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Autore: _Lightning_    27/10/2021    0 recensioni
Thanos è stato sconfitto e la metà scomparsa dell'universo è tornata, andando a rioccupare i vuoti di cinque anni d'assenza. Anche Peter Parker è tornato, nonostante a volte si senta ancora su Titano e non sia certo che il costume di Spider-Man o le vesti di adolescente del Queens gli appartengano ancora. Ad aiutarlo sul suo nuovo cammino di supereroe c'è almeno Tony Stark - vivo per miracolo, anche se segnato da cicatrici insanabili.
Mentre il mondo tenta di rimettersi in marcia, coloro che lo hanno salvato vengono messi di fronte alle conseguenze delle proprie azioni: i superumani sono un aiuto o una minaccia? Non è forse vero che hanno contribuito a sconvolgere il mondo ben due volte?
Una nuova tempesta si addensa all'orizzonte, e Peter sembra destinato a trovarsi nell'occhio del ciclone...
Dal Capitolo IX: "Zona Negativa"«Parker, non te lo ripeterò: lascia perdere.»
«Altrimenti che fa? Mi toglie di nuovo il costume?» Peter allargò le braccia con aria di sfida.
«Non hai più quindici anni,» ribatté freddamente Tony. «Se non sei in grado di seguire le mie direttive, sei fuori.» Indurì le labbra in una piega severa. «E questo non è un bel momento per essere "fuori".»
Genere: Azione, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'As if it never happened'
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Spider-Man: Back In Black

 

§

 

Capitolo X

Down came the rain...

 

 

"Shout, shout, let it all out
These are the things I can do without
Come on, I’m talking to you, come on
In violent times
You shouldn’t have to sell your soul
In black and white
They really, really ought to know"
[Shout – Tears For Fear]

 

23 giugno, Astoria Heights, Queens
 

Era incredibile quanto fosse semplice violare e ingannare dei sistemi governativi avendo a disposizione i mezzi giusti. E uno degli innegabili vantaggi della Iron-Spider era avere molto più dei "mezzi giusti": offriva un vero e proprio arsenale di hackeraggio e spionaggio portatile.

Peter aveva provato nausea, nel ripescare fuori la valigetta rosso-oro da sotto al letto, e ancor più nel liberare i nanobot dal loro alloggio sentendoseli zampettare addosso come una miriade di formiche metalliche. Quello era il costume in cui era morto. Ed era stato progettato e assemblato in modo da essere complementare a quello di Iron Man, a Tony – l’ultima persona con cui avrebbe voluto interagire al momento...

Gli ci era voluto ogni briciolo di forza di volontà per permettere al costume metallico di saldarsi su di lui come una seconda pelle, e ancor di più per non lasciarselo scivolare di dosso dopo pochi istanti. L’impressione era di essere rinchiuso in una gabbia opprimente, pronta però a sfaldarsi al minimo tocco.

Non avrebbe mai voluto indossarla, anche solo per principio, ma sentiva di aver già dimostrato la propria buona dose di testardaggine e ribellione. In quel momento non poteva permettersi di aggrapparsi a emozioni così futili e immature, non quando lui stesso pendeva da un filo di una ragnatela troppo sottile. Rinunciare a quella protezione e ai vantaggi che offriva sarebbe stato come fare un torto a se stesso e a May, piuttosto che a Tony.

Si sforzò di vedere il tutto da una prospettiva diversa: era il costume in cui era tornato, e gli era stato donato da qualcuno che, a dispetto di tutti i dissapori, gli voleva bene e teneva alla sua incolumità. Era uno strumento; un semplice strumento senz’anima.

Volteggiava così tra i grattacieli del Queens affacciati sulla baia, reso pressoché invisibile dai nanobot riflettenti e risultando non tracciabile grazie alle frequenze di disturbo emesse dal costume. Quando superò l’imbocco del Rikers Island Bridge senza destare alcun allarme, grazie ai sensori che gli indicavano i coni di rilevamento delle telecamere, seppe di aver fatto la scelta giusta, a superare le proprie paure e antipatie. Lasciandogli l’Iron-Spider, Tony gli aveva inconsapevolmente offerto l’opportunità perfetta per portare avanti quella parte di piano folle che, senza quel costume hi-tech, gli sarebbe risultata impossibile.

