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Autore: Mary Black    28/10/2021    1 recensioni
Lo straniero dagli occhi verdi ricorda perfettamente la prima volta in cui l’ha vista – abbandonata sul prato, il vestito bianco schiuso come una corolla attorno alle gambe snelle, il grembo inondato di fiori, le dita graffiate.
Il suo nuovo amico, il vicino dalla mente acuta e i capelli ramati, si torce le mani al suo fianco. Quel fratello solitario che si ritrova ha un’espressione ostile incisa nei lineamenti duri e macina disprezzo ad ogni sbuffo. [...]
Lei sospira. Un respiro svagato, un po’ tremulo. Le sue ciglia dorate sbattono piano, il sole le fa scintillare.
Le sue dita sottili si adoperano, ostinate, attorno ai fiori. Scivolano, impacciate, sgraziate, su una corona di petali sgualciti. Perdono il filo e ricominciano, instancabili – lui si chiede se lei non stia semplicemente cercando di ricordare, ricordare come si fa a intrecciare i fiori, ricordare come si fa a ritrovare la strada in una realtà fatta di riverberi infiniti e fruscii di narcisi bianchi.
[Gellert/Ariana, Gellert/Albus]
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aberforth Silente, Albus Silente, Ariana Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Hävitä

scomparire, svanire, perdersi


Ariana abita in un mondo tetro dove il tempo non ha significato.

La sua vita è un susseguirsi di momenti luminosi di sole (la sua voce niente fiori spezzati niente dita nere di lividi) e attimi dove il buio si addensa e i narcisi si sollevano crudeli per ballare nel cielo (il volto di sua madre inerte sul pavimento le grida dei suoi fratelli la risata dello straniero dagli occhi verde menta).
I suoi ricordi non sono lineari, a volte le sembra ieri il giorno in cui tutto s’è interrotto e a volte non ci pensa per settimane, per mesi interi. Ricorda ossessivamente la notte in cui Gellert è entrato nella sua stanza – le sue dita sulla pelle delle cosce, l’affanno del proprio respiro, quel misto disperato di paura e desiderio, confusione, e poi la sua bocca sulla propria e il suo sapore e il calore di quelle labbra salate come lacrime, le sue parole impossibili (Ariana non capisce sempre ma quella volta sì quella volta ha capito e ha provato felicità, felicità e speranza).
Lo straniero, però, non parla più.
Non la guarda e ride tra le braccia di Albus, mentre Ariana abbandona i fiori sul pavimento e rifiuta di mangiare. Non ci sono più storie d’un mondo perfetto, sogni che popolano il buio – la sua voce di miele è annegata tra risa stridenti, e le tenebre crepitano sempre più forte.

L’ha abbandonata – i fiori frusciano e le crepe iniziano a sembrare baratri.

Ariana strappa i narcisi con sempre più ferocia.
Di corone ne ha avuto abbastanza per una vita (distrutta) intera.

È una mattina tetra quando Ariana, spaesata, fragile, senza lividi, lo cerca.
Gellert è sceso dalle scale per dirigersi in cucina, la sua voce allegra è ancora intenta ad articolare qualcosa ad Albus, che è rimasto in camera, lei lo sente e si solleva dal prato in cui giace come fosse già morta.
Si incontrano nel salone in penombra. Lo straniero si paralizza, davanti a quello sguardo azzurro così intenso, così consapevole (come la notte in cui l’ha baciata la notte in cui avrebbe voluto dissacrarla e invece è scappato come il codardo che non è mai stato), e non può fare a meno di rabbrividire.
Lei trema, sente le lacrime pungerle gli occhi anche se non capisce perché (ha sette anni e non ha avuto neanche il tempo di piangere ancora rideva quando l’hanno fatta a pezzi) e così tende quelle mani magre verso di lui.
Lo straniero raccoglie quella supplica e bacia quelle dita senza lividi – sa che se uno dei suoi fratelli dovesse vederli scoppierebbe un disastro, sa che Albus non lo perdonerebbe mai, ma lei ha quell’aria persa, come se fosse sul punto di svanire, di dissolversi, scomparsa come il blu di quegli ematomi che non la adornano più, e senza lividi è ancora terrena oppure no?
Gli occhi di Gellert piangono un futuro che non si realizzerà mai, mentre le sfiora appena la gola.
“Se avessi potuto salvarti, forse noi...”

