I
wrote Red Lights
for
with you
PWP
Le riprese del video musicale del nuovo singolo di Hwang Hyunjin e Bang Chan si
erano concluse, dopo lunghe prove estenuanti, intense.
Particolarmente intense.
Tanto da stremare i due artisti, da portarli a una stanchezza fisica pari allo
svolgimento di una gara podistica: gli abiti di scena si appiccicavano alla
pelle, i segni delle catene, dei lacci e collari utilizzati durante il lavoro
svettavano sui polsi e sul collo di Chan, un particolare che Hyunjin non mancò
certo di notare. I capelli chiari del primo erano abbastanza corti da lasciare
scoperta la nuca, una fortuna e una maledizione per il secondo, che deglutì
ancor prima di riprendere fiato dall’immensa irritazione che gli provocava
vedere quella pelle chiara rovinata da tali rossori.
Rovinata. Rosse pennellate su tela bianca, un impatto visivo non da
poco. Posò i polpastrelli sulla striscia rossastra, percorrendola per tutta la
lunghezza.
Il gemito che uscì dalla bocca di Chan lo interpretò come una risposta
stizzita, dolorante.
Si sbagliava.
Chan percepì chiaramente i brividi correre su tutta la spina dorsale prima di
scaricarsi a terra assieme a un lieve tremito. La nuca, uno dei tanti, stupidi
punti deboli che aveva era stata sfiorata, carezzata con poca delicatezza mista
a curiosità, da parte di Hyunjin.
Fa male? Lo stupore dipinto negli occhi di Hyunjin pareva ingenuamente
veritiero.
Sì, rispose il biondo voltandosi nuovamente verso lo stand e gli sfondi per le
inquadrature – colori suggestivi, luci intriganti, atmosfere melliflue e
particolari – mentre i tecnici e lo staff stavano sistemando le attrezzature
utilizzate per la registrazione. Sì, ma non è stato quello a farmi sentire così,
cazzo. Sei stato tu.
Con che faccia avrebbe potuto continuare a sostenere lo sguardo di colui
che era noto per una delle dualità più esplicite e riconosciute dell’industria
musicale sudcoreana? Non c’era alcun dubbio, farsi toccare da Hwang Hyunjin
dava sempre un effetto strano: le lunghe dita affusolate lo stavano sfiorando
di nuovo, stavolta più in basso, tra le scapole scorrendo sul tessuto scuro che
lo divideva dal desiderio di sentire quel calore non solo sul completo di
scena, ma anche sulla schiena, sull’epidermide, dentro le ossa. Aveva già
faticato a sufficienza durante l’esibizione davanti alle telecamere, l’effetto
del collega sapeva essere fulmineo, e sperava in cuor suo, non certo evidente.
Perché in verità stava bruciando al pensiero di non avere soltanto i
polpastrelli di Hyunjin addosso, ma ben altro.
Vieni.
I capelli mori di Hyunjin incorniciavano il volto perfetto e sorridente,
contornando uno sguardo brillante e carico di aspettative.
Dove? Chan pareva confuso, sentiva correre addosso l’adrenalina per la
conclusione di un ottimo lavoro, complesso, un testo composto in due e
costruito da loro (per lui). Ammettere di aver pensato al collega
durante la stesura di quelle parole cariche di erotismo e di non detto lo
metteva in soggezione, mascherata alla bene e meglio con risate, battute e
umore leggero. Nel limite, ovvio.
Perché Hyunjin era il soggetto delle sue complete e più sincere attenzioni:
aveva dovuto ingoiare salivazione eccessiva e mordersi più volte la lingua per
non reagire durante la coreografia, non sempre perfetta ma perfezionabile, e
via una, due, cinque volte a ballare, sfiorarsi, stringersi e cercarsi davanti
alle telecamere. Essere attori nel ruolo di se stessi non era facile di fronte
al mondo, ci avevano lavorato tanto ottenendo risultati efficaci e
soddisfacenti, ma pregava non si fosse notata l’evidente erezione che spingeva
contro al tessuto nero lucido e che lo aveva portato a mordersi l’interno della
bocca in più di una occasione.
