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Autore: Dorabella27    11/11/2021    18 recensioni
Seconda tappa del terzetto di “one-shot raminghe” che sono venute a farmi visita. Qui aumentiamo il numero di battute, alziamo – di poco – il rating, e invece di Alain troviamo un altro personaggio centrale nell'intreccio di RoV. Questa volta, a fare le ore piccole e a svuotare tanti bicchieri in una taverna, insieme a Oscar e André, c'è anche Fersen. Ma non è una serata lieta: infatti, il livello del vino nelle bottiglie diminuisce e il malumore e la cupezza aumentano. A peggiorare le cose ci si mette anche un oste che si atteggia a uomo di mondo, ma, per fortuna, almeno un membro del terzetto è rimasto sufficientemente sobrio per capire quando è il momento di levare le tende e di tornare a casa ....
Quanto alla terza ff, arriverà a breve, e molti fili lasciati in sospeso da queste prime due si riannoderanno.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Marie Antoinette, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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PRATICAMENTE, DUE IMBECILLI
 
        Avevano bevuto, tanto. Lui, un po' meno di loro due, ma ormai le loro serate, quando Fersen decideva di fermarsi a cena a Palazzo Jarjayes, e poi di uscire a fare un giro per Parigi, finivano sempre così: una taverna, e tanti, troppi bicchieri di vino, o boccali di birra.
E poi, una volta tornati a palazzo Jarjayes, il bicchiere della staffa, che si risolveva spesso in una intera bottiglia di cognac o di brandy svuotata; e, quand'anche ne fossero avanzate tre dita, lo sguardo di André seguiva ormai sempre più spesso Oscar che si incamminava lungo il corridoio, diretta nella sua stanza, reggendo la bottiglia da svuotare a letto, di certo per provare a stordirsi quando il sonno non veniva, e lei restava sola con i suoi pensieri, a pochi passi dall'uomo che popolava i suoi sogni, ma che sognava la sua Regina.
        Lui, André Grandier, non odiava nessuno, non aveva mai odiato nessuno, né tanto meno poteva odiare Fersen. Di che cosa poteva incolparlo? Era sua la responsabilità se Oscar si era follemente innamorata di lui? Aveva sofferto la sua parte, Fersen: prima un amore impossibile, poi, sette anni in America, la guerra e la malattia, e ora il ritorno in una Francia in cui nulla era cambiato. Non poteva odiarlo, in coscienza. Poteva sperare che Oscar smettesse di rivolgergli quegli sguardi furtivamente adoranti, che, prima di addolorarlo, tanto lo impietosivano, proprio perché Fersen non se ne rendeva minimamente conto. Poteva pregare il cielo che accadesse qualcosa, qualcosa di enorme, insperato, cui nemmeno lui, André Grandier, figlio di un falegname, prima servo e ora attendente, da oltre cinque lustri, ormai, della donna che amava, riusciva a dare nome, perché Oscar si rendesse conto dell'amore che le portava da sempre. Ma non poteva odiare Fersen. Non ci riusciva.
E così passavano le giornate, e le serate, in un curioso terzetto di sofferenza, di amori non corrisposti, cementati e resi ancora più amari dal vincolo dell'amicizia; perché Fersen non poteva restare lontano da Palazzo Jarjayes, perché Oscar era "il suo migliore amico" (e, dannazione, c'era stato un tempo in cui anche lei aveva pensato la stessa cosa del conte?!), e perché, in coscienza, lui, André, non poteva dire di non provare amicizia e forse anche compassione per Fersen, che avrebbe potuto avere tutte le donne che voleva, eccetto una, eccetto quella che desiderava veramente, se non per qualche istante rubato: una sorte che gli ricordava singolarmente la sua. Solo che lui, André, non aveva nemmeno quei momenti di intimità furtiva.
