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Autore: striscia_04    26/10/2021    3 recensioni
Una mattina Gajeel si risveglia nell'ultimo luogo che si aspetterebbe di rivedere, e soprattutto dove desidererebbe essere.
Non sa come c'è finito, ne tanto meno come sia possibile che si trovi lì.
Ma cosa più importante, come mai Phantom Lord esiste ancora?!
Dovrà tentare di scoprirlo, mentre lotta disperatamente per scoprire come è finito in quel luogo e soprattutto come tornare a casa.
Intanto Fairy Tail si troverà a fare i conti con una nuova-vecchia conoscenza e a doverla aiutare a tornare da dove è venuta, se vuole sperare di riavere indietro il suo membro.
(Spero di avervi incuriosito. Questa è la prima storia a rating arancione che scrivo, quindi per favore siate clementi.)
(STORIA REVISIONATA)
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gajil Redfox, Levy McGarden
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nota d’autore: ho deciso di revisionare questa storia perché rileggendola ho avvertito il bisogno di correggere qualche punto, sistemandone la punteggiatura e magari arricchendola di qualche descrizione. La trama non è minimamente cambiata e i dialoghi sono rimasti più o meno gli stessi. Spero di aver compiuto un’adeguata revisione e che il risultato piaccia, caricherò tutti i capitoli oggi stesso perché è da quasi una settimana che questo lavoro mi assilla e finalmente sono riuscita a terminarlo, giusto in tempo per dedicarmi ad altre storie.

Il sole filtrò attraverso le tende della camera, mentre uno dei suoi raggi gli si piantò dritto nell’occhio sinistro. Mugugnando si rigirò dall’altra parte, cercando di inibire il fastidio prodotto dalla luce.
In un gesto istintivo si coprì la testa con la coperta, ma a causa della sottigliezza del tessuto la luce ci filtrò attraverso, rendendo il gesto presso che inutile.
L’idea di coprirsi il volto con le mani gli carezzò il cervello, ma il tepore del lenzuolo e la posizione comoda in cui i suoi arti superiori si trovavano lo fecero desistere dal suo intento.
Questa sua pigrizia però gli fu fatale, poiché la luce oltrepassando completamente la tenda gli centrò l’intero viso e bruscamente fu sottratto alle cure di Morfeo.
Ormai sveglio attese un istante, inebriandosi un’ultima volta del piacevole calore del proprio letto; poi ormai rassegnato ad affrontare quell’ennesima giornata scostò le coperte. L’azione gli procurò un leggero brivido: il passaggio dal caldo giaciglio al freddo ambiente della stanza non fu affatto piacevole.
Sbadigliò riuscendo finalmente ad aprire gli occhi, prima di richiuderli istintivamente infastidito dalla luminosità del luogo in netto contrasto con l’oscurità da cui poco prima era attorniato.
Faticosamente si stropicciò i bulbi oculari con due dita, prima di emettere un secondo sbadiglio e spalancare per la seconda volta le palpebre.
Lo stupore si impadronì di lui quando i suoi occhi si poggiarono sulla sua stanza.
O meglio, quella che avrebbe dovuto essere la sua stanza e che invece era una camera completamente diversa. Si guardò intorno spaesato fissando con curiosità quel luogo che aveva un che di familiare.
Il suo sguardo passò rapidamente dal pavimento in legno ricoperto da vari strati di polvere e pieno di piccoli buchi, all’armadio sempre in legno, poggiato contro il muro sinistro. Dal lato opposto si trovava un’ampia madia e sopra di essa uno specchio decorato con legno di quercia. Le pareti color crema presentavano varie crepe ed in alcuni punti, soprattutto quelli vicini al soffitto, l’intonaco era scrostato via lasciando intravedere la copertura in cemento.
Il soffitto poi presentava dei vistosi forellini, disposti un po' qua un po' la a seconda di dove si portava lo sguardo.
