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Autore: Chirubi    11/11/2021    1 recensioni
I. Downstream - Windy with 50% Gravity
II. Static - Sunny with 100% Gravity
III. Upstream - Cloudy with a chance of 1% Gravity
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«Ti prego, allenati con me!»
Ochaco Uraraka aveva chinato profondamente il capo come a voler abbozzare un inchino, sotto lo sguardo impassibile di Katsuki.
Una folata di vento primaverile accorse a smuovere i capelli della giovane, ammutolita in una sorta di stasi e tensione palpabile.
Il tempo parve quasi congelato come se tutta la vita del pianeta si fosse ridotta a loro due, in piedi in un corridoio deserto della U.A..
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katsuki Bakugou, Ochako Uraraka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Ti prego, allenati con me!»
Ochaco Uraraka aveva chinato profondamente il capo come a voler abbozzare un inchino, sotto lo sguardo impassibile di Katsuki.
Una folata di vento primaverile accorse a smuovere i capelli della giovane, ammutolita in una sorta di stasi e tensione palpabile. Il tempo parve quasi congelato come se tutta la vita del pianeta si fosse ridotta a loro due, in piedi in un corridoio deserto della U.A..
Lo Sports Festival si era concluso da poco proprio col trionfo del biondino, riluttante anche solo alla ricezione della medaglia d’oro per non essere riuscito a scontrarsi con Izuku nel corso della competizione.
D’altro canto si poteva dire che il momento più impresso nella sua memoria fosse stato proprio lo scontro con Ochaco al primo round. Non Kirishima, non Tokoyami, non Todoroki.

«Alzati, Faccia Tonda, sei imbarazzante.»

La redarguì quasi con disprezzo; per quanto l’inchino potesse essere un’usanza intrinsecamente giapponese e Bakugō fosse conscio della sua posizione all’interno della classe, lo infastidì più del dovuto. Non glielo avrebbe mai detto apertamente, ma quella schermaglia le aveva fatto guadagnare il suo rispetto. Non c’era bisogno di ingessarsi in tali formalità.
La ragazza sollevò il volto manifestando un’espressione triste, quasi ferita. Non si aspettava che l’intemperanza di lui potesse svanire da un momento all’altro, ma in cuor suo aveva nutrito delle aspettative più incoraggianti su come Katsuki avesse potuto accogliere la sua richiesta.

Richiesta che avrebbe accettato senza troppi giri di parole, se Uraraka non gli si fosse presentata al cospetto con la forza persuasiva di una gazzella ferita.

Le loro iridi si incrociarono, ma la brunetta distolse subito lo sguardo.
Sembrava quasi un paradosso il modo in cui lo avesse affrontato a viso scoperto al festival e come, a distanza di a malapena quattro giorni, tremasse alla sola idea di chiedergli di allenarsi insieme.

Anche lei non lo avrebbe mai detto, ma dietro quell’insolito atteggiamento impaurito si nascondeva il bisogno di imparare dai suoi errori e fragilità, bisogno dettato dalla fotografia del sorriso dei suoi genitori stampata nella memoria.

Strinse forte i pugni, tornando a fronteggiare i suoi occhi piccoli e vermigli.
«Voglio allenarmi con te, Bakugō. Quello che è successo al festival mi ha aperto gli occhi, per questo non accetterò un no come risposta. Forse non sarò mai come te, ma io voglio davvero diventare più forte.»
Eccola, la stessa determinazione del primo round. Le stesse sopracciglia buffe inarcate, lo stesso fuoco nelle iridi color nocciola. La stessa voglia di spaccare tutto.

Il biondo sbuffò dal naso e sorrise di sbieco, manifestando un sentimento indecifrabile, e le voltò le spalle per allontanarsi.

«Domani dopo le lezioni, alla radura nel bosco. Non dire niente a nessuno, non voglio rotture di palle.»

 

 

«Allora, Faccia Tonda? Non ti vuoi ancora arrendere?»
Katsuki stava facendo vorticare delle manette su un dito, le stesse che aveva portato Ochaco come aiuto per rendere l’allenamento un po’ più equo.
Tolto questo particolare, la situazione era un vero e proprio déjà vu di cinque giorni prima: Bakugō non stava sorridendo sornione come avrebbe fatto con qualsiasi altro avversario, al contrario. La visione di Uraraka con mezza canottiera strappata e piena di graffi lo turbò, ma del resto era stata lei a chiedere di allenarsi insieme e sapeva a cosa sarebbe andata incontro.
Era affannata, con una mano appoggiata al suolo per cercare una stabilità via via sempre più flebile.

Eppure il ragazzo le aveva concesso di portare oggetti esterni e aveva scelto la radura come campo proprio per facilitarla, ma in meno di dieci minuti lo scontro aveva preso la piega prevista.

Ochaco era intelligente e aveva saputo sfruttare bene il suo quirk in sintonia con l’ambiente circostante, ma la disparità nella loro forza era troppa e non importava quanti alberi, ceppi, rami e polvere potesse sollevare, il biondo li avrebbe sempre saputi allontanare a suon di esplosioni.

«Non… ancora…»

La vista della ragazza si annebbiò sempre di più, finché l’avversario non divenne una macchiolina blu prima che i suoi occhi si chiudessero del tutto, facendola crollare a terra in stato di dormiveglia.
Contemporaneamente al suo impatto col suolo, un albero con un tronco parzialmente reciso disegnava un arco in rapida discesa verso il suo corpo, mosso da una violenta raffica di vento.

«Uraraka!»

Per la seconda volta in tre mesi la chiamò per cognome.

L’arbusto era a quarantacinque gradi e stava guadagnando velocità, Ochaco non ce l’avrebbe fatta se non avesse fatto qualcosa per portarla in salvo.
«Quanto cazzo mi dai sui nervi, maledetta!»
Non fu tanto lei di per sé ad innescargli l’imprecazione irruente, quanto il fatto di doverla attivamente salvare. Lui, l’antitesi vivente del lavoro di squadra e la violenza personificata.
Bakugō strinse i denti così forte che avrebbe potuto romperli e scattò in avanti, aiutandosi con la spinta data dal suo quirk.
Scivolò sul terreno, spingendo rozzamente la giovane e riuscendo ad uscirne in prima persona illeso per un pelo; i fitti rami dell’albero sembrarono frenarne l’impatto, prima di sgretolarsi come granelli di sabbia al vento.
Katsuki si rese conto di star ancora stringendo il corpo della compagna di classe per proteggerla da rami e polvere, ma forte del suo stato di incoscienza non temette che potesse essere percepito come strano.
La sollevò con le braccia scrutandone un’ultima volta il volto e le mani, segnati da innumerevoli graffi e tagli; aveva un’espressione turbata e stanca, ma sarebbero bastate un paio d’ore da Recovery Girl per farla riprendere.
Ochaco sapeva dall’inizio come sarebbe andata e aveva voluto comunque provare a superare i suoi limiti, incarnando il “Plus Ultra” con una grinta anche superiore a quella del ragazzo, già motivato da una sua potenza innata; potenza di cui Ochaco, invece, non disponeva.
Le rivolse una smorfia a metà tra il fastidio e la comprensione, prima di volgere uno sguardo alla U.A. che si stagliava maestosa dalle cime degli alberi.
«Stupida Faccia Tonda.»

   
 
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