Quella sera non era stata diversa dal solito: per una volta non avevano trovato sui tavoli nessuno degli sconci pamphlet che gettavano fango su Maria Antonietta, e che, negli ultimi tempi, sembravano avere invaso ogni angolo di Parigi, illustrati com'erano da immagini volgari[1]; eppure, avevano bevuto, tutti e tre, mesti e silenziosi. Oscar aveva scrutato qualche volta di sottecchi Fersen, vestito con un'anonima camicia e una ancor più anonima marsina, una marsina prestata da André, mentre il Conte, ubriaco fradicio, aveva biascicato parole sconnesse all'indirizzo di "Maria".
Poi aveva battuto il pugno sul tavolo, e aveva esclamato. "Maria, Maria! Perché non possiamo essere solo io e te?!".
"Ehi, amico!", esclamò l'oste, rubizzo e sudaticcio. "Ti vedo proprio giù!". Si era avvicinato al loro tavolo, con una bottiglia di vino rosso in mano: "Mi pare di avere capito che soffri per questa Maria!", aveva esclamato ammiccante, mentre riempiva a tutti e tre il bicchiere.
"Questo bevilo alla mia salute! E anche voi!", aveva aggiunto, rivolto a lui e a Oscar.
Poi aveva arraffato una sedia malconcia e dondolante, e si era seduto accanto a Fersen, di fronte a lui e a Oscar, e mentre il conte teneva i gomiti sul tavolo e si reggeva la testa con le mani, l'oste, anche lui piuttosto alticcio, gli aveva stretto il braccio destro e gli aveva dispensato qualche saggio consiglio:
"Ah queste donne! Non puoi vivere senza di loro, ma non puoi vivere nemmeno con loro!", aveva esclamato. E poi, con fare complice, aveva chiesto: "E sai che ti dico, amico mio?". Quindi, senza attendere la risposta di Fersen, aveva esclamato: "Sei proprio un bel ragazzo, e se questa Maria non ti vuole, beh, ne troverai a mazzi di donne appetitose e disponibili!". Andrè aveva lanciato uno sguardo a Oscar, che gli sedeva a fianco, proprio davanti a Fersen, e aveva visto le sue guance imporporarsi impercettibilmente, senza però che si muovesse di un millimetro.
"E magari questa Maria è anche sposata! Magari con un rospo brutto e grasso! Non sa che si perde, poveretta! Mandala al diavolo, ragazzo mio, e trovati una bella ragazza, con tutte le curve al punto giusto! Mandala al diavolo la tua Maria!", aveva concluso l'oste, con una risata sguaiata, mentre si alzava, con una poderosa manata, a mo' di incoraggiamento, sulla spalla di Fersen.
Avevano bevuto in silenzio. Oscar era torbida, e lui, André, sapeva anche perché. Quella stessa mattina, mentre percorrevano, per perlustrarlo, un corridoio semi - abbandonato in un'ala poco frequentata della reggia, avevano sentito delle voci soffocate provenire da una stanza, una delle stanze vuote da anni, non assegnate da molto tempo a nessuno dei nobili che frequentavano  Versailles e ci vivevano. Aveva seguito Oscar, come sempre mezzo passo dietro di lei e, dalla porta negligentemente solo accostata, avevano visto Fersen e la Regina, allacciati nel più intimo degli abbracci, lui con il viso affondato fra la spalla e la nuca di lei, le mani che la frugavano, la stringevano, l'accarezzavano, mentre le ripeteva che la amava, la amava, la amava follemente; e lei, la Regina di Francia, la donna più irraggiungibile della nazione, la regina della moda e dell’eleganza, riversa, prona su un letto polveroso, le gonne di un anonimo abito scuro, raccattato chi sa da quale cameriera compiacente, sollevate, con il viso sprofondato in quelle vecchie coltri polverose, che invocava il suo nome di battesimo senza requie, in una sorta di amorosa litania.
Oscar era diventata paonazza, poi era impallidita. Lui, André, con la sua consueta prontezza di spirito, aveva richiuso la porta, senza una parola, con il volto di chi avrebbe voluto dirne mille di parole.