Il ragazzo spalancò la bocca, mentre il fiato gli si mozzava in gola ed il sudore gli inzuppò la fronte.
Ci aveva messo un secondo a superare la confusione e a comprendere dove realmente si trovasse, e la risposta a cui era giunto gli aveva procurato un tremendo mal di testa.
Tutto questo è impossibile!” fu il suo primo pensiero: “Non posso trovarmi veramente qui. Questo posto non dovrebbe più esistere da un pezzo!”
Già, quello che stava vedendo non poteva essere reale, era impossibile!
Quel luogo, quella stanza, che subito aveva riconosciuto, era stato anni fa il suo alloggio quando ancora faceva parte della gilda di Phantom Lord!
Gajeel avvertì il suo cuore aumentare il ritmo dei battiti, quando quella costatazione gli fece capolino nel cervello.
Sì, lo riconosceva… quel posto era stato il suo primo alloggio, la sua prima stanza nella sua prima gilda; gli era stato donato da Master Jose in persona.
Continuò a guardarsi in torno riconoscendo ogni centimetro di quella stanza, se di stanza si poteva parlare considerando che era a malapena una cabina.
Sul lato destro a ridosso del muro si trovava il suo vecchio armadio: un mobilio polveroso e tarlato, come dimostravano le centinaia di forellini presenti in entrambe le sue ante ed il colore grigiastro quasi nero che sovrastava il naturale marrone abete.
Vicino alla maniglia il Dragon Slayer riconobbe una decida di solchi: il legno dell’armadio era stato ampiamente scavato. Un occhio inesperto avrebbe attribuito alla lama di una spada tali graffi, ma lui sapeva benissimo che non era così.
Quei graffi ce li aveva lasciati lui stesso anni fa!
Era infatti solito rientrare in quel luogo, perennemente incazzato con il mondo intero e poiché non possedeva un manichino da prendere a pugni e gli era stato proibito di trasformare i suoi compagni in sacchi da boxe umani, si era dovuto accontentare di quel vecchio e lercio armadio.
Non che ci tenesse gran che… era solo un oggetto datogli in dotazione con la stanza in cui poggiava temporaneamente i pochi capi d’abbigliamento che era solito indossare.
Adesso, però, quei graffi, quell’armadio, così identico in ogni più piccolo dettaglio a quello dei suoi ricordi gli fece gelare il sangue.
“Tutto questo deve far parte di un fottutissimo scherzo.” si disse cercando di restare calmo, mentre squadrava l’intera stanza alla ricerca di Lacrima camere nascoste.
Fu così che il suo sguardo si poggiò sul secondo ed ultimo mobile che riempiva quella camera.
Doveva dirlo: rivederla dopo tanti anni gli faceva comprendere ancora di più il degrado in cui aveva vissuto ai tempi di Phantom.
“Tsk, Jose non aveva proprio soldi da spendere per costruire camere più grandi ed allestite. Tra un po' finivo a dormire in un ripostiglio.”
Non che ci fosse andato tanto lontano, considerando che in tutto quella stanza era composta da soli tre mobili: un letto, un armadio ed una specchiera; oltre ovviamente alla porta e ad una finestra ornata con vecchie tende bucherellate.
“Per fortuna c’è almeno il bagno.” si disse, soffermandosi sulla porta che collegava la sua stanza al bagno accanto.
La specchiera, invece, non sapeva bene nemmeno lui perché ce l’avessero messa. In realtà non lo aveva mai saputo neanche quando alloggiava in quel posto, ma non gli era mai interessato di informarsi.
Aveva liquidato la faccenda definendola semplicemente pigrizia di coloro che gli avevano affittato la stanza, che non avevano nemmeno avuto la faccia tosta di portare via tutti i vecchi mobili.
La madia su cui poggiava l’ampio specchio era vecchia: la struttura in legno era ricoperta da una lastra di marmo bianco, che sporco com’era si avvicinava al grigio senza considerare che una parte di essa si era rotta.
