanza la robusta cella che quella notte l'aveva salvata.
Al suo interno riverso sul pavimento e a pancia sotto, al posto del grande lupo vi trovò un uomo completamente nudo.

 

Si avvicinò alla gabbia per nulla sorpresa.
«Ehi!» fece tintinnare le sbarre. «Svegliati!» urlò.

 

L'uomo ebbe un sussulto e con palese confusione aprì gli occhi. Si guardò intorno disorientato, posando lo sguardo su ogni singolo dettaglio, fino ad arrivare al viso di May.

 

La pelle del giovane uomo era dorata, leggermente rossastra, ma i suoi capelli, che superavano di un bel po' le spalle, erano così chiari da sembrare quasi raggi argentei della luna.
La donna lo guardò dritto negli occhi e riconobbe quelle iridi gialle che la notte  prima fissò sotto un altro aspetto.

 

«Dove mi trovo?» domandò lui aggrottando la fronte.
«Chi siete?».

 

«Dovrei essere io a chiederlo a voi considerato che mi avete quasi uccisa» rispose lei secca.

 

L'uomo ebbe l'ennesimo sussulto, prima di massaggiarsi dolorosamente la fronte.
Sul viso presentava parecchie ferite e rivoli di sangue, mentre sul corpo numerose cicatrici di ogni genere, specialmente una proprio al centro del petto, piuttosto vasta.

 

Gli occhi dell'uomo si concentrarono sul braccio di May e fu allora che si alzò per avvicinarsi alle sbarre e stringere le mani intorno a esse.

 

«Signorina...» disse affranto «mi dispiace immensamente dirvelo, ma sarebbe stato meglio se dopo aver incrociato la vostra strada con la mia io vi avessi realmente ucciso. Sarebbe stato molto meno doloroso per voi».

 

May aggrottò la fronte non capendo.

 

L'uomo le indicò il braccio con gli occhi, sul quale spiccavano palesemente tre graffi allineati.
«Quella sarà la vostra rovina, la mia maledizione vi è già stata trasmessa, non c'è nulla che possiate fare adesso».

 

La donna si apprestò a ricoprire la ferita con la manica del suo vestito.
«Non fate caso a quella, ho già la mia di maledizione, non mi succederà nulla» disse con tranquillità, talmente tanto che l'uomo in cella ne restò scioccato.

 

«Voi non avete paura di me» disse infatti sorpreso.

 

May lo osservò lentamente dalla testa ai piedi con aria sfacciata.
«Ci vuole ben altro che un uomo nudo in una cella per intimorirmi» rispose lanciandogli la coperta che stringeva tra le mani.

 

L'uomo se la avvolse intorno all'istante, infreddolito e vulnerabile.

 

«Siete una strega?» chiese a quel punto.

 

«Sono una guaritrice!» lo corresse lei con più che chiaro nervosismo.

 

«Una guaritrice?
E ditemi, in quanto tale sareste in grado di guarire la mia condizione?» domandò ancora con speranza.

 

«Non ne so molto di licantropi in realtà, voi siete il primo che incontro» svelò.

 

L'uomo perse tutto lo splendore che in un attimo gli aveva illuminato il viso.
«Capisco...» sussurrò stringendosi ancor di più la coperta addosso.
Il suo sguardo crollò sul pavimento e dopo ciò non disse più nulla.

 

«Come vi chiamate?» continuò però May.

 

«Oliver...» rispose lui «Oliver Wilde. E voi?».

 

«Margaret Glanville, ma potete chiamarmi May».

 

«May...» ripeté lui in un sussurro, continuando a fissare il pavimento.
«Ho vaghi ricordi confusi di ieri notte, ma so che avreste potuto uccidermi. Perché non lo avete fatto?
Avrete sicuramente letto le pagine di giornale che mi riguardano, mi sembrate una donna sveglia, di certo avrete intuito si trattasse di me».