Hyunjin incatenato che lo guardava sorridendo malato…
Hyunjin che lo sfiorava…
Hyunjin che lo afferrava per il collo, stringendolo possessivamente tra le
falangi come volesse soffocarlo. O mangiarlo.
Hyunjin…
Hyunjin.
Chan sospirò dipingendosi un’espressione credibile e disinteressata in volto:
doveva fingere di nuovo, faceva parte del suo lavoro, d’altronde. Una volta di
più che sarebbe mai stato per lui?
Le cose cambiarono quando il collega lo prese per mano zigzagando tra gli
ultimi operai impegnati a smontare il set e relativi oggetti di scena.
Ma dove…?
Il lungo corridoio sotterraneo che portava all’uscita di emergenza era spoglio,
contornato da pareti uguali e pallide, non certo il posto migliore dove
fermarsi a parlare. Solitamente gremito di personale, a progetto concluso
pareva spettrale. I due ragazzi si erano lasciati alle spalle la scalinata che
li aveva portati al seminterrato: davanti a loro una pavimentazione grigia che
procedeva dritta e una fila di lampadine a segnare il percorso dedicato agli
addetti ai lavori. Chan si sentì strattonare all’indietro e contro la parete.
Cos-?
Sbatté la testa al muro imprecando mentalmente e non riuscendo a
comprendere cosa stesse succedendo, fino a che non ritrovò il volto di Hyunjin
a un paio di centimetri dal suo. Serrò le palpebre, scappando dalla convinzione
di potersi specchiare in quelle iridi umide che lo stavano squadrando e captando
ogni singola sensazione scritta sul volto contratto. Il respiro ardeva, gli
bruciava addosso mentre tentava inutilmente di tenersi in equilibrio e non
avvicinare il proprio corpo al suo, un contatto diretto a cui non voleva
sottrarsi davvero, ma per cui stava lottando contro se
stesso. Il tessuto frusciò contro il ginocchio del moro, insinuatosi tra le
cosce di Chan, portandolo a mugolare contrariato: strinse il labbro con gli
incisivi, mascherando un ansimo traditore. Spalancò gli occhi nel momento in cui
avvertì uno sbuffo ironico proveniente da chi gli stava di fronte.
Errore.
La mente in tilt.
Hyunjin muoveva con lentezza ipnotizzante le labbra nel sussurrare poche,
semplici parole. Credi non mi sia accorto di cosa tu stessi facendo? O cosa
volessi? Sospinse la gamba più in alto, fermandosi all’altezza del
rigonfiamento doloroso di Chan che stentava a mantenere la posizione eretta. Non
hai fatto altro che eccitarti durante le riprese, o sbaglio?
Avere un carattere intraprendente e una sfacciataggine da pochi era un
vantaggio allettante in situazioni simili: Hyunjin non era mai stato estraneo
al fascino del loro leader, era stato complesso e affascinante allo stesso
tempo scrivere il testo di una canzone tale, un contenuto spinto, intrigante,
sfuggevole e ingannevole, ammaliante. Scriverlo accanto a Bang Chan era stato
parecchio difficoltoso, nulla comunque in confronto al lavoro sulla
coreografia. Il momento in cui Hyunjin si sentì così debole fu però durante la
registrazione del video.
Bang Chan era straordinario in quell’abito nero, vibrante, una forma estetica
suprema. I giochi di sguardi lo avevano tradito: per copione avrebbe dovuto
scrutarlo da capo a piedi godendo di ogni singola vista, inclinazione del
corpo, contrazione del muscolo.
Non ebbe certo bisogno di fingere.
La decisione di portarsi appresso le scariche di piacere che aveva incamerato e
somatizzato durante quelle ore di lavoro fu necessaria: cuore, mente e corpo
furono d’accordo per la prima volta. Cercalo. Prendilo.
E così fece. Lascivo, decise che Chan sarebbe stato suo, in un modo o
nell’altro.
Perché aveva letto in lui reazioni esplicite, evidenti gestualità, mute
richieste che nulla avevano a che fare con il lavoro.