Proseguì per un tratto sotto al ponte, agganciando le ragnatele a piloni e travi di sostegno; verso la fine della struttura impennò l’oscillazione verso l’alto, sfiorando le onde turbolente dell’East River e slanciandosi poi oltre il parapetto. Atterrò su uno degli ultimi lampioni che costeggiavano la strada sopraelevata, proprio al limitare della zona sorvegliata.

La massiccia silhouette del penitenziario di massima sicurezza si stagliava nel riverbero della città perennemente sveglia, sorgendo dall’isola di Ryker’s come se fosse tutt’uno con le sue coste a strapiombo. Aveva l’aria di una fortezza stregata, che non avrebbe sfigurato come scenario di un film horror, magari con un paio di lampi a illuminarla tetramente. Quasi avesse letto la sua mente, il cielo mandò un basso e minaccioso brontolio, foriero di un temporale estivo.

Peter fissò la struttura dal suo trespolo, permettendo a Karen di scandagliare l’area circostante, rivelando telecamere, sensori di movimento e ronde delle pattuglie. L’intera area era un intersecarsi e sovrapporsi di diversi sistemi di sicurezza, umani e non, meticolosamente studiati per far sì che i carcerati non sconfinassero dal loro luogo di reclusione.

Un’area ben definita del penitenziario riluceva appena le fioco riverbero artificiale, rivestita d’acciaio e placche di vibranio, a segnalare la sezione destinata ai superumani e potenziati in attesa di trasferimento alla RAFT. Peter vi puntò lo sguardo, ingrandendola con un battito di ciglia, e Karen provvide a delineare in rosso il perimetro esterno della struttura e in blu la planimetria interna delle celle, comodamente recuperata da uno degli archivi SHIELD a cui aveva accesso. Una di esse si evidenziò in verde lampeggiante, a segnalare quella occupata da Mr. Negative, alias Martin Li.

Tramite un altro paio di sguardi e indicazioni a mezza voce, Karen stilò un tortuoso percorso di balzi, oscillazioni e brevi arrampicate che gli avrebbe permesso di evitare ogni sistema di sicurezza, disabilitando al bisogno questa o quella telecamera fino al punto d’accesso più vicino, ovvero una minuscola bocchetta d’aerazione affacciata sull’esterno.


Peter rilasciò un respiro, perso nellafosa e umida aria di giugno. Gli formicolarono le dita mentre già si preparava a sfrecciare verso il suo obiettivo. Stava commettendo una follia, ne era ben conscio. Ma era una follia che, nellottica del suo piano per far sopravvivere Spider-Man, era dimportanza cruciale. Non aveva tempo da perdere.

Spiccò il balzo, col lieve vibrare del lampione come unico segnale della sua presenza. Si lasciò cadere per qualche decina di metri, oltre il parapetto del ponte, per poi lanciare una ragnatela e sollevarsi in un arco aggraziato che lo portò ad appigliarsi in punta di dita al muro di cinta esterno. Gattonò silenzioso a filo col cornicione, seguendo un percorso zigzagante che gli permise di evitare le telecamere, per poi scavalcarlo con un salto ben calibrato, atterrando su un camminamento metallico. La guardia di ronda era appena sotto di lui, intenta a scendere le scalette, mentre unaltra già saliva a prendere il suo posto.

Svelto, Peter si calò lungo lalta struttura delle scale come un ginnasta sulle parallele, oscillando coi palmi dalle balaustre per frenare la caduta e rimanendo nellombra densa delle mura di Rykers. Rimase invisibile a occhi umani e atterrò nel cortile in cemento armato, ancora tiepido dopo lintenso calore diurno.