 

May si abbandonò a un profondo sospiro prima di sedersi su uno degli scalini poco lontano.


«Ne so poco di licantropi è vero, ma so che la maggior parte di voi non ha coscienza di sé durante la metamorfosi. È un po' come se il vostro stesso corpo si distaccasse dalla vostra volontà, come se crollaste in un sonno interminabile controllato dalla luna.
Quando ieri notte vi ho guardato negli occhi è stato come se una parte di voi mi stesse implorando di uccidervi... per questo non l'ho fatto» confessò schietta, con voce calma ma distante.

Oliver si aprì in un sorriso amaro.
«Siete più crudele di quanto pensassi dunque... avreste dovuto farlo, mi avreste finalmente liberato dal mio eterno tormento, poiché ahimè io sono troppo codardo per farlo da solo».

May non rispose, non fiatò neanche e per lunghi istanti rimase in silenzio, quasi come se stesse in qualche modo studiando Oliver.

«Nei giornali c'era scritto che agivate principalmente al molo, siamo piuttosto distanti da lì, come mai vi trovavate nei dintorni?» gli chiese infine.

Oliver rifletté per un po'.
«È vero, ero di nuovo al molo... e adesso che ci penso avevo già inquadrato la mia prossima vittima. Tuttavia... non lo so, è stato come se qualcosa mi avesse richiamato e attirato in questo posto, non so spiegarvelo, ricordo solo un intenso bagliore rosso».

May ebbe un sussulto.
Un bagliore rosso? Pensò.
Proprio come l'esplosione avvenuta poco prima a causa del suo fallimento nella creazione della Pietra Filosofale... che sia solo una coincidenza?

«Ci siete nato con questa maledizione o l'avete semplicemente... acquisita in qualche modo?» chiese poi.

«In realtà non soffro da molto di questi... disturbi.
Vivevo in una piccola contea prima di recarmi qui a Londra per intraprendere gli studi di medicina».

«Studi di medicina?» ripeté sorpresa la donna.
«Siete un medico?».

«Non proprio...» negò lui.
«Non sono mai riuscito a completare gli studi.
Riuscii a trascorrere giusto un paio di anni qui in città prima di... beh, diventare ciò che sono» chinò ancora una volta il viso vergognandosi profondamente di sé stesso.

May lo notò, come lo notò anche tutte le volte precedenti.
Oliver soffriva, talmente tanto da odiare se stesso.
Lo scopo della sua vita era diventare un medico, la sua più grande aspirazione quella di aiutare la gente che ne avesse bisogno, non ucciderla brutalmente.
Quell'uomo sembrava possedere un animo buono e sembrava devastato da tutte quelle notti che fuori controllo seminò il panico.

May si avvicinò alla cella stringendo un mazzo di chiavi tra le mani.

«Che state facendo?» chiede nel panico Oliver.

«Non vorrete restare per tutto il resto della vostra vita chiuso qui dentro...» rispose lei, aprendo la porta di ferro.

«Invece sì...» indietreggiò lui. «Questa è la prima notte da quanto sono un lupo mannaro che mi sveglio senza il sapore del sangue in bocca.
Ve ne prego signorina May, lasciatemi qui, non vi darò alcun disturbo».

«Lasciarvi qui?
Se moriste sì che mi creereste un bel po' di disturbo. Posso anche essere riuscita a sopravvivervi, ma come pensate possa liberarmi di un cadavere della vostra stazza?
Ieri notte ho evitato di uccidervi anche per questo... quindi cortesemente andatevene, non posso più aiutarvi in alcun modo» lo invitò con un cenno del capo a uscire dalla cella.

«Come potete essere così fredda e insensibile? Non vi importa nulla delle povere vittime a cui farò del male camminando libero e indisturbato??».

«Sono sicura che troverete qualcun altro come me ma con maggiori risorse a disposizione che riuscirà ad aiutarvi» lo spinse con forza al di fuori della cella.