Gajeel storse il naso e strinse i denti al ricordo di quando, colpendolo con un pugno quel pezzo di marmo si era frantumato e gli era caduto dritto su un piede.
Aveva lanciato un ululato tremendo quando quel ‘mattone’ gli si era sfracellato sulla pianta spiaccicandogli i diti contro il pavimento e frantumandogli le unghie.
Scosse la testa e strinse gli occhi, arricciando il labbro nel tentativo di dimenticare la dolorosa esperienza, per tornare poi a concentrarsi sullo specchio.
Era veramente brutto!
Quelle stupide decorazioni floreali intagliate lungo il bordo lo rendevano ridicolo, oltre che poco adatto al contesto generale. Inoltre, le figure erano sprecise e squadrate.
Lo specchio in sé, invece, non era nulla di che, ma proprio per questo era forse l’unico oggetto accettabile di tutta la camera. Semplice, miracolosamente pulito e nemmeno rotto.
Distolse lo sguardo riprendendosi dalla sua contemplazione. Non era proprio il momento di perdere tempo. Si voltò dall’altro lato del letto desiderando più che mai di ritrovarci Levy, ma doveva immaginare che tale desiderio era irrealizzabile: il piccolo mobile monoposto non avrebbe mai contenuto tutti e due.
E qui sorgeva l’ennesima domanda: come cavolo c’era finito in quel letto e dov’era Levy?
Era certo di essersi addormentato nel suo letto la sera prima e che la fidanzata gli fosse accanto. Ormai da due anni vivevano insieme in una bella casetta nei pressi di Magnolia.
Da quando poi Levy gli aveva rivelato di essere incinta, lui non la lasciava mai da sola più di qualche ora al giorno.
Gli unici momenti in cui non erano insieme era quando lui partiva per lavorare, e doveva riconoscere che in quel periodo si era dato molto da fare: proprio ieri aveva svolto ben cinque incarichi consecutivi, al punto che lo stesso Makarov gli aveva imposto di fermarsi o avrebbe svuotato la bacheca delle richieste.
Lui gli aveva riso in faccia dicendogli che doveva guadagnare, ma la sera dopo quando i postumi della stanchezza si erano fatti sentire, aveva dovuto riconoscere che come al solito quel vecchio aveva ragione e si era fiondato nel letto addormentandosi subito.
L’inquietudine lo assalì all’improvviso: ritrovarsi senza una ragione precisa in quel luogo lo stava agitando più del previsto. I tempi di Phantom gli avevano sempre riportato alla mente dei ricordi terribili, ricordi che aveva tentato in tutti i modi di cancellare con le sue azioni presenti. Ma ora che si ritrovava lì uno dei suoi incubi peggiori si era realizzato e nella sua testa comparvero mille immagini di quello che aveva fatto in quel periodo della sua vita.
Il ricordo di come aveva ridotto Levy, Jet e Droy, l’immagine di quei tre incatenati ad un albero mezzi morti gli fece risalire su per la gola un conato di vomito, che impiegò qualche secondo e molto sforzo a rigettare giù.
Il pensiero di come aveva ferito ed umiliato quella che sarebbe diventata la sua fidanzata e la futura madre di suo figlio lo fece quasi scoppiare in lacrime.
Scosse la testa energicamente cercando di non lasciarsi andare a tutte quelle emozioni: “Devo darmi una calmata e rimanere lucido per trovare una soluzione… Non è che magari sono vittima di un incantesimo illusorio?”, quel quesito accese una nuova speranza dentro di lui, ma allo stesso tempo lo portò a temere tutto quello che aveva intorno.
Per testare quella tesi si piantò un pugno nello stomaco, ma ottenne solo l’effetto di farsi fortemente male allo stomaco, e scoppiò a tossire cercando di non strozzare a causa della saliva finitagli di traverso. Sentendo il dolore invadergli il corpo e vedendo che l’intero luogo non accennava a sparire o a dissolversi comprese che non si trattava di un’illusione, ma della semplice e pura realtà.