Sapeva di desiderare Chan, sapeva che Chan lo stava desiderando. Le pulsioni
gli si erano aggrappate addosso con artigli brucianti, arrampicandosi dai
talloni alle tempie, graffiando e lasciando solchi invisibili e
destabilizzanti.
Chan…
Hyunjin gettò la maschera da impassibile predatore mostrando uno stralcio
di debolezza quando la voce tremò sotto a quelle quattro lettere. Le pronunciò
ancora una volta azzerando la distanza che li separava, strappandosi gli
auricolari da dietro la nuca e facendo altrettanto al ragazzo che rimaneva
schiacciato tra sé e la superficie muraria di un posto non certo segreto, non
nascosto, tanto meno sicuro. Si premurò di lasciarli scivolare in tasca con una
certa attenzione, concentrandosi sul volto di Chan, sulle sue iridi nascoste.
Voleva vederle.
Doveva.
Gli sfiorò il viso con le labbra, concentrandosi sullo zigomo sinistro, e gli
sussurrò di guardarlo, prima di toccarlo nuovamente. Doveva trovare le proprie
certezze attraverso le sue pupille, un assenso, un cenno sarebbe bastato: non trovò
risposta tra le parole, ma i gemiti furono più che sufficienti, così come i
fianchi che iniziarono a muoversi in direzione della sua coscia, creando una
frizione efficace e umida. Hyunjin percepiva chiaramente il gonfiore cercare pace
sul suo ginocchio, salendo sui pantaloni scuri ormai stropicciati da un
movimento dapprima scoordinato.
Hyu-Hyunjin…! Quando sentì il suo nome
pronunciato tre, quattro volte e avvertì il tremito di quel corpo bloccato, si
avventò su una bocca implorante e cedevole.
Al diavolo chi sarebbe potuto passare lì da un momento all’altro…
Al diavolo le attenzioni a ogni interazione nelle ultime settimane…
Al diavolo tutto, tanto il loro mondo era fatto di scandali, smentite e nuovi
scandali. Di uno in più, non gliene sarebbe fregato minimamente.
Voleva averlo per sé, sentirlo venire, pronunciare il suo nome tante e tali
volte da perderne il conto.
Arpionò le braccia dell’altro, facendo cozzare il proprio inguine con il suo,
strappandogli un gemito a malapena soffocato da una volontà che stava cedendo
pezzo per pezzo, mostrando il lato più naturale di Bang Chan; Hyunjin non
resistette e si impossessò famelico di quelle labbra che lo stavano chiamando
di nuovo, saggiandone il sapore e volendone ancora e ancora. Baci liquidi,
accompagnati da rapidi respiri e carenti d’ossigeno si susseguirono violenti,
mentre i corpi strusciavano tra loro gridando contatto, calore, bisogno,
soddisfazione. Si fermarono per riprendere fiato, perdendosi in pupille
dilatate da una eccitazione fremente e altissima. Hyunjin l’avrebbe divorato.
I capelli biondi si attaccavano alla fronte madida di sudore, ma di questo a
Chan non fregava un cazzo: credeva sarebbe andato a fuoco, riducendosi in
cenere su quel pavimento calpestato da troppe suole fino a mezz’ora prima. La
testa pulsava, così come il basso ventre teso e pretenzioso d’attenzioni fin
troppo evidenti. Istintivamente si portò la mano sul cavallo dei pantaloni,
frizionandosi e muovendo a ritmo delle dita i propri fianchi. Gemette sulle
labbra bagnate di Hyunjin che continuava a cercarlo, lasciando tracce umide di
piccoli morsi sugli zigomi e sull’incavo del collo, mescolandosi con le deboli
striature delle costrizioni metalliche e di cuoio da cui era cominciato tutto. Hyunjin
lo sentiva tremare sotto di sé, tra i denti voraci, le mani e le cosce tese a
sostegno di entrambi.