«Un attimo... quindi state dicendo che c'è una possibilità? Voi ne sareste in grado?» si bloccò Oliver, voltandosi di scatto verso lei.

May indietreggiò con una smorfia, si trattava pur sempre di un uomo con indosso esclusivamente una coperta.

«Di quali risorse state parlando?» chiese euforico.
«Che cosa vi serve?».

May sbuffò per l'ennesima volta.
«Sentite... per ciò che mi chiedete e per il modo in cui è ridotto il mio laboratorio, per non parlare degli ingredienti di cui avrò bisogno, sarei costretta a chiedervi un compenso piuttosto alto»

Oliver Wilde poteva ipoteticamente appartenere a una famiglia benestante, almeno questo fu ciò che May intuì dai suoi modi di fare, per non parlare del fatto che non tutti avessero la possibilità di intraprendere studi di medicina a quei tempi, tuttavia proveniva da una contea fuori città, i soldi impiegati per gli studi potevano essere tutto ciò che la famiglia era riuscita a mettere da parte, anni e anni di sacrifici di cui probabilmente ormai non rimaneva molto.
May non amava la compagnia, tanto meno quella di un licantropo fuori controllo, e per riuscire ad addomesticarlo avrebbe dovuto impiegare gran parte del suo tempo e delle sue energie... per convincerla a fare un cosa del genere la donna avrebbe dovuto ricavarci un ottimo profitto.

Oliver si toccò il petto più volte in cerca di qualcosa, si guardò intorno con aria confusa.
«Avete per caso visto una targhetta?» domandò. «Vi era il mio nome inciso».

May infilò le mani in tasca estraendo il ciondolo.
«Parlate di questo?» glielo mostrò.

Oliver si aprì in un sorriso raggiante.
«Apritela... coraggio».

La donna aggrottò le sopracciglia e osservò l'oggetto con attenzione, notando una piccola apertura nascosta.
Quando riuscì a serrarla ciò che si trovò di fronte le fece quasi mancare il respiro: una moneta d'oro, una luccicante sterlina d'oro su cui il giovane volto della regina Vittoria appariva fiero e regale.
Tra le mani stringeva la paga di una settimana di duro lavoro di buona parte dei lavoratori, per i più sfortunati persino la paga di un intero mese.

«Credete possa bastare per il momento?» domandò Oliver.

May chiuse la bocca e ritornò in sé, afferrò la sterlina e se la infilò in tasca più veloce che poté.
«Sì... può andare» finse indifferenza.
In mente aveva già apparecchiata la colazione che era convinta di essersi meritata, erano ormai quasi due giorni che non metteva nulla sotto i denti.

«Questo vuol dire che mi aiuterete? Che spezzerete la mia maledizione?».

«Beh... non credo di poter fare granché, ma ci proverò».

Oliver esultò così euforicamente da far scivolare sul pavimento la coperta con la quale nascondeva malamente la sua nudità.
May fu costretta a voltarsi altrove.

«Vi ringrazio! Vi ringrazio di cuore! Vi sarò per sempre riconoscente, non dimenticherò mai la vostra gentilezza, sarò totalmente al vostro servizio per qualsiasi cosa, chiedetemi pure tutto ciò che vorrete, sarò a vostra completa disposizione!» cominciò a girarle intorno e a corrergli dietro quando la donna si diresse verso il salotto.

«Smettetela di scodinzolarmi intorno in quel modo e per l'amor del cielo indossate qualcosa!» sbottò lei esasperata.

Oliver si osservò per brevi istanti.
«Oh sì giusto!» ritornò a recuperare la coperta.

«Nelle stanze al piano superiore dovrebbero esserci dei vestiti maschili, saranno impolverati ma meglio di nulla» aggiunse la donna.
«State attento, un'ala di questa casa è stata completamente avvolta dalle fiamme, non andate da quella parte» si apprestò a indossare il suo solito cappello. «Io andrò un po' al mercato a comprare qualcosa, cercate di non uscire e di non attirare attenzioni, e per favore non combinate guai» allacciò il fiocco nero sotto al mento.