Del resto, rifletteva André, prima o poi avrebbe dovuto accadere. Che cosa credeva, Oscar? Che la Regina e Fersen si incontrassero soltanto nel boschetto di Venere, nelle notti estive?
André non aveva idea di come la Regina Maria Antonietta avesse potuto sfuggire, per qualche tempo, alla routine, che, sia pur semplice e priva di cerimoniale, improntava comunque le sue giornate al Petit Trianon, per arrivare, certo da sola, vestita in un abito scuro senza fronzoli, ad avventurarsi per quel corridoio abbandonato.
Ma l'amore, lui lo sapeva bene, rende pazienti, rende ingegnosi, rende capaci di cogliere ogni momento e ogni strumento utile per congiungersi alla persona amata: come poteva biasimarla?
O forse, avrebbe voluto chiedere a Oscar, credi che l'amore, l'amore di Fersen e della Regina, ma anche qualsiasi altro amore, consista solo in una serie di appassionate dichiarazioni di reciproca devozione, espresse con parole fiorite ed eleganti, mormorate a fior di labbra? Non sai che l’amore è anche, dovrebbe essere anche abbracci, baci profondi, che strappano l’anima, carezze voraci, voglia, desiderio, urgenza di prendere l’altro, bisogno di sentirsi, di essere per un attimo, un attimo solo, tutt’uno con la persona amata?
Anche quello che avevano visto poco prima, e che sembrava aver tanto turbato Oscar, che adesso camminava con il suo consueto passo marziale, ma con gli occhi bassi e con le labbra strette, come se stesse trattenendo il pianto, era amore; non ne era forse la suprema espressione? E, avrebbe voluto dirglielo, alla sua Oscar, può essere bellissimo, se due persone si amano profondamente. Quante volte aveva immaginato di stringere così Oscar....una stanza, ancorché piccola, magari polverosa e dimenticata da tutti, sarebbe diventata il suo, il loro Paradiso...
E quante volte Oscar aveva certamente immaginato di essere stretta in quel modo da Fersen...
Seduto davanti al suo bicchiere ancora pieno per metà, André scacciò quel ricordo penoso, e decise che, per quella sera, avevano tutti e tre bevuto abbastanza.
"Adesso credo che dovremmo rientrare", annunciò, pacatamente, ma con fermezza, e, lasciate alcune monete sul bancone all'oste, disse, nel silenzio della sala ormai semi-vuota, rivolto ai suoi compagni di bevuta: "Vado a recuperare i cavalli: aspettatemi sulla soglia".
Seguì con la coda dell'occhio, mentre si avviava verso l'uscita, il movimento di Oscar e Fersen che si rialzavano a fatica, e che si incamminavano lentamente.
Andò nella scuderia, dietro all'angolo dell'edificio,  e poco dopo arrivò, dal vicolo che portava sul retro, dov'era l'ingresso delle stalle, insieme con César e Alexandre, che ormai abituati alla reciproca presenza, si lasciavano condurre per le briglie rette dalla stessa mano, e procedevano affiancati e placidi, mentre con la mano destra André reggeva le briglie di Incitatus, il purosangue di Fersen.
Oscar e Hans Axel erano usciti, e ora si reggevano al muro accanto alla porta della locanda, gli occhi chiusi, le membra molli, sciolte dall'alcool.
A un tratto, André li vide avvicinarsi, e Fersen, presa fra le braccia Oscar, nella semi-incoscienza dell'ubriachezza, aveva avvicinato il volto al suo, memore, nei fumi della sua allentata vigilanza, di un altro biondo di capelli, di un'altra pelle bianca e fresca e profumata.
André, ormai distante pochi passi, trattenne il fiato. Oscar, gli occhi semichiusi, non aveva opposto resistenza, ma gli aveva passato le braccia attorno alle spalle, in una posa languida che non le aveva mai conosciuto.
 I visi si sfiorarono, le labbra di Fersen si posarono su quelle di Oscar, leggere.
André sentì un colpo al cuore, e un secondo lo avvertì quando sentì Fersen mormorare:"Maria...."