Hyunjin Sarebbe venuto anche solo avvertendolo vicino all’orgasmo, stava
impazzendo. Scaricò il proprio peso poggiandosi al muro col braccio destro,
armeggiando con la propria cintura in modo quasi impacciato: Chan si fermò un
attimo, annaspando affannosamente e riprendendo ossigeno con respiri spezzati:
inarcò la schiena rivolgendo le iridi lucide al soffitto, pregando con tutto se stesso che nessuno fosse di passaggio. Hyunjin denudò
entrambi dei pantaloni e della biancheria, distogliendo gli occhi dall’altro
per la prima volta: il rossore altrimenti evidente era nascosto dallo strato di
fondotinta che rivelava le prime imperfezioni date dagli sfregamenti di pelle
contro pelle, di labbra che si cercavano e assaggiavano a vicenda senza
sufficiente soddisfazione.
Hyunjin coprì i gemiti di Bang Chan con i propri, mugolando quando avvolse
entrambe le erezioni con le lunghe dita. Sfregò spingendosi con i fianchi, frizionando
se stesso e l’altro con colpi irregolari e una
velocità instabile, spingendo la fronte sulla clavicola di chi gli stava di
fronte nello stesso identico stato.
Persi entrambi, senza alcuna connessione tra il cervello e il resto del corpo.
Soltanto i loro respiri a mischiarsi tra i denti stretti sulle labbra, e il
bisogno di raggiungere l’apice.
Ti p-prego…
La voce rotta di Hyunjin penetrò direttamente nel cervello di Bang Chan,
mandando a puttane l’intero sistema nervoso: quest’ultimo si contrasse venendo
tra le dita, riempiendo di sperma la sua cappella e quella dell’altro prossimo
all’apice, ricurvo su di lui, respirando sul suo collo e gemendo nel suo
orecchio. Hyunjin lo raggiunse poco dopo, le ginocchia che tremavano e
faticavano a reggere il ritmo e il peso di ogni singola azione e pensiero; si
fermò ansante, il cuore tachicardico, il rimbombo sordo nelle orecchie di chi aveva
perso il controllo e la ragione.
Jin… Bang Chan gli rivolse un sorriso, l’eyeliner sbavato da un lato, le
labbra arrossate, gonfie, tremule; i capelli arruffati ricadevano disordinati
ai lati del viso, incorniciando lo sguardo appannato pieno di quesiti. Domande
che avrebbe tenuto per sé. Aveva avuto soltanto l’energia di pronunciare il
nomignolo dell’altro. Hyunjin sorrise riprendendo fiato come poteva,
schiacciando l’altro con il peso del proprio corpo, l’eccitazione che scemava
grondando liquido denso sul pavimento; sorrise aggrappandosi alla camicia
sgualcita, sorrise ancora sulle labbra di lui sussurrando poche parole, la
stessa musica che avevano prodotto assieme:
I cannot breathe
without you being right by my side… I’ll die.
E Chan
concluse, avvolgendo le spalle del ragazzo con le braccia stanche, poggiando il
capo sul suo petto pronunciando la conclusione della prima strofa.
So, can you please come over closer, hold me tight right now.
Errore il
loro, quando avvertirono chiaramente dei passi percorrere il corridoio. Bang
Chan sgranò gli occhi, impossibilitato a dire qualsiasi cosa.
Congelato.
Bloccato.
Scattò a sinistra, due persone stavano parlando tra loro mentre stavano
scendendo le scale, ancora una manciata di secondi e sarebbero stati visibili a
figura intera, da lontano. I toni familiari rapirono la loro attenzione scuotendoli
all’interno della loro bolla, una bolla che aveva ancora l’odore di loro e
risuonava di gemiti trattenuti e desideri ancora troppo grandi per poter essere
affrontati. Hyunjin scoppiò le pareti di quel mondo ricreato, richiudendosi
alla buona i pantaloni e facendo altrettanto con quelli di Chan, ancora
paralizzato; lo strattonò e cominciò a correre, le dita intrecciate alle sue,
una nuova adrenalina a muovere i passi di entrambi sperando di non farsi
beccare. Si nascosero dietro la prima deviazione a destra, stremati.
Si guardarono, i petti si muovevano sostenuti mentre s’erano appiattiti contro
la parete: risero tappandosi la bocca con le dita, risero di nuovo mascherando
gli sbuffi alla buona e si guardarono, per la prima volta, con occhi
consapevoli.
Make you feel my
love.
Blyth, ily.
For you, and for all STAYS here.
You make Stray Kids Stay.