Attese tre secondi e cinque decimi netti, quanti ne segnava il timer di Karen nella sua visione periferica, e, quando anche il senso di ragno scampanellò in sincrono con lo zero, si slanciò rasoterra, rotolando oltre una telecamera ormai cieca. Schivò il cono di luce di un riflettore mobile e si issò rapido sulla cima della torretta di guardia centrale, rimanendo al riparo di unantenna parabolica lampeggiante. Trattenne il respiro quando la guardia di turno lassù sollevò il naso verso lalto, pressappoco nella sua direzione. Luomo aggrottò le sopracciglia, andando a fissare esattamente il punto in cui si trovava. Peter sudò freddo, a dispetto della consapevolezza di essere invisibile; con un battito di ciglia, Karen prese subito a formulare una rapida via di fuga in caso di allarme... ma la guardia estese infine un palmo davanti a sé, come a controllare se stesse piovendo, e scrollò le spalle con indifferenza, lo sguardo di nuovo puntato sul cortile irrorato da accecanti fasci di luce zigzaganti.

Peter permise allaria trattenuta nei polmoni di fuoriuscire lentamente, in un sibilo soffuso che raschiò contro la superficie dura della maschera, invece di trapelare oltre le strette maglie sintetiche come al solito.

Riprese la sua avanzata e, dopo qualche altro volteggio, un paio di capriole e un salto acrobatico allindietro per evitare il fuoco incrociato di due telecamere ravvicinate, posò infine piede sulla superficie corazzata della sezione potenziati. Era gelida nonostante la temperatura elevata – lo percepì anche attraverso la duttile lamina metallica dei polpastrelli e delle piante dei piedi. 

Il suo senso di ragno prese a ronzare sommessamente, quasi percependo la presenza disturbante che i supercriminali rinchiusi là dentro si erano lasciati alle spalle. Al momento, Martin Li ne era lunico occupante. Lo sentiva, ne riconobbe laura negativa. Era come se un piccolo buco nero oscurasse una porzione del suo radar ragnesco.

Peter deglutì, strisciando pancia a terra – o meglio, a muro – fino alla bocchetta dareazione. Con una lieve pressione delle dita sullo sterno, il ragno che lo decorava fuoriuscì dal suo alloggio e, dopo essersi sgranchito le sottili zampette dorate, sintrufolò nel ristretto cunicolo seguendo il semplice movimento delle pupille di Peter, che continuò a guidarlo nellintrico di biforcazioni. 

Esitò un istante, prima di incitarlo a sbucar fuori nella cella di Mr. Negative, rimanendo ad osservarne langusto e spartano interno dalla soglia del condotto.

Martin Li non dormiva. Era seduto sulla sua brandina di metallo inchiodata al pavimento, con lo sguardo fisso verso la porta blindata. Il letto era lunico arredo, a parte il gabinetto nellangolo opposto. Non vi erano finestre, nemmeno una misera feritoia che permettesse al prigioniero di scorgere il sole, di distinguere il giorno dalla notte.

Peter, ancorato al muro esterno, contrasse appena le dita contro la superficie levigata. Comprendeva il perché di quelle misure di sicurezza, ovvio: aveva visto Mr. Negative in azione, così come elementi altrettanto pericolosi come Rhino o Shocker, in grado di radere al suolo un intero edificio in un battito di ciglia. Ma ciò non rendeva più umane o più giuste quelle condizioni. E la RAFT, dai racconti che aveva carpito al Complesso dalle bocche di chi vi aveva passato poco tempo – ma pur sempre troppo – era ancora peggio.

Sarebbe potuto finire anche lui in una cella simile, se la Sable lavesse accalappiato per le strade di New York alla stregua di un cane randagio. Aveva sempre compreso le preoccupazioni di Tony in merito alla sua possibile reclusione, ma, in quellistante, sentì di capirle un po più a fondo.