Ma il cuore di André Grandier perse davvero un battito quando sentì la voce sottile di Oscar, semi-incosciente, mormorare, mentre quelle labbra tanto desiderate la sfioravano, un leggero, ma chiarissimo: "Oh, André...:"
Poi, fu un attimo: i due si staccarono, e, completamente ubriachi, scivolarono, l'uno accanto all'altra, con la schiena lungo il muro, restando seduti sui talloni, Fersen con il mento puntato sullo sterno, Oscar con la testa inclinata sulla spalla destra, le palpebre abbassate e i capelli biondissimi e arruffati che, nel buio, palpitavano, si gonfiavano, ondeggiavano, mossi dal vento notturno appena levatosi.
"Praticamente, due imbecilli"[2], mormorò André.
O forse tre, si corresse mentalmente.
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Seconda tappa del terzetto di “one-shot raminghe” che sono venute a farmi visita. Qui aumentiamo il numero di battute, alziamo – di poco – il rating, e invece di Alain troviamo Fersen, e non solo.
Avrei potuto far incontrare Fersen e Maria Antonietta in un angolo del Petit Trianon, o in uno degli appartamenti di Fersen a Versailles, che comunicavano con quelli della Regina (come sappiamo da vari studi, come per esempio da quelli di Evelyn Farr), ma ho voluto, con l’idea della stanzetta abbandonata nel dedalo dei corridoi di Versailles, alludere a una ff che, ai neofiti di Efp, consiglio caldissimamente, “Come fuoco” (anche se non ha nulla a che vedere con il Conte e la Regina), di Mina 7Z, autrice davanti alla quale mi levo il cappello e mi inchino, perché lei è una Scrittrice vera; ho voluto alludere a lei, qui, perché le sue storie mi hanno fatto tanta compagnia e mi hanno insegnato molto, e perché spero che scriva ancora tanto, e per invitare ad andare a rileggere le sue ff, tutte.
Mi sono sempre domandata se Oscar avesse mai, per errore, colto un brandello dell’intimità della Regina: in fondo, doveva custodire occhiutissimamente la sua persona, è non è pensabile che Maria Antonietta si imboscasse sempre (scusate il gioco di parole) con Fersen nel parco della Reggia e nel boschetto di Venere, pena, nella stagione invernale, il rischio congelamento; e poi, i vecchi corridoi abbandonati, i solai da “Villa Amarena” mi sono sempre piaciuti.
Quanto al nome di “Maria”, Fersen chiama la Regina, nelle lettere e nei diari studiati da E. Farr, con il nome in codice di “Joséphine”, ma immagino che, di persona, senza le necessarie cautele dello scritto, il Conte potesse usare il primo nome di battesimo di lei. Che Fersen e la Regina fossero stati amanti, e che questo sentimento non fosse stato solo la devozione totale e rispettosamente lontana di un uomo ammaliato dalla bellezza regale e dal fascino della sovrana, lo sapevano tutti, tanto che persino Napeoleone, storcendo il naso per aver trovato come diplomatico Fersen in un incontro nel 1799, disse che non voleva trattare con colui che “aveva dormito” con la Regina Maria Antonietta (l’espressione francese coucher è molto concreta), aneddoto riportato anche da S. Zweig nella sua biografia della figlia di Maria Teresa.
Quanto alla terza ff, come vi dicevo nella Premessa al testo, arriverà a breve, e molti fili lasciati in sospeso da queste prime due si riannoderanno, spero in maniera soddisfacente.
Spero che sarete perseveranti e pazienterete. In ogni caso, grazie di essere arrivati sin qui!
 
[1] A uno di questi pamphlet faccio riferimento anche nella mia “Viaggio nel passato”; per l’immagine di Maria Antonietta nella libellistica, cfr. Ch. Thomas, “La reine scélérate”, Paris 1988.
[2] Il finale, e il titolo, vengono dalla conclusione di una lirica in M. Mari, Cento poesie d'amore a LadyHawke, Einaudi 2007, che vi consiglio di leggere.
   
 
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