Una realtà assurda ed inaccettabile per lui!
D’altronde come biasimarlo, Phantom Lord era stata sciolta a seguito della guerra che aveva iniziato con Fairy Tail e la sede era stata interamente distrutta da Natsu.
Quel luogo ormai non doveva più esistere, eppure lui c’era dentro!
L’assurda quanto terrificante idea di aver fino ad allora sognato tutto lo paralizzò sul posto, facendogli gelare il sangue nelle vene.
Che fosse finito in coma a seguito di un lavoro andato male? Che avesse semplicemente sognato tutta la faccenda della guerra e di essersi unito a Fairy Tail?
Ma tutte le battaglie, le esperienze, i ricordi e le emozioni che aveva vissuto in tutti quegli anni gli tornarono alla mente cancellando quella terribile supposizione.
Tremante si portò al bordo del letto e poggiando i piedi sul pavimento in legno si sollevò. Ignorando il fastidioso scricchiolio prodotto dai suoi passi proseguì fin quando non giunse davanti allo specchio.
Qui si immobilizzò fissando estasiato la propria immagine riflessa: il suo volto, così come i suoi vestiti non erano minimamente cambiati.
Questa constatazione lo rilassò, continuò a specchiarsi rimirando il suo volto un po' spigoloso sui bordi, contrassegnato da due fila di tre pricing posti sulla fronte al posto delle sopracciglia e lungo i lati del naso. I piccoli occhi color rosso cremisi del proprio riflesso lo fissavano andando a spostarsi su tutto il suo fisico.
Indosso portava ancora i vestiti del giorno prima. Ringraziò mentalmente il vecchio sé stesso per essere stato talmente stanco da non esserseli tolti la sera prima ed essersi infilato nel letto così com’era.
Per la prima volta vedere i capi d’abbigliamento che Levy gli aveva regalato gli fece montare addosso un senso di tranquillità impagabile.
Si portò la mano alla fascia rossa, separata da due righe bianche, carezzando delicatamente il tessuto morbido dell’indumento, il cui scopo era quello di tenere ferme le due ciocche di capelli disposte ai lati del viso.
Fu felice di ritrovarsi la sua immagine riflessa, su cui erano presenti anche i segni della maturità. Temeva di specchiarsi e di trovarsi davanti la sua vecchia faccia, contrassegnata da quel ghigno sadico, dai solchi sotto alle palpebre e da quell’aria da pazzo maniaco assassino che lo distingueva ai tempi di Phantom.
Sorridendo a sé stesso abbassò il volto fino ad inquadrare il braccio sinistro, coperto dal suo giacchetto nero. L’istinto iniziale fu quello di strapparsi via la manica ed assicurarsi che anche il simbolo della gilda fosse al suo posto, ma il suo corpo non volle saperne di muoversi.
Rimase immobile, continuando a fissarsi il braccio senza decidersi ad agire, poi un’altra idea gli venne in mente e con passo felpato si diresse verso la porta della stanza.
Quando fu immerso nel lungo corridoio dove erano poste tutte le camere da letto, l’ansia che gli procurò la vista di quel luogo gli fece accelerare il passo e prima di rendersene conto si ritrovò a correre lungo il vasto corridoio.
Giunto alla rampa di scale che divideva il piano di sopra da quello inferiore prese a falciare i gradini saltandone due alla volta e finalmente giunse al pian terreno.
Sgranò gli occhi e spalancò la bocca rimanendo paralizzato sull’ultimo scalino, mentre fissava imbambolato l’intero luogo.
Le grida di centinaia di persone gli giunsero alle orecchie, ma il suo cervello non ci prestò minimamente attenzione troppo concentrato a chiedersi come tutti quei maghi, dal volto e dal temperamento familiare, si trovassero lì.