Il ragno robotico svicolò fuori dal condotto e andò a piantare i morsetti delle sue zampe anteriori nel circuito della telecamera di sorveglianza, precipitandola in un loop infinito degli ultimi venti secondi. Fu fin troppo facile, a dirla tutta: probabilmente, chi aveva progettato la cella non si aspettava nemmeno che qualcuno potesse arrivare fin lì. Di certo, non si aspettavano che qualcuno fosse in possesso delle planimetrie interne di Rykers.

Il ragno si calò dal soffitto tramite un sottile filo sintetico e atterrò con un sommesso tap sul pavimento di piastre in vibranio. Gli occhi scuri e senza fondo di Li scattarono allistante verso il rumore, illuminandosi per un singolo momento di una luce perlacea; prima che potesse decidere che quel congegno fosse una minaccia, Peter attivò il dispositivo di trasmissione: il ragno emise un fascio di luce azzurrina, proiettando unimmagine di Spider-Man, e Peter si trovò a osservare la scena dagli occhi della sua controparte olografica, trovandosi faccia a faccia con Li.

«Oh, buonasera» esordì, con voce fin troppo squillante. «Passavo di qua, sa comè, e ho deciso di fare una capatina tra una retata della Sable e laltra.»

Lologramma gesticolò in sincrono con le sue intenzioni, alzando le spalle e andando poi a incrociare le braccia in una posa spavalda che non sentiva affatto sua. Fingere di non essere un adolescente sfigato era normalmente difficile, anche con lausilio della maschera e del costume. Fingere con Martin Li, che conosceva il volto delladolescente sfigato di fronte a sé, rendeva il suo scudo di falsa spigliatezza e umorismo sopra le righe del tutto superfluo.

«Peter.»

Sentirgli pronunciare quel nome fu sufficiente a farlo quasi barcollare sul posto. Il tono del potenziato fu piatto e privo dinflessione, ma tradì una punta di... gentilezza? La stessa con la quale lo accoglieva al FEAST, quando, dopo scuola, passava a dare una mano a lui e a zia May.

«Mr. Negative» ribatté Peter, per un istante restio ad abbandonare le apparenze; poi schioccò sommessamente le labbra, sbuffando appena: «Sembra che adesso io e lei siamo davvero diventati colleghi, eh?»

Martin Li non ribatté e si alzò dalla brandina. Senza il consueto completo elegante sembrava più basso, più ingobbito, come se le sue stesse spalle avessero un peso fisico e opprimente. Luniforme grigia e stinta di Rykers gli cadeva sformata addosso; lorlo dei pantaloni larghi strusciava a terra, coprendo quasi del tutto i piedi nudi. Peter non riusciva a venire a patti col fatto che la sua voce, a dispetto di tutto, suonasse esattamente come la ricordava: pacata, con un timbro rasserenante e una lieve inflessione orientale che ne smussava le parole.

Il riflesso di un sorriso sardonico gli illuminò il volto per un singolo istante.

«Lo siamo da sempre, Spider-Man.»

«Forse lo siamo stati, ma non da potenziati e di certo non da supereroi. Non cè niente di "eroico" in ciò che fa lei come "Mr. Negative"» ribatté Peter, affilando ogni parola con la delusione che continuava a covargli dentro.

Li sollevò appena le sopracciglia scure. Sembrò divertito, o forse solo incuriosito dalla sua osservazione.

«Adesso sei qui come Peter o come Spider-Man?»

Quella domanda imprevista lo fece quasi vacillare, ma lologramma rimase statico, senza cedere al suo guizzo di nervosismo reale. Peter incrociò più strettamente le braccia, per poi piantare le mani sui fianchi.

«Vorrei dire "entrambi"... ma così saremmo in quattro qua dentro, tra noi e i nostri alter ego, e mi sembra già abbastanza stretto» ribatté, ruotando il capo a indicare la cella.

Peter strusciò la pianta di un piede a terra – anzi, a mezzaria – per poi riportare lo sguardo su di lui, scrollando appena la testa.

«Sono qui semplicemente per avere delle risposte. Non credo faccia differenza chi le richiede.»

Stavolta, Martin si concesse un sorriso pieno, sebbene incolore.

«E cosa ti fa pensare che io voglia dartele?»