Oliver si guardò intorno con curiosità.
«Signorina May... che posto è questo?» chiese.

May ebbe un attimo di esitazione, il suo sguardo si abbassò, e Oliver intravide nei suoi occhi color caramello quello che parve un velo di tristezza.

«È un luogo ormai abbandonato e dimenticato da tempo... nessuno verrà qui» disse in un sussurro prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle.

Il freddo pungente la penetrò fin dentro le ossa e strofinando le braccia in un brivido, iniziò ad avanzare diretta al mercato.
Imboccò la strada per il West End, al di là del Tamigi così da raggiungere Covent Garden: il quartiere in cui si sviluppava uno dei maggiori mercati del mondo.

Superato il Tamigi così da lasciare definitivamente l'East End, sembrava quasi di attraversare un portale che portava in un mondo parallelo.
Il grigiore del fango, la miseria che riempiva gli occhi, qui veniva sostituita dal vivace colore dei fiori, dai curatissimi prati all'inglese, dalle ricche carrozze che sfrecciavano per le strade. Si cominciarono persino già a vedere le prime signore con i loro ombrellini e gli enormi cappelli passeggiare e ridacchiare in compagnia delle loro amiche o servitrici.

May per quel giorno si fece completamente assorbire da quella atmosfera di gioia.
Si guardò con attenzione su una vetrina e pulì come meglio poté il suo vestito, caratterizzato da una camicetta borgogna e una lunga gonna nera, sistemò anche il cappellino che lei stessa aveva decorato con scure piume di uccelli e sollevò i suoi lunghi capelli neri legandoli con alcune forcine.
Prese un respiro profondo, raddrizzò le spalle e avanzò verso quella folla che si dimenava tra le varie bancarelle.
Le urla dei venditori sembravano lanciarsi delle sfide a chi avrebbe rotto per primo i timpani di uno dei loro clienti.

May decise di prendere una pagnotta di pane con quella moneta d'oro che si era guadagnata, accompagnata da carne, uova, e qualche foglia di ottimo tè, prese tutto per due persone, pensò che in fondo anche Oliver dovesse avere molta fame e di soldi ce n'erano a sufficienza.

Fu quando ebbe le braccia piene che si ricordò del suo dolore a quello destro, capì che non era il caso di sforzarlo troppo e che forse, considerato il modo in cui le doleva, sarebbe stato saggio farsi visitare da qualcuno, o c'era il rischio che non sarebbe mai guarita del tutto.

Ripensò alle ferite aperte sul volto di Oliver, alle sue sul braccio e pensò anche al modo in cui avrebbe potuto aiutarlo.
Fu allora che si fermò in prossimità di una specifica bancarella, conosceva già quell'uomo, ne conosceva la famiglia, ma raramente aveva comprato qualcosa da lui.

«Buongiorno signore» fece un cenno educato a cui l'uomo però non rispose.
«Potreste darmi qualche fiore della pianta Iperico cortesemente?» domandò.

Ancora una volta l'uomo non rispose, evitando persino di guardarla.

«Signore?» insistette May.

«Non abbiamo nulla del genere qui» rispose solo a quel punto, piuttosto scontroso.

«Sì invece... è proprio quella» si allungò per indicargliela, ma l'uomo in uno scatto chiuse il contenitore, richiudendo quasi le dita di May che arretrò immediatamente.

«Qui non abbiamo alcun tipo di merce per streghe come voi...» ringhiò «andatele a cercare altrove, adoratrice del diavolo!» le indicò con durezza di allontanarsi.

L'espressione di May cambiò radicalmente.
«Ah... dunque è così...» bofonchiò stringendo gli occhi con rabbia.
«Sapete...» si avvicinò a lui lentamente «se fossi realmente convinta di avere una strega davanti agli occhi, al posto tuo presterei molta attenzione a come trattarla, magari se la innervosisco potrebbe scagliarmi contro qualche orrenda maledizione» sussurrò.