Davanti a lui, seduti ai tavoli o al bancone del bar si trovavano tutti i suoi vecchi compagni di gilda. Erano intenti a cantare, ubriacarsi, ridere e scherzare, come se fosse una cosa normale ritrovarsi in quel posto che ormai da anni non doveva neanche più esistere.
“Ehi Gajeel!” lo chiamò una voce: “Hai cambiato look?”
“Ti dona.” rise un altro.
“Zitti idioti, volete che vi spacchi la faccia?” gli bisbigliò un altro uomo seduto al loro tavolo e gli altri due si ammutolirono.
Il discorso, però, non interessò minimamente il Dragon Slayer che, continuando a fissare tutti con sguardo inebetito, tacque.
Non sentirlo rispondere o picchiare nessuno dopo quei commenti allarmò non poco i maghi di Phantom e ben presto si ritrovò gli occhi di tutti puntati contro.
Vide nei loro sguardi un misto di timore e curiosità e fu tentato di tornarsene al piano di sopra e barricarsi in camera, ma dei passi insieme ad una voce fin troppo familiare lo paralizzarono sul posto.
“Ben svegliato Gajeel.” disse Jose arrivandogli vicino ed il moro indietreggiò di un passo prendendo a squadrare il proprio ex Master.
Non era invecchiato di una virgola in tutti quegli anni: indossava ancora una giacchetta bianca color crema con il colletto rigirato e con al centro uno sfavillante fiocco rosso, che gli ricadeva lungo sul davanti, sopra era coperto da un ampio mantello viola ornato con bordi lilla e frastagliato sulle spalle, che erano coperte da lunghi bordi composti da tre punte. Dal dorso si intravedevano spuntare due paia d’ali nere simili a quelle di un pipistrello, mentre sulla testa portava il suo solito cappello viola, simile a quello di una strega.
I lunghi capelli marrone scuro gli ricadevano ai lati del viso e a corniciargli la bocca c’erano due paia di sottili baffetti, che appuntiti gli scivolavano lungo il viso, formando una specie di ampio solco all’ingiù.
Le piccole pupille color rubino si poggiarono su di lui iniziando a squadrarlo dalla testa ai piedi poi un ghigno, che doveva essere un sorriso, comparve sul suo volto.
“Vedo che hai cambiato abbigliamento. Niente male… mi sorprende però, ti ho sempre visto indossare i soliti vestiti in tutti questi anni. Posso sapere a cosa si deve questo cambio di look?”, non c’era astio nella sua voce solo curiosità.
Ciò sorprese fortemente il moro che continuò ad osservarlo con circospezione. Non riusciva a capire come il suo vecchio capo potesse fissarlo con tanta tranquillità: “Questo vecchio è pazzo? Ho abbandonato Phantom e soprattutto dopo il suo scioglimento mi sono unito a Fairy Tail! Cosa cavolo lo trattiene dal disintegrarmi?” pensò, mentre il suo continuo silenzio fece crescere una serie di mormorii in sottofondo.
Gajeel non capiva come Jose fosse lì, avrebbe dovuto trovarsi in prigione e soprattutto non capiva perché non lo aveva ancora attaccato. Lui si era unito alla gilda che più odiava, aveva ripudiato le sue origini, aveva accettato l’aiuto di Makarov ed aveva accettato di rinunciare alla ricerca della continua forza e del potere per dedicarsi alla famiglia, all’amicizia e all’amore; tutto quello che Jose gli aveva sempre imposto di ignorare.
Però l’uomo che aveva davanti non lo osservava con astio o odio, ma con semplice autorità e questo gli procurava ancora più ansia e timore.
Fece un respiro profondo cercando di esibire un sorriso, che però gli venne monco e sgraziato, poi rispose: “N-non è niente Master J-Jose. Ho solo pensato di provare qualcosa di nuovo, ma come avevo immaginato non mi piace affatto. Anzi sai una cosa vado subito a cambiarmi.”