«Perché noi "non siamo così diversi". O sbaglio?»

E, prima che Li riuscisse a proferire anche una sola parola, gettò sul tavolo il suo asso:

«Lei quanto odia Osborn per ciò che le ha fatto?»

La sola menzione del suo nome fece sfrigolare laria compressa in quel cubicolo di vibranio. Gli occhi di Li si ammantarono dellormai nota luce fluorescente per un istante, per poi tornare opali dalla pupilla indistinguibile dalliride.

«Lhai capito, quindi» affermò, con appena la sporcatura di un interrogativo in quelle parole.

«Non è stato difficile» mentì Peter, ripensando a quanto fosse stato in realtà ottuso. «Ci sono passato anchio, dopotutto. Le opzioni con cui acquisire dei superpoteri in modo accidentale sono limitate, qui a New York... e la maggior parte di esse ha a che fare con la Oscorp.»

«Ottimo intuito, Peter

Li sorrise, con una striatura denergia negativa non repressa che gli sbocciò in volto, striandogli i denti di nero e gli occhi di bianco.

Il picco di quellonda oscura scemò subito, restituendogli i suoi colori naturali, ma Peter sentì comunque un brivido che gli risaliva la schiena. Prima che potesse chiedergli altro – come, dove, perché aveva acquisito i suoi poteri – Li riprese a parlare:

«Immagina,» esordì, con la voce improvvisamente pesante quasi se fosse resa viscosa dal catrame, «che, per colpa dei tuoi poteri – dei poteri che tu non hai mai desiderato – qualcuno di molto vicino a te morisse

Peter, aggrappato allesterno, quasi perse la presa sulla superficie metallica della prigione. Sentì il cuore precipitare verso il basso, sprofondandogli nelle viscere.

Non voleva immaginarlo. Non voleva nemmeno permettere al proprio cervello di comprendere appieno le parole di Martin Li, per evitare che si trasformassero in immagini – in ricordi e paure future in cui cercava di districarsi ogni giorno.

«Ecco, questo è quanto io odio Osborn. Ed è il motivo per cui ho accettato lincarico dellattentato. Lobiettivo era rovinarlo. Trascinare il suo nome nel fango e mettere a nudo gli orrori che nasconde dietro il suo marchio.»

«Si aspetta che io le creda? Ha tentato di ucciderlo!»

«Ho detto che quello era lobiettivo, Peter. Non il mio obiettivo.»

Peter frenò il suo impeto, sforzandosi di analizzare quellaffermazione che, in qualche modo, gli suonava logica. Non credeva che il discorso sarebbe andato a toccare direttamente lui, ma non poté tirarsi indietro nel vedere unapertura per saperne di più:

«Allora... era quello di Kingpin?»

Li sorrise di nuovo, stavolta con una tinta tetra a scurirgli le labbra.

«Kingpin voleva un martire. Un Campbell qualsiasi da sacrificare in piazza per attirare lattenzione sui superumani. E su Osborn. Ha funzionato, a quanto pare, e Norman perderà di certo lappoggio per diventare sindaci... Kingpin ha già pronto un altro fantoccio da piazzare al suo posto.»

«È per questo che ci ha lasciato una pista, in quel magazzino?»

Li non rispose, ma non negò nemmeno. Bastò quel breve silenzio, a confermare che fosse lui, lautore del collage.

«Uccidere Osborn senza sollevare dubbi sul suo operato lavrebbe reso un martire della causa contro i superumani. No, su questo concordo con Kingpin: Norman Osborn e la Oscorp devono affondare nel fango da loro creato.» fece una breve pausa, stringendo gli occhi a mandorla. «E se tu non ti fossi intromesso, Spider-Man, adesso non ci sarebbe nemmeno qualcuno da portare sul banco degli imputati con uno stuolo di avvocati alle spalle. Non sarebbe stato un martirio, ma una giusta esecuzione!»