L'uomo serrò la mascella senza nulla da aggiungere e lei ritornò con un sorriso sulle labbra.

«Buona giornata signore» gli fece l'ennesimo inchino prima di voltargli le spalle.

Senza nulla tra le mani se non la colazione May decise che per quel giorno aveva visto abbastanza gente, così decise di ritornare alla villa con amarezza.

L'intera scena però venne vista da uno spettatore poco lontano, che una volta che May si allontanò raggiunse la bancarella con passo sinuoso.

«Prego mia affascinante signora, come posso aiutarla?» chiese il mercante incantato.

La donna spostò leggermente il grande ombrello corvino che la copriva interamente dal sole, mostrandogli il viso.
«Buon uomo...» formulò con voce soave «mi dareste qualche fiore di Iperico?».

May continuò ad avanzare con nervosismo, come poteva esistere al mondo gente tanto bigotta? Aveva sempre e solo offerto le proprie conoscenze e capacità per il bene della comunità, la moglie di quell'uomo si era recata da lei più volte per richieste piuttosto imbarazzanti che lo riguardavano, eppure continuava a vederla come una sorta di entità malvagia, solo perché era in grado di risolvere i problemi più comuni con l'aiuto della scienza o spesso dell'erboristeria... non si trattava neanche di vera magia quella.

Era talmente arrabbiata che dal braccio le scivolò la pagnotta di pane, e ringraziò il cielo che fosse ben impaccata così si fermò per raccoglierla.
Fu allora che sentì altri passi fermarsi.

Buttò furtivamente lo sguardo alle sue spalle e notò una figura immobile poco lontana da lei.
Facendo finta di nulla cominciò di nuovo ad avanzare, ma accelerò il passo trovandosi ancora un volta in un vicolo isolato.
L'inseguitore fece lo stesso e a quel punto May svoltò velocemente l'angolo.

La figura accelerò e fece lo stesso, trovandosi la donna proprio davanti, ferma ad aspettarla.

«Perché mi state seguendo miss?» domandò tranquilla May.

La donna indossava un ricco vestito color prugna decorato con raffinati merletti, i capelli erano acconciati con maestria e di un rosso rubino intenso e scurissimo, un grande ombrello nero le copriva quasi interamente il volto, lasciando in vista solo le labbra spennellate con un colore del tutto simile al vestito.

«Se pensate che io possa essere una delle vostre prelibate vittime vi sbagliate di grosso.
Proseguite per la vostra strada... vampiro» ringhiò May.

A quelle parole la donna si aprì in un bianchissimo e affilato sorriso, alzando l'ombrello per mostrare il suo bellissimo e pallido viso su cui brillano due occhi violacei come ametista.

«Dunque è vero, siete voi la strega che mi ha attratta ieri sera con quel bagliore» disse e a May si raggelò il sangue ancora una volta.

Anche lei come Oliver deve aver percepito il potere sprigionatosi dal fallimento nella creazione della Pietra Filosofale, e come loro chissà quante altre pericolose creature.
C'è la possibilità di aver richiamato a sé tutti gli esseri soprannaturali dei dintorni.

«Che cosa volete da me? Sapete che il mio sangue non sarebbe di vostro gradimento, no?».

«Tranquilla, non sono qui per questo, sono piuttosto sazia» ammise con agghiacciante serenità.
«Ho solo bisogno dei vostri servigi di guaritrice» le lanciò un sacchetto che May afferrò con interesse: erano i fiori della pianta che poco prima non era riuscita ad acquistare.

«I miei servigi?» ripeté confusa.

«Esatto...» il vampiro si avvicinò a lei con passo lento e spaventosamente silenzioso, come per testimoniarle che se era riuscita a percepirla alle sue spalle era solo perché lei stessa lo aveva voluto.