Ariana si lascia sfuggire uno di quei gemiti metà singhiozzi metà sussurri (perché capisce) e strattona il braccio dello straniero per attirarlo più vicino. Lui non oppone resistenza, le sue mani si chiudono su quel viso magro e le sue labbra le sporcano la bocca (Ariana è felice anche se piange mentre respira il suo respiro). Tutto sembra precipitare, e non importano le anime (giuste sbagliate non importa più), non importano i corpi (giusti sbagliati non importa più), non importa il sangue (fratelli legami una verginità da stracciare), tutto crolla e sparisce e si disintegra in quel bacio famelico.
Gellert la sta ancora baciando quando Aberforth varca la porta del salone.

 

Tutto si congela per un istante infinitesimale – poi lo straniero la lascia andare come se si fosse scottato, lei piange ma le sue dita impacciate cercano di trattenerlo per la stoffa della camicia (è la camicia di suo fratello Albus) e Aberforth grida sfoderando la bacchetta.
Ariana singhiozza forte mentre loro due si battono a duello. Lo straniero ride di disprezzo e suo fratello è troppo furioso per articolare anche una sola parola, Albus si precipita giù dalle scale e resta attonito a fissare la scena, poi sfodera la bacchetta a sua volta.
Ariana piange, mentre nei suoi ricordi i narcisi ballano sfrenati (i Babbani l’hanno presa a calci fino a farle sputare sangue lei urlava e loro ridevano e calpestavano i suoi fiori le sue corone perfette e lei piangeva perché i fiori erano innocenti i fiori non avevano fatto niente di male), dondola su se stessa, cercando di ignorare le urla – ma lo straniero sta torturando il suo Aberforth e tutto svanisce e niente sarà mai più come prima.
Albus supplica, Gellert col sorriso rosso per un labbro spaccato lo spinge via (avresti dovuto educarlo tu stesso amore mio guarda cosa mi stai costringendo a fare) e Ariana piange disperata, ma tutte quelle crepe nessuno le nota.

Lei sa che è soltanto colpa sua (per quel bacio per quella notte per quei racconti di mondi ideali) e geme i suoi sussurri incompresi. Vorrebbe chiamare i loro nomi, ma non può, non può – i Babbani l’hanno fatta a pezzi perché giocava coi fiori e lei ha perso la voce ha perso il senno ha perso tutto, anima rotta in un corpo bellissimo incapace di farsi ascoltare.

Ariana si strappa i riccioli mentre sente la pazzia schizzarle fuori dalla testa, le orbite doloranti come se ci avessero conficcato dei chiodi – ma nessuno la sente, nessuno la vede, a nessuno importa.
Le urla di Aberforth sono assordanti, raccapriccianti, la bacchetta giace inerme tra le dita di Albus mentre le suppliche gli cadono dalle labbra come le lacrime dal viso, Gellert ride della sua risata irrefrenabile ma non smette, e si scrolla di dosso il suo unico amico quando questi gli si aggrappa alla camicia (è la sua camicia ha addosso la sua camicia ha tutto il suo amore ma lo sta facendo a pezzi ugualmente).
Ariana non ci pensa più e scatta in avanti – non possono sentirla ma possono vederla e lei li fermerà li fermerà a qualunque costo perché li ama tutti li ama tutti pazzamente – ma la magia dentro di lei è impazzita ed esplode, e nello stesso istante Albus solleva la bacchetta per fermare quello scempio, e non la vede, semplicemente non la vede (è accecato dalle lacrime meine liebe che cosa stai facendo), e in un istante è tutto finito.
Aberforth non grida più, Gellert non ride, Albus non piange – e la bambina spezzata giace sul marmo bianco del pavimento, interrotta per sempre.

La porta che si chiude dietro i capelli biondi di Gellert fa male soltanto un po’.

 

 

 

Note dell’Autrice
Ed eccoci alla fine di questa storia. L’ultimo capitolo l’ho voluto scrivere dando voce ad Ariana e utilizzando il suo punto di vista.
Spero vi sia piaciuta. Grazie a tutti quelli che sono rimasti con me in questa piccola avventura.

Mary

  
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