Li sfrigoló di rabbia, generando un breve scoppiettio nellaria. Di nuovo, Peter non riuscì a conciliare limmagine del mite signor Li con quella dello spietato Mr. Negative. Scelse di ignorare quellultima invettiva, osservando, invece, i mille pezzi di quel puzzle monumentale che andavano finalmente al loro posto. Ad eccezione di uno.

Peter puntò il dito contro di lui:

«Ma così, in ogni caso... lei sarebbe finito qua dentro. Perché accettare questo rischio? Non ha senso, non ha nemmeno cercato di–»

Si interruppe, realizzandolo solo allora: Li non era fuggito quando ne aveva avuto loccasione, né aveva tentato di farlo in seguito

Martin Li, a quel punto, sembrò intristirsi. Le rughe irate che increspavano il suo volto si appianarono, lasciando spazio a scalfitture più minute attorno agli occhi.

«Tu quanto odi Osborn, Peter?»

Lui batté le palpebre, di nuovo colto alla sprovvista dalle improvvise virate di Li.

«Odiarlo? Non mi ha fatto nulla. Perché mai dovrei–»

«Se pretendi sincerità da me, forse dovresti essere il primo a dimostrarla, non credi?» lo interruppe bruscamente, quasi in un ringhio.

Peter serrò le labbra. Quella era la verità. Ammettere di odiarlo sarebbe stata una bugia molto più comoda, che gli avrebbe fornito qualcuno con cui prendersela per i propri errori, oltre a se stesso. Si chiese se May gli avesse mai raccontato di Ben, di come era morto. Se Li avesse mai collegato tutti quei fatti apparentemente privi di contatto.

«Non odio Osborn» ripeté poi, con ogni parola che pesava in gola. «Osborn mi ha dato dei poteri contro la mia volontà. Ma sono io a scegliere che uso farne. Se qualcuno morisse per colpa loro, il responsabile sarei solo io. E nessun altro.»

E nessun altro, si ripeté, serrando gli occhi sui ricordi ancora troppo vividi.

Inaspettatamente, Li ridacchiò, un suono gutturale che rimase intrappolato dietro alle sue labbra serrate.

«Che parole nobili. Ma tu hai avuto una scelta, dopotutto.»

«Anche lei ce lha!» quasi gridò Peter, smorzando la voce a fatica. «E sta scegliendo di fare del male a delle persone innocenti!»

«Osborn non si è mai fatto scrupoli. Non puoi battere un mostro del genere giocando pulito! Non vado fiero di ciò che ho fatto, ma era necessario – era lunico modo che mi rimaneva!»

Li si arrestò, quasi affannato, con nuovi lampi neri e bianchi che gli balenavano sul volto e negli occhi. Poi risucchiò un respiro, scuotendo la testa quasi tra sé.

«Mi chiedi perché non sono scappato» riprese allora, serrando i pugni. «Non sono scappato perché anchio ho delle "responsabilità". Io sono un testimone. Anzi, una prova. La prova degli illeciti di Osborn, come lo sei anche tu» aggiunse, indicandolo seccamente. «Dubito che mi permetteranno mai di testimoniare contro la Oscorp, ma finché esisto posso pensare di avere ancora uno scopo nella vita che mi rimane,» finì, quasi in un mormorio.

Peter avvertì una confusa girandola di emozioni nello stomaco. Rabbia, per i crimini di Li. Compassione, al pensiero che fosse disperato al punto da considerarsi alla stregua di un oggetto funzionale al suo obiettivo. Tristezza, nel sapere che nessuno, nella situazione corrente, avrebbe mai dato adito alle parole di un superumano macchiatosi di omicidio.

Trasse un respiro profondo, prima di battere rapido le palpebre, impartendo un comando al robot. Il suo ologramma lo eseguì, e la maschera di Spider-Man si ritirò dal suo volto, permettendo a Martin di fissarlo negli occhi, sebbene solo digitalmente. Luomo non trattenne la sorpresa e mosse un passo indietro, nonostante sapesse già chi ci fosse là sotto.