E senza attendere una risposta si voltò salendo in tutta fretta i gradini, non notando l’occhiata interrogativa che Jose gli lanciò.
Quando fu nuovamente nella sua stanza si chiuse la porta alle spalle, e non riuscendo più a sorreggerlo le gambe gli cedettero facendolo cadere in ginocchio.
Spalancò la bocca ispirando a pieni polmoni, mentre il sudore gli colava su tutta la faccia. Facendo pressione sui piedi cercò di sollevarsi e con un salto si fiondò sul letto, premette la faccia sulle morbide lenzuola e chiuse gli occhi.
Spero di svegliarmi presto da quest’incubo.” fu il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi.
Si svegliò una mezz’ora dopo a causa di una gocciolina d’acqua che gli cadde sulla faccia. Sollevandosi constatò con sconforto di essere ancora in quella maledetta camera, e salendo con i piedi sul letto mise una toppa di ferro sul foro da cui colava il liquido.
Poi scendendo si diresse nuovamente verso lo specchio: “E’ il momento della verità.” disse e si strappò la manica del giacchetto.
Sorrise raggiante nell’istante in cui il suo sguardo si poggiò sul simbolo nero, che raffigurava una fata stilizzata con una coda appuntita.
Senza riuscire a trattenersi scoppiò a ridere, ma subito si portò una mano alla bocca osservandosi intorno terrorizzato all’idea che ci fosse qualcuno in ascolto.
Contrasse le narici e i timpani, ma non avvertì alcun odore esterno né tanto meno un qualche rumore.
Cosa faccio adesso? Se Jose o qualcun altro vede questo simbolo come minimo mi scuoia vivo. Non posso andarmene in giro così.”
Continuando a riflettere su come risolvere il problema si avvicinò all’armadio e abbassandosi aprì uno dei cassetti inferiori, dove trovò uno dei suoi vecchi costumi, composto da un paio di pantaloni grigiastri, con una maglietta nera senza maniche.
Afferrati gli indumenti si chiuse in bagno e rigettando la faccia nel lavandino se la sciacquò. Con la faccia ancora zuppa sollevò la testa rimirando il proprio riflesso nel minuto specchietto attaccato al muro, contrasse il volto in una smorfia e arricciò il naso alla vista del pallore della propria pelle e delle pesanti occhiaie. Quella scoperta lo aveva ridotto veramente male, sembrava avesse perso dieci anni di vita.
Si vestì infilandosi i lunghi pantaloni e la maglietta, mettendo per ultima la camicia ornata dalla classica ala nera.
Il suo intento successivo riguardò il nascondere il simbolo sul suo braccio scoperto, per questa ragione si mise a frugare nelle ante dell’armadio finché non trovò una fascia bianca, che si legò intorno al braccio. Il pezzo di stoffa gli coprì quasi completamente la figura rendendola irriconoscibile e lasciando visibile solo una piccola parte del tatuaggio nero.
Se qualcuno gli avesse chiesto il motivo di quell’accessorio, avrebbe risposto che era per coprire una ferita fattasi la sera prima.
Prendendo un respiro profondo si diresse verso la porta.
Non sapeva ancora nulla di tutta la situazione generale, ma una cosa l’aveva capita: l’unico modo per scoprire dove si trovava esattamente e come tornare a casa era stare al gioco e comportarsi come quando era più giovane.
A tale scopo contrasse il volto in un ghigno diabolico e spalancata la porta con irruenza, si diresse nuovamente verso il piano di sotto.
Il suo animo era in preda alla preoccupazione e al disgusto, ma la sua maschera non vacillò un secondo.
 Avrebbe fatto di tutto per tornare dalla sua famiglia!
Avrebbe fatto di tutto per rivedere Levy e niente glielo avrebbe impedito!
 
   
 
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