«Conoscete la "pozione della resistenza al sole"?» chiese dunque.
«Purtroppo l'ho terminata e voi siete l'unica a quanto pare nei dintorni a potermi aiutare».

«Perché dovrei aiutare un'assassina come voi? Non vi fate alcuno scrupolo a uccidere la gente».

Il vampiro la guardò attentamente.
«Prima di tutto perché è il vostro mestiere, gente come voi è destinata ad aiutare gente come me, che lo vogliate o no.
E come seconda cosa... mi sembra che sotto il braccio stiate trasportando una bella fetta di maiale, non mi sembra che voi vi facciate tanti scrupoli nel farlo».

«Vorreste paragonare un umano a un maiale?».

«Credete non siano abbastanza intelligenti forse?
Per un povero maialino siete voi l'assassina, no?
È la catena alimentare tesoro, chi siamo noi per opporci?
E poi non sono così crudele... trovo adorabili alcuni voi umani, per quanto sia raro».

May rimase senza parole da dire, scioccata e confusa da quella eccentrica creatura.
«Una pozione del genere richiede molti ingredienti, avrò bisogno di tempo per averli tutti» disse soltanto.

«Oh nessun problema, ho un'eternità davanti a me» sorrise ancora lei.

«Avrò bisogno anche di qualche finanziamento in anticipo».

Non ebbe neanche il tempo di terminare la frase che il vampiro le lanciò un altro sacchettino.
Peccato che ormai May avesse le braccia talmente piene da fare rovesciare tutto per terra.

«Siamo messe male a riflessi eh?» commentò.

May la fulminò con lo sguardo mentre si chinò a raccogliere tutto.
«Ho un braccio dolorante».

«Povera cara... ecco sono momenti come questi in cui vi trovo schifosamente adorabili» cinguettò.

May non poté far altro che alzare gli occhi al cielo mentre constatava il peso del sacchetto di denaro.

«I soldi non sono mai un problema per voi vampiri eh?» commentò alzandosi.

«Abbiamo molto tempo per accumularli, e se scegliamo le vittime giuste non facciamo altro che aumentare il nostro patrimonio» spiegò con chiarissimo orgoglio.

May scosse la testa già stanca di quelle chiacchiere.

«Ad ogni modo, io sono Ophelia Vasiliu... marchesa di Valacchia. Potete chiamarmi semplicemente marchesa» fece un inchino teatrale davanti al quale May rimase indifferente.

«Margaret Glanville... May» rispose secca e priva di entusiasmo.
«Va bene "marchesa" ci rivedremo qui tra qualche giorno» le diede le spalle senza aggiungere altro.

«Aspettate un attimo... io vengo con voi».

«Come? Dove?» sussultò la donna.

«Ovunque stiate andando.
Avete il mio denaro e vi ho già detto che la pozione è ormai finita, non posso stare al sole ancora per molto».

«Questo è un problema vostro!».

«Abitate forse con qualcun altro?» rifletté il vampiro osservando la colazione che la donna stringeva tra le mani.

May esitò per qualche lieve istante.
«Esatto!» confermò infine.
«Non potete venire anche voi!».

«Vi prometto che non torcerò un capello a nessuno, non sono una di quelle volgari bestie assetate di sangue» incrociò le braccia al petto, quasi offesa.

«Non potete venire anche voi, questo è quanto!» alzò la voce May, ormai esasperata.

Ophelia sospirò rumorosamente.
«E va bene...» aggiunse.

«Davvero? Non mi seguirete?» volle accertarsi.

«Ma certo che vi seguirò, razza di sciocca, ma non credo sarete in grado di impedirmelo!» sorride di soddisfazione, prima di coprire di nuovo il viso con il suo ombrello e smaterializzarsi in una nube di nebbia accompagnata da una fragorosa risata.

L'unica cosa che poté fare May fu quella di alzare il viso al cielo e maledire il giorno in cui decise di creare a Pietra Filosofale.

   
 
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