«Signor Li,» cominciò, prima di potersi fermare, «io non posso liberarla, né posso prometterle che Norman Osborn verrà condannato grazie a lei. Non voglio farlo,» si corresse, aggrottando le sopracciglia, «perché... perché lei è esattamente dove dovrebbe essere. Ed è giusto così.»

Li reclinò la testa allindietro, in muto ascolto, le labbra ancora schiuse per lo sconcerto.

«Ma posso fare in modo che abbia giustizia. Una giustizia vera, senza altre morti innocenti.»

Li scosse la testa con forza, anche se i suoi occhi rimasero incerti – forse speranzosi.

«Mi sembra che tu abbia già abbastanza problemi così, per essere un ragazzino» commentò poi con amarezza, gettando unocchiata verso il muro, oltre il quale la Sable pattugliava le strade a caccia di superumani.

«Questo non mi ha mai fermato, signor Li» ribatté pronto Peter, sollevando il mento in un guizzo di fierezza. «Da grandi poteri derivano grandi responsabilità. E io ho scelto di non tirarmi mai più indietro.»

Le parole di zio Ben sembrarono riversarsi direttamente dal suo ricordo sino alle sue labbra, chiedendo di essere ripetute. Ne avvertì il sapore salato in fondo alla gola.

Gli occhi di Martin Li, ora neri e insondabili, ma non più carichi dira, si appuntarono nei suoi, come se volessero sondarlo nel profondo. Poi, gli voltò le spalle, offrendogli il grigio sbiadito della propria uniforme.

Peter, fuori dalla cella, tirò le labbra e appoggiò il capo contro il muro viscido di pioggia, accettando la sconfitta. Non insistette. Quella conversazione era stata una piccola vittoria, nonostante tutto: aveva avuto delle risposte, anche se non tutte. Avrebbe potuto riferirle a May, almeno una parte. Per il resto, rimaneva tutto nelle sue mani: nulla era cambiato.

Ordinò alla maschera di ricomporsi davanti al suo volto; stava per congedarsi e recuperare il ragno robotico, quando Li sollevò di scatto la testa, parlando senza preavviso:

«Sottosezione C, Esperimento GR-27, file 33-42. Li Martin, Shī e Yue» enunciò, scandendo con chiarezza ogni parola, in particolare quei nomi, dai quali trapelò un accento più morbido e cantato, reminiscente della sua patria. «Non avrai certo difficoltà a intrufolarti negli archivi della Oscorp. E se sei ancora convinto che io abbia avuto una scelta, forse cambierai idea dopo aver letto quel rapporto» concluse, sempre senza guardarlo.

Peter annuì in silenzio, pur sapendo che non poteva vederlo.

«Signor Li» lo chiamò unultima volta, spingendolo stavolta a lanciargli unocchiata sbieca da sopra la spalla. «Se crede di non aver avuto una scelta, pensi al FEAST e a tutto ciò che ha sempre fatto per gli altri. Era quella, la sua unica responsabilità. E lha gettata via con le sue mani.»

Vide il guizzo di rabbia negli occhi di Li, ma non gli diede modo di esternarla: Peter disattivò lologramma, lasciandolo nel buio della sua cella e dei suoi pensieri animati da scariche negative.

 


 


Note dell’Autrice:

Cari Lettori... ho forse scuse? Nah, manco ci provo a elaborarle; sarebbero inutili!
Riprendo questa storia una volta ogni mille anni, lo so, ma va così. Sono solo contenta di portarla avanti quando posso, e che ci sia ancora qualche sporadico lettore che la scopre e qualche fedelissimo che la segue ♥

Al prossimo aggiornamento, con uno dei capitoli più esplosivi della storia!

-Light-

P.S. Vi informo che ho riletto e revisionato questo capitolo un po’ alla carlona, quindi se notate delle sviste/ripetizioni segnalatele pure, ma ci tornerò comunque su nei prossimi giorni. Dopo così tanto tempo, o finivo di scrivere e pubblicavo subito, o sarei entrata in stallo per altri 6 mesi :’)

 



 